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L'Unione informa |
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18 marzo 2010 - 3 Nisan 5770 |
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alef/tav |
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Alfonso Arbib, rabbino capo di Milano |
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Haggadà di Pèsach troviamo un brano, apparentemente poco significativo
sul quale vale la pena di soffermarsi. In questo brano ci si chiede da
quando si possa adempiere al precetto "E lo racconterai ai tuoi figli"
ipotizzando che si possa cominciare questo racconto già da Rosh Chòdesh
ma la conclusione della Haggadà è che si possa cominciare il racconto
solo nel momento in cui "matzà e maròr sono davanti a te". Questo brano
contiene un insegnamento fondamentale. Una narrazione che si limita
alle parole non è ebraicamente significativa, il racconto deve essere
strettamente legato all'osservanza delle mitzvòt specifiche della
festa. In un passo dei Pirkè Avot (4, 5) si insegna qual è la modalità
di trasmissione dell'identità ebraica. Per educare i propri figli e i
propri allievi è necessario "studiare e insegnare, osservare e fare".
Solo in questo modo l'insegnamento non rimane solo a livello teorico ma
coinvolge l'intera personalità trasmettendo l'identità e un modo di
vivere. |
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A
proposito dell'incidente diplomatico col vicepresidente americano Joe
Biden, ricordiamo che Henry Kissinger diceva che Israele non ha una
politica estera ma solamente una politica interna. Il progetto edilizio
nel quartiere molto religioso di Ramat Shlomo nella parte nord di
Gerusalemme, che ha suscitato tanto scalpore, fa infatti parte di una
logica di concorrenza fra correnti di partito e di piccoli favori a
imprenditori palazzinari, e non ha nulla a che vedere con il grande
disegno di guerra e pace. Ma c'è dell'altro. Ben Gurion diceva che
sarebbe stato felice nel vedere il primo ladro e la prima prostituta
per le strade di Tel Aviv, perché questo sarebbe stato il segno
infallibile della tanto agognata normalità per il popolo di Israele nel
suo ritrovato stato. E io aggiungerei: e anche il primo cretino. Ora,
in Israele, di cretini ne abbiamo tanti, e siamo molto, molto normali. |
Sergio Della Pergola,
Università Ebraica di Gerusalemme |
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Rav Elia Richetti nuovo presidente dell'Assemblea rabbinica
Il
rabbino capo di Venezia Elia Richetti ha assunto ieri in serata
l'incarico di nuovo presidente dell'Assemblea rabbinica italiana.
Saranno al suo fianco con l'incarico di vicepresidente il rabbino capo
di Bologna Alberto Sermoneta e di segretario dell'Ari il rabbino capo
di Genova Giuseppe Momigliano. Il presidente uscente dell'Assemblea,
rav Giuseppe Laras, assume l'incarico di presidente onorario dell'Ari. Nato
nel 1950 e salito a Gerusalemme nel 1974, il rav Richetti ha conseguito
il titolo rabbinico con il rav Shear Yashuv Cohen, rabbino capo di
Haifa, e dopo aver lavorato in Israele ha ricoperto la cattedra
rabbinica della Comunità di Trieste e diversi ruoli nel rabbinato
italiano anche a Milano. Il rav Richetti è fra l'altro discendente
del rabbino Ermanno Friedenthal, l'ultima guida spirituale della
comunità ebraica di Gorizia prima della Shoà e il primo rabbino della
Milano liberata dall'occupazione nazifascista nel 1945 e negli anni
della ricostruzione. In una dichiarazione rilasciata nelle scorse
ore al giornale dell'ebraismo italiano Pagine Ebraiche, il nuovo
presidente dell'Assemblea rabbinica ha espresso fra l'altro l'auspicio
che il dibattito e la riflessione attualmente in corso all'interno
delle realtà ebraiche italiane riguardo al progetto di riforma dello
statuto dell'ebraismo italiano proseguano fino alla ricerca di una
soluzione equilibrata. “La riforma – ha commentato - dovrà tenere
certo conto dei rapporti numerici, ma anche della necessità di
rispettare l’identità delle 21 Comunità ebraiche italiane”. Al rav
Richetti e a tutti i rabbanim dell'Assemblea rabbinica italiana che lo
affiancano il più cordiale augurio di buon lavoro da parte di tutta la
redazione.
La crisi del Rabbinato in Italia
La
recente visita del Papa alla sinagoga di Roma ha prodotto almeno un
primo risultato, rendendo manifesta, a ebrei e non ebrei, la crisi in
cui si dibatte il rabbinato italiano. E di fronte all’evidenza non si
può distogliere lo sguardo. I fatti, noti, valgono solo come
spunto per la discussione. La Comunità di Roma invita il Papa e
organizza un incontro al vertice con le massime autorità della Chiesa.
L’UCEI è in veste di astante. Sono invitati, oltre al Sindaco di Roma,
il Presidente della Camera, politici vari, ambasciatori, il vice primo
ministro d’Israele; e la TV pubblica. Tanto dispiego di personalità,
non lo si può negare, meriterebbe un’organizzazione ‘nazionale’ gestita
dall’UCEI, nelle figure del suo Presidente e del Presidente
dell’Assemblea rabbinica (ARI). Così però non avviene, ed è superfluo
ricercarne qui i motivi. Il caso è utile, tuttavia, come esempio dello
scollegamento fra l’istituzione nazionale e quella locale, fra la
politica dell’ARI e le scelte di un singolo rabbino, pur valido e
influente. Non è stravagante pensare che il problema affondi le
sue radici nella formazione stessa dei rabbini italiani. Il Collegio
rabbinico ha forse bisogno di aggiornarsi: licenzia giovani ricchi di
cultura specifica, ma non in grado di affrontare i compiti comunitari.
Nessuno prepara i futuri rabbini a trattare sul piano umano e sociale;
in qualche caso, neppure su quello culturale. Nessuno di loro ha mai
fatto uno stage continuato sotto la guida di un esperto rabbino di
comunità che gli insegni a relazionarsi con persone e cose. Nessuno ha
insegnato loro a insegnare e a coordinare la didattica di un Talmud
Torah. Solo alcuni di loro hanno esperienze di formazione all’estero.
Terminati gli studi, ogni rapporto con il centro di formazione cessa:
nessuno aggiorna i rabbini, nessuno li chiama a tenere regolari
seminari di approfondimento al Collegio. Come se l’impegno dello studio
e della formazione avesse termine con l’acquisizione del titolo. Ma il
rapporto stesso fra Assemblea dei rabbini e Collegio rabbinico non è né
solido né continuo né responsabile. In un contesto del genere, non
è un caso che il rabbino affronti i mille problemi di una Comunità a
livello amatoriale, con volenterosa, ma pericolosa ingenuità. Lasciato
solo (anche dalla Comunità), il rabbino si isola, magari cerca
gratificazione in incombenze extra-comunitarie, anche commerciali; e
perde ogni interesse al collegamento, dimenticando anche di far parte
di un’Assemblea rabbinica. Forse, anche, nessuno glielo ricorda. Si sa
del resto che problemi di rilievo l’ARI non riesce a risolverne. La
Consulta rabbinica, che ne esprime la rappresentanza in Consiglio UCEI,
è slegata e inefficace. Così, non c’è in Italia un marchio nazionale di
kasheruth, non c’è politica unitaria di fatto sui ghiurim, non c’è
coordinamento halakhico in genere né sinergia in campo culturale; non
una politica concordata nei rapporti con la Chiesa - si rompe il
dialogo a livello ufficiale per disattendere la decisione a livello
locale e individuale. Soprattutto, nessuna azione ponderata di fronte
alla riforma che avanza in Italia, mettendo a rischio la già scarsa
unità delle singole comunità. In una comunità di piccole dimensioni
come quella italiana, si dovrebbero cercare soluzioni coordinate che
evitassero almeno i conflitti di carattere ‘culturale’ e migliorassero
la ‘qualità della vita’. E, invece, si assiste a una kasheruth trattata
come pura questione commerciale, a ghiurim che provocano crisi
comunitarie o vengono risolti al di fuori di regole condivise; e si
assiste a una visita del Papa disertata dalla stragrande maggioranza
del rabbinato italiano. Per onor di completezza e di verità,
rabbini impegnati e di valore ne esistono in Italia, ma, per qualche
strano motivo, l’ebraismo ufficiale - sia politico che religioso - non
li chiama a compiti di responsabilità nelle posizioni chiave delle
istituzioni nazionali. Anni or sono, era stata ventilata la
necessità di istituire anche in Italia la figura di un dayan, un
‘giudice’ che svolgesse il ruolo di Capo di un unico tribunale
rabbinico nazionale. Una figura autonoma, senza conflitti di interesse
fra il ruolo di ‘giudice’ e quello di capo comunità. Una figura il cui
solo ruolo fosse quello di favorire l’unificazione delle decisioni
halakhiche e delle loro applicazioni in ogni campo - ghiur, kasheruth,
divorzi, e così via. Una figura che avrebbe sì limitato la libertà
decisionale dei singoli rabbini e dei singoli tribunali, detraendo al
loro prestigio, ma che sarebbe stata un punto di riferimento
autorevole, avrebbe favorito il coordinamento e contenuto la tendenza
al frazionismo. Di dayan unico non si è più parlato. A Roma vi è un
dayan, ma opera alle dipendenze della Comunità, e non è neppure il
Presidente del Tribunale. (È vero: un dayan nazionale sarebbe una nuova
voce di bilancio, ma spese ridondanti da tagliare non ne mancherebbero). Ora,
l’autonomia culturale rabbinica è sicuramente un patrimonio da
salvaguardare, ma quando sfocia in forme di individualismo, di
protagonismo, o semina conflitti, allora la bellezza della ‘cultura
dialogica’ diventa un mito pernicioso. Una cosa è il confronto
dialogico, altra è l’anarchia. Anche nelle assemblee rabbiniche dei bei
tempi andati, dopo lo stadio della discussione, ci si contava e
prevaleva alla fine il parere della maggioranza. Fare oggi speculazione
filosofica sull’autonomia delle nostre istituzioni locali è un lusso
che l’ebraismo italiano non si può permettere: la crisi è presente,
manifesta e grave, e non giova né alla credibilità né al funzionamento
delle nostre istituzioni. Certo, di responsabilità ce n’è per
tutti, non solo per i rabbini. I consigli delle nostre comunità sono
preminentemente ‘amministrativi’, si occupano di restauri e di 8 per
mille, e ben poco di cultura e di coordinamento sociale - comunitario e
intercomunitario. Ma l’argomento di queste righe è quello di un
rabbinato svilito nei suoi compiti, della sua formazione, e del suo
ruolo nelle istituzioni. È un argomento di cui si dovrebbe occupare con
serio intendimento anche il Consiglio UCEI, non per un cursorio scambio
di idee, ma per obiettivi chiari e irrinunciabili da raggiungere. Come
si sa, è in elaborazione una contestabile bozza per un nuovo statuto
UCEI da discutere e approvare al congresso straordinario indetto per
giugno di quest’anno. Il rabbinato (l’ARI) potrebbe cogliere
quest’occasione per riguadagnare autorevolezza e, con proposte
coraggiose, aiutare l’ebraismo italiano a uscire dalla crisi.
Venezia, febbraio 2010
Dario Calimani, Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (Ha Keillah numero 1 - 2010, febbraio 2010 - Adar 5770)
Qui Milano – Quale futuro per la Comunità? Presidenti a confronto
Terzo
appuntamento per il ciclo di dibattiti “Quale futuro per la Comunità”,
organizzati dall’Assessorato alla comunicazione. Dopo aver trattato il
rapporto tra istituzioni e iscritti, e il tema delle varie edot che
esistono a Milano, stasera alle 20.45 nell’Aula Magna Aharon Benatoff,
si confronteranno i presidenti che hanno guidato la Comunità negli
ultimi trent’anni. Così Giorgio Sacerdoti, presidente dal 1982 al
1990, Cobi Benatoff dal 1990 al 1998, Emanuele Fiano dal 1998 al 2000,
Roberto Jarach dal 2000 al 2005 e Leone Soued, attualmente in carica,
ricorderanno i momenti salienti del loro mandato, e parleranno dei
problemi che tengono banco nell’ultimo periodo, la scuola, la crisi
economica, i servizi sociali. “È da quasi due anni che ho in mente
l’idea di riunire i presidenti della nostra Comunità e questo mi sembra
il momento giusto – spiega Yoram Ortona, assessore alla Comunicazione e
moderatore del dibattito – Ci sono tante questioni da discutere e penso
sarà importante sentire, oltre alle opinioni dei relatori, cosa avrà da
dire il pubblico” (nell'immagine Ortona al centro, con la
vicepresidente Ucei Claudia De Benedetti e David Piazza). Un pubblico
che ha dimostrato di apprezzare la formula di questi incontri,
partecipando molto numeroso ai due precedenti. “È fondamentale creare
le occasioni per affrontare i temi che riguardano da vicino la nostra
Comunità, che è molto cambiata negli anni, arricchendosi, ma anche
complicandosi – sottolinea Ortona - Fare il presidente è diventato
sempre più arduo”. Pensiero condiviso anche dallo stesso Leone Soued
“La parte più complessa di questo ruolo sta nel gestire le difficoltà
con l’obiettivo di risolverle e contemporaneamente attuare una
progettazione per portare la Comunità sempre più avanti”. E
sull’incontro di stasera commenta “Penso sia un’ottima idea
confrontarsi sul passato della nostra Comunità per trovare spunti e
soluzioni per il suo futuro”.
Rossella Tercatin
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La Sinagoga della Churvà
Il Talmud prescrive di recitare una benedizione speciale quando si vede una Sinagoga ricostruita: "barukh metziv ghevul almanà",
benedetto sia Colui che rimette a posto il confine della vedova. E'
un'espressione del libro dei Proverbi, riletta in forma simbolica, dove
la "vedova" è Sion distrutta, così chiamata all'inizio del libro di Ekhà,
le Lamentazioni. Questa benedizione è stata certamente recitata nei
giorni scorsi quando si è inaugurata la Sinagoga della Churvà, al
centro del quartiere ebraico della Gerusalemme antica entro le mura
ottomane. Come è stato anche spiegato in queste pagine, è una Sinagoga
antichissima che è stata più volte distrutta, l'ultima nel 1948 dai
giordani. Fino a poco fa, chi girava nel quartiere ebraico vedeva come
resto dell'edificio solo un arco. Ora è stata ricostruita la Sinagoga,
come era un secolo fa, di dubbio valore estetico, ma di certo valore
spirituale e storico. L'inaugurazione della Sinagoga è stata inserita
tra i motivi (i pretesti) che hanno scatenato la rivolta araba di
Gerusalemme di questi giorni. Evidentemente la consolazione della
"vedova" è una prospettiva inaccettabile per troppe persone.
Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma
Cose così
Priebke
ha avuto un'idea: uscire di prigione. Certo, potrebbero accontentarlo
con l'estrema onta di lasciarlo andare per le strade di Hennigsdorf con
un cartello al collo e la scritta "Sono un vecchio nazista, ho ucciso
molti ebrei". Ma poi lo fermano e si fanno fare l'autografo.
Il Tizio della Sera
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Priebke contro i giudici italiani: voglio uscire Mancano
pochi giorni all'anniversrio dell'eccidio nazista alle Fosse Ardeatine.
Anziché battersi il petto e recitare il mea culpa pregando per le 335
vittime del massacro del 24 marzo 1944 alle porte di Roma, Erich
Priebke fa la voce grossa in Germania contro i suoi giudici italiani. E
li attacca con un lungo articolo sul giornale dei nostalgici dichiarati
del Fuhrer, in cui pretende un atto di clemenza dall'Italia. «Della
giustizia, purtroppo, non posso dire nulla di positivo - scrive di suo
pugno sull'ultimo numero della Deutsche Stimme (la voce tedesca)
megafono del partito neonazista Npd - I giudici responsabili della mia
reclusione non vogliono essere degli eroi che agiscono contro gli
aculei dei miei persecutori». L'ex capitano delle SS quasi centenario
(classe 1913) arriva a proclamarsi perseguitato dalla giustizia
italiana «Tenere agli arresti un uomo di 96 anni, sano o malato che
sia, è una vergogna assoluta per un popolo di cultura come vuole essere
l'Italia». Non chiede perdono e ribadisce che alle Fosse Ardeatine fu
costretto «come soldato tedesco in una guerra orrenda» ad eseguire un
ordine di rappresaglia, con impossibilità di disubbidire (la famigerata
Befehlnotstand ). Poi se la prende anche con i governanti tedeschi
accusandoli di essere succubi dei suoi nemici: «Tutti sanno chi sono i
miei persecutori, per cui non c'è da stupirsi che la Germania ufficiale
non muova un dito per me». Tanto per capire l'aria antisemita che tira
sulle pagine della Deutsche Stimme, nello stesso numero del giornale si
elogia la deputata neo-comunista Sahra Wagenknecht (Die Linke) che si è
rifiutata di applaudire il presidente israeliano Shimon Peres in visita
due mesi fa al Bundestag per commemorare la liberazione di Auschwitz.
Il braccio destro di Herbert Kappler sta scontando a Roma, agli arresti
domiciliari, l'ergastolo sentenziato dalla Corte d'Appello militare nel
1998 e confermato definitivamente dalla Cassazione. L'irriducibile
prussiano di Hennigsdorf si vanta con ilettori della Deutsche Stimme di
essere diventato una superstar: «Centinaia di lettere e cartoline
augurali continuano a rallegrarmi: so che non sono stato dimenticato e
i saluti e le buone parole di queste persone di buona volontà mi danno
la forza morale di sopportare il lungo calvario». La veneranda età non
lo deprime. Tutt'altro. «Il 2010 un anno di lotta», annuncia nel titolo
dell'articolo. Rivela di essere in buona salute «Ho avuto qualche
problemino, ma i medici dell'ospedale militare lo hanno risolto nel
modo migliore». Si sente il capostipite intramontabile di una dinastia
che ha proliferato i Priebke in tutto il mondo: «Per chi non lo
sapesse, nel frattempo sono diventato sei volte bisnonno: due nipotine
negli Stati Uniti, un maschietto e una femminuccia in Argentina, due
bambini in Germania. Grazie a Dio, la mia stripe non muore».
Enzo Piergianni, Libero 18 marzo 2010
Israele ha il diritto di costruire case È
opportuno ricordare agli smemorati ed ai conniventi denigratori
d'Israele che la parte cosiddetta vecchia di Gerusalemme era occupata
dalla Giordania e proibita agli israeliani che non potevano recarsi a
pregare ai piedi del muro del tempio. Questo tanto per rimarcare i
tanti appelli menzogneri appelli dei diritti violati fatti in
continuazione dai palestinesi. Questo diritto fu acquisito con la
guerra del 1967 portata contro Israele dagli Stati arabi confinati.
Nella storia mondiale non si è mai verificato che uno Stato a cui sia
stata dichiarata guerra e da questi vinta, dia indietro i territori
ritenuti vincolanti per la propria sicurezza. Evitiamo di tirare in
ballo il diritto internazionale o mi si dica dove è previsto che uno
Stato assalito da più nazioni in contemporanea diventi l'aggressore. Se
decidono di costruire delle case in un quartiere di Gerusalemme, è un
loro diritto pagato con lacrime e sangue.
Carlo Ferrazza - email, Libero, 18 marzo 2010
La Polverini adesso ha pure la grana Zarate [...]
A chi gli chiede poi dell'influenza che potrà avere sulla candidata
quel saluto romano di Zarate, Storace risponde caustico: «Non mi sembra
di aver visto Renata che gli si avvicinava e gli reggeva il braccio».
Il gesto in sé, per sé, non ha di certo fatto felici gli ebrei, sia
quelli romanisti che quelli laziali. Giuseppe Piperno, presidente
dell'Unione giovani ebrei d'Italia, affida ad una nota il disappunto
della comunità: «Il gesto di Zarate è intollerabile - afferma - il
saluto romano rievoca periodi storici tragici culminati come tutti ben
sappiamo. Sarebbe auspicabile che il giocatore ora porgesse le sue
scuse». E all'interno del Pdl non sono pochi coloro che valutano
controproducente l'iniziativa di Polverini. I più critici preferiscono
non rilasciare dichiarazioni.[...]
Franco Modesto, Il Riformista, 18 marzo 2010 |
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Israele, torna a uccidere un razzo Qassam lanciato da Gaza Gaza, 18 mar - Un
razzo Qassam lanciato contro il sud d'Israele dalla Striscia di Gaza è
tornato oggi a uccidere dopo diversi mesi nel giorno dell'arrivo
nell'enclave della nuova rappresentante della politica estera dell'Ue,
Catherine Ashton. L'ordigno è esploso poco al di là del confine, nel
kibbutz di Nativ Hasara, ferendo mortalmente un uomo di origine
thailandese che in quel momento era al lavoro nei campi. Nelle ore
precedenti altri due Qassam erano caduti non lontano dalla cittadina di
Sderot (sud di Tel Aviv) nel quadro di una improvvisa recrudescenza di
attacchi che tuttavia non aveva provocato vittime. Il terzo, invece, è
risultato mortale. L'episodio - oggetto di un'rivendicazione d'incerta
attendibilità fatta circolare con un sms lampo dal gruppo salafita
Ansar al-Sunna, ispirato agli slogan di Al Qaida e che contesta Hamas
da posizioni ancor più radicali - ha macchiato la visita della Ashton. |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei
l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere
ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo
e-mail, scrivete a: desk@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”. |
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