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L'Unione informa |
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25 marzo 2010 - 10 Nisan 5770
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alef/tav |
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Alfonso Arbib, rabbino capo di Milano |
Tra
il terzo e il quarto bicchiere di vino, al seder di Pesach, è vietato
bere altro vino. I quattro bicchieri corrispondono alle quattro
espressioni di liberazione nella parashà di Vaerà. La terza e quarta
espressione sono "E vi libererò" e "vi prenderò come popolo". Queste
espressioni si riferiscono a due momenti precisi, il momento
dell'uscita dell'Egitto e quello del dono della Torà. Secondo il
Maharal di Praga non ci deve essere interruzione tra il terzo e il
quarto bicchiere perché l'uscita dall'Egitto, se da una parte è un
momento esaltante di libertà, può diventare anche un momento
pericoloso. L'uscita dall'Egitto significa che si chiudono i conti con
secoli di asservimento sia materiale sia culturale alla civiltà
egiziana. Tutto questo viene cancellato e vengono cancellati in
particolare gli idoli egiziani. Si fa tabula rasa ma la tabula rasa
crea un vuoto culturale e in genere i vuoti vengono riempiti, il
rischio è che vengano riempiti da altri idoli non meno pericolosi e
deleteri da quelli egiziani. Per questo motivo è necessario che al
terzo bicchiere segua immediatamente il quarto, il Mattàn Torà. |
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Il
presidente Barack Obama è riuscito a far approvare dal parlamento
americano la nuova legge sull'assicurazione sanitaria obbligatoria, e
ha così conseguito il suo primo grande successo politico. Con il fatto
di avere circa 40 milioni di abitanti privi di ogni tutela, gli Stati
Uniti - oltre a essere una grande potenza - erano finora anche un paese
terzomondista. La riforma sulla salute è uno di quei provvedimenti
memorabili che hanno plasmato l'America contemporanea, come il
programma della rete autostradale del presidente Ike Eisenhower, gli
interventi antisegregazionisti e l'inizio dell'avventura spaziale di
John Kennedy, le leggi sull'ampliamento dell'immigrazione e sulla
tutela economica degli anziani di Lyndon Johnson. Ma era dal 1965 che
negli USA non passava alcuna grande riforma economica e sociale, e
Obama è riuscito a farlo mentre altri prima di lui avevano fallito. E
questo nonostante l'opposizione feroce della minoranza repubblicana che
ha difeso a oltranza il contenimento della spesa pubblica ma anche gli
interessi delle grandi compagnie di assicurazione. Obama, dopo un anno
di incerto governo, riesce ad affermarsi come un presidente di grande
carattere e capacità politica sulla scena interna, e da questo può
emergere anche un Obama più autorevole e decisionista sul piano
internazionale. Farebbero bene a prenderne nota quegli amici di Israele
che hanno sviluppato il pensiero debole di un presidente americano in
declino e incapace di governare, presto sostituito da qualcun altro,
privo di una coerente politica estera, e al quale si può imporre
qualsiasi fatto compiuto maturato in un Medio Oriente senza leggi. |
Sergio Della Pergola, Università Ebraica di Gerusalemme |
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Spazio e tempo per il dibattito
La
modifica dello Statuto dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane non
è un obbligo, né esiste alcun termine temporale per realizzarla. Il
Congresso del 2006 approvò una specifica mozione per impegnare il
Consiglio ad affrontare questo argomento. A tale scopo il Consiglio ha
costituito una Commissione ampia e rappresentativa di tutte le
componenti e di tutte le tendenze alla quale, ha affidato il compito di
formulare una o più ipotesi, stilate in forma giuridicamente corretta,
per regolamentare una materia così istituzionalmente e socialmente
rilevante, così politicamente sensibile, così culturalmente
coinvolgente. Può accadere che nel corso del prossimo congresso
emerga un’ampia convergenza per approvare alcune modifiche o, al
contrario, può accadere che, in mancanza di opinioni largamente
condivise, si decida di proseguire il dibattito interno all’UCEI e di
rinviare ogni decisione. Non ci troviamo in una situazione di
emergenza. Perché la disciplina attualmente in vigore, anche se fondata
su una struttura che non consente la migliore rappresentatività di
tutte le comunità e non facilita i collegamenti e gli scambi con le
altre comunità sia italiane che estere, si è comunque dimostrata capace
di far funzionare le nostre istituzioni. Qualsiasi modifica dovrà
quindi essere migliorativa in senso generale e nessuno dovrà
esercitare, subire, o avere la sensazione di subire pressioni o
prevaricazioni. Il Consiglio ha il dovere ed intende svolgere
questa funzione di garanzia sia durante la fase preparatoria
attualmente in corso, sia durante il prossimo Congresso. Rimane viva la
speranza che maturino positivi risultati suscettibili di immediata
applicazione. Qualora questo non si dimostrasse possibile, il
Consiglio, piuttosto che adottare decisioni che rischierebbero di
costituire il presupposto di gravi contrapposizioni o di fratture
interne, riterrebbe di gran lunga preferibile utilizzare i prossimi
appuntamenti come occasioni di dibattito, di approfondimento e di
ricerca di soluzioni condivise. Concludo con due semplici riflessioni:
anche se non si è pressati da termini perentori, rinviare troppo a
lungo aggiornamenti utili o necessari, espone al rischio di essere
superati dai tempi o degli eventi; l’unanimità dei consensi, oltre ad
essere una pura utopia, non è auspicabile, perché potrebbe essere il
sintomo rivelatore di una preoccupante caduta dello spirito critico o
di una inaccettabile compressione della libertà di pensiero.
Renzo Gattegna, presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (da Pagine Ebraiche, aprile 2010)
Il laboratorio della riforma
Con
quali strumenti si governano gli ebrei italiani? E perché oggi si
interrogano e discutono di se e di come aggiornare gli istituti che
regolano la loro vita comune? Interrogativi all’apparenza oziosi, o
quantomeno riservati a un ridottissimo circolo di persone all’interno
di una minoranza già piccola nei numeri. Che interesse può rivestire,
sotto il profilo giornalistico, tutto ciò per il comune lettore? Al di
là delle apparenze, il fermento che attraversa le istituzioni ebraiche
riveste un interesse che va ben al di là dell’attenzione manifestata
dagli addetti ai lavori. Perché intraprendere la strada difficile
indicata dal mandato congressuale del 2006 che metteva l’accento sulla
necessità di aggiornare gli statuti dell’ebraismo italiano dimostra
innanzitutto come questa piccola realtà continui a essere un mondo
molto diversificato anche nelle proprie identità culturali, storiche e
geografiche. Perché dimostra che gli ebrei italiani non hanno perso il
gusto di discutere e di confrontarsi. Perché dimostra che dopo duemila
anni la più antica comunità della Diaspora non ha perso la voglia di
progettare il futuro, di cercare risposte adeguate alle sfide dei tempi
che ci attendono. Il tracciato dei tempi e dei modi della riforma,
avverte il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
Renzo Gattegna, resta ancora da definire. E sarà segnato tenendo sempre
in vista la necessità di raggiungere senza fretta e senza forzature
intese le più largamente condivise. Il lavoro fin qui svolto e ancora
non concluso, fa presente il presidente della Commissione per la
riforma Valerio Di Porto, al di là di ogni pospagineebraiche sibile
interpretazione e variazione, costituisce un patrimonio di ragionamenti
che potranno in ogni caso rivelarsi utili. “La riforma – commenta
appena eletto alla presidenza dell’Assemblea rabbinica italiana il
rabbino capo di Venezia Elia Richetti (nuovo vicepresidente è il
rabbino capo di Bologna, Alberto Sermoneta e segretario il rabbino capo
di Genova, Giuseppe Momigliano) - dovrà tenere certo conto dei rapporti
numerici, ma anche della necessità di rispettare l’identità delle 21
comunità”. Una riforma, spiega su queste pagine il rabbino capo di Roma
Riccardo Di Segni, è auspicabile solo a condizione che risponda davvero
alle esigenze di equa rappresentatività, efficacia, equilibrio e
rispetto dei ruoli. Affrontare il cambiamento, afferma il presidente
della Comunità ebraica di Milano Leone Soued, è necessario per
garantire governabilità ed efficacia. E dalle 21 città dove ha sede,
talvolta da millenni, una comunità ebraica si moltiplicano le voci, si
fanno strada nuove riflessioni. L’esigenza di capire, di discutere, di
confrontarsi nel rispetto di tutte le opinioni, costituisce un fermento
di dinamismo. E forse, una nuova volta, la minoranza ebraica
rappresenta un laboratorio, un piccolo campione ricco di esperienze e
di idee della società in cui viviamo. Consapevole delle proprie radici,
ma fermamente rivolto all’avvenire.
g.v. (da Pagine Ebraiche, aprile 2010) |
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Alla vigilia di Pesach, polemiche e riflessioni sul futuro
Siamo
in preparazione febbrile a Pesach che, come dovrebbe essere noto, serve
a trasmettere il ricordo dell'uscita dall'Egitto del popolo ebraico,
momento fondante della nostra storia. Attenzione però alle modalità. In
questa turbolenta settimana di bagno mediatico, un brillante giovane
impegnato in attività comunitaria ci ha segnalato "il pericolo ...che
per gli ebrei italiani l'identità diventi un fatto esclusivo" (Corriere
della Sera, 23 Marzo). Fermi tutti. Mi era sembrato di leggere che al
momento dell'uscita dall'Egitto, "una mescolanza numerosa" ('erev rav),
non ebraica, approfittò dell'apertura dei cancelli per scappare verso
la libertà (Shemot 12:38). Per noi, per quanto viziati dalla malattia
"monoidentitaria esclusiva", la libertà nostra è anche libertà per gli
altri. Non ci siamo dimenticati di questa storia, ma neppure dei guai
che la convivenza con la numerosa mescolanza ci procurò negli anni
successivi. Ci sarebbe bisogno di un "modello diverso", dichiara il
giovane: "Un ebraismo che si occupi dei diritti, della difesa dei più
deboli, ovviamente della propria vita religiosa e culturale ma in una
visione di scambio e di incontro con le nuove realtà della nostra
società."Ma è vero che non ci preoccupiamo dei più deboli? E non è
essenziale la conservazione dei nostri riti per formare la coscienza e
la sensibilità squisitamente ebraica per questi problemi? E quali
sarebbero le nuove realtà con le quali non ci incontriamo? E qual è, in
questo manifestino elettorale, la scala di priorità per un dirigente
comunitario ebraico?.
Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma
Il rancio
Sulla
storia della presenza ebraica nella terra chiamata Israele, preesiste
una barriera che non è costituita dall'ignoranza della Storia, ma dalla
muraglia del pregiudizio. Si dà per scontato che esistano diritti
oggettivi dei palestinesi, e ciò sottintende a sua volta, o forse
nasconde, che gli ebrei debbano ringraziare il mondo di avere avuto il
permesso di vivere dove non ne avevano il diritto. Ogni giorno
prendiamo di questo rancio tossico e malcotto. Tuttavia, potremmo
considerare che la pace si fa con sacrifici e umiliazioni, e che
esistono dei diritti se non naturali, politici del popolo palestinese,
delle giuste aspirazioni a una propria patria, e che ciò va corroborato
dai sacrifici delle due parti. Un giorno, quasi più fatalmente che
politicamente, dovrà esser dato spazio all'esistenza di una patria
palestinese accanto a quella di una patria ebraica. Per farlo,
bisognerà sacrificare pezzi di terra, di storia, di cultura, e cioè
vie, colline e rioni dove gli ebrei hanno abitato migliaia di anni,
quando i collettivi universitari e la jihad non esistevano. Ma per
quanto sia difficile allestire la pace con i Palestinesi, in modo
sostanziale e paradossale il nemico più ostico della pace non è
costituito da Hamas o da Teheran. Ma dal pregiudizio europeo.
Il Tizio della Sera
Ecco nella sua versione integrale l'intervento di ieri che è stato pubblicato con alcune imperfezioni.
A proposito di antisemitismo - 4
Un’ultima
importante considerazione da fare in tema di antisemitismo riguarda il
diffuso e multiforme uso del ricordo della Shoah in chiave antiebraica. Com’è
noto, se tale evento, soprattutto negli ultimi trent’anni, è assurto,
nella cultura occidentale, a massimo simbolo universale di una forma di
memoria e coscienza necessaria e condivisa (venendo fatto oggetto, in
Europa e in Nordamerica, di molteplici iniziative di studio,
commemorazione e interpretazione, a livello etico, pedagogico, storico,
artistico ecc., in ambito tanto pubblico quanto privato, con il
coinvolgimento attivo di numerosissime autorità civili e religiose,
moltissimi docenti e discenti, di tutte le età, moltitudini di
cittadini di ogni nazione), suscita un interesse ben diverso nel mondo
islamico, le cui posizioni, di fronte ad esso, sono essenzialmente
quattro. La prima, molto diffusa, è la rimozione: della Shoah non
si deve parlare mai, né nei libri di scuola né altrove, perché è un
non-evento, qualcosa che non è accaduto o di cui, anche se è accaduto,
è meglio tacere. È la posizione prevalente nei Paesi arabi cosiddetti
moderati, e che ora appare promossa attivamente anche dal governo della
civilissima Gran Bretagna, che ha invitato le autorità scolastiche a
dare minore rilievo a tale argomento, per non “urtare la
suscettibilità” degli scolari di fede islamica e delle loro famiglie. Una
seconda posizione è quella negazionista: della Shoah occorre parlare,
ma solo per dire che non è mai esistita, se non come menzogna inventata
ad arte dal “complotto sionista”. Una tesi ben nota, che ha molti
sponsor di prestigio, primo fra tutti il Presidente iraniano Rafsanjani. Terza
posizione: la Shoah è esistita, ma è stata opera degli stessi ebrei,
che dovevano precostituire una scusa valida per ottenere
l’autorizzazione alla creazione di Israele. È l’argomento, fra l’altro,
della tesi di dottorato, intitolata, "La connessione tra nazismo e
sionismo”, discussa al Collegio Orientale di Mosca, nel 1982, da
Mahmoud Abbas (Abu Mazen), attuale Presidente dell’Autonomia
Palestinese, beniamino dell’Occidente per la sua ‘moderazione’. Quarta
e ultima posizione, più esplicita e sincera: la Shoah c’è stata, ed è
stata un’ottima cosa, come “vendetta anticipata” dei crimini di
Israele: un plauso stampato, per esempio, su dei grandi manifesti,
distribuiti tra il pubblico, in migliaia di copie, in occasione della
conferenza ONU di Durban del 2001 “contro il razzismo”. Quel che
viene da chiedersi, ancora una volta, è come mai l’Occidente, se
avverte il bisogno di commemorare le vittime della Shoah, non avverta,
proprio mai, il bisogno si riflettere, almeno un minimo, su tale
diversità di approccio da parte dei propri vicini, né di tenerne conto,
in qualche misura, per valutare il loro livello di sensibilità morale e
di considerazione dei diritti umani. P.S. Se è difficile fare una
classifica, sul piano di tale ‘controcommemorazione’, fra i vari Paesi
arabi, certamente nessuno è secondo alla Siria, i cui libri, giornali e
mass-media trattano della Shoah, nei modi su ricordati (spesso nello
stesso contesto, e poco importa che le varie teorie si contraddicano
platealmente l’un l’altra), con alta frequenza e grande risalto
(insieme al completo campionario delle altre amenità antiebraiche). E
ha suscitato un certo turbamento, nei giorni scorsi, ascoltare il
Presidente della Repubblica Italiana, mentre, innanzi al Presidente
siriano (lo stesso che, alla presenza di Giovanni Paolo II, ricordò,
nel 2001, che gli ebrei hanno torturato Gesù e perseguitato Maometto),
si diceva “molto preoccupato” per il comportamento di Israele. Avremmo,
certamente, preferito che quella visita non si svolgesse; ma, se
proprio la ragion di stato lo imponeva, non avremmo voluto sentire
quelle parole, pronunciate davanti a quell’interlocutore. Quanto è
grande la stima che abbiamo sempre avuto per Giorgio Napolitano, tanto
dolorosa è stata, stavolta, la delusione.
Francesco Lucrezi, storico |
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Ardeatine, insieme per non dimenticare Intensa.
Lunga. Una cerimonia a cui non è voluto mancare il capo dello Stato:
«Un'occasione per rinnovare la memoria». E ancora: «Onorare la
Costituzione rispettando tutte le istituzioni dello Stato democratico».
Sono i moniti lanciati dal presidente della Repubblica Giorgio
Napolitano ieri alle Fosse Ardeatine nel 66esimo anniversario
dell'eccidio nazi-fascista, presenti centinaia di studenti giunti da
varie parti d'Italia. La zona blindata e chiusa al traffico per le
presenze delle autorità. La lettura dei nomi dei caduti, la preghiera
cattolica e quella ebraica, l'intervento dell'Anfim. Un appuntamento
importante per la città e per la collettività: «Ho il dovere, come è
scritto nella Costituzione, di rappresentare l'unità nazionale, sono
qui per ribadire che dopo la tragica esperienza della barbarie nazista
è nato lo Stato democratico con la sua Costituzione che noi dobbiamo
onorare nel rispetto di tutte le istituzioni», ha continuato
Napolitano. «Questa dev'essere un'occasione per rinnovare la memoria»,
ha dichiarato il primo cittadino Gianni Alemanno, «bisogna tramandarla
anche quando non ci saranno più testimoni diretti attraverso luoghi
come il museo della Shoah e Forte Bravetta». Per Nicola Zingaretti,
presidente della Provincia di Roma. «Chi scelse un luogo così nascosto
per commettere l'eccidio una cava ai margini della città, lo ha fatto
nella speranza che tutto rimanesse nascosto e che si dimenticasse. Non
è stato così e questa cerimonia conferma quanto sia importante non
dimenticare. Per intorno a noi c'è un forte clima di intolleranza che
preoccupa». Presenti il vicepresidente del Senato, Vannino Chiti, il
presidente della Provincia Nicola Zingaretti, il vicepresidente della
Regione Esterino Montino, i rappresentanti della Comunità Ebraica
Riccardo Pacifici, Renzo Gattegna e il rabbino capo Riccardo Di Segni.
[…] Ester Mieli, Libero, 25 marzo 2010
Gli ultimi ricorsi al Tar, poi si va alle urne Schivato
- per ora - il rinvio, bocciata la lista del Pdl, restano due scogli
prima del voto del 28 e 29 marzo: due ricorsi al Tar, uno del Partito
Liberale e l'altro di «Rete Liberal» guidata da Vittorio Sgarbi.
[…] […] Sul fronte delle due candidate, botta e risposta a
distanza tra Emma Bonino e Renata Polverini. Argomento, il nuovo faccia
a faccia televisivo (sarebbe stato il terzo consecutivo) saltato perché
la Polverini aveva «altri impegni già presi». «Ha fatto bene a non
venire ha detto la Bonino tanto la campagna elettorale nel Lazio la sta
facendo Berlusconi con le sue telefonate fiume». I1 riferimento è
all'intervento del premier a «Uno Mattina» dove ha detto che «la
Polverini difende la famiglia, la Bonino no». La candidata del
centrodestra replica alla radicale:« Io non mi sono mai assentata dal
Lazio, mentre oggi la Bonino è in Piemonte (per un'iniziativa con
Mercedes Bresso, ndr). E chi sta con me sa che mi alzo all'alba, sto
fuori tutto il giorno, non dormo, non ceno...», la replica. La
Polverini dopo le Fosse Ardeatine è stata ospite della Comunità
ebraica. Due gli impegni assunti col rabbino capo Riccardo Di Segni e
col presidente della Comunità Riccardo Pacifici: «Apprezzo molto
l'ospedale israelitico e la scuola ebraica». Per la sindacalista, anche
un fuoriprogramma. Dopo aver ricevuto in dono delle ciambelline,
uscendo dalla Sinagoga è stata «intercettata» dai proprietari di una
pasticceria del ghetto: «Ma che fa, prende i dolci della concorrenza?»,
le hanno detto. E così la Polverini è entrata, acquistando una torta.
La Bonino, invece, ha parlato del futuro: «Incarichi a Pan- nella?
Perché no, ma non credo che vorrà. Ma ho già in mente alcuni nomi per
la giunta, mica sono Alice nel paese delle meraviglie». [...] Ernesto Menicucci, il Corriere della Sera, 25 marzo 2010
Netanyahu non cederà. Ecco i suoi dieci motivi Dopo
tre ore trascorse alla Casa Bianca di cui una e mezza a quattr'occhi
col Presidente Obama la crisi provocata dalla decisione di Netanyahu di
continuare a costruire alloggi alla periferia di Gerusalemme Est (e in
una casa di antica proprietà ebraica nel quartiere arabo di SheiK
Jerrah dove nel 1947 i palestinesi sterminarono sotto gli occhi degli
inglesi un convoglio medico ebraico) resta insoluta e grave. Non è la
prima e la peggiore fra i due Paesi perché avviene in condizioni
differenti dalle precedenti. Ad esempio non è l'ultimatum dato da
Eisenhower a Ben Gurion del 1956 di ritirarsi dall'Egitto; non è la
«revisione» dei rapporti minacciata da Kissinger nel 1975 che obbligò
Rabin a evacuare il Sinai; non è neppure la minaccia di cancellare la
copertura dei crediti nel 1991 se non fosse mutata l'occupazione della
Palestina. E' una crisi fastidiosa per ambo le parti che l'incontro di
martedì pomeriggio fra Obama e Netanyahu ha aggravato, sia per la
difficoltà reciproca di salvare la faccia sia perché gli americani non
credono alla buona fede del premier israeliano. Vediamo dieci ragioni
per cui Netanyahu manterrà una linea di «schiena diritta» nei confronti
della Casa Bianca. [...] R. A. Segre, il Giornale, 25 marzo 2010 |
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Pesach: anche all'Unione momenti di studio e di riflessione Roma, 25 mar - “Il
concetto di pochi ma buoni, non è caratterizzante dell’ebraismo, che
richiama nel suo ambito l’elemento composito di una comunità che
contiene in sé ogni tipo di individuo: i giusti, i mediocri e i
malvagi”, ha detto, fra l'altro, il rav Roberto Della Rocca, direttore
del dipartimento Educazione e cultura dell’Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane, in un intervento che
si è svolto durante un momento di incontro alla vigilia delle festività
di Pesach nella sede Ucei. Assieme al personale dell'Unione erano
presenti il presidente Renzo Gattegna e l’assessore al Bilancio Anselmo
Calò. Il rav si è soffermato sui concetti di responsabilità e di
delega: “Se delego una persona a rappresentarmi - ha detto - gli
attribuisco la mia fiducia e allo stesso tempo questa persona accetta
su di sé la responsabilità di comportarsi come io stesso mi
comporterei”. Questo concetto, tipico di ogni comunità ebraica, può
essere preso in considerazione per un grande o per un piccolo ambito e
quindi anche in un ambiente di lavoro, dove ognuno deve rispondere
delle proprie responsabilità e portare la responsabilità dei colleghi.
L'incontro si è concluso con il saluto del presidente Gattegna, che ha
espresso a tutti il proprio augurio di una stagione serena e
costruttiva.
Crisi Usa-Israele, la stampa israeliana: “Netanyahu è stato messo alle strette” Gerusalemme, 25 mar - Preoccupato
il giudizio della stampa israeliana alla conclusione del viaggio del
premier israeliano Benyamin Netanyahu negli Usa. Il presidente Barack
Obama ha posto “con le spalle al muro” Netanyahu avanzando una serie di
richieste in tema di processo di pace con i palestinesi. “Obama ha
posto richieste che per Israele sarà difficile accettare", afferma il
quotidiano israeliano Yadioth Aharonot. Il Maariv, cita una fonte
governativa americana, secondo la quale "Obama si è stufato delle
tattiche dilatorie" di Netanyahu e in un commento parla di un "agguato"
teso a Netanyahu dal governo americano. Haaretz: "Si aggrava la crisi
con gli Usa: Obama esige da Netanyahu impegni scritti per passi volti a
creare un clima di fiducia" in vista di negoziati di pace indiretti con
i palestinesi. Netanyahu, afferma il giornale, esce da Washington
"isolato, umiliato e indebolito". Netanyahu, dal canto suo, tornato in
patria al momento della partenza da Washington aveva affermato:
"Pensiamo di aver trovato un modo eccellente di permettere agli
americani di far avanzare il processo di pace e al contempo di
preservare i nostri interessi nazionali". Tornato in patria il premier
israeliano riunirà subito i sette ministri del 'gabinetto informale'
per le questioni politiche e militari per riferire dei colloqui
americani ed esaminare i passi successivi.
Bashar al Assad a Israele: “Vogliamo la pace, ma non abbiamo fiducia nel governo Netanyahu” Damasco, 25 mar - “Il
nostro Paese resta impegnato nella ricerca della pace con Israele, ma
non fiducia nell'attuale governo israeliano”, così il presidente
siriano Bashar al-Assad si è pronunciato sui negoziati con Israele. E
ancora il capo dello stato siriano ha avvertito Israele: "Non vi sono
altre opzioni al di fuori della pace. Israele è più debole e la forza
militare non può più da sola garantire la sua esistenza". Assad ha
detto poi che la Siria, con l'Iran paese sponsor degli Hezbollah,
continuerà a sostenere quelli che ha definito i movimenti di resistenza
del mondo arabo. "Ma anche loro vogliono la pace, anzi sono nati
proprio per l'assenza di pace", ha affermato. |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei
l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere
ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo
e-mail, scrivete a: desk@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”. |
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