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L'Unione informa |
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19 marzo 2010 - 4 Nisan 5770 |
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alef/tav |
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Roberto
Colombo, rabbino |
Nel suo commento all’ultimo versetto del libro dell’Esodo Rashì fa notare che nel linguaggio della Torà viaggiare e stare fermi
si traduce allo stesso modo. Ci sono persone convinte dalla loro
modernità di essere proiettate nel futuro quando invece sono
inconsciamente ferme in una vita ebraica che, fatta di pura ideologia,
lentamente invecchia e scompare. (Rabbì Shalom Brazowsky) |
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La
parole, anche le più evocative, perdono il loro significato. La
malcapitata in questo caso è la parola libertà, spesso svilita da
retorica ed abuso nell’agone mediatico dei politici, relegata ai libri
di storia e filosofia, o confusa e ridotta a sinonimo di “faccio quello
che mi pare”. A consolarci ci pensano i piccoli, il futuro della nostra
società, che hanno la forza e la spontaneità per interrogarsi sul senso
e sui significati. Con la sperimentazione di un progetto di filosofia
per bambini in una scuola primaria si è discusso in questi giorni del
tema in questione: alla domanda “pensi che se fai tutto quello che vuoi
sarai libero davvero?” pochissimi hanno risposto affermativamente,
e quasi tutti hanno argomentato il No con un ma.., o con un
perché. Osserviamo che i nostri bambini non sempre sentono
l’imposizione dei limiti alla propria volontà come un dato negativo in
sé, ma talvolta come un’opportunità. Riescono a vedere che per poter
scegliere ed essere quindi liberi, il problema semmai è sapere davvero
ciò che si vuole. Fatica improba per loro crescere e non perdere
questa scoperta in un mondo adulto che incentiva “il volere e il
potere” senza insegnareanche ad ascoltare i sentimenti e la ragione. |
Sonia Brunetti Luzzati,
pedagogista |
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Qui Milano – Presidenti a confronto, le esperienze
Hanno
ricoperto la carica di presidenti della Comunità ebraica di Milano nel
corso degli ultimi trent’anni. Si sono trovati ad affrontare i grandi
cambiamenti di un’istituzione che negli ultimi decenni è mutata
profondamente. Per discutere dei problemi e del futuro della Comunità,
Giorgio Sacerdoti, Cobi Benatoff, Emanuele Fiano, Roberto Jarach e
Leone Soued (nell'immagine a fianco), si sono riuniti in un dibattito
organizzato dall’Assessorato alla Comunicazione, moderato
dall’assessore Yoram Ortona. “La serata è stata utile per
confrontarsi su tante questioni, anche se abbiamo tutti constatato
quanto individuare le soluzioni concrete non sia semplice - spiega
Leone Soued, attuale presidente della Comunità - personalmente ritengo
che abbiamo bisogno della buona volontà di tutti i singoli, non solo in
termini di tempo e costanza, ma soprattutto nella voglia di stare
insieme, di essere uniti, anche per fronteggiare le conseguenze della
crisi globale che colpisce le nostre famiglie in modo molto forte”. La
sofferenza economica della Comunità è stato uno dei temi più discussi,
e non manca qualche voce critica nei confronti della gestione
dell’attuale giunta. “È innegabile che la crisi ci sia, ma la mia
impressione è che talvolta venga utilizzata come alibi per mascherare
una gestione degli affari non ottimale – asserisce Roberto Jarach,
presidente dal 2000 al 2005. Un pubblico molto coinvolto, ma ristretto
nei numeri ha poi messo direttamente in luce quello che tutti
considerano il problema più pericoloso, la lontananza degli iscritti
dalle istituzioni. “Allacciare un rapporto più stretto tra il consiglio
della Comunità e la sua base è fondamentale – continua Jarach – Bisogna
trovare una strada per riportare gli ebrei alla Comunità, e un ruolo
importante potrebbe essere giocato dal Rabbinato”. L’idea di un
rabbinato maggiormente “vicino ai lontani” è stata auspicata da più
parti, sottolineando la necessità che le persone vengano seguite, ma
anche cercate di più. “Rispetto a quando sono stato presidente –
evidenzia Emanuele Fiano, in carica dal 1998 al 2000 – mi sembra che si
siano fatti passi avanti significativi nell’offerta formativa,
soprattutto negli insegnamenti ebraici. D’altra parte però vedo meno
attenzione verso gli ebrei laici”. Analizzando poi la situazione della
Comunità, l’onorevole aggiunge “La partecipazione si ottiene attraverso
la fruizione dei servizi. Chi ha bambini a scuola, si sente legato alla
Comunità, una volta che i figli terminano gli studi, il rapporto si
perde. Bisognerebbe coinvolgere quelle persone, attraverso un’offerta
utile e interessante. Certo nessuno ha la bacchetta magica”. Viene
anche registrata la stretta connessione tra diminuzione degli iscritti
e problemi economici “In passato la Comunità è sempre stata sostenuta
dal contributo dei suoi membri, oggi invece si mantiene tramite
prestiti bancari – rileva Cobi Benatoff, presidente dal 1990 al 1998 –
Occorre riflettere per superare questa situazione che ha un’altissima
incidenza sul futuro. Bisogna trovare nuove strategie, negli ultimi
anni abbiamo assistito a una grande radicalizzazione, e la gente non si
sente rappresentata, né chi ritiene che adempiere alle mizvot esaurisca
il proprio ebraismo e quindi percepisce la sinagoga come la propria
vera comunità, né i laici che vivono la situazione con disagio”. Al
di là dei differenti punti di vista, tutti hanno espresso soddisfazione
per la serata e per la volontà di confrontarsi e raccogliere il
contributo di tutti, con l’auspicio che l’individuazione condivisa dei
problemi costituisca il preludio alla costruzione delle soluzioni. “In
fondo i problemi della Comunità sono un po’ sempre gli stessi –
racconta Giorgio Sacerdoti, presidente dal 1982 a 1990 – la
partecipazione, la tensione tra i vari gruppi, il bilancio. Fra poco ci
saranno le elezioni che rappresentano un’occasione importante per
capire cosa gli iscritti vogliano. E una volta che si capisce questo,
anche se non è facile, bisognerà cercare di andare loro incontro”.
Rossella Tercatin
Mediterraneo - Migrazioni e identità
'Migrazioni,
identità e modernità nel Maghreb' è il titolo del prestigioso convegno
internazionale che si svolge nell'antichissima città marocchina di
Essaouira, la cui storia ha visto una fortissima presenza ebraica:
all'inizio del XX secolo gli ebrei di Essaouira costituivano la
maggioranza della popolazione cittadina. Erano una comunità fiorente,
dedita al commercio e all'oreficeria. Oggetto principale dei
lavori del convegno saranno le migrazioni ebraiche del Maghreb dal 1500
ai nostri giorni. Le discussioni – spiegano gli organizzatori – da una
parte mireranno ad inscrivere questo fenomeno in una storia comune di
tutti i flussi migratori che hanno toccato la regione maghrebina:
talvolta come punto di partenza, talaltra come destinazione oppure
semplicemente come punto di transito; dall'altra cercheranno di
metterne in luce le peculiarità. Se - ad esempio-– è vero che l'aliyah
è un fenomeno caratterizzato da specifiche condizioni politiche ed
ideologiche, gli storici hanno raramente considerato l'esodo degli
ebrei maghrebini in relazione alle altre migrazioni di massa dell'era
post-coloniale. “Ambizione di questo convegno – dichiarano gli
organizzatori – è di aprire nuove strade di ricerca, al fine di
cogliere la complessità del sistema sociale e delle forze economiche
globali, che tanta parte ha avuto nel definire le trasformazioni
storiche delle società maghrebine. Tutte le storie di migrazioni, tra
le quali quella ebraica spicca per il potenziale modernizzatore, che
hanno attraversato queste zone le hanno profondamente segnate. Tutte
insieme, con le loro diversità, concorrono a formare l'identità del
Maghreb”. I promotori principali dell'evento sono la Comunità
dei marocchini emigrati all'estero e il Centro Jaques Berque per gli
studi in scienze umane e sociali. Tra i partner, insieme a centri di
ricerca universitari e istituzioni politiche e diplomatiche di tutto il
mondo, figura anche il Consiglio delle Comunità ebraiche del Marocco.
La presidenza onoraria del convegno è conferita ad Albert Memmi,
scrittore e saggista ebreo nato a Tunisi nel 1920 ed emigrato in
Francia, laureato in filosofia alla Sorbona. Tale scelta è fortemente
simbolica, poiché Memmi ha una storia da migrante e la sua identità personale ed intellettuale si colloca all'incrocio di tre differenti culture. I
lavori proseguiranno per quattro giorni. Verranno presi in esame in
modo dettagliato diversi periodi storici, tutti quanti attraverso lenti
disciplinari diverse: s'intrecceranno ricostruzioni storiche, analisi
sociologiche ed economiche, prospettive culturali e religiose, percorsi
individuali e collettivi. Non mancheranno excursus letterari e artistici. Il
corpus di relatori si presenta quantitativamente e qualitativamente
molto nutrito. Ottantrè gli studiosi che confluiranno ad Essaouira,
provenienti da università, musei e centri di ricerca di America,
Francia, Israele, Marocco, Tunisia, Algeria, Italia, Canada e
Portogallo. Nella sessione di venerdì mattina è previsto anche
l'intervento della storica del Centro di documentazione ebraica
contemporanea Liliana Picciotto, la quale parlerà degli ebrei libici
tra il nazionalismo arabo e il fascismo italiano (1922-1948).
Manuel Disegni
Qui Roma - Pluralità nell'ebraismo, una giornata di dibattito
Pluralità
di ebraismi o pluralismo ebraico? Pluralismo o dispersione? Pluralisti,
multiculturalisti, multietnici, questi e molti altri aspetti del
pluralismo, ebraico e non, saranno affrontati domenica 21 marzo in un
convegno che si svolgerà all’Istituto Pitigliani di Roma dalle 10 del
mattino e che si snoderà lungo il corso della giornata. Organizzato
dal Gruppo Martin Buber Ebrei per la pace e dal Centro ebraico Il
Pitigliani, il convegno si aprirà con il saluto del Presidente del
Pitigliani Ugo Limentani e di quello dell’Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane (Ucei) Renzo Gattegna, cui seguirà una tavola rotonda
sul tema: ‘Il pluralismo nella società italiana’ a cui
parteciperanno il giornalista Furio Colombo, i docenti dell’Università
di Roma, la Sapienza, Sergio Lariccia e Clotilde Pontecorvo e Amos
Luzzatto già presidente dell’Ucei. Nel pomeriggio i lavori
riprenderanno con due sezioni di lavoro. Durante la prima intitolata
‘Pluralità nell’ebraismo: idee, modelli, esperienze’ prenderanno la
parola i docenti Anna Foa e Marcello Massenzio dell’Università di Roma,
La Sapienza, Esther Bembassa dell’Ecole des Hautes Etudes di Parigi e
Paola Di Cori esperta di studi culturali. La seconda sezione,
intitolata ‘Quali prospettive per l’ebraismo italiano?’ Interverranno
Bruno Segre direttore del periodico di vita e cultura ebraica Keshet,
Rav Gianfranco Di Segni docente del Collegio Rabbinico Italiano e
ricercatore del CNR, Riccardo Pacifici Presidente della Comunità
Ebraica di Roma e Ugo Volli, semiologo e Presidente
dell’associazione Lev Chadash.
Qui Roma – Raffaele Cantoni, la testimonianza di Sergio Minerbi
Difficile
non rimanere affascinati dalla figura di Raffaele Cantoni, ebreo
socialista dirigente del Delasem (Delegazione per l’assistenza degli
emigranti ebrei) vissuto negli anni anni bui delle persecuzioni
razziste e Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane nel
primo dopoguerra, che si batté perché la Costituzione italiana
sancisse per gli ebrei un quadro chiaro di uguaglianza e di libertà
religiosa e perché fosse riconosciuto loro un risarcimento per i danni
subiti durante le leggi sulla razza. Di lui si parlerà in un convegno
organizzato dall’Organizzazione Sanitaria Ebraica di Assistenza
all’infanzia (Ose) in occasione del cinquantesimo anniversario
della casa al mare ‘Lazzaro Levi’ di Caletta di Castiglioncello,
per la cui celebrazione l’Ose ha ristampato il volume ‘Un ebreo tra
D’Annunzio e il Sionismo: Raffaele Cantoni’ di Sergio Minerbi. La
cerimonia si svolgerà domenica 21 marzo alle ore 17 nella sala ‘Di
Liegro’ di Palazzo Valentini in Roma. Dopo i saluti delle autorità e
del presidente dell’Ose, Giorgio Sestieri, si susseguiranno gli
interventi di vari relatori: ‘ Raffaele Cantoni un leader
informale’ è il titolo dell’intervento del professor Amos Luzzatto, ex
presidente Ucei , ‘Note su Raffaele Cantoni in Svizzera’ sarà il
contributo della scrittrice Liliana Picciotto e ‘Due episodi decisivi’
quello del professor Ferruccio Sonnino. Per ultimo si potrà
ascoltare l’intervento dell’autore del libro, Sergio Minerbi, con
contributo dal titolo ‘ Raffaele Cantoni, un ebreo anomalo’. Minerbi,
nato in Italia nel 1929, si recò in Israele a 18 anni, inviato proprio
grazie all’appoggio di Cantoni, a partecipare a un congresso e vi
si trasferì definitivamente entrando nel Kibbutz Arzì. Era lì quando
venne votata la risoluzione Onu che sancì la creazione dello Stato
ebraico. E' stato professore universitario e ambasciatore di Israele a
Bruxelles presso la Comunità europea, oggi è autore di libri di storia,
collaboratore del quotidiano Ha'arez e, in Italia, del Sole 24 Ore.
Lucilla Efrati
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Comix - The Simpsons, Krusty e l’umorismo ebraico
Mark
Pinsky ha recentemente scritto “The Gospel According to The Simpsons:
The Spiritual Life of the World’s Most Animated Family” l’ennesimo
saggio sulla fortunatissima saga televisiva della famiglia Simpson.
Alcuni spunti e riflessioni sono stati riproposti sul
sito www.myjewishlearning.com dallo stesso autore che tocca la
presenza dell’ebraismo tra le storie dei Simpson. Springfield è
sicuramente la proiezione della città media statunitense, non le grandi
metropoli di entrambe le coste, ma parliamo di una città di medie
dimensioni, popolata da uomini e donne che in varie generazioni si sono
insediate. L’autore ha creato un piccolo universo, reale, dove
rappresentare in modo molto esagerato e pesante i pregi e difetti della
società americana. Non poteva perciò mancare la presenza di una
comunità ebraica. Intanto è bene identificare la sinagoga, Temple
Beth Springfield, vicino alla Prima Chiesa di Springfield del reverendo
Lovejoy, tanto premuroso verso i cugini che un cartello ricorda che il
parcheggio della chiesa non è quello della Sinagoga. Anche se poi, come
raccontano le guide alla serie televisiva, rabbino e reverendo giocano
a basket insieme.
In
realtà l’aspetto più evidente della presenza dell’ebraismo nei Simpson
è l’uso degli stereotipi e del generale disinteresse della comunità
protestante verso la cultura ebraica. Il direttore Skinner viene
ripreso dal suo superiore perché credeva che fosse una scusa per non
andare a scuola, l’aver rivendicato la festa dello Yom Kippur: “But, but, ah, I was sure it was a phony excuse. I mean, it sounds so made-up: ‘Yom Kip-pur.”
Oppure quando Homer scambia un gruppo di rabbini hassidici per il
gruppo rock texano ZZ Top. Per non parlare di quando cerca di avere in
prestito cinquantamila dollari facendosi passare per un ebreo non
praticante che però “Now, I know I haven’t been the best Jew, but I
have rented Fiddler on the Roof and I will watch it” (so di non essere stato il migliore ebreo, ma ho affittato Fiddler on the Roof e lo vedrò). Senza
dubbio il personaggio chiave è Krusty, introdotto nella stagione
1989-1990 è diventato un personaggio fondamentale nel filone umoristico
della serie. Attorno al suo parlare e agire troviamo una impressionante
quantità di parole in yiddish come bupkes per “nulla”, schmutz per
disordine, yutz per testa vuota, come anche espressioni più complesse
come “my lucky little hamentaschen” per la figlia. Così come uno dei
nomi di Krusty è Schmoikel. In diverse situazioni l’umorismo della
serie è spesso da ebrei per ebrei, tanto che nel doppiaggio italiano si
sono perse tutte le espressioni yiddish per un italiano medio. Sempre
meglio di quel massacro che è stato compiuto con la fiction “La tata”. Brian Rosman della Brandeis University ha così commentato la presenza dell’ebraismo nei Simpson: "The
Simpsons does the funniest, most authentic parodies of Jewish life
among all the comedy shows on TV, certainly compared to shows that are
considered more ‘Jewish,’ like Seinfeld. The Simpsons demonstrates a
more intuitive understanding of American Jewish history, Jewish
religion and culture, and Judaism’s place among all the other
varieties of belief and identity in America. I only wish there was more
Jewish content on the show, because when they do it, they do it very well" (I
Simpson esprime la più simpatica, autentica parodia della vita degli
Ebrei tra tutte le fiction televisive, sicuramente confrontandola con
quella che viene considerata più ebraica fra tutte, Seinfeld. I Simpson
dimostra una particolare capacità di comprendere la storia ebraica
americana, la sua religione e cultura, e la presenza del Giudaismo tra
tutte quelle varietà di credi e identità in America. Spero soltanto che
ci siano sempre più contenuti ebraici nello show, perché quando lo
fanno, lo fanno molto bene) In realtà un po’ di mistero c’è sulle
origini dei componenti dei Simpson. Mentre Omer chiede a Marge se sono
ebrei, e le sorelle Bouvier hanno parenti con nomi come David, Levi,
Moshe, Murray e Saul, nel ripostiglio della famiglia (episodio 18,
stagione 11) vediamo una menorah... forse dopo vent’anni, appena
festeggiati, The Simpsons nasconde ancora molto sorprese.
Andrea Grilli
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Un
film già visto, un copione consunto, attori che recitano una partitura
scontata. Come definire il quadro del confronto in Medio Oriente se non
per la sua maniacale, ossessiva reiterazione dei medesimi cliché? Nel
corso di una intensa settimana un turbinio di fatti e fattacci ha
rilanciato le tensioni che, peraltro, covavano sotto le ceneri. A
titolo di riepilogo si legga il repertorio fattone da Giuseppe
Mammarella su il Messaggero.
La visita di Joe Biden si è trasformata in un vero e proprio incidente
diplomatico quando, con un tempismo un po’ sospetto, il ministro degli
interni Eli Yishai ha annunciato l’intenzione – ai più peraltro nota –
di proseguire nella costruzione di 1600 appartamenti in un’area di
Gerusalemme orientale, ovvero nella parte della municipalità divenuta
israeliana dopo il 1967. Non di meno, ai rilievi sulla scarsa
opportunità politica di affermare una volontà che è letta come
contraria al moribondo «processo di pace» è seguita la palese seccatura
americana, che nei giorni scorsi ha dominato un po’ tutte le pagine dei
giornali, tra telefonate infuriate della Clinton a Netanyahu,
dichiarazioni di ambasciatori («la crisi più grave degli ultimi anni»),
scetticismi giornalistici, sarcasmi televisivi (la rete Fox, di
proprietà di Rupert Murdoch, grande nemico del Presidente americano, ha
sparato a “palle incatenate” contro l’onta che Washington avrebbe così
subito) e analisi di grande o piccolo tenore da parte di “esperti”, più
o meno tali, chiamati al capezzale del nuovo conflitto verbale.
Probabilmente la vicenda si stempererà da sé, come già è avvenuto in
altri casi, non troppo diversi. Barack Obama, dopo avere incassato
l’indisponibilità del premier israeliano ad un significativo passo
indietro, ha gettato acqua sul fuoco, avendo lasciato decantare i
livori del momento, come sottolineano Giampiero Gramaglia su il Fatto Quotidiano e Anna Guaita su il Messaggero.
Vale tuttavia la pena di sottolineare come solo una lettura ingenua dei
rapporti tra Washington e Gerusalemme possa autorizzare a ritenere che
questi siano sempre stati informati alla linearità e alla reciprocità.
Chi ne conosce l’andamento sa che le tensioni e i dissapori sono stati
spesso la nota dominante, pure in un quadro di sostegno strategico che
già la presidenza Nixon, con la crisi del Kippur del 1973, era andata
consolidando, mantenuta e rinvigorita poi dai successori. Ai
pronunciamenti dei giorni scorsi si sono infine aggiunti i rilievi
autorevoli di Giorgio Napolitano. Il Capo dello Stato, in visita a
Damasco, ha sottolineato le sue perplessità sulla crescita degli
insediamenti ebraici nella parte orientale della capitale rispetto ai
destini futuri di un accordo tra le parti in conflitto in Cisgiordania.
Così le cronache di Marzio Breda per il Corriere della Sera, Dino Pesole su il Sole 24 Ore, Paolo Passarini per la Stampa e Marcella Ciarlanelli su l’Unità.
Nel mentre la querelle sulle metrature cubiche di Gerusalemme teneva
accesi i riflettori dell’informazione Hamas, ineffabile e puntualissima
nel recitare la sua plumbea parte di soggetto del disordine
mediorientale, proclamava la «giornata della rabbia» (difficile pensare
che possa invitare ad una mobilitazione che non sia quella basata su un
qualche risentimento) nel corso della quale si succedevano incidenti di
strada e scontri di piazza. Tanto è bastato, in un quadro ancora una
volta contrassegnato da una triste prevedibilità, perché ci fosse chi
parlava apertamente di inizio della «terza intifada». Dopo di che, a
compimento delle tensioni, nella giornata di ieri è avvenuto il lancio
di un paio razzi da Gaza, rivendicato dalle brigate Ansar al-Sunna,
delle quali ci parlano Camille Eid su il Avvenire, Aldo Baqis per la Stampa, Alberto Stabile su la Repubblica e Guido Olimpo per il Corriere della Sera,
che denunciano l’infiltrazione salafita che minaccia la stessa presenza
di Hamas. Su quest’ultima vicenda, che ha causato un morto,
significativamente non un cittadino israeliano bensì un lavoratore
straniero, si soffermano molte testate tra le quali Luca Geronico per
il Giornale, Fabrizio Battistini su il Corriere della Sera, Ugo Traballi su il Sole 24 Ore e ancora Alberto Stabile per la Repubblica.
Evento, quest’ultimo, che si è consumato nel mentre l’incaricata per la
politica estera dell’Unione Europea, Catherine Ashton, compiva il suo
tour “pastorale” in Israele e nei Territori. Che la primazia del
movimento radicale sia insidiata da gruppi e gruppuscoli di osservanza
ancora più estremista, non è una novità e si può stare certi che nei
prossimi tempi il contrasto tra questi soggetti occuperà non poco delle
cronache da Gaza. Di una vicenda parallela, la volontà di Ankara di
espellere i lavoratori armeni non in regola, alimentata dal diniego
alla dichiarazione del Congresso americano (e del Parlamento svedese),
che definisce «genocidio» l’assassinio di un milione e mezzo di loro
connazionali in Anatolia, durante la Prima Guerra Mondiale da parte
delle autorità turche, ci dà conto Luigi De Biase su il Giornale, insieme ad un commento sulla medesima testata di R.A. Segre.
che riconduce al conflitto tra islamismo e laicità la partita politica
così in corso. Tra corsi e ricorsi della storia parrebbe, un secolo
dopo, di essere ancora alla casella di partenza. La politica in Medio
Oriente è spesso qualcosa di simile ad un gioco dell’oca, dove se si
finisce nella casella sbagliata si torna ai nastri di partenza.
L’importante, a tale riguardo, è giocarsi il proprio ruolo non come
degli ingenui pennuti, se non si intende rimanere letteralmente
spennati. Vince chi è più abile, non chi fa la faccia più brutta (o più
buona). Claudio Vercelli
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Il
Quartetto per il Medio Oriente chiede a Israele
di congelare gli insediamenti Mosca, 19 mar - Il
'Quartetto per il Medio Oriente' (Russia, Usa, Ue, Onu) riunito oggi a
Mosca per cercare una soluzione alla crisi di questi giorni chiede a
Israele di congelare tutte le attività di colonizzazione. Il Quartetto
ha anche auspicato che i negoziati portino entro due anni alla
creazione di uno stato palestinese indipendente. In una dichiarazione
al termine della seduta, i capi degli esteri di Usa, Hillary Clinton,
della Russia, Serghiei Lavrov, l'alta rappresentante della politica
estera e di sicurezza dell'Ue, Catherine Ashton e il segretario
generale dell'Onu, Ban Ki-Moon, hanno espresso "profonda
preoccupazione" per il deterioramento in atto a Gaza e hanno auspicato
che "i colloqui debbano condurre a una soluzione negoziata tra le parti
(Israele e l'Autorità palestinese, ndr) entro 24 mesi". |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
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