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    19 marzo 2010 - 4 Nisan 5770  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
alef/tav    
  roberto colombo Roberto
Colombo,

rabbino 
Nel suo commento all’ultimo versetto del libro dell’Esodo Rashì fa notare che nel linguaggio della Torà viaggiare e stare fermi si traduce allo stesso modo. Ci sono persone convinte dalla loro modernità di essere proiettate nel futuro quando invece sono inconsciamente ferme in una vita ebraica che, fatta di pura ideologia, lentamente invecchia e scompare. (Rabbì Shalom Brazowsky)
La parole, anche le più evocative, perdono il loro significato. La malcapitata in questo caso è la parola libertà, spesso svilita da retorica ed abuso nell’agone mediatico dei politici, relegata ai libri di storia e filosofia, o confusa e ridotta a sinonimo di “faccio quello che mi pare”. A consolarci ci pensano i piccoli, il futuro della nostra società, che hanno la forza e la spontaneità per interrogarsi sul senso e sui significati. Con la sperimentazione di un progetto di filosofia per bambini in una scuola primaria si è discusso in questi giorni del tema in questione: alla domanda “pensi che se fai tutto quello che vuoi sarai libero davvero?” pochissimi hanno risposto affermativamente, e quasi tutti hanno argomentato il No con un ma.., o con un perché. Osserviamo che i nostri bambini non sempre sentono l’imposizione dei limiti alla propria volontà come un dato negativo in sé, ma talvolta come un’opportunità. Riescono a vedere che per poter scegliere ed essere quindi liberi, il problema semmai è sapere davvero ciò che si vuole. Fatica improba per loro crescere e non perdere questa scoperta in un mondo adulto che incentiva “il volere e il potere” senza insegnareanche ad ascoltare i sentimenti e la ragione. Sonia
Brunetti Luzzati,

pedagogista
sonia brunetti luzzati  
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  Qui Milano – Presidenti a confronto, le esperienze

souedHanno ricoperto la carica di presidenti della Comunità ebraica di Milano nel corso degli ultimi trent’anni. Si sono trovati ad affrontare i grandi cambiamenti di un’istituzione che negli ultimi decenni è mutata profondamente. Per discutere dei problemi e del futuro della Comunità, Giorgio Sacerdoti, Cobi Benatoff, Emanuele Fiano, Roberto Jarach e Leone Soued (nell'immagine a fianco), si sono riuniti in un dibattito organizzato dall’Assessorato alla Comunicazione, moderato dall’assessore Yoram Ortona.
“La serata è stata utile per confrontarsi su tante questioni, anche se abbiamo tutti constatato quanto individuare le soluzioni concrete non sia semplice - spiega Leone Soued, attuale presidente della Comunità - personalmente ritengo che abbiamo bisogno della buona volontà di tutti i singoli, non solo in termini di tempo e costanza, ma soprattutto nella voglia di stare insieme, di essere uniti, anche per fronteggiare le conseguenze della crisi globale che colpisce le nostre famiglie in modo molto forte”. La sofferenza economica della Comunità è stato uno dei temi più discussi, e non manca qualche voce critica nei confronti della gestione dell’attuale giunta. “È innegabile che la crisi ci sia, ma la mia impressione è che talvolta venga utilizzata come alibi per mascherare una gestione degli affari non ottimale – asserisce Roberto Jarach, presidente dal 2000 al 2005. Un pubblico molto coinvolto, ma ristretto nei numeri ha poi messo direttamente in luce quello che tutti considerano il problema più pericoloso, la lontananza degli iscritti dalle istituzioni. “Allacciare un rapporto più stretto tra il consiglio della Comunità e la sua base è fondamentale – continua Jarach – Bisogna trovare una strada per riportare gli ebrei alla Comunità, e un ruolo importante potrebbe essere giocato dal Rabbinato”. L’idea di un rabbinato maggiormente “vicino ai lontani” è stata auspicata da più parti, sottolineando la necessità che le persone vengano seguite, ma anche cercate di più. “Rispetto a quando sono stato presidente – evidenzia Emanuele Fiano, in carica dal 1998 al 2000 – mi sembra che si siano fatti passi avanti significativi nell’offerta formativa, soprattutto negli insegnamenti ebraici. D’altra parte però vedo meno attenzione verso gli ebrei laici”. Analizzando poi la situazione della Comunità, l’onorevole aggiunge “La partecipazione si ottiene attraverso la fruizione dei servizi. Chi ha bambini a scuola, si sente legato alla Comunità, una volta che i figli terminano gli studi, il rapporto si perde. Bisognerebbe coinvolgere quelle persone, attraverso un’offerta utile e interessante. Certo nessuno ha la bacchetta magica”. Viene anche registrata la stretta connessione tra diminuzione degli iscritti e problemi economici “In passato la Comunità è sempre stata sostenuta dal contributo dei suoi membri, oggi invece si mantiene tramite prestiti bancari – rileva Cobi Benatoff, presidente dal 1990 al 1998 – Occorre riflettere per superare questa situazione che ha un’altissima incidenza sul futuro. Bisogna trovare nuove strategie, negli ultimi anni abbiamo assistito a una grande radicalizzazione, e la gente non si sente rappresentata, né chi ritiene che adempiere alle mizvot esaurisca il proprio ebraismo e quindi percepisce la sinagoga come la propria vera comunità, né i laici che vivono la situazione con disagio”.
Al di là dei differenti punti di vista, tutti hanno espresso soddisfazione per la serata e per la volontà di confrontarsi e raccogliere il contributo di tutti, con l’auspicio che l’individuazione condivisa dei problemi costituisca il preludio alla costruzione delle soluzioni. “In fondo i problemi della Comunità sono un po’ sempre gli stessi – racconta Giorgio Sacerdoti, presidente dal 1982 a 1990 – la partecipazione, la tensione tra i vari gruppi, il bilancio. Fra poco ci saranno le elezioni che rappresentano un’occasione importante per capire cosa gli iscritti vogliano. E una volta che si capisce questo, anche se non è facile, bisognerà cercare di andare loro incontro”.

Rossella Tercatin


Mediterraneo - Migrazioni e identità

'Migrazioni, identità e modernità nel Maghreb' è il titolo del prestigioso convegno internazionale che si svolge nell'antichissima città marocchina di Essaouira, la cui storia ha visto una fortissima presenza ebraica: all'inizio del XX secolo gli ebrei di Essaouira costituivano la maggioranza della popolazione cittadina. Erano una comunità fiorente, dedita al commercio e all'oreficeria.
Oggetto principale dei lavori del convegno saranno le migrazioni ebraiche del Maghreb dal 1500 ai nostri giorni. Le discussioni – spiegano gli organizzatori – da una parte mireranno ad inscrivere questo fenomeno in una storia comune di tutti i flussi migratori che hanno toccato la regione maghrebina: talvolta come punto di partenza, talaltra come destinazione oppure semplicemente come punto di transito; dall'altra cercheranno di metterne in luce le peculiarità. Se - ad esempio-– è vero che l'aliyah è un fenomeno caratterizzato da specifiche condizioni politiche ed ideologiche, gli storici hanno raramente considerato l'esodo degli ebrei maghrebini in relazione alle altre migrazioni di massa dell'era post-coloniale.
“Ambizione di questo convegno – dichiarano gli organizzatori – è di aprire nuove strade di ricerca, al fine di cogliere la complessità del sistema sociale e delle forze economiche globali, che tanta parte ha avuto nel definire le trasformazioni storiche delle società maghrebine. Tutte le storie di migrazioni, tra le quali quella ebraica spicca per il potenziale modernizzatore, che hanno attraversato queste zone le hanno profondamente segnate. Tutte insieme, con le loro diversità, concorrono a formare l'identità del Maghreb”.
I promotori principali dell'evento sono la Comunità dei marocchini emigrati all'estero e il Centro Jaques Berque per gli studi in scienze umane e sociali. Tra i partner, insieme a centri di ricerca universitari e istituzioni politiche e diplomatiche di tutto il mondo, figura anche il Consiglio delle Comunità ebraiche del Marocco. La presidenza onoraria del convegno è conferita ad Albert Memmi, scrittore e saggista ebreo nato a Tunisi nel 1920 ed emigrato in Francia, laureato in filosofia alla Sorbona. Tale scelta è fortemente simbolica, poiché Memmi ha una storia da migrante e la sua identità personale ed intellettuale si colloca all'incrocio di tre differenti culture.
I lavori proseguiranno per quattro giorni. Verranno presi in esame in modo dettagliato diversi periodi storici, tutti quanti attraverso lenti disciplinari diverse: s'intrecceranno ricostruzioni storiche, analisi sociologiche ed economiche, prospettive culturali e religiose, percorsi individuali e collettivi.
Non mancheranno excursus letterari e artistici.
Il corpus di relatori si presenta quantitativamente e qualitativamente molto nutrito. Ottantrè gli studiosi che confluiranno ad Essaouira, provenienti da università, musei e centri di ricerca di America, Francia, Israele, Marocco, Tunisia, Algeria, Italia, Canada e Portogallo. Nella sessione di venerdì mattina è previsto anche l'intervento della storica del Centro di documentazione ebraica contemporanea Liliana Picciotto, la quale parlerà degli ebrei libici tra il nazionalismo arabo e il fascismo italiano (1922-1948).

Manuel Disegni


Qui Roma - Pluralità nell'ebraismo, una giornata di dibattito


logo pitiglianiPluralità di ebraismi o pluralismo ebraico? Pluralismo o dispersione? Pluralisti, multiculturalisti, multietnici, questi e molti altri aspetti del pluralismo, ebraico e non, saranno affrontati domenica 21 marzo in un convegno che si svolgerà all’Istituto Pitigliani di Roma dalle 10 del mattino e che si snoderà lungo il corso della giornata.
Organizzato dal Gruppo Martin Buber Ebrei per la pace e dal Centro ebraico Il Pitigliani, il convegno si aprirà con il saluto del Presidente del Pitigliani Ugo Limentani  e di quello dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (Ucei) Renzo Gattegna, cui seguirà una tavola rotonda sul tema: ‘Il pluralismo nella società italiana’  a cui parteciperanno il giornalista Furio Colombo, i docenti dell’Università di Roma, la Sapienza, Sergio Lariccia e Clotilde Pontecorvo e Amos Luzzatto già presidente dell’Ucei.
Nel pomeriggio i lavori riprenderanno con due sezioni di lavoro. Durante la prima intitolata ‘Pluralità nell’ebraismo: idee, modelli, esperienze’ prenderanno la parola i docenti Anna Foa e Marcello Massenzio dell’Università di Roma, La Sapienza, Esther Bembassa dell’Ecole des Hautes Etudes di Parigi e Paola Di Cori esperta di studi culturali.
La seconda sezione, intitolata ‘Quali prospettive per l’ebraismo italiano?’ Interverranno Bruno Segre direttore del periodico di vita e cultura ebraica Keshet, Rav Gianfranco Di Segni docente del Collegio Rabbinico Italiano e ricercatore del CNR, Riccardo Pacifici Presidente della Comunità Ebraica di Roma  e Ugo Volli, semiologo e Presidente dell’associazione Lev Chadash.




Qui Roma – Raffaele Cantoni, la testimonianza di Sergio Minerbi

raffaele cantoniDifficile non rimanere affascinati dalla figura di Raffaele Cantoni, ebreo socialista dirigente del Delasem (Delegazione per l’assistenza degli emigranti ebrei) vissuto negli anni anni bui delle persecuzioni razziste e Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane nel primo dopoguerra,  che si batté perché la Costituzione italiana sancisse per gli ebrei un quadro chiaro di uguaglianza e di libertà religiosa e perché fosse riconosciuto loro un risarcimento per i danni subiti durante le leggi sulla razza. Di lui si parlerà in un convegno organizzato dall’Organizzazione Sanitaria Ebraica di Assistenza all’infanzia  (Ose) in occasione del cinquantesimo anniversario della casa al mare ‘Lazzaro Levi’ di Caletta  di Castiglioncello, per la cui celebrazione l’Ose ha ristampato il volume ‘Un ebreo tra D’Annunzio e il Sionismo: Raffaele Cantoni’ di Sergio Minerbi.
La cerimonia si svolgerà domenica 21 marzo alle ore 17 nella sala ‘Di Liegro’ di Palazzo Valentini in Roma. Dopo i saluti delle autorità e del presidente dell’Ose, Giorgio Sestieri, si susseguiranno gli interventi di vari relatori:  ‘ Raffaele Cantoni un leader informale’ è il titolo dell’intervento del professor Amos Luzzatto, ex presidente Ucei , ‘Note su Raffaele Cantoni in Svizzera’ sarà il contributo della scrittrice Liliana Picciotto e ‘Due episodi decisivi’ quello del professor Ferruccio Sonnino.
Per ultimo si potrà ascoltare l’intervento dell’autore del libro, Sergio Minerbi, con contributo dal titolo ‘ Raffaele Cantoni, un ebreo anomalo’.
Minerbi, nato in Italia nel 1929, si recò in Israele a 18 anni, inviato proprio grazie all’appoggio di Cantoni, a partecipare a un congresso  e vi si trasferì definitivamente entrando nel Kibbutz Arzì. Era lì quando venne votata la risoluzione Onu che sancì la creazione dello Stato ebraico. E' stato professore universitario e ambasciatore di Israele a Bruxelles presso la Comunità europea, oggi è autore di libri di storia, collaboratore del quotidiano Ha'arez e, in Italia, del Sole 24 Ore.

Lucilla Efrati
 
 
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  Comix - The Simpsons, Krusty e l’umorismo ebraico

simpsonMark Pinsky ha recentemente scritto “The Gospel According to The Simpsons: The Spiritual Life of the World’s Most Animated Family” l’ennesimo saggio sulla fortunatissima saga televisiva della famiglia Simpson. Alcuni spunti e riflessioni sono stati riproposti sul sito www.myjewishlearning.com dallo stesso autore che tocca la presenza dell’ebraismo tra le storie dei Simpson.
Springfield è sicuramente la proiezione della città media statunitense, non le grandi metropoli di entrambe le coste, ma parliamo di una città di medie dimensioni, popolata da uomini e donne che in varie generazioni si sono insediate. L’autore ha creato un piccolo universo, reale, dove rappresentare in modo molto esagerato e pesante i pregi e difetti della società americana. Non poteva perciò mancare la presenza di una comunità ebraica.
Intanto è bene identificare la sinagoga, Temple Beth Springfield, vicino alla Prima Chiesa di Springfield del reverendo Lovejoy, tanto premuroso verso i cugini che un cartello ricorda che il parcheggio della chiesa non è quello della Sinagoga. Anche se poi, come raccontano le guide alla serie televisiva, rabbino e reverendo giocano a basket insieme.

simpson 2In realtà l’aspetto più evidente della presenza dell’ebraismo nei Simpson è l’uso degli stereotipi e del generale disinteresse della comunità protestante verso la cultura ebraica. Il direttore Skinner viene ripreso dal suo superiore perché credeva che fosse una scusa per non andare a scuola, l’aver rivendicato la festa dello Yom Kippur: “But, but, ah, I was sure it was a phony excuse. I mean, it sounds so made-up: ‘Yom Kip-pur.” Oppure quando Homer scambia un gruppo di rabbini hassidici per il gruppo rock texano ZZ Top. Per non parlare di quando cerca di avere in prestito cinquantamila dollari facendosi passare per un ebreo non praticante che però “Now, I know I haven’t been the best Jew, but I have rented Fiddler on the Roof and I will watch it” (so di non essere stato il migliore ebreo, ma ho affittato Fiddler on the Roof e lo vedrò).
Senza dubbio il personaggio chiave è Krusty, introdotto nella stagione 1989-1990 è diventato un personaggio fondamentale nel filone umoristico della serie. Attorno al suo parlare e agire troviamo una impressionante quantità di parole in yiddish come bupkes per “nulla”, schmutz per disordine, yutz per testa vuota, come anche espressioni più complesse come “my lucky little hamentaschen” per la figlia. Così come uno dei nomi di Krusty è Schmoikel. In diverse situazioni l’umorismo della serie è spesso da ebrei per ebrei, tanto che nel doppiaggio italiano si sono perse tutte le espressioni yiddish per un italiano medio. Sempre meglio di quel massacro che è stato compiuto con la fiction “La tata”.
Brian Rosman della Brandeis University ha così commentato la presenza dell’ebraismo nei Simpson: "The Simpsons does the funniest, most authentic parodies of Jewish life among all the comedy shows on TV, certainly compared to shows that are considered more ‘Jewish,’ like Seinfeld. The Simpsons demonstrates a more intuitive understanding of American Jewish history, Jewish reli­gion and culture, and Judaism’s place among all the other varieties of belief and identity in America. I only wish there was more Jewish con­tent on the show, because when they do it, they do it very well"
(I Simpson esprime la più simpatica, autentica parodia della vita degli Ebrei tra tutte le fiction televisive, sicuramente confrontandola con quella che viene considerata più ebraica fra tutte, Seinfeld. I Simpson dimostra una particolare capacità di comprendere la storia ebraica americana, la sua religione e cultura, e la presenza del Giudaismo tra tutte quelle varietà di credi e identità in America. Spero soltanto che ci siano sempre più contenuti ebraici nello show, perché quando lo fanno, lo fanno molto bene)
In realtà un po’ di mistero c’è sulle origini dei componenti dei Simpson. Mentre Omer chiede a Marge se sono ebrei, e le sorelle Bouvier hanno parenti con nomi come David, Levi, Moshe, Murray e Saul, nel ripostiglio della famiglia (episodio 18, stagione 11) vediamo una meno­rah... forse dopo vent’anni, appena festeggiati, The Simpsons nasconde ancora molto sorprese.

Andrea Grilli

 
 
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Un film già visto, un copione consunto, attori che recitano una partitura scontata. Come definire il quadro del confronto in Medio Oriente se non per la sua maniacale, ossessiva reiterazione dei medesimi cliché? Nel corso di una intensa settimana un turbinio di fatti e fattacci ha rilanciato le tensioni che, peraltro, covavano sotto le ceneri. A titolo di riepilogo si legga il repertorio fattone da Giuseppe Mammarella su il Messaggero. La visita di Joe Biden si è trasformata in un vero e proprio incidente diplomatico quando, con un tempismo un po’ sospetto, il ministro degli interni Eli Yishai ha annunciato l’intenzione – ai più peraltro nota – di proseguire nella costruzione di 1600 appartamenti in un’area di Gerusalemme orientale, ovvero nella parte della municipalità divenuta israeliana dopo il 1967. Non di meno, ai rilievi sulla scarsa opportunità politica di affermare una volontà che è letta come contraria al moribondo «processo di pace» è seguita la palese seccatura americana, che nei giorni scorsi ha dominato un po’ tutte le pagine dei giornali, tra telefonate infuriate della Clinton a Netanyahu, dichiarazioni di ambasciatori («la crisi più grave degli ultimi anni»), scetticismi giornalistici, sarcasmi televisivi (la rete Fox, di proprietà di Rupert Murdoch, grande nemico del Presidente americano, ha sparato a “palle incatenate” contro l’onta che Washington avrebbe così subito) e analisi di grande o piccolo tenore da parte di “esperti”, più o meno tali, chiamati al capezzale del nuovo conflitto verbale. Probabilmente la vicenda si stempererà da sé, come già è avvenuto in altri casi, non troppo diversi. Barack Obama, dopo avere incassato l’indisponibilità del premier israeliano ad un significativo passo indietro, ha gettato acqua sul fuoco, avendo lasciato decantare i livori del momento, come sottolineano Giampiero Gramaglia su il Fatto Quotidiano e Anna Guaita su il Messaggero. Vale tuttavia la pena di sottolineare come solo una lettura ingenua dei rapporti tra Washington e Gerusalemme possa autorizzare a ritenere che questi siano sempre stati informati alla linearità e alla reciprocità. Chi ne conosce l’andamento sa che le tensioni e i dissapori sono stati spesso la nota dominante, pure in un quadro di sostegno strategico che già la presidenza Nixon, con la crisi del Kippur del 1973, era andata consolidando, mantenuta e rinvigorita poi dai successori. Ai pronunciamenti dei giorni scorsi si sono infine aggiunti i rilievi autorevoli di Giorgio Napolitano. Il Capo dello Stato, in visita a Damasco, ha sottolineato le sue perplessità sulla crescita degli insediamenti ebraici nella parte orientale della capitale rispetto ai destini futuri di un accordo tra le parti in conflitto in Cisgiordania. Così le cronache di Marzio Breda per il Corriere della Sera, Dino Pesole su il Sole 24 Ore, Paolo Passarini per la Stampa e Marcella Ciarlanelli su l’Unità. Nel mentre la querelle sulle metrature cubiche di Gerusalemme teneva accesi i riflettori dell’informazione Hamas, ineffabile e puntualissima nel recitare la sua plumbea parte di soggetto del disordine mediorientale, proclamava la «giornata della rabbia» (difficile pensare che possa invitare ad una mobilitazione che non sia quella basata su un qualche risentimento) nel corso della quale si succedevano incidenti di strada e scontri di piazza. Tanto è bastato, in un quadro ancora una volta contrassegnato da una triste prevedibilità, perché ci fosse chi parlava apertamente di inizio della «terza intifada». Dopo di che, a compimento delle tensioni, nella giornata di ieri è avvenuto il lancio di un paio razzi da Gaza, rivendicato dalle brigate Ansar al-Sunna, delle quali ci parlano Camille Eid su il Avvenire, Aldo Baqis per la Stampa, Alberto Stabile su la Repubblica e Guido Olimpo per il Corriere della Sera, che denunciano l’infiltrazione salafita che minaccia la stessa presenza di Hamas. Su quest’ultima vicenda, che ha causato un morto, significativamente non un cittadino israeliano bensì un lavoratore straniero, si soffermano molte testate tra le quali Luca Geronico per il Giornale, Fabrizio Battistini su il Corriere della Sera, Ugo Traballi su il Sole 24 Ore e ancora Alberto Stabile per la Repubblica. Evento, quest’ultimo, che si è consumato nel mentre l’incaricata per la politica estera dell’Unione Europea, Catherine Ashton, compiva il suo tour “pastorale” in Israele e nei Territori. Che la primazia del movimento radicale sia insidiata da gruppi e gruppuscoli di osservanza ancora più estremista, non è una novità e si può stare certi che nei prossimi tempi il contrasto tra questi soggetti occuperà non poco delle cronache da Gaza. Di una vicenda parallela, la volontà di Ankara di espellere i lavoratori armeni non in regola, alimentata dal diniego alla dichiarazione del Congresso americano (e del Parlamento svedese), che definisce «genocidio» l’assassinio di un milione e mezzo di loro connazionali in Anatolia, durante la Prima Guerra Mondiale da parte delle autorità turche, ci dà conto Luigi De Biase su il Giornale, insieme ad un commento sulla medesima testata di R.A. Segre. che riconduce al conflitto tra islamismo e laicità la partita politica così in corso. Tra corsi e ricorsi della storia parrebbe, un secolo dopo, di essere ancora alla casella di partenza. La politica in Medio Oriente è spesso qualcosa di simile ad un gioco dell’oca, dove se si finisce nella casella sbagliata si torna ai nastri di partenza. L’importante, a tale riguardo, è giocarsi il proprio ruolo non come degli ingenui pennuti, se non si intende rimanere letteralmente spennati. Vince chi è più abile, non chi fa la faccia più brutta (o più buona).
 
Claudio Vercelli

 
 
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Il Quartetto per il Medio Oriente chiede a Israele                          
di congelare gli insediamenti

Mosca, 19 mar -
Il 'Quartetto per il Medio Oriente' (Russia, Usa, Ue, Onu) riunito oggi a Mosca per cercare una soluzione alla crisi di questi giorni chiede a Israele di congelare tutte le attività di colonizzazione. Il Quartetto ha anche auspicato che i negoziati portino entro due anni alla creazione di uno stato palestinese indipendente. In una dichiarazione al termine della seduta, i capi degli esteri di Usa, Hillary Clinton, della Russia, Serghiei Lavrov, l'alta rappresentante della politica estera e di sicurezza dell'Ue, Catherine Ashton e il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-Moon, hanno espresso "profonda preoccupazione" per il deterioramento in atto a Gaza e hanno auspicato che "i colloqui debbano condurre a una soluzione negoziata tra le parti (Israele e l'Autorità palestinese, ndr) entro 24 mesi". 
 
 
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