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    22 marzo 2010 - 7 Nisan 5770  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
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  Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma Riccardo
Di Segni,

rabbino capo
di Roma
Quanti erano i partecipanti alla manifestazione di sabato pomeriggio a San Giovanni a Roma? Ogni volta che c'è un grande evento comincia il balletto delle cifre contrastanti, del partito, dei sindacati, del ministero. Siamo alla vigilia di Pesach e la memoria degli eventi lontani propone, con le debite differenze, un problema analogo. La Torà (Shemot 12:37) dice che uscirono dall'Egitto "circa 600 mila (keshes meot elef)" uomini adulti; aggiungendo donne, bambini e vecchi dovevano essere circa un milione e mezzo, più l'abbondante mescolanza ('erev rav) di non ebrei che approfittarono della circostanza per scappare. Come sono possibili cifre così alte? Sono le cifre della questura? Quella ebraica o quella egiziana? Finora nei reperti archeologici egiziani non sono state trovate conferme scritte di quel grande evento. Al punto che la moda degli storici recenti (compresi alcuni israeliani) è di dire che siccome non ci sono prove egiziane non è successo niente, non c'è mai stato Esodo e neppure schiavitù. La tendenza è quella di distruggere (e di autodistruggere) tutto, in questo caso il fondamento della nostra storia, della nostra cultura e della nostra fede. I numeri che sembrano tanti e incredibili basterebbero però per riempire tre-quattro piazze S.Giovanni. Non siamo sprovveduti senza senso critico; la tradizione in questi giorni ci prescrive due cose: ricordare e discutere. 
L'ultimo libro di Lia Levi, La sposa gentile, è un libro affascinante e di piacevole lettura. Ma è anche pieno di interesse per chi riflette sull'identità ebraica e sulla nostra storia. C'è il mondo ebraico piemontese d'inizio secolo, lo scandalo di un matrimonio misto, e la straordinaria figura della sposa "gentile" che per amore si fa più ebrea degli ebrei doc, che si comporta come un'ebrea durante tutti i lunghissimi anni del suo matrimonio, che celebra le feste e partecipa a tutti i riti. C'è una statua della Madonna che passa da un luogo della casa all'altra, ma non voglio rovinarvi la sorpresa magistrale del finale. C'è un mondo che ci appare molto famigliare, prima che la catastrofe se lo porti via, nel 1938. Ci sono molte domande inespresse e molte risposte, anche, di cui ci rendiamo conto appieno solo quando lo finiamo di leggere, scoprendoci con la testa piena di idee, di sollecitazioni, di voglia di pensare.  Anna Foa,
storica
Anna Foa, storica  
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  Qui Roma - Pluralismo e pluralità: quale futuro per l’ebraismo?
 
Qui Roma4“Pluralismo nella società e pluralità nell’ebraismo” è questo il titolo del convegno organizzato dal gruppo Martin Buber - ebrei per la pace -  svoltosi ieri a Roma al centro ebraico italiano Pitigliani”.  Nel corso dell’intera giornata di studio una molteplicità di voci si sono susseguite e hanno trovato pari cittadinanza confrontandosi l’una con l’altra intorno a temi quanto mai attuali. Multiculturalismo, identità - alterità, democrazia, laicità, pluralismo e pluralità sono stati il comun denominatore degli interventi dei vari relatori i quali hanno offerto un contributo e uno stimolo per una discussione vivace e diversificata.
La lettura del messaggio augurale del presidente emerito, Senatore Carlo Azeglio Ciampi da parte di Ugo Limentani - presidente del Pitigliani - ha dato avvio alla prima parte del convegno coordinato da Saul Meghnagi.
“Il tema posto al centro del convegno - recita il messaggio - pur nella specificità della prospettiva, interpella direttamente la coscienza degli uomini di buona volontà. Vale a dire di tutti coloro che indipendentemente dalle proprie convinzioni religiose e politiche sentono che dall’appartenenza al consorzio umano discende la possibilità di ciascuno a costruire le fondamenta del nostro essere comunità. Quelle fondamenta consistono nel riconoscimento incondizionato della dignità di ogni uomo… nelle nostre società, che pure consideriamo avamposti di civiltà quelle fondamenta mandano scricchioli che non sfuggono a orecchi sensibili. È indispensabile affinare “i sensi”.
Limentani, nel suo breve ma profondo intervento, si è detto  convinto che tale incontro, frutto di un lavoro iniziato già nei mesi passati, avrebbe offerto la possibilità di ragionare sui temi del pluralismo nella società e sulla pluralità nell’ebraismo contribuendo a mantenere viva la speranza di una maggiore coesione e rispetto tra tutti.
L’analisi delle condizioni in cui versa l’Italia ha segnato l’avvio dell’intero dibattito. Il verificarsi di una profonda trasformazione sociale, frutto di una globalizzazione non solo economica ma anche culturale, ha dato vita a un caleidoscopio di etnie che si trovano a dover convivere l’una con l’altra, fianco a fianco. Anche l’ebraismo, da sempre minoranza, si trova a interrogarsi su quali siano le conseguenze di una tale mutazione e su come si possa far conciliare il mantenimento della propria identità con l’integrazione nella società in cui si vive. Da sempre la storia del popolo ebraico è segnata dal saper convivere, dal saper partecipare attivamente alla vita civile e politica del paese da cui si è accolti pur mantenendo una propria tradizione di fede e un forte legame alla Terra e allo Stato d’Israele. “L’ebraismo  - ha affermato Renzo Gattegna, presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane - rappresenta un esempio di integrazione per tutti gli altri popoli… siamo una comunità ben inserita anche se non abbiamo rinunciato alla nostra identità”. La collettività ebraica, che non ha mai perso di vista le proprie fonti e il senso profondo del proprio esistere, ha dato testimonianza - nel corso dei tempi - di una perspicace capacità di integrazione con le realtà circostanti.
L’esistenza di una molteplicità di culture e di etnie all’interno di uno stesso paese deve essere quindi vissuta come una forma di ricchezza. Il pluralismo è un fatto essenziale anche per la conoscenza di se stessi: senza la possibilità di mettersi in relazione con l'altro la nostra identità rimane celata. Forme di pensiero e comportamenti che si chiudono in se, monolitici, totalizzanti e che negano ogni forma di dialogo rimangono assolutamente estranei all’ebraismo.
La denuncia del verificarsi di gravi e preoccupanti fatti di razzismo anima il contributo di Furio Colombo. “Vengo dall’Italia e porto brutte notizie” ha riferito il giornalista mettendo in evidenza come il paese si stia dimenticando di quei diritti civili e umani sui quali ogni democrazia dovrebbe costruire le proprie fondamenta. “C’è un’infezione che genera l’altra” continua Colombo e di cui dobbiamo prendere coscienza e darne notizia per sensibilizzare l’opinione pubblica.
Da parte sua  la società deve, però, essere in grado di offrire la possibilità alle diverse etnie di poter sopravvivere garantendo la laicità delle proprie istituzioni. “ Una società o è laica o non è democratica” sottolinea Sergio Lariccia, docente di diritto amministrativo. È necessario che le istituzioni formative diano prova di essere laiche poiché solo con ciò si può garantire l’uguaglianza di tutti. Clotilde Pontecorvo - docente di psicologia dell’educazione - poggia l’accento proprio su tale aspetto: “Solo un processo di formazione laico può rendere tutti capaci di esercitare i diritti di libertà”. Tematiche quali l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche e la presenza del crocifisso in classe sono state discusse   approfonditamente.
Giorgio Gomel ha poi guidato la seconda sessione del convegno  aperto da  Marcello Massenzio, docente di storia delle religioni, il quale ha offerto un’analisi della figura di Elie Wiesel. La ricerca del senso, della propria identità, di cosa voglia dire essere ebreo ha costituito il nucleo di questo intervento, che ha fatto riferimento in particolare al testo “A un giovane ebreo oggi” inserito nella raccolta “Al sorgere delle stelle”. La riflessione di Massenzio si è concentrata in particolare sui fattori distintivi dell’identità culturale ebraica: l’accento è caduto soprattutto sul dinamismo, sulla compresenza di tensioni contrastanti, sull’inesauribile ricerca del senso dell’esistere che rappresenta uno degli aspetti forse più interessanti sul quale ci si può interrogare.
L’orizzonte della discussione  si è poi ampliato gettando uno sguardo al di là delle Alpi. Ester Benbassa, docente di storia all’Ecole des Hates Etudes di Parigi, ha parlato, infatti, del pluralismo e del conservatorismo nel giudaismo francese offrendo al pubblico la possibilità di confrontare la propria realtà con quella di un altro paese europeo.
La sessione si è conclusa con l’intervento di Paola Di Cori, studiosa dell’ebraismo, la quale ha affrontato i temi del pluralismo, della pluralità e del multiculturalismo e secondo la quale si fa sempre più necessaria l’apertura verso le diverse istanze che agitano la nostra società. Un “monoculturalismo plurale” potrebbe non essere la giusta via da seguire.
L’idea di rispetto che anima da sempre l’ebraismo deve trovare  attuazione non solo nei confronti delle altre culture  ma anche e soprattutto all’interno dei propri “confini”.
La tavola rotonda, guidata da Piero Di Nepi,  ha concluso il convegno concentrando l’attenzione del vasto pubblico - attivo e partecipante -  alle problematiche relative a una progressiva e pericolosa diminuzione della pluralità nell’ebraismo e al conseguente allontanamento dalle comunità di tutti coloro che non si identificano in determinati modelli. L’intervento di Ugo Volli, semiologo e  presidente della sinagoga riformata di Milano Lev Chadash, ha voluto porre l’accento proprio su tale aspetto. Il perimetro identitario comune, costruito soprattutto in base alla condivisione di uno stesso destino storico, rende possibile una molteplicità di pensieri che non si possono negare ne fondere ma solo far convivere. “Il pluralismo - dice Volli - è il riconoscere all’altro il valore delle sue scelte”. Si rende sempre più necessario, quindi, delineare uno spazio nuovo che possa accogliere un ebraismo “diverso” e all’interno del quale ogni individuo può  scegliere dove collocarsi. Un tale indirizzo non mira a dissolvere le comunità ma vuole evitare un allontanamento da esse cercando di integrare  e far convivere tra loro ogni diversa istanza. Volli ha però sottolineato come il pluralismo assuma valore solo qualora parta da una concezione di valori comuni, che nel mondo contemporaneo potrebbero essere identificati come l'amore per Israele, la condivisione di un destino comune e la difesa della Memoria.
L’esistenza di una molteplicità di voci e di pluralità  è posta in evidenza anche dal presidente della Comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici. Un ebraismo a “due velocità” sembrerebbe costituire la nuova immagine degli ebrei romani. Una spaccatura tra chi si avvicina sempre più a delle forme di ortodossia e chi invece se ne allontana  si fa sempre più evidente. Un fenomeno questo che  potrebbe portare a delle gravi difficoltà. Pacifici si è comunque detto favorevole all’apertura verso modelli diversi e alla loro convivenza all'interno delle stesse realtà comunitarie. In sintonia con Volli, il presidente della maggiore comunità ebraica italiana ha riaffermato anche il valore di un'identificazione comune su valori minimi condivisi, che non devono derivare esclusivamente e immancabilmente dall'Halachà.
“Il futuro dell’ebraismo nel mondo dipende anche da come si sapranno gestire le pluralità e le mutazioni che compongono ogni comunità” riferisce Bruno Segre, direttore del periodico di vita e cultura ebraica Keshet. Ortodossi, riformati, conservatori e altri devono, secondo Gianfranco Di Segni, direttore del collegio rabbinico italiano, trovare  e creare una qualche forma di convivenza.
Una tale prospettiva si rende però possibile solo attraverso il dialogo, parola chiave a cui ogni altra rinvia. Ma il dialogo a cui si vuole far riferimento non è solo l’intreccio di discorsi pronunciati da individui la cui identità precede ed anticipa l’incontro. È un dialogo che  spinge a immergersi nella vita degli altri, cercandone il timbro spesso celato in un’aderenza ai comportamenti dettati dalla società i quali  impediscono ad ognuno di noi di manifestare la propria unicità.

Valentina Della Seta


Qui Roma - Raffaele Cantoni, ricordo a più voci

Renzo Gattegna“Raffaele Cantoni era certamente un personaggio scomodo: anticonformista e imprevedibile, sognatore e utopista, ma al tempo stesso concreto e dinamico. Mise la sua esperienza, le sue competenze amministrative, le sue amicizie politiche degli anni dell’antifascismo e della guerra di Liberazione, il suo attivismo, al servizio delle comunità ebraiche […]”. Scrive Renzo Gattegna presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane nella presentazione del libro di Sergio Minerbi “Un ebreo fra D’Annunzio e il sionismo: Raffaele Cantoni”, ristampato a cura dell'Organizzazione sanitaria ebraica e presentato alla Provincia di Roma.
Dopo il saluto di Gattegna e del rabbino capo della Comunità ebraica di Roma Riccardo Di Segni, che hanno sottolineato, attraverso testimonianze e ricordi, quanto la figura di Raffaele Cantoni sia stata importante per l’ebraismo italiano negli anni compresi fra le due guerre mondiali e nel decennio che le seguì, il presidente dell’Ose Giorgio Sestieri ha introdotto i relatori. Sono seguite le testimonianze dello storico Michele Sarfatti, direttore del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano, del professor Ferruccio Sonnino e, dello stesso autore del libro, Sergio Minerbi.
Come in un mosaico sono stati ricostruiti, attraverso ricordi, episodi e momenti drammatici, decisivi della storia degli ebrei italiani: Cantoni visse in un’epoca, quella che va dalla Prima Guerra Mondiale al Fascismo, ai campi di concentramento alla liberazione e alla ricostruzione, che contribuì con la sua opera e il suo piglio deciso a caratterizzare e influenzare.
Fu a Fiume a fianco a D’Annunzio, che abbandonò quando vide che nel movimento c’erano aspetti antisemiti, negli anni Trenta si dedicò ai profughi ebrei fuggiti dalla Germania nazista, catturato e fatto salire su un treno, che attraverso varie fermate lo avrebbe condotto a uno dei vagoni piombati diretti al campo di concentramento di Auschwitz, si salvò gettandosi dal finestrino. Dopo la guerra dedicò tutte le sue energie alla ricostruzione della Comunità ebraica di Milano, di cui fu prima commissario e poi presidente. Dal 1946 al 1951 fu alla guida dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, in questi anni a testimonianza della sua perenne attenzione per i giovani, fondò l’Ose e contribuì alla fondazione dell’Organizzazione Rieducazione Tecnica (ORT). Rappresentò l’ebraismo italiano negli anni del referendum per la Repubblica e della redazione della Costituzione, lavorò per la Aliyah Beth e fu sostenitore attivo della nascita dello stato ebraico.
Un leader informale, Raffaele Cantoni, che dedicò la sua vita e il suo impegno a far valere gli ideali in cui credeva, una vita vissuta lontano dai clamori e dalle luci della ribalta, ma la cui impronta rimane ancora oggi un indelebile contributo nella storia degli ebrei italiani.

Lucilla Efrati
 
 
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  Yerushalmi e l'identità

Donatella Di CesareChe cosa vuol dire essere ebrei? C’è una “identità” ebraica? La questione attraversa tutta la riflessione ebraica degli ultimi decenni dove le posizioni convergono almeno su un punto: che è già molto problematico parlare di “identità”. Perché significherebbe poter indicare delle caratteristiche precise che tutti dovrebbero riconoscere e accettare. C’è insomma un problema di definizione dell’ebraismo. Enumerare tratti e caratteristiche non serve. L’ebraismo sfugge ad ogni presa concettuale. È questa la sua forza. Perciò bisognerebbe imparare a parlare di “differenza” ebraica, non di identità. E si dovrebbe distinguere tra ebraismo e ebraicità.
Yosef Hayim Yerushalmi, lo storico da poco scomparso ha - forse per primo - introdotto questa distin
zione. Per Yerushalmi l’ebraismo può essere “terminabile”, come suggerisce il sottotitolo del suo libro Il Mosè di Freud. Ebraismo terminabile e interminabile. Indirettamente viene richiamata l’antica frase ebraica tam ve-lo nishlam, “finito, ma non compiuto”. Sarà dunque l’avvenire a decidere il significato di “ebreo”, “ebraico”, “ebraismo”. Ma se l’ebraismo può essere terminabile, che cos’è l’interminabile a cui Yerushalmi allude? La domanda attraversa tutto il libro e riguarda l’ebraismo di Freud: “non era ebreo né per religione, né per sentimento nazionale, né per lingua; con tutto ciò si sentiva profondamente ebreo”. Affiora così una ebraicità che “sarebbe interminabile anche quando l’ebraismo fosse terminato”. Il che scioglierebbe l’enigma dell’identità ebraica che aveva assillato Freud non meno di altri intellettuali ebrei del Novecento.
Yerushalmi è pronto a cedere su tutto. Non è però disposto a cedere sulla “assenza di speranza”. In tal senso quanto c’è di più “non-ebraico” sta nella chiusura dell’avvenire, nella disperazione. Il resto interminabile, che può infinitamente sopravvivere all’ebraismo terminabile, è l’ebraicità - jewishness, judeité. È la “piccola porta” che Walter Benjamin lascia aperta alla fine delle Tesi di filosofia della storia, è la promessa di un segreto che, senza averlo scelto, e senza neppure alla fine conoscerlo, anche gli ultimi marrani hanno custodito.
Ma l’avvenire riaffermato con un “sì” incondizionato, è la memoria dell’avvenire, il ricordo di quel che sarà, che è ancora a-venire, e si compendia nell’ingiunzione ebraica della memoria: zakhor! L’ebraicità starebbe allora nell’ingiunzione rivolta ad ogni ebreo: “in avvenire ricordati di ricordarti l’avvenire”.

Donatella Di Cesare, filosofa
 
 
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Si prepara l'incontro a Washington fra Obama e Netanyahu, che  dovrebbe sperabilmente superare la crisi diplomatica fra Stati Uniti e Israele (Il Giornale, Ethan Bronner sullo Herald Tribune) ma forse potrebbe aggravarla se davvero ci sarà un "diktat americano" come scrive speranzoso Eric Salerno (Il Messaggero).
Nel frattempo aumenta la pressione internazionale contro Israele. Ora è il segretario dell'Onu Ban a dire che bisogna "togliere il blocco a Gaza" (Aldo Baquis sulla Stampa, De Giovannangeli sull'Unità, Alberto Stabile su Repubblica). Che nel frattempo siano ricominciati a piovere razzi da Gaza verso il territorio israeliano non importa né a Ban ne alla responsabile della diplomazia europea Ashton, che ha pubblicato un mieloso articolo sullo Herald Tribune, in cui cita le esigenze israeliane di sicurezza in maniera generica e solo per non tenerne conto, e soprattutto non considera come il regime di Gaza sia costruito esattamente sull'aggressione armata al territorio israeliano e come quindi non sia possibile considerare i razzi e gli altri attentati come episodi laterali o marginali.
Aumentano anche i disordini in Cisgiordania. Due palestinesi sono morti durante scontri avvenuti in un villaggio vicino a Ramallah, colpiti dai proiettili di gomma antisommossa dei militari israeliani; altri due sono stati colpiti durante un tentativo di accoltellamento che stavano compiendo contro un soldato israeliano a un posto di blocco (Battistini sul Corriere).

Per quanto riguarda l'ebraismo italiano, molti giornali (Il Tempo, Il Corriere, Repubblica ecc.) danno notizia, evidentemente in seguito a un'azione organizzata di diffusione, della durissima lettera polemica della minoranza del Consiglio della Comunità di Roma, già circolata nei giorni scorsi negli ambienti ebraici, che attacca sul piano personale il presidente della Cer Pacifici. La notizia principale è che la lista di minoranza "dei giovani" ha deciso di tentare di avvalersi politicamente della clausola dello statuto che impone lo scioglimento del Consiglio qualora si dimetta più di un terzo dei consiglieri, organizzando le dimissioni di tutto il gruppo. Si tratta di una clausola diffusa in molti statuti associativi per garantire il funzionamento degli organismi rappresentativi in conformità alle scelte degli elettori, che in questo caso viene forzato come una forma inedita di "sfiducia di minoranza". E' uno sviluppo importante non solo perché mette in crisi, a due anni appena da un risultato elettorale molto chiaro, la più grande Comunità ebraica in Italia, ma soprattutto perché rompe il patto di governabilità che regge da sempre le comunità ebraiche italiane e pone dei problemi molto seri per il futuro di tutta la vita comunitaria. Se ogni minoranza pretendesse di avere un governo consociativo, minacciando di rovesciare il tavolo ogni volta che non si sentisse sufficientemente coinvolta, il governo delle comunità maggiori, che sono tutte divise, risulterebbe impossibile.
Ancor più seria è la questione posta dai contenuti della lettera che non espone se non marginalmente il senso politico evidente del dissenso fra destra e sinistra della Comunità romana, privilegiando invece il piano personale con insinuazioni su "favori" e "scorrettezze" che sarebbero stati commessi dagli avversari, senza peraltro specificarli in maniera tale da permettere un giudizio agli esterni, né proporre un'indagine giudiziaria o del tribunale rabbinico che è competente sui comportamenti ebraici. La demonizzazione dell'avversario in termini moralistici e non politici è un modo propagandistico purtroppo molto diffuso di recente nel nostro paese, ma questa è la prima volta che si presenta così apertamente nelle nostre comunità. I dimissionari non dicono di essere in lotta politica con una maggioranza da cui dissentono, come sarebbe legittimo, ma che questa è scorretta, moralmente squalificata, il che andrebbe dimostrato in sede giuridica e non politica.
Al di là della lesione generica ma bruciante dell'onorabilità personale di una persona importante per l'ebraismo italiano come Riccardo Pacifici, molto popolare per il suo impegno e la sua disponibilità, è inevitabile che questo tipo di insinuazioni senza contenuti precisi macchino la Comunità ebraica nel suo complesso, col rischio di scoraggiare per disgusto etico la partecipazione comunitaria e di togliere autorità morale e credibilità alla presenza ebraica nel paese - il principale patrimonio politico di cui dispone una piccola minoranza come la nostra in tempi difficili per le derive antisemite e antisraeliane così diffuse anche nel nostro paese.

Da citare ancora un episodio sconcertante di antisemitismo ad opera di un principe romano contro una commerciante, che va a processo domani (Laura Martellini sul Corriere). La Stampa pubblica una rievocazione (di Andrea Cortellessa) e il testo della corrispondenza del suo storico direttore Giulio De Benedetti, che vedeva già nel 1921 il rischio dell'antisemitismo in Germania. Da leggere infine sull'Avvenire una corrispondenza sulla "Gerusalemme che parla milanese", in particolare sull'oleh meneghino Jonathan Tedeschi, che gestisce un noto ristorante in Jaffa Street.

Ugo Volli

 
 
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Ban Ki-Moon parla dei negoziati indiretti                                          
fra palestinesi e israeliani con Netanyahu
Gerusalemme, 21 mar -
Dal processo di pace con i palestinesi alla situazione umanitaria a Gaza, al programma nucleare iraniano. Sono stati questi i temi al centro dei colloqui fra il premier israeliano Benyamin Netanyahu e il segretario generale dell'Onu Ban Ki-Moon. Sui programmi nucleari iraniani il segretario generale ha ribadito: "Preoccupa non solo Israele ma tutta la comunità internazionale". Sul conflitto israelo-palestinese invece ha  affermato che è sua intenzione chiedere il sostegno della Lega Araba ai negoziati di pace indiretti, per ottenere i quali gli Stati Uniti hanno molto faticato. Dal canto suo il premier israeliano ha menzionato sia la questione di come bloccare le forniture di armi agli Hezbollah in Libano e assicurare il rispetto della risoluzione dell'Onu 1701, sia gli sforzi per ottenere la liberazione del soldato Ghilad Shalit, dal giugno del 2006 prigioniero di Hamas a Gaza.

Egitto: liberato il giornalista israeliano di Canale 10
che lavorava a una inchiesta sugli immigrati africani

Tel Aviv, 22 mar  -
Liberato dalle autorità egiziane il giornalista Yotam Feldman, corrispondente della televisione israeliana Canale 10 e giornalista del quotidiano Haaretz. Era stato arrestato una settimana fa con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina dall’Egitto a Israele. Il giornalista è stato condotto dalla polizia egiziana dal Sinai, dove si trovava per un servizio sui rifugiati africani, che
cercano di varcare il confine israeliano, al Cairo. Le accuse sono state ritirate grazie all’intercessione del ministro israeliano degli interni Eli Yishai, in collaborazione con il responsabile della sicurezza egiziana Omar Suleiman. “Ho fatto solo il mio lavoro”, ha spiegato Feldman, figlio di un avvocato noto in Israele per il suo impegno della lotta per i diritti civili “sono andato nel Sinai per descrivere le vicende di persone costrette a compiere atti di eroismo anche in condizioni in cui le speranza di successo sono inesistenti”. La messa in onda del suo programma era fissata per mercoledì 24 marzo ma le immagini del video sono state requisite dagli egiziani.

Fernandez è il nuovo ct della Nazionale israeliana
Tel Aviv, 21 mar -
La Nazionale di calcio israeliana ha un nuovo ct, è Luis Fernandez, ex allenatore del Paris Saint Germain. "Siamo contenti di avere Luis Fernandez come allenatore. E' la scelta migliore, conosce bene la mentalità del calcio israeliano", ha dichiarato il presidente della Federazione calcio israeliana, Avi Louzoun, nel corso di una conferenza stampa dedicata al nuovo arrivato.  Gli ha fatto eco Fernandez affermando: "Sono molto felice di tornare in Israele. Il mio obiettivo è qualificare la squadra per gli Europei 2012, è una missione difficile ma credo che ce la possiamo fare".
 
 
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