se non visualizzi correttamente questo messaggio, fai  click qui  
 
  logo  
L'Unione informa
 
    10 marzo 2010 - 24 Adar 5770  
alef/tav   davar   pilpul   rassegna stampa   notizieflash  
 
Moked - il portale dell´ebraismo italiano
alef/tav    
  Adolfo Locci, rabbino capo di Padova Adolfo
Locci,
rabbino capo
di Padova
Questi sono i computi del Tabernacolo...” (Shemot 38:21). Le parashot Vayaqel e Pequdè, nel prossimo ultimo Shabbat del mese di Adar, si leggono insieme. La prima si occupa in forma “generale” del Mishkan - Tabernacolo e degli oggetti che lo compongono (Vayaqel dal termine Qahal comunità, un insieme di persone) mentre la seconda tratta dei “particolari” minuziosi relativi alla costruzione (misure, pesi, conti di spesa; Pequdè dal termine Mifqad, computo, censimento). Sembra che le due parashot rappresentino due possibili, e diverse, visioni del mondo. C’è chi sostiene che il carattere “generale” sia preminente mentre quello “particolare” ne è al servizio e senza il quale non sussisterebbe; c’è poi chi vede il mondo attraverso una visione “particolaristica”, ritenendo quella “generalista” solo una raccolta di dettagli specifici. La Torà sembra voler dire che il mondo è fatto di peratim - particolari ognuno a se stante, ma che si “fondono” in un unico grande kelal - generale e che si deve avere un’attenzione “particolare” specialmente nei momenti di cambiamento, o di svolta, del contesto “generale”. Coloro che vivono quei momenti, devono tener presente le due visioni senza far prevalere l’una sull’altra. Come insegna una delle tredici regole attraverso le quali si interpreta la Torà: il carattere generale è necessario al particolare come quello particolare al generale.
Chi è troppo pieno di sé non ha spazio per Dio. (Martin Buber) Matilde
Passa,
giornalista
Matilde Passa  
  torna su
davar    
 
  Qui Milano - Lavorare assieme per aiutare gli altri

Qui Milano_il pubblicoUn momento fondamentale per i rapporti in ambito sanitario tra Stato d’Israele, Regione Lombardia e Stati Uniti d’America si è svolto ieri sera nell’Aula magna Aharon Benatoff della Scuola ebraica di Milano. Tanti gli ospiti intervenuti per la conferenza internazionale organizzata da Comunità ebraica, Associazione medica ebraica –Italia e Associazione Monte Sinai. Davanti all’affollata platea si sono ritrovati rappresentanti delle istituzioni e del mondo scientifico dei tre paesi.
Il presidente della Comunità Leone Soued e il portavoce Yoram Ortona, insieme al presidente dell’Ame Giorgio Mortara, al presidente dell’Associazione Monte Sinai Enrico Mairov, e a Claudio Morpurgo, delegato del presidente della Regione Lombardia per i Rapporti con l’Europa e ex presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, hanno introdotto la serata e accolto i relatori, fra cui spiccavano il ministro della Sanità israeliano Yaakov Litzman e il presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni, che si erano in precedenza incontrati per un colloquio privato.
Durante la conferenza si è parlato dei proficui scambi fra Lombardia e Israele in campo medico e nella ricerca e dei progetti concreti realizzati, come il corso di formazione in Israele per affrontare le situazioni di post emergenza dopo eventi catastrofici cui hanno partecipato 12 operatori sanitari lombardi. Sono state anche illustrate le prospettive di sviluppo della telemedicina e dell’assistenza sanitaria domiciliare, che potrebbero rappresentare la chiave per affrontare il costante invecchiamento della popolazione, come hanno sottolineato gli assessori regionali alla Sanità e alla Famiglia Luciano Bresciani e Giulio Boscagli.
Numerosi anche i rappresentanti di enti che si occupano di singoli aspetti dei servizi sanitari, per discutere di tematiche che, con il dibattito sulla riforma sanitaria, interessano da vicino anche gli USA, d’ora in poi terzo polo della collaborazione fra Lombardia e Israele.
A portare la loro testimonianza sono stati Leonard Kleinman, professore alla UCLA e rappresentante della West Los Angeles Veterans Affairs Medical Center, Joshua Shemer, direttore dell’Istituto Gertner per la programmazione, la pianificazione e il controllo del sistema socio-sanitario israeliano, Moshe Revach, presidente dell’Authority del Trauma dello Stato d'Israele, Carlo Lucchina, Direttore generale dell’Assessorato alla Sanità della Regione Lombardia, Umberto Fazzone, Direttore Generale dell’Assessorato alla Famiglia e Solidarietà della Regione Lombardia, Giampietro Luzzato, presidente onorario dell’Associazione Monte Sinai, Leon Alkalai, professore del Dipartimento di Computer Science della UCLA e Judith Maier, consulente politico speciale dell’Associazione Monte Sinai nel gruppo di lavoro per la riforma sanitaria degli Stati Uniti.
Oltre a parlare della collaborazione sanitaria da un punto di vista tecnico, la conferenza ha rappresentato anche un’occasione per mettere in luce la valenza politica che la sanità può assumere nell’avvicinare i popoli.
In questa prospettiva la serata si è conclusa con l’appello di Enrico Mairov per promuovere un incontro in Lombardia tra i ministri della Sanità dei 25 paesi che si affacciano sul Mediterraneo, che segua a quello promosso dall’Associazione Monte Sinai nel 2007 tra il ministro della Sanità israeliano e quello palestinese. Perché, come è stato ricordato durante la conferenza “quando ci facciamo male sentiamo tutti ugualmente dolore”.

r.t.

Sul portale dell'ebraismo italiano moked.it sono pubblicati integralmente i discorsi del presidente della Comunità Ebraica di Milano Leone Soued, del presidente dell'Associazione Medica Ebraica Giorgio Mortara e del presidente della Regione Roberto Formigoni.

Qui Milano - A colloquio con il ministro della Sanità di Israele

LitzmanAlla serata che sancisce un passo avanti nei rapporti di collaborazione tra Stato d’Israele e Regione Lombardia che, sempre più intensi, vedono ora anche l’ingresso degli Stati Uniti, ha partecipato il ministro della Sanità israeliano Yaakov Litzman (nell'immagine con il giornale Pagine Ebraiche fra le mani). Nato nel 1948 da genitori polacchi sopravvissuti alla Shoah, dopo aver trascorso l’infanzia negli Stati Uniti, a 17 anni Litzman è emigrato in Israele per proseguire gli studi. Membro della corte chassidica di Ger, è diventato ben presto braccio destro del rebbe Lev Simcha e poi del successore Yaakov Alter. È stato proprio l’attuale rebbe di Ger nel 1999 a chiedere a Yaakov Litzman di rinunciare alla cittadinanza statunitense e di entrare nelle file del partito religioso Agudat Israel.
Membro della Knesset da quell’anno Litzman ha ricoperto diversi ruoli di rilievo, fino a essere nominato ministro della Sanità del governo Netanyahu nel 2009.
Ministro Litzman, negli ultimi tempi gli operatori israeliani hanno stupito il mondo grazie alla prontezza ed efficacia del loro intervento in soccorso della popolazione haitiana. Israele non è nuovo a questo tipo di missioni. I suoi inviati erano in prima linea per aiutare i paesi colpiti dallo tsunami nel 2004, e in molte altre situazioni di emergenza in tutto il mondo. Qual è il segreto per lavorare in modo così efficiente?
Il popolo israeliano ha alle spalle una lunga esperienza di sofferenza. Vive sotto la costante minaccia del terrore, e tante volte si è dovuto misurare con le sue distruttive conseguenze. Da questo dolore abbiamo imparato tanto. Prima di tutto, abbiamo imparato che vogliamo evitare, per quanto possibile, che altri debbano soffrire lo stesso dolore. Per questo sfruttiamo le strategie che abbiamo messo punto, e il personale che è addestrato ad affrontare le situazioni più complesse, per dare il nostro supporto. Il nostro segreto, se così si può definire, è la fedeltà alla missione.
Pensa che possa essere questa la chiave per migliorare l’immagine di Israele nel mondo?
È fondamentale specificare che non è migliorare la nostra immagine, lo scopo per cui cerchiamo di portare aiuto alle popolazioni colpite da catastrofi naturali o da altri disastri. Tuttavia è sicuramente vero che quello che siamo riusciti a fare per Haiti ha giovato molto alla considerazione che l’opinione pubblica mondiale ha di Israele. E siccome questo aspetto è molto importante per noi, in futuro dovremo impegnarci di più per comunicare meglio gli sforzi che Israele compie.
Per quanto riguarda il sistema sanitario israeliano, com’è la situazione sul fronte interno? Com’è stato possibile assorbire grandi ondate di nuovi immigrati continuando a garantire l’eccellenza del servizio?
Israele vanta uno dei sistemi sanitari migliori del mondo. Possiamo contare su personale e programmi di altissimo livello e sulle tecnologie più innovative. Questo ha consentito al servizio sanitario di non soffrire l’arrivo degli olim hadashim. Se mai un problema con cui dobbiamo fare i conti è quello dell’invecchiamento della popolazione.
Nel quadro brillante della sanità israeliana, un problema è invece quello della carenza di organi per i trapianti, essendo controverso per la Legge ebraica, il concetto di “morte cerebrale”, dopo la quale è possibile l’espianto. Di recente è stata approvata una legge che prevede la priorità nelle liste d’attesa per un trapianto per chi ha dichiarato la disponibilità a diventare donatore. Qual è la situazione attuale rispetto a questo problema?
È molto semplice. Oggi in Israele esiste una legge per cui se un paziente si trova in stato di morte cerebrale e la famiglia accetta, vengono espiantati gli organi. Se invece la famiglia non accetta, perché non riconosce la morte cerebrale, non accade. E per la Legge ebraica questo è perfettamente lecito.

Rossella Tercatin


Qui Firenze - Il forum dei dirigenti scolastici tra presente e futuro
 
ForumSi è conclusa nel tardo pomeriggio di ieri una due giorni di lavori organizzata dal Centro Pedagogico del Dipartimento educazione e cultura dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, rivolta sia ai vicepresidi che ai coordinatori delle realtà scolastiche ebraiche italiane. Il forum, giunto alla terza sessione dopo gli appuntamenti di Torino (febbraio 2009) e Milano (ottobre dello scorso anno), si è tenuto nei locali della Comunità ebraica di Firenze. Moderatore e coacher dell’incontro è stato Daniel Segre, che predispone assieme al Centro Pedagogico i contenuti del percorso formativo.
Il forum dei vicepresidi e dei coordinatori lavora parallelamente con quello dei direttori (piattaforma di dialogo e confronto ormai consolidata): le professionalità a cui le due tipologie di meeting sono rivolte operano infatti a stretto contatto per garantire il presente ed il futuro dell’educazione ebraica.
Le tematiche affrontate a Firenze sono state molteplici e hanno mirato alla definizione del ruolo che i partecipanti si trovano a ricoprire all’interno dell’istituto scolastico di riferimento. Grande spazio, in particolare nella giornata di ieri, anche all’analisi delle situazioni di criticità e al profilo comunicativo.
Il bilancio di Odelia Liberanome, coordinatrice del Centro Pedagogico, è positivo: “Da questi incontri il gruppo ed il singolo all’interno del gruppo escono rafforzati”.
 
 
  torna su
pilpul    
 
  A proposito di antisemitismo - 2

Francesco LucreziUno storico del futuro, che intendesse ricostruire le posizioni dell’opinione pubblica europea, nel secolo scorso e al giorno d’oggi, nei confronti di ebrei ed ebraismo, si troverebbe, probabilmente, in difficoltà di analisi.
Nel valutare la consistenza dell’antisemitismo fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale, tale storico dovrebbe prendere atto che questo pregiudizio aveva una larghissima e palese diffusione, non solo nella Germania nazista e nei Paesi a essa alleati, ma, sia pure con diversa intensità, pressoché ovunque. Apertamente sostenuta dalla Chiesa, fatta propria da molti fra i più eminenti intellettuali europei, accolta e alimentata dal pensiero marxista e rivoluzionario così come da quello conservatore e liberale, l’ostilità contro gli ebrei, a tutti i livelli, rappresentava un sentimento del tutto rispettabile: nessuno doveva vergognarsi nel manifestarla, né nel tradurla in azioni conseguenti.
Con la caduta, nel ’45, dei suoi più potenti ‘sponsor’, e la vittoria delle forze a loro antagoniste, l’antisemitismo è diventato, improvvisamente, un tabù. Esternare sentimenti antiebraici inscriveva, automaticamente, nel novero degli sconfitti, e solo pochi ‘audaci’ nostalgici, “duri e puri”, trovavano il coraggio di farlo, sfidando la generale riprovazione. La Chiesa cambiava linguaggio, un ampio repertorio di giudizi e commenti veniva escluso dall’ambito della cultura ‘ufficiale’, per essere relegato nel terreno ‘inferiore’ delle battutine da strada e da osteria.
Ma, negli stessi anni in cui la vecchia Europa sembrava rimuovere dalla propria coscienza il suo antico pensiero e linguaggio, l’antisemitismo risorgeva, nel circostante mondo islamico, con straordinaria rapidità e virulenza: la pubblicistica antigiudaica si sarebbe diffusa nei mass media e nei libri di testo scolastici, i “Protocolli dei Savi di Sion”, tradotti in arabo, sarebbero stati pubblicati, e spesso regalati gratuitamente, in decine di migliaia di copie, e anche riadattati per fortunati sceneggiati televisivi. Serie testate giornalistiche - dall’Egitto alla Siria, dal Libano alla Malesia, dal Pakistan all’Iran e alla Libia - sarebbero state inondate di vignette - spesso ritagliate direttamente da Der Stürmer e altri fogli nazisti - raffiguranti ebrei torvi, col naso adunco, pronti a ghermire fanciulli indifesi e a tramare contro l’umanità. Sarebbero tornate, in chiave moderna, le leggende medioevali sui giudei che avvelenano i pozzi, o che fabbricano le azzime col sangue dei bambini musulmani e cristiani.
Invano lo storico del futuro cercherebbe, sui giornali europei, qualche commento, o semplicemente qualche notizia, riguardo a tutto ciò. E non gli sarebbe facile rispondere a una domanda: l’Europa fa finta di accorgersi solo del proprio antisemitismo “di nicchia”, trascurando quello “di massa”, per viltà, o pigrizia? O, forse, nutre qualche malcelata solidarietà verso chi svolge, oggi, le sue funzioni di ieri?

Francesco Lucrezi, storico
 
 
  torna su
rassegna stampa    
 
 
leggi la rassegna
 
 

Nel corso della visita del vicepresidente americano Biden a Gerusalemme e a Ramallah è arrivata la notizia, da alcuni giudicata inattesa per lo stesso Netanyahu, della costruzione di 1600 nuovi alloggi “per i coloni” (secondo il Financial Times) in un quartiere ebraico di Gerusalemme Est. Netanyahu non ha mai promesso alcun blocco delle costruzioni a Gerusalemme Est, e quindi non ha tradito la parola data. Ma questa notizia sta suscitando le ire non solo di Abu Mazen, pronto a sollecitare l’intervento della Lega Araba, ma anche della amministrazione americana, e di tanti commentatori. Mentre i colloqui tra israeliani e americani sembravano incentrati sull’Iran (lo stesso negoziatore Mitchell era rimasto fuori dalla stanza dei colloqui, a dimostrazione del fatto che nei colloqui “indiretti”, o “di prossimità”, non crede nessuno, sulla notizia arrivata improvvisa scrive Battistini sul Corriere che “mina la fiducia necessaria ad avviare i colloqui indiretti. Dobbiamo costruire un’atmosfera per sostenere i negoziati, non per complicarli”. Belle parole che tuttavia vengono usate solo e sempre contro Israele; si chiede poi giustamente se “qualcuno possa credere a questi negoziati indiretti, rito trito e ritrito”. Circa la visita di Biden, sulla Nazione Giorno Resto del Carlino Giampaolo Pioli scrive da New York che il vicepresidente “raggiungerà oggi le piste dei territori”. Parole classiche di una disinformazione pericolosa, e sintomatiche della testardaggine di troppi che vogliono scrivere su argomenti che ignorano del tutto. E’ mai stato Pioli in Giudea e Samaria? Il Messaggero sembra non accettare che Peres chieda sanzioni morali contro i dirigenti iraniani, oltre a quelle economiche; farebbe prima a sostenere che cosa propone di fare contro l’Iran, sempre ammesso che non ne accetti in toto la politica aggressiva. Di tono opposto l’articolo scritto dal ministro Ronchi sul Tempo, nel quale sollecita l’Europa a prendere posizione, come l’Italia ha già fatto, su questo argomento (l’Iran) destinato a restare al centro delle preoccupazioni di tutti, in Medio Oriente come in America. E il Giornale, dopo aver ricordato che Ahmadinejad vuole distruggere Israele e intanto impicca nelle strade i suoi nemici interni, in una serie di brevi ricorda i passati altolà dell’ONU, rimasti fino a oggi senza effetto alcuno. Sul Fatto, dove sono poco attenti se confondono gli accordi di Annapolis tra Olmert e Abu Mazen, “oramai nulli”, con accordi di “Indianapolis”, leggiamo che mentre i palestinesi avanzerebbero proposte moderate che prevedono i due stati e piccole modifiche territoriali, limitate al 2 per cento, Natanyahu “insiste a volere che i palestinesi riconoscano Israele come stato ebraico”, e avrebbe “le mani legate” di fronte alle lungimiranti proposte palestinesi di grande apertura. Il Manifesto in un articolo intitolato “sulla porta dell’inferno” scrive che “le tiritere di Ahmadinejad sull’inesistenza dell’Olocausto e sulla necessità di cancellare Israele dalle carte geografiche non fanno altro che alimentare le fiamme che Netanyahu vuole tenere vive”. Parole queste che si commentano da sole, purtroppo. Non molto diverse le parole su l’Unità in un’intervista ad Avraham Burg, sempre più schierato contro Israele di cui fu personaggio di primo piano in anni non lontani. Ma oggi, dopo aver attaccato la politica seguita nella gestione della città di Gerusalemme, da cui tanti si trasferirebbero, e la politica del governo, finisce dicendo: “Definire Israele uno stato ebraico è la chiave della sua fine”. Neppure queste parole meritano un commento. Ma sottolineo che le ha pronunciate Avraham Burg. Da leggere con attenzione su Le Monde un’intervista a Peres; tra le sue parole, ne ricordo alcune. Una nazione (la palestinese) deve essere costruita, e non solo negoziata, ma purtroppo questa costruzione è iniziata solo da un anno, ed ha l’aiuto di Israele. Israele accettò la proposta di Clinton che i quartieri arabi di Gerusalemme Est rimangano ai palestinesi, e quelli ebraici rimangano a Israele; per quelli misti va ricercata una soluzione amichevole. Israele ha proposto di far nascere lo stato palestinese su frontiere provvisorie, per dare tempo ai negoziati di risolvere le controversie; i palestinesi hanno rifiutato; di questo gli europei con le loro proposte sono al corrente? L’Iran con la sua politica è riuscita a dividere sia il Libano che la Palestina in due; Hezbollah impedisce la pace in Libano, Hamas impedisce che possa nascere uno stato palestinese. Questo, ed altro, su Le Monde, in questa intervista di grande interesse. Su Liberal si legge una attenta analisi della realtà ebraica negli USA, della sua influenza sulla politica del Congresso, e non si nasconde un parallelismo tra quanto succede in Israele e quanto potrà succedere presto in Europa. Su Liberazione si riprende la dichiarazione del primo ministro turco Erdogan secondo il quale Israele avrebbe accettato che egli riprenda il suo ruolo di mediatore coi siriani; tuttavia non è riportata la risposta di Netanyahu, che non sembra vedervi altro che la volontà di Erdogan di restare al centro dell’attenzione. Infine sul Sole 24 Ore un interessante articolo sul convegno promosso dal professore Dario Peirone che ha riunito a Torino aziende leader italiane ed israeliane nel campo dell’Hi Tech.
Nei giorni scorsi abbiamo letto (e molti hanno scritto per protestare) numerosi interventi dell'ex ambasciatore Sergio Romano che sempre più rivela non solo il suo pensiero filoislamico (che si dovrebbe rispettare in quanto tale), ma anche la sua protervia nel non prendere in considerazione i fatti, i documenti e la storia (e qui viene meno il dovere del rispetto). Romano difende la politica turca (sulla quale sempre più numerosi sono coloro che esprimono preoccupazioni crescenti), e circa l'alleato Iran afferma di "non essere convinto che la sua classe politica voglia l'arma nucleare", per aggiungere che la bomba "serve a dissuadere piuttosto che a minacciare"; non legge i giornali di tutto il mondo che riportano le minacce che, da anni, i dirigenti iraniani muovono contro lo Stato di Israele "che sarà cancellato"? Sorge inoltre spontanea la domanda: dissuadere chi? Sta forse tentando di insinuare che sarebbe Israele a coltivare propositi genocidi nei confronti dell’Iran? Al lettore che lo interrogava sulle condizioni di Gilad Shalit ha risposto che "nelle carceri israeliane vi sono circa 11000 palestinesi: un numero che fa pensare a prigionieri di guerra piuttosto che a criminali comuni", dimenticando la ben diversa condizione oggettiva di prigionia. E alla lettrice che gli chiedeva spiegazioni sulla sua affermazione di considerare Marwan Barghouti un personaggio "interessante" ha risposto paragonando l'ala militare dei Tanzim, da lui fondata, alla Haganah, e scrivendo: "Barghouti è considerato da molti un terrorista (evidentemente da lui no, ndr). Ma terroristi, per gli inglesi, furono anche Jabotinsky e Begin" (e mi chiedo come si possa paragonare colui che ha sterminato tanti civili con chi faceva azioni contro un esercito). E infine si è inventato un "implicito riconoscimento dello Stato di Israele" da parte di Barghouti e di altri leaders palestinesi incarcerati, senza peraltro spiegarci in che cosa consisterebbe questo “riconoscimento implicito”, né quale altro stato al mondo sia stato gratificato (e si sarebbe accontentato) di un riconoscimento non esplicito. Certamente nei prossimi giorni Romano ci sorprenderà con nuove dichiarazioni sullo stesso tono.

Emanuel Segre Amar

 
 
  torna su
notizieflash    
 
 
La deportazione degli ebrei di Francia,                                              
per la prima volta raccontata in un film
Parigi, 9 mar -
E' la prima volta che un film francese racconta quella pagina buia della storia recente. La 'Rafle', sugli schermi francesi a partire da domani, racconta il dramma delle persecuzioni e in particolar modo la retata di 13.152 ebrei arrestati a Parigi il 16 luglio 1942 dalla polizia francese su richiesta della Germania nazista, che dopo essere stati raggruppati nel Velodromo d'Inverno sono stati deportati. Il film riporta il dramma attraverso gli occhi del piccolo Joseph Weisman, 11 anni, arrestato con i genitori e la sorella, fuggito poi da un campo di concentramento francese evitando così i campi della morte. Ci sono voluti degli anni prima che le autorità francesi riconoscessero il ruolo dello Stato nella deportazione degli ebrei di Francia. Solo nel 1995 il presidente Chirac pronunciò un discorso atteso da decenni dalla Comunità ebraica, denunciando "la follia criminale dell'occupante assecondata dallo Stato francese, che ha compiuto l'irreparabile consegnando i suoi protetti ai loro boia". La Rafle è stato già paragonato dai critici francesi alla Lista di Schindler di Steven Spielberg per il ruolo pedagogico che potrebbe avere in Francia, tanto che si pensa di proiettarlo nelle scuole.
 
 
    torna su
 
L'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche.
Gli articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili.
Gli utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste, in redazione Daniela Gross.
Avete ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo e-mail, scrivete a: desk@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”.