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L'Unione informa |
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11 marzo 2010 - 25 Adar 5770
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alef/tav |
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Alfonso Arbib, rabbino capo di Milano |
I
Chakhamìm, interpretando un verso della parashà di Ki Tissà, dicono che
le conseguenze del vitello d'oro si ripercuotono su tutte le
generazioni del popolo ebraico. Qualcuno recentemente mi ha chiesto
perché quasi tutto il popolo venga punito per il vitello d'oro quando
dalla parashà risulta che solo una piccola parte vi abbia partecipato.
Possiamo trovare la risposta a quello che succede quando Moshè torna e
si rivolge al popolo dicendogli: "Chi è con Dio venga verso di me". A
questo appello di Moshè risponde la tribù di Levì, ma non il resto del
popolo. C'è quindi chi partecipa al vitello, c'è un piccolo gruppo che
si oppone e c'è la grande massa del popolo che rimane a guardare senza
scegliere, senza prendere posizione. Spesso non prendere posizione
viene considerato un comportamento moderato e saggio, a volte però è
l'incapacità di scegliere la cui conseguenza tragica si ripercuote su
tutta la storia del popolo ebraico. |
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L'Agenzia
Ebraica è la grande organizzazione internazionale che da Gerusalemme
coordina le attività della Diaspora ebraica finalizzate a promuovere lo
sviluppo dello stato d'Israele. È il motore principale di quello che
alcuni con orgoglio, altri con nostalgia, altri ancora (bontà loro) con
ripugnanza chiamano il Movimento Sionista. L'Agenzia Ebraica ha ora
nominato un nuovo direttore generale, Alan Hoffmann. Alan è un elegante
signore sulla sessantina nato in Sud Africa che parla un perfetto
inglese (con accento inglese, non sudafricano), arrivato in Israele nel
1967 dopo una lunga attività nei movimenti giovanili ebraici e una
coerente battaglia contro l'apartheid. È la prima volta che a un posto
direttivo di tanta responsabilità viene nominato qualcuno rispetto al
quale non c'è un fossato incolmabile di estranea soggezione: non ha
bonificato paludi, non ha pilotato aerei da caccia, non è nato in
Israele e, assieme a un perfetto ebraico con accento europeo, parla
l'inglese senza il rozzo accento di tanti israeliani. Sa fare un
discorso politico-culturale più complesso di quello che tante volte
abbiamo udito: "Non capisco come tu fai a vivere qui: perché non fai
Aliyah?" Definirei Alan Hoffmann "uno dei nostri", uno che conosce bene
dall'interno la cultura e le necessità delle comunità dei paesi
occidentali dove oggi vive la maggioranza degli ebrei fuori di Israele,
e comprende che il progetto, qualsiasi progetto, deve includere una
piena collaborazione fra le diverse tonalità del mondo ebraico,
dovunque si trovino. |
Sergio Della Pergola, Università Ebraica di Gerusalemme |
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Qui Firenze - L’abbraccio della gente ad Arnoldo Foà
Quando
Arnoldo Foà prende la parola, la sala eventi della libreria Edison
diventa il palcoscenico della sua ultima improvvisazione. Il grande
volto del teatro italiano interagisce costantemente con il pubblico,
non risparmiando ironie talvolta pungenti. In particolare nei confronti
di una signora seduta in prima fila, colpevole di commentare ogni sua
frase e di avere malcelati slanci di protagonismo. Anche a 94 anni
suonati risulta evidente una cosa: la scena deve essere tutta per lui. Arnoldo
Foà è in città per presentare Autobiografia di un artista burbero, il
libro in cui ripercorre la sua lunga ed intensa esistenza. Il folto
pubblico che gremisce la sala è l’ennesimo riconoscimento per una vita
vissuta in maniera straordinaria. Il suo volto emozionato ripaga il
calore della gente. È commosso per essere a Firenze. In queste
strade e in queste piazze - racconta con un sorriso che apre il cuore -
diventò un uomo. E ancora oggi, appena ha del tempo libero, si fa una
bella passeggiata in via del Sole, dove il padre aveva un negozio di
ferramenta. Quel negozio non c’è più ma il ricordo dei genitori e
dell’amato fratello Piero non lo abbandona mai. Orgogliosamente
ateo, non rinnega le sue radici. Si dice addirittura felicissimo di
essere nato ebreo, perché questo gli ha permesso di “passare quello che
un essere umano normale non ha la possibilità di vivere”. In
particolare l’affetto di quanti gli furono vicini nel consolarlo
durante e dopo il nazifascismo. Ma Foà non ha rancori verso nessuno,
neanche per coloro che gli fecero del male. Ecco il suo congedo: “Voglio bene a tutti gli uomini”. Parole di un grande innamorato della libertà.
Adam Smulevich
Arnoldo Foà: “Siamo tutti uguali, anche se abbiamo pensieri differenti”
Sulla
scena, fra le centinaia di personaggi cui ha dato voce e vita, non si è
fatto problemi a vestire le sottane di quattro diversi pontefici. “E
non è tutto – ricorda divertito – perché una volta mi è toccato dare
voce persino al Creatore. Per un ateo mi sembra una bella
soddisfazione”. Ad ascoltarla, sulla soglia del suo novantacinquesimo
compleanno, quella voce calda, profonda che ha fatto rabbrividire e
commuovere intere generazioni di italiani, quella voce che ha lanciato
dai microfoni della radio Alleata di Napoli il segnale della riscossa e
della liberazione, quella voce che per tutti ha significato magistrale
recitazione, profondità, silenzio, poesia, quella voce che ha
attraversato un secolo non è appannata. L’immancabile pipa non l’ha
irruvidita, gli anni non l’hanno incrinata. Fra nuovi progetti di
lavoro e qualche momento di riposo, ci aspetta nel suo appartamento
romano, accogliente ma per nulla pretenzioso, ornato delle sue
multiformi creazioni, disegni, dipinti, sculture, ricordi del lavoro di
attore e degli innumerevoli viaggi che hanno accompagnato un’esistenza
segnata dall’irrequietudine. Accanto ad Annamaria, che ama teneramente
ricambiato, Arnoldo Foà non può fare a meno di cedere al vecchio vizio
e di restare perennemente sotto i riflettori. Fissa la punta delle
scarpe di Giorgio Albertini che cerca di ritrarlo e lo stuzzica, tenta
l’impossibile, cercando di fargli perdere la pazienza (“Accidenti, che
piedi grandi che ha lei...”). Giorgio ride e non ci casca, lo lascia
sbirciare volentieri nel blocco di appunti dove allinea uno dopo
l’altro non solo i tratti, ma anche i pensieri, le anime degli
intervistati di questi primi numeri di Pagine Ebraiche. “Ah, lei
disegna. Anch’io lo faccio, sa? Guardi qui, questo è mio fratello
Piero, che le pare? Quanto l’ho amato questo mio fratello...”. Ora che
Piero non c’è più, che decine di colleghi, amici appassionati e tanta
parte del suo pubblico se ne sono andati in punta di piedi, Arnoldo Foà
porta il peso immenso dei grandi vecchi che hanno amato troppo la vita.
Migliaia di ore sul palcoscenico, tanti amori, quattro matrimoni,
l’affetto di milioni di italiani che hanno amato la sua voce e la sua
arte, un’identità ebraica contraddittoria, difficile e combattuta, ma
mai negata, sempre portata a testa alta, con fierezza, come spesso
avviene agli ebrei italiani. Negli
scorsi giorni ha regalato al lettore italiano un libro di memorie
(Autobiografia di un artista burbero, Sellerio, 212 pagg). E’ venuto il
momento di quietarsi, di tirare i remi in barca, di concedersi un
momento di riposo? Mah, veramente sarebbe il caso di rimettersi a fare le valigie. Verso dove? Verso
l’America, questa volta, per un viaggio che dovrebbe portarmi da New
York, a Washington a Miami per raccontare alla gente di un italiano che
sulle due sponde dell’Oceano è stato molto amato. A chi si riferisce? Questa
primavera vorrei ancora una volta dare voce ad Arturo Toscanini,
portando negli Usa il testo che al grande direttore d’orchestra ha
dedicato lo storico Piero Melograni (Toscanini, la vita, le passioni,
la musica). E’ un monologo lungo e fisicamente molto impegnativo, uno
sforzo mnemonico non indifferente... Per un artista è una bellissima
sfida. Soprattutto per uno come me, che ha sempre molto amato la musica
e la libertà. Insomma, ha voglia di partire. Sì, e quando ho voglia di fare una cosa, se posso la faccio. Tutto qui. Torniamo indietro nel tempo. La sua identità di ebreo italiano, quando ha cominciato a percepirla? Me
l’hanno gettata addosso le leggi razziste del 1938, così come a molti
altri. Ero giovane, e noi eravamo come tanti altri: dei cittadini come
tanti altri. Quando sono stato costretto a lasciare l’Accademia d’arte
drammatica ho capito che le cose non stavano così. Cosa la colpì di più, allora? La privazione dei diritti, la negazione di un’eredità ancestrale? L’odio razzista? Quello
che mi impressionò molto, per la verità, fu l’enorme divario fra quello
che dicevano le leggi discriminatorie e la realtà quotidiana. Restai
amico delle stesse persone, continuai a coltivare gli stessi affetti. E
la gente comune fece molto per non dare peso a qualcosa che sembrava
del tutto incomprensibile. La gente che conoscevo non era razzista, e
questa storia la chiamavamo una stronzata. Così, nonostante le continue
ingiustizie e l’arte d’arrangiarsi per continuare e studiare e
lavorare, la vita è andata avanti, bene o male. E il rapporto con suo fratello? Piero
ha avuto la capacità di essere sempre molto più ispirato e religioso di
me. Non abbiamo mai affrontato in un confronto diretto le nostre due
diverse sensibilità. Ma nonostante questo, o forse proprio per questo,
l’ho tanto amato. Ho sofferto molto quando è morto, e i ritratti che
gli ho dedicato li tengo sempre davanti a me. Cosa ha imparato da quell’esperienza e dagli anni della guerra? Che tutti gli uomini sono uguali, anche se hanno pensieri differenti. Questa
casa è piena di ricordi, e di libri. Lei non ha perso la voglia di
leggere. Cosa tiene aperto sul tavolo in questo momento? Le
mie memorie, perché voglio continuare a sapere chi sono. Ho milioni di
ricordi, tanti che qualche volta non te li ricordi più. E basta? No,
certo, c’è dell’altro. Cervantes, ma soprattutto i poeti, tutti i poeti
che ho amato leggere nella mia vita di uomo e di attore, quelli cui ho
cercato di dare voce e di cui ho realizzato delle registrazioni nella
speranza che il loro messaggio fosse ascoltato da tanta gente. Quali sono i poeti che porta sempre con sé? Anche
solo Leopardi, tanto per cominciare, e per citare un solo nome di cui
oggi si parla poco ma che non mi ha mai lasciato solo. E a teatro, ci va ancora? Mica tanto. Forse perché sono diventato vecchio, ma non sono più capace di vedere tante cose interessanti. I mostri sacri di un tempo che hanno calcato la scena assieme a lei, non hanno avuto eredi? Non
so, non è facile rispondere. Temo di no. Ho visto da vicino tanti
colleghi di valore, ora non ritrovo quella dimensione sulla scena
italiana. Sente ancora la presenza dei suoi colleghi accanto a lei? Molti
erano dei prodigi di bravura e di professionalità. E continuo a
sentirli come fossero ancora vivi. Tanti nomi che dal mio personale
teatro non usciranno mai. Uno fra tutti? Vittorio
Gassman, per esempio, era certamente qualcuno. Anche se credo abbia
sofferto di essere sempre, immancabilmente, troppo se stesso. Lei ha amato molte donne e vive ora, nonostante gli anni, una quarta, appassionata unione. Vorrei
essere così bravo e così coraggioso da imporre il nome di Annamaria
alla storia d’Italia, come l’Anita di Garibaldi, o nella letteratura
come la Beatrice di Dante, la Laura del Petrarca, la Fiammetta del
Boccaccio. Sono continuamente combattuto dal dubbio che sia la sua
straordinaria dedizione a legarmi così intensamente a lei, o il mio
amore per lei, a prescindere dalla sua dedizione. Passo da una
convinzione all’altra in continuazione, finché la tenerezza reciproca,
le risate che ci facciamo per gli stessi motivi, anche quelli stupidi
(sono importanti quelli stupidi, perché sono quelli più sinceri), e il
fatto che non resti in noi alcuna traccia di rancore dopo un
inevitabile scontro di opinione o di comportamento, non mi convincono
della realtà del mio sentimento per lei. La differenza di più di
quarant’anni fra noi non esiste: o la sua età mi ha ringiovanito o io
ho fatto crescere lei. Grazie, questo non è teatro, ma il suo modo di amare e di intendere la vita. L’ultima
domanda cade in un silenzio. Alla considerazione finale
dell’intervistatore, le regole vogliono segua una risposta conclusiva.
Ma questa volta la voce di Arnoldo Foà ha circondato di silenzio uno
sguardo intenso, un silenzio eloquente che non è facile da raccontare
al lettore. Ci siamo congedati con un sorriso.
Guido Vitale (Tratto da Pagine Ebraiche, marzo 2010)
Qui Barletta - In scena Der Kaiser von Atlantis di Viktor Ullmann
Qualcosa
di allucinante è successo nel regno dell’Imperatore di Atlantide;
un’epidemia si è abbattuta sul genere umano, nessuno muore, gli uomini
vivono tutti eternamente infelici e sudditi. La Morte che, come essa
stessa racconta, ha pur cavalcato sui cavalli di Attila, con le truppe
di Gengis Khan e sugli elefanti di Annibale rifiuta di cavalcare
moderne macchine e carri armati; perciò abortisce dal compiere il
proprio dovere e comunica ad Arlecchino (simbolo della Vita) la propria
decisione. Tutto sembra procedere secondo i piani dell’Imperatore
sino a quando la scomparsa della Morte comincia a sortire i suoi
effetti; se nessuno muore, tutti vivono, pensano, riflettono e si
ribellano alle malefatte del loro Imperatore, un essere tanto delirante
quanto maniacale e adoratore di se stesso (ha dichiarato guerra a tutto
il mondo e vive chiuso nel proprio palazzo comunicando soltanto con
essere indefinito che è l’Altoparlante). L’Imperatore si accorge che il
suo piano è destinato a fallire senza la Morte e gli chiede di tornare
nel Regno. La Morte acconsente ma chiede in cambio una sola,
terribile cosa; la vita dell’Imperatore in persona. Perciò, Morte
e Imperatore attraversano lo specchio che separa il mondo dall’ignoto
mentre si ode un corale di reminiscenze bachiane che in quel frangente
risulta quanto mai grottesco e lunare. Questo, in poche parole, il
sunto dell’opera in atto unico e 4 quadri Der Kaiser von Atlantis
(prima rappresentazione della versione originale) del compositore ebreo
ceco Viktor Ullmann (Teschen 1 gennaio1898 - Auschwitz 17 ottobre 1944)
che sarà rappresentata oggi, alla Sala S. Antonio di Barletta. Der
Kaiser von Atlantis oder Die Tod–Verweigerung (L’Imperatore di
Atlantide ovvero il rifiuto della morte, questi il titolo completo)
fu composta su un libretto scritto dal poeta e disegnatore Petr
Kien, anch'egli deportato a Theresienstadt un anno prima di
Ullmann e morto ad Auschwitz lo stesso giorno del compositore.
Ullmann
(nell'immagine a fianco) terminò di scrivere l'opera nel 1943 (tuttavia
l’ultima data sul manoscritto riporta il 13 ottobre 1944),
orchestrandola in base alle disponibilità nel Campo di concentramento:
sette voci e tredici strumenti, alcuni dei quali molto particolari
quali banjo, sax contralto, clavicembalo a due manuali, harmonium e
contrabbasso a 5 corde. Tematiche affrontate nell’opera come
guerra globale e palese violazione dei principii etici sono di
estrema attualità e stupisce come un’opera scritta in situazioni
tragiche e in cattività come Der Kaiser sia stata premonitrice di
eventi e realtà sociali strettamente contemporanee. Der Kaiser von
Atlantis non verrà mai rappresentata sul palcoscenico della Sokolhaus
di Theresienstadt: durante l’estate del 1944, nel corso delle
prove, intervenne la censura dell’autorità tedesca d’occupazione
che trovava il personaggio principale dell’opera, lo sgradevole e
maniacale Imperatore Overall troppo simile al Fuehrer. Il
trombettista ebreo danese Paul Aron Sandfort (suonava nell'orchestra
dell'opera di Ullmann a Theresienstadt) riferì che Kurt Rahm,
comandante della guarnigione tedesca a Theresienstadt intimò al
compositore di modificare decisamente il libretto, minacciandolo di
serie ritorsioni se non l'avesse fatto. Ullmann non lo fece, ragion per
cui il comandante tedesco ordinò di annullare l'allestimento
dell'opera; alle prove generali si
presentò unicamente il trombettista Sandfort che, al
contrario di Ullmann e dell'orchestra, non subì il trasferimento al
Campo di sterminio di Auschwitz perchè era danese e la Croce Rossa del
suo Paese vigiliò sulla sua incolumità. Con la
rappresentazione a Barletta della geniale opera scritta da Ullmann a
Theresienstadt si conclude il Festival regionale di musica ebraica
Musica Judaica 2009-2010 diretto dal pianista Francesco Lotoro e
patrocinato da assessorato al Mediterraneo della Regione Puglia, Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane e Comunità Ebraica di Napoli.
Ricostruire la stesura originale del Der Kaiser von Atlantis è
stato un lavoro difficilissimo e laborioso; ciò tuttavia
costituisce un grande punto d'orgoglio sia per l'autore delle ricerche
Francesco Lotoro che per i musicisti che da 20 anni collaborano con lui
per questo enorme progetto di recupero dell'intera produzione musicale
concentrazionaria. Nella specifica ricerca del Der Kaiser von Atlantis,
Lotoro e il direttore Paolo Candido hanno letteralmente ricucito la
partitura originale avvalendosi non solo delle fonti autografe allocate
tra Svizzera, Germania, Repubblica Ceca e Israele ma dei quaderni
musicali utilizzati dai cantanti nel Campo di concentramento e che
hanno riservato non poche sorprese; ben due Arie della Tamburina (l’una
alternativa all’altra), 2 o addirittura 3 testi diversi per alcuni
brani, interi frammenti cancellati all’ultimo momento dall’Autore e che
con l’opera intera confluiranno nel CD-volume n.18 dell’Enciclopedia
discografica KZ Musik (Musikstrasse Roma-Membran Hamburg). Il cast
è composto dal soprano Anna Maria Stella Pansini (la ragazza Bubikopf),
il mezzosoprano Francesca De Giorgi (il tamburino), il tenore Filippo
Pina Castiglioni (Harlekin e un soldato), il baritono Angelo De
Leonardis (la voce dell'altoparlante), il baritono Stefano Anselmi
(l'Imperatore di Atlantide) e il basso Ilya Popov (la Morte). Dirige Paolo Candido, mentre il disegno scenico è affidato a Gianni Cuciniello. Viktor
Ullmann nacque l'1 gennaio 1898 a Teschen (oggi Tesin, Repubblica
Ceca); dal 1918 al 1919 studiò con A. Schönberg, J. Polnauer, H.
Jalowetz e E. Steuermann. Dal 1920 al 1927 fu assistente di
Alexandr Zemlinsky al Neues Deutsches Theater di Praga; nel 1927, dopo
che Zemlinsky lasciò Praga per Berlino assunse la direzione artistica
dell'Opera di Aussig. Nel 1920 Ullmann aderì all'antroposofia
trasferendosi con la sua famiglia a Zurigo; dal 1931 al 1933 diresse la
libreria antroposofica del Goetheanum di Stoccarda. Nel 1933 a causa alle Leggi di Norimberga la sua libreria fu chiusa d'autorità; costretto a lasciare la Germania tornò a Praga. L'8
settembre 1942 Ullmann fu deportato a Theresienstadt; il 16 ottobre
1944 fu condotto con sua moglie e uno dei suoi 3 figli ad Auschwitz
dove il giorno dopo morì nelle camere a gas. |
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Demoni
Tra i tanti problemi che ci affliggono non mi ero accorto che ce ne è
uno che sembra preoccupare particolarmente alcuni giovani della nostra
comunità. Sono appena reduce da un sorprendente incontro-lezione al
liceo ebraico nel quale sono stato invitato (da insegnanti preoccupati)
a spiegare agli studenti chi siano veramente gli shedim, i "demoni" di
cui la Bibbia parla solo due volte e che hanno varie citazioni nella
letteratura rabbinica di tutti i tempi. Beninteso, non perché conosca
direttamente gli shedim (o forse li conosco ma non me ne sono reso
conto). La notizia degli shedim si è sparsa e crea agitazione, molti
evitano persino di nominarli e usano un prudente shin-dalet. E' un
fatto preoccupante: non la presenza degli shedim, ma la strana
attenzione che viene loro rivolta con totale caduta di spirito critico,
da una parte, e di corretto rapporto con la religione, dall'altra (che
non vuol dire rinunciare allo spirito critico). Si parla di zampe di
gallina e di farina sotto al letto e altre amenità del genere. Non
posso qui riassumere una lezione di 90 minuti ma un messaggio deve
essere chiaro: se non c'è un rispetto coerente degli obblighi religiosi
e il rapporto con la tradizione si limita a o si esprime nel timore
degli shedim, il cui nome neppure si pronuncia per paura, siamo nel
campo dell'idolatria e della bestemmia, per non dire, più
semplicemente, in quello dell'idiozia. Attenzione: se il computer vi si
impalla dopo aver letto queste righe, potrebbero essere stati loro, gli
shedim, che secondo fonti cabalistiche aggiornate si diffondono anche
via web.
Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma
A occhi chiusi
E'
vero che l'espansione degli insediamenti corrisponde alla strada
dell'inconciliabilità e che una parte di Israele più maccabea dei
maccabei si è potuta incarnare in questa maggioranza, e che da quello
che si vede tale parte non si cura di far sorgere nella vicina nazione
palestinese un epos di pace, o almeno un'incertezza - tale parte di
Israele attinge le idee, o quello che si manifesta con la pretesa di
apparire come idee, da una visione neo-biblica della geografia della
regione. Così facendo, lascia ai propri figli l'eredità di un mondo
dove la terra ebraica appare familiarmente un ghetto assediato. Ma
oltre a quelli che secondo noi sono effettivi errori imputabili
all'attuale governo israeliano, sarebbero da vedere le intenzioni
profonde dei vicini dello Stato ebraico. E allora, bisognerebbe che nel
pollaio mediatico calasse il raro silenzio della riflessione e ci si
astenesse dallo starnazzio del gossip. Sarebbe necessario capire se
nella nazione palestinese esista una prospettiva politica dissimile da
quella offerta da Teheran: la distruzione di Israele. La domanda che
gli esangui spettegolatori dei media dovrebbero farsi non è così
difficile da formulare: esiste ancora un'autonoma aspirazione
palestinese o quelli che oggi chiamiamo palestinesi non sono
palestinesi, ma pura espressione delle aspirazioni politiche e
geografiche di Teheran? La prospettiva di Gaza è forse quella di
diventare una provincia iraniana con l'affaccio su altri mari? Ed è
curioso il rinnovarsi di questo coro di proteste a senso unico, mentre
sotto i nostri occhi chiusi qualcuno sta facendo le prove per un'altra
geografia mondiale.
Il Tizio della Sera |
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Un progetto "spaziale" per curare i pazienti cronici [...]
Per assistere i malati cronici, evitando le cure ospedale, è stata
addirittura scomodata la Nasa. L'ente americano è coinvolto in uno dei
programmi di collaborazione avviati da Regione e Stato di Israele.
L'accordo bilaterale, firmato due anni fa, è stato ridiscusso ieri in
una riunione all'assessorato regionale alla Sanità a cui hanno
partecipato il ministro israeliano Yacov Litzman, il responsabile della
Nasa Leon Alkalai, il ministro leghista alle Riforme, Umberto Bossi, e
il viceministro del Carroccio alle Infrastrutture, Roberto Castelli.
[...] Il Corriere della Sera, 11 marzo 2010
Biden duro su Israele. I palestinesi verso il no ai negoziati di pace [...]
Il primo effetto della gaffe è annunciato in tarda serata dal leader
della Lega araba Amr Mussa: «Il presidente palestinese si ritira dai
negoziati di pace indiretti, non è pronto a negoziare nelle circostanze
attuali». Il fallimento era nell'aria. La sortita del governo Netanyahu
non è piaciuta neanche all'estero: dal segretario dell'Onu, Ban Ki
Moon, alla baronessa dell'Ue, Christine Ashton, dalla Francia alla
Germania, dalla Lega araba all'Egitto e alla Giordania, è una corsa a
condividere lo sdegno americano e a sostenere l'Autorità palestinese,
che chiede a Bibi «l'annullamento della decisione» di costruire queste
nuove case a Ramot Shlomo, nella Gerusalemme occupata. Anche in Israele
s'è vissuto un certo imbarazzo: con un comunicato, il ministro Ehud
Barak esprime «collera per un annuncio superfluo». «Un record di
stupidità diplomatica» (l'opposizione Kadima); «uno schiaffo che s'è
sentito in tutto il mondo» (Haaretz); «ci siamo giocati l'amico più
stretto che avevamo a Washington» (Ma'ariv); «non c'era nessuna
intenzione di mettere Biden in imbarazzo», analizza Israel Hayom,
giornale vicino a Netanyahu. «Per noi dicono dall'entourage del premier
resta il diritto di costruire. Dove s'è sbagliato, è nel momento e nel
metodo». Solo una gaffe, insomma. Un cerino che alla fine resta nella
mano del principale responsabile: «Non avevo nessuna intenzione di
offendere Biden si scusa Eli Yishai, il ministro religioso che ha dato
l'annuncio, pare, all'insaputa dello stesso Bibi - Era solo un
passaggio tecnico. Mi spiace molto per l'imbarazzo provocato». [...] Francesco Battistini, il Corriere della Sera, 11 marzo 2010
Contro il rischio di nuova Intifada, Israele offre un corridoio commerciale Roma.
Il governo israeliano è preoccupato dalla minaccia di una terza
Intifada, di una sollevazione popolare contro gli israeliani a partire
da est, dai territori oggi amministrati in autonomia dall'Autorità
palestinese.[...] Per questo il governo ha deciso di rafforzare gli
incentivi alla pace. Ieri ha annunciato l'amnistia per 77 membri
operativi delle brigate dei Martiri di al Aqsa, l'ala militare del
partito Fatah responsabile di una serie di attacchi contro Israele
durante la seconda Intifada. [...] [...] L'Autorità
palestinese ha risposto con un gesto di buona volontà: un raid con
sequestro di armi nelle moschee dell'area di Ramallah. Il governo punta
ancora di più sulla cosiddetta pace economica. L'offerta di Netanyahu è
semplice: se i palestinesi prosperano e godono di un nuovo benessere e
di commerci sicuri, non saranno più interessati a fare la guerra con
Israele, che comunque è il mercato che compra l'ottanta per cento della
loro produzione, e saranno più interessati a negoziare. Per questo ieri
è stato annunciato un progetto pilota per semplifìcare l'esportazione
anche in Europa di prodotti agricoli palestinesi soprattutto olive,
pomodori, peperoni passando dal porto israeliano di Haifa. [...] Il Foglio, 11 marzo 2010
L'Egitto restaura una sinagoga Il
governo egiziano ha restaurato una sinagoga, considerata patrimonio
storico-artistico del paese. Ma lo ha fatto in assoluto silenzio, per
evitare reazioni negative della popolazione, che non avrebbe digerito
un'azione favorevole verso una nazione da tempo considerata nemica.
[...] Secondo Zabi Hawass, zar degli studi sull'antico Egitto, la
sinagoga è parte della storia del paese e della comune eredità
culturale. Nell'edificio si trovava lo studio di Mosè Maimonide, famoso
filosofo, fisico e medico, nonché studente rabbinico e capo della
comunità ebraica dell'Egitto nel Dodicesimo secolo. A quei tempi la
comunità ebraica del Cairo era un centro di studio e di commerci: un
punto di riferimento nodale per la cultura giudaica nell'intero Medio
Oriente. […] Elisabetta Iovine, Italia Oggi, 11 marzo 2010 |
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Progetti edilizi a Gerusalemme Est, le scuse di Netanyahu Gerusalemme, 11 mar - Il
primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu si scusa con il
vicepresidente degli Stati Uniti Biden. In una nota il premier scrive:
“Alla luce della divergenza di pareri prolungata nel tempo fra Israele
e Stati Uniti circa l'edilizia a Gerusalemme, non bisognava portare
avanti l'iter del progetto (del rione ebraico di Ramat Shlomo) proprio
questa settimana, e ha dato istruzione al ministro degli Interni di
adottare procedure che impediscano il ripetersi di casi analoghi in
futuro". Il primo ministro ha aggiornato il vicepresidente che il
progetto relativo a Ramat Shlomo ha già superato alcune fasi di
progettazione negli ultimi anni e che la sua autorizzazione definitiva
richiederà a quanto pare oltre un anno.
Biden: "Netanyahu il mio amico più intimo" Tel Aviv, 11 mar - "I
rapporti tra Israele e Stati Uniti sono unici nel loro genere e non
potranno essere rotti qualunque siano le sfide da affrontare" e "Bibi è
fra i miei più intimi amici", così il vicepresidente degli Stati Uniti,
Joe Biden, in un discorso tenuto oggi all'Università di Tel Aviv, ha
parlato dell'amicizia che lega i due Paesi e allontanato le recenti
preoccupazioni di una rottura tra i due Stati alleati. |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
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