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L'Unione informa
 
    14 marzo 2010 - 28 Adar 5770  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
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  Benedetto Carucci Viterbi, rabbino Benedetto Carucci Viterbi, rabbino L'eccesso di rigore e la moltiplicazione delle norme dipendono dalla incapacità di autocontenersi. Dio, all'origine della creazione, sceglie questa ultima strada per dare vita al mondo. L'uomo invece aggiunge una proibizione al comando divino: non toccare l'albero della conoscenza oltre che non mangiarne i frutti. E deve per questo lasciare l'Eden. 
Gira in rete un testo su Mussolini tratto dal diario di Elsa Morante e datato 1 maggio 1945 che molti leggono come se parlasse di Silvio Berlusconi. E’ un testo di culto, eppure non è un inedito, sta in un libro edito nel 1988 in una collana prestigiosa di Mondadori, è presente in molte biblioteche, eppure nessuno se ne è accorto per vent'anni. Aveva ragione Roland Barthes: non ci sono attenti studiosi che trovano testi o invitano attraverso commenti, magari anche scritti non solo pochi decenni, ma secoli fa, a pensare il proprio tempo. Alla rovescia i testi leggono noi. Vale per l’uso che ciascuno fa dell’enorme mole di racconti e commenti che accompagnano l’interpretazione di qualsiasi testo. Non ci sono letture giuste o letture sbagliate. Ci sono commenti, riflessioni morali spiegate con racconti, che ciascuno di noi sceglie e ripete in un tempo diverso da quello in cui quei testi furono pensati e scritti perché quelle parole esprimono più significativamente di altre il proprio modo di vivere, capire e spiegare il proprio tempo. Un commento non ha il compito di svelarci il significato recondito di un testo, anche se spesso questo è ciò che dichiara di voler fare e questo è ciò che afferma chi lo presenta e lo cita. Ma dice molto circa il meccanismo mentale di chi lo cita e lo usa. Non vale solo per Elsa Morante, vale per qualunque testo dietro il quale ciascuno di noi si nasconde per far parlare attraverso quel testo o quel commento, la propria immagine del mondo, il proprio modo di stare al mondo e dire, più o meno furbamente e in maniera ammiccante, da che parte sarebbe bene stare.
David
Bidussa,
storico sociale delle idee
David Bidussa, storico sociale delle idee  
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  Qui Venezia - Progetto per salvare il cimitero del Lido

CimiteroConferenza stampa a Ca’Farsetti per la presentazione del piano di riordino e riqualificazione del cimitero ebraico del Lido, presenti all’incontro il presidente della Comunità Ebraica di Venezia, Vittorio Levis, Il sindaco di Venezia, Massimo Cacciari, Emanuela Zucchetta della Soprintendenza per beni architettonici e paesaggistici di Venezia, il responsabile Veritas, Marino Bressan.
Negli ultimi trent’anni il cimitero è stato oggetto di interventi di recupero e valorizzazione con una schedatura informatizzata delle lapidi del cimitero antico e la ricollocazione di alcune di esse in un apposito lapidario nel cimitero moderno. Queste operazioni si sono potute realizzare grazie al contributo di enti pubblici quali il Comune di Venezia, la Regione Veneto e la Soprintendenza per i beni artistici e storici di Venezia e ad alcune fondazioni per la salvaguardia di Venezia.
Con il contributo straordinario erogato dal Comune, verrà infine portata a termine la prima fase del progetto che prevedeva l’abbattimento degli alberi morti e le operazioni di pulizia del sottobosco. Questi interventi hanno consentito di riportare alla luce le lapidi più antiche occultate e rese inaccessibili dalla fitta vegetazione.
Quello che però era partito come una messa in sicurezza del verde, in realtà si sta rivelando il punto di partenza per una riqualificazione di uno dei patrimoni storici ed artistici più importanti e a volte poco conosciuti, di Venezia. Un complesso unico, le cui prime attestazioni risalgono al 1389, che si contraddistingue per il fascino storico e romantico, che stregò scrittori quali Johann Wolfgang Goethe, Lord Byron, Alfred de Musset e Théophile Gautier.
“Un unicum tale - spiega Vittorio Levis - che non ha uguali in Europa. La dimostrazione di quanto l’ebraismo veneziano sia legato a filo doppio con la storia della Repubblica di Venezia. Attraverso le lapidi del cimitero ebraico del Lido viene tramandata l’arte, la letteratura, la simbologia religiosa e familiare, elementi che nei secoli hanno contraddistinto la Comunità Ebraica di Venezia”.  
Dello stesso avviso il sindaco Massimo Cacciari che ha ribadito l’importanza del cimitero ebraico, parte della storia italiana e europea e testimonianza del rapporto tra l’ebraismo e le altre culture presenti in città: ”Una grande pagina della storia veneziana da rendere godibile ai veneziani e ai turisti. A Praga c'è una folla che visita il locale cimitero ebraico, ma quel sito non è paragonabile al nostro cimitero. Dobbiamo compiere un'operazione di promozione analoga a quella che è stata fatta per il Ghetto in cui il museo, la casa dell'Ospitalità, le sinagoghe sono viste oramai da decine di migliaia di persone. La bellezza, la cultura ebraica è qualcosa di assolutamente vivo in laguna, non è pura archeologia”.

MuroRiguardo all’aspetto tecnico delle operazioni è intervenuto il responsabile Veritas, Marino Bressan che ha messo in luce le difficoltà sorte nella bonifica di quest’area che si estende per più di 35 mila metri quadrati. I due elementi di maggior problematicità sono stati l’inclemenza di 4 mesi di maltempo e la necessità di dover intervenire manualmente sulla potatura della vegetazione, affinché non venissero compromesse le parti monumentali. Anche in questi ultimi giorni le condizioni metereologiche hanno creato non pochi problemi con l’apertura di una breccia nel muro di cinta per la caduta di alcuni alberi.
In chiusura, Emanuela Zucchetta ha auspicato che gli interventi ora in atto sulla vegetazione siano propedeutici a un ulteriore interessamento relativo alla parte monumentale: “Centinaia di Lapidi - spiega Emanuela Zucchetta – che ora stanno riemergendo e che dovranno essere censite e catalogate, per rilevare anche il loro stato di conservazione. Un’indagine conoscitiva che potrebbe spingere i comitati privati a farsi avanti per il reperimento dei fondi”.

Michael Calimani


Trotsky: a bibliography, una meticolosa ricostruzione
del genio militare della Rivoluzione d'Ottobre

CopertinaRobert Service è uno dei più accreditati studiosi del comunismo nel mondo anglosassone. Docente di Storia russa a Oxford, alla fine del 2009 ha portato a termine la trilogia di biografie iniziata dopo l'apertura degli archivi sovietici. In seguito ai lavori su Lenin (2000) e Stalin (2004) ha pubblicato, per l'editore McMillan, Trotsky: a biography. Una meticolosa ricerca di 600 pagine che ripercorre la vicenda politica del genio militare della Rivoluzione d'Ottobre, tracciandone un ritratto complesso, facendo emergere, cucite insieme, le molte facce di questo ideologo appassionato e cinico stratega.
Lev Davidovič Bronstein, “il peggior figlio di puttana, ma il più grande ebreo dai tempi di Gesù”, come lo definì il colonnello americano Raymond Robins, è meglio conosciuto come Trotsky. Nacque nel 1879 da una famiglia di contadini ebrei vicino a Odessa, in Ucraina. Service affronta anche la sua “questione ebraica”: non fu Marx l'unico marxista ad averne una.
La sua famiglia non era osservante, tuttavia egli ricevette un'educazione ebraica: dall'età di sette anni studiò in yeshivah e imparò l'Yiddish. Ebbe modo, crescendo nell'Ucraina dei pogrom di fine '800, di conoscere gli orrori dell'antisemitismo. Sviluppò una profonda repulsione per l'ingiustizia e la tirannia: il concetto di diseguaglianza nazionale fu una delle principali cause che lo portarono a combattere l'ordine costituito. Considerò i pogrom come il risultato storico dell'ordine sociale schiavista, gli ebrei come un capro espiatorio dell'establishment zarista. L'abbattimento di quell'ordine – che divenne lo scopo della sua vita - avrebbe posto la parola fine ad una lunga storia di persecuzioni razziali.
Presto Trotsky, nonostante procedesse  negli studi ebraici, maturò una concezione completamente atea, che, in linea col marxismo, considerava la religione come una superstizione, l'oppio dei popoli. La sua dottrina internazionalista non poteva ammettere particolarismi nazionali o religiosi. Non credeva in altro paradiso che in quello che i lavoratori di tutto il mondo si sarebbero costruiti con le loro mani. Ciò fece di lui un convinto fautore dell'assimilazione. Rifiutò persino una sepoltura ebraica al padre, per dimostrare la propria decisa repulsa di ogni elemento religioso. Altrettanto decisa era però la sua battaglia contro l'antisemitismo dilagante in Europa.
Si racconta che un giorno il rabbino di Mosca Jacob Maze provò a intercedere per le sorti del suo popolo presso Trotsky, facendo appello alle sue origini. La risposta che ottenne fu: “Io sono un comunista, non un ebreo”. Anche nei confronti del movimento sionista il suo atteggiamento fu ostile: lo definì un'utopia reazionaria e statalista. Solo durante negli ultimi anni della sua vita mostrò interesse per l'esperimento socialista dei kibbutzim.
Rinnegare le sue origini non gli bastò: l'opinione di Winston Churchill, condivisa anche da molti storici, è che il fatto di essere ebreo fu la causa determinante della sua sconfitta nella lotta contro Stalin.
Trotsky fu la mente organizzatrice della presa del Palazzo d'Inverno da parte dei bolscevichi, nonché colui che, grazie alle sue eccezionali doti di generale, difese la Rivoluzione dal contrattacco dei bianchi, le truppe zariste antisemite sostenute dalle potenze occidentali, spaventate dagli avvenimenti del 1917. In poche settimane mise in piedi dal nulla l'Armata Rossa. Il possente braccio del bolscevismo, quello stesso esercito che il 27 gennaio 1945 liberò Auschwitz, ebbe la meglio sulla Reazione nel 1921, al termine di una guerra che costò – calcolano gli storici – dodici milioni e mezzo di morti.
Antistalinista fino al midollo, Trotsky passò a miglior vita una mattina del 1940, nel suo esilio messicano, con l'ascia di un sicario di Stalin conficcata in mezzo agli occhi. Il professor Service è convinto che ciò non faccia di lui una brava persona: al tempo della guerra civile non esitò a ricorrere al terrore rivoluzionario. Sposava senza riserve la tesi che la violenza proletaria era uno strumento indispensabile per la causa dell'affrancamento delle masse dai loro oppressori. E fu coerente nella pratica.
Una delle molte critiche mosse dagli storici di sinistra all'approccio di Service è quella di minimizzare l'apporto teorico del leader militare allo sviluppo del comunismo, e, conseguentemente, di ridurre la sua opposizione a Stalin ad una mera ambizione di potere, sottostimando l'importanza delle convinzioni etico-politiche che contrapponevano i due. Lo storico di Oxford invece interpreta il conflitto tra i due più come una questione personale che politica.
Alla morte di Lenin, nel gennaio del '24, si ebbe una vera e propria lotta per la successione. Il primo scontro aperto riguardò la questione della burocratizzazione del partito comunista, e il conseguente accentramento di potere nelle mani del segretario Stalin. Trotsky, al tempo ancora un autorevole e popolare leader, portò avanti una battaglia volta a limitare le prerogative dell'apparato e a ridare spazio ai principi della democrazia sovietica. Stalin, comprendendo che “l'ebreo deviazionista” - come iniziò a chiamarlo - era il nemico più pericoloso, riuscì ad isolarlo. L'altra grande questione che divideva i due contendenti era, si può dire, la politica estera. Trotsky infatti è passato alla storia del pensiero politico come il teorico della rivoluzione permanente: riteneva che il processo di costruzione del socialismo fosse soltanto ai suoi primi passi, e che compito dell'Unione sovietica sarebbe stato quello di mettersi alla guida del proletariato mondiale per estendere la Rivoluzione, soprattutto verso l'Occidente sviluppato. Il georgiano invece era un fautore del socialismo in un solo paese, in discontinuità con il marxismo.
Accortisi intempestivamente delle velleità tiranniche di Stalin, nel '25 Zinov'ev e Kamenev, dirigenti di partito, anche loro di origini ebraiche, si riaccostarono a Trotsky formando la cosiddetta opposizione di sinistra. Ormai, però, il potere del dittatore era incontrastabile, ed egli ebbe buon gioco a sgominare il “deviazionismo giudaico”.
L'aspetto su cui insiste il biografo, delineando la contrapposizione tra i contendenti alla successione a Lenin, è la differenza tra i caratteri di questi due leader: uno carismatico condottiero, l'altro rozzo e autoritario contadino georgiano. Il denominatore comune - dice Service - è la crudeltà.
Non la pensava così Lenin, che nel suo testamento scrive: “Stalin è troppo grezzo, e questo difetto è intollerabile nella funzione di un segretario generale. Perciò propongo ai compagni di pensare alla maniera di sollevarlo da questo incarico, e di designarvi un altro uomo, che si distingue dal compagno Stalin per una migliore qualità, quella cioè di essere più tollerante, più leale, più cortese e più riguardoso verso i compagni”. Fu però Stalin a presentarsi come l'unico autentico depositario del leninismo.
La storia si fa con i se e con i ma, è risaputo. La domanda che s'impone al biografo di Trotsky è quale sarebbe stata la sorte dell'Unione sovietica, e con lei del sogno socialista, se egli avesse prevalso su Stalin nella feroce lotta di successione seguita alla morte di Lenin. Service intende squarciare il velo fascino che - sostiene - avvolge questo figuro, e mostrarlo in tutto il suo 'realismo politico', spietato e sanguinario. Gli nega ogni presunta superiorità morale sullo storico nemico, non crede che Trotsky sarebbe stato un leader più umano. Avvalorando così l'equazione tra la scienza marxista e l'efferata deriva totalitaria dello stalinismo.

Manuel Disegni



Sorgente di vita, fra storia e temi di attualità


SDVLa coltivazione della patata transgenica, dopo il via libera della commissione europea, è il tema di apertura della puntata di Sorgente di vita di domenica 14 marzo con una riflessione del rabbino Gianfranco Di Segni sulle manipolazioni genetiche alla luce della tradizione ebraica, dagli ibridi vietati nella Bibbia agli OGM di oggi.
Segue poi la storia di Gretel Bergman, promessa dell'atletica nella Germania degli anni '30. Da New York, dove vive dal '37, l'ultranovantenne signora, racconta i sogni, le emozioni, la delusione di una ragazza ebrea che avrebbe potuto vincere alle Olimpiadi di Berlino del '36, ma fu invece usata dai nazisti come strumento di propaganda contro il boicottaggio dei paesi democratici e fu poi cacciata dalla squadra alla vigilia dei giochi.
Si parla poi di antisemitismo, di pregiudizio, di stereotipi, della teoria del complotto da Shylock all'11 settembre, i temi al centro del “theatre talk” al Franco Parenti di Milano.
Il punto sull'argomento con le riflessioni di alcuni giornalisti e le voci della strada.
Infine un'intervista con Daniel Mendelsohn, scrittore, critico letterario, studioso di greco antico, nato a New York da genitori dell'Europa dell'est, che racconta il suo viaggio nel mistero di famiglia: sulle tracce dello zio Schmiel e degli altri “scomparsi” nella Shoah un percorso doloroso alla ricerca dei testimoni per ricostruire il mosaico della famiglia e di quel mondo perduto.
Sorgente di vita va in onda questa notte alle ore 1,20 circa su Raidue.
La puntata sarà replicata lunedì 15 marzo alla stessa ora e lunedì 22 marzo alle 9,30 del mattino.
I servizi di Sorgente di vita sono anche online.
 
 
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  Qui Verona - Una lezione, molti interrogativi

TosiLe università sono i luoghi del sapere più elevato, dove ragazze e ragazzi - molti a costo di sacrifici - si iscrivono per ricevere la migliore formazione, dove docenti, ricercatrici e ricercatori favoriscono l’incontro di tanti pensieri, dove esperte ed esperti di vario genere e grado confluiscono per aggiornarsi e per portare i loro sguardi. L’Università di Verona, dipartimenti di Scienze dell’educazione e di Scienze economiche, propone l’ottavo corso Unicef, dall’argomento assai attuale: “Negli obiettivi del nuovo millennio: Oltre i miei confini. Dimensione individuale e sociale dell’uomo: problemi e soluzioni”. Il corso, previa tesina, dà diritto a crediti formativi. Molte le relatrici e i relatori, ma tra questi l’ottava edizione del corso riserva una sorpresa: il sindaco di Verona Flavio Tosi (nell'immagine). Molti si chiederanno dove stia la sorpresa, dato che il saluto istituzionale è sempre gradito, quando non auspicabile per dar lustro agli eventi. No, chi interviene non è il Sindaco, ma il signor Tosi in qualità di relatore. Il titolo dell’intervento cui partecipa è: Non fare, fare o fare bene? Effettivamente il signor Tosi ha fatto, e molto, anche, tanto da beccarsi una condanna per il delitto di propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio etnico razziale, sentenza cassata dalla suprema corte nell’ottobre 2009 e dunque definitiva. Dunque, si potrebbe pensare, si è ravveduto? Nemmeno. Pochi giorni fa, prima dell’inizio della par condicio, alla trasmissione Tetris, su La7, uno dei giornalisti ha chiesto all’ospite Tosi: ma lei è stato condannato per razzismo, vero? Risposta del sindaco: «Precisiamo, io sono stato condannato per aver fatto chiudere un campo nomadi abusivo». Precisiamo: questa era la sua linea di difesa, smontata pezzo per pezzo, perché la tesi della legalità è stato dimostrato essere la copertura della diffusione di idee razziste. Non ci pare che questo possa essere lineare con le tesi del fare bene, specie se si parla di diritti umani, specie se si parla di diritti dei bambini, che Tosi ha coperto di propaganda razzista quando, nel 2001 ha organizzato, con altri esponenti della Lega Nord, una campagna razzista contro i cittadini e le cittadine sinte veronesi. Lungo è l’elenco delle persone che hanno inoltrato la loro protesta all’Università, fino alle scelte estreme - difficilmente sagge - di sostenere il boicottaggio delle offerte all’Ente di protezione dei diritti dell’infanzia. Dopo dieci giorni di serrato passaggio di informazioni, la risposta iniziale di Unicef (le loro sezioni locali sono indipendenti e possono voler dare voce a tutti, dicevano) si evolve: se non cambierà il relatore il corso sarà sconfessato. Articolo 3, Osservatorio sulle discriminazioni, ha partecipato alla rete di collegamento tra le confinanti Veneto e Lombardia e tra associazioni e istituzioni. Non è così semplice, ci dicono dall’Università di Verona, perché come è servita una delibera per approvare il progetto, ne serve un’altra per modificarlo. E’ altrettanto vero, però, che c’è chi sostiene che il progetto passato ai voti non fosse proprio quello che poi è stato realizzato e non solo. L’ex prorettrice all’ateneo scaligero Donata Gottardi fa notare che nella lista dei relatori ci sono incongruenze non solo etiche, ma anche statutarie, come nel caso Di un altro relatore, Magdi Cristiano Allam, che è un rappresentante politico e non governativo, quindi escluso dalla prassi universitaria che opera in garanzia della massima equidistanza. Le uniche eccezioni sono previste in caso di particolari personalità che, pur occupando un seggio a nome di un partito, abbiano una competenza scientifica altamente qualificata rispetto all’oggetto della lezione, cosa che non è nel caso di Tosi e neppure di Allam, giornalista.
Ad oggi il programma disponibile sul sito dell’Università veronese è invariato, ma ci dicono che Tosi non farà la relazione prevista. E’ stato spiacevole leggere la prima risposta di Unicef Italia, perché il razzismo non è un’opinione, ma un reato; come è stato sgradevole dover rincorrere, spiegare, argomentare l’opposizione a questa idea. Non solo è difficile ottenere l’applicazione della legge Mancino contro il razzismo e la discriminazione, in Italia pare sia da illusi anche aspettarsi che chi commette un reato non sia poi chiamato alla cattedra di quello stesso principio che ha così fieramente violato.

Angelica Bertellini
 
 
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Polonia, profanato memoriale alle vittime dell'Olocausto
Varsavia - Scritte antisemite come «Giudei fuori!» e «Hitler Good» sono state tracciate con vernice rossa su un memoriale dedicato all'Olocausto davanti all'ex campo di concentramento nazista di Plaszow, alla periferia di Cracovia, in Polonia. Una svastica con la scritta «Giudei fuori» è stata trovata anche su una targa commemorativa poco distante dal memoriale. […]
Il Corriere della Sera, 14 marzo 2010

Ebrei e Roma alleati
[…] Duemila anni d'ininterrotta presenza ebraica nella città eterna possono sembrare un'entità difficile da catturare col pensiero. Eppure, se si mettono in in fila episodi concreti, come questo processo di cui ci ha lasciato memoria lo stesso Cicerone, ci si rende conto di come la storia ebraica s'intrecci indissolubilmente con quella di Roma. Non c'è episodio saliente della vicenda romana in cui gli ebrei non siano stati in qualche modo coinvolti, come spiega il volume La presenza ebraica a Roma e nel Lazio edito da Esedra. Li troviamo per esempio tra i sostenitori di Giulio Cesare, durante le guerre civili; un appoggio prezioso, tanto che, una volta assunto il potere, Cesare riconobbe alla comunità ebraica ampi diritti. Proprio l'insediamento ebraico rappresentò l'humus naturale della diffusione del cristianesimo, la cui predicazione trovò all'inizio consensi soprattutto tra i giudeo-cristiani. Non si riflette di solito sul fatto che Roma divenne centro mondiale della Chiesa anche perché ospitava, in età tardoantica, la più rilevante comunità ebraica del mondo latino. […]
Giulio Busi, Il Sole 24 ore, 14 marzo 2010 

 
 
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notizieflash    
 
 
Usa - Israele: Netanyahu chiede un'inchiesta                                  
Gerusalemme, 14 mar -
Benyamin Netanyahu vuole una Commissione di inchiesta. "Il Primo ministro ha deciso di istituire una Commissione costituita dai direttori di vari dicasteri per esaminare quanto è accaduto durante la visita del vice-presidente Biden e definire regole per impedire che certi avvenimenti non si ripetano'", così ha affermato un portavoce. Oggi Netanyahu ha ribadito il concetto all'inizio della seduta del Consiglio dei ministri, il suo governo sta mettendo a punto nuove procedure per evitare che incidenti del genere possano ripetersi in futuro, ed è con queste parole che ha definito quanto successo: “E' stato un incidente spiacevole avvenuto in buona fede, che non avrebbe dovuto accadere e che si è rivelato offensivo". “Ma - ha voluto sottolineare ancora il primo ministro - Israele e Stati Uniti hanno interessi comuni" e lo Stato ebraico "continuerà ad agire sulla base dei propri interessi essenziali".

 
 
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