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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
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  Alfonso Arbib Alfonso
Arbib,

rabbino capo
di Milano
Tra il terzo e il quarto bicchiere di vino, al seder di Pesach, è vietato bere altro vino. I quattro bicchieri corrispondono alle quattro espressioni di liberazione nella parashà di Vaerà. La terza e quarta espressione sono "E vi libererò" e "vi prenderò come popolo". Queste espressioni si riferiscono a due momenti precisi, il momento dell'uscita dell'Egitto e quello del dono della Torà. Secondo il Maharal di Praga non ci deve essere interruzione tra il terzo e il quarto bicchiere perché l'uscita dall'Egitto, se da una parte è un momento esaltante di libertà, può diventare anche un momento pericoloso. L'uscita dall'Egitto significa che si chiudono i conti con secoli di asservimento sia materiale sia culturale alla civiltà egiziana. Tutto questo viene cancellato e vengono cancellati in particolare gli idoli egiziani. Si fa tabula rasa ma la tabula rasa crea un vuoto culturale e in genere i vuoti vengono riempiti, il rischio è che vengano riempiti da altri idoli non meno pericolosi e deleteri da quelli egiziani. Per questo motivo è necessario che al terzo bicchiere segua immediatamente il quarto, il Mattàn Torà. 
Il presidente Barack Obama è riuscito a far approvare dal parlamento americano la nuova legge sull'assicurazione sanitaria obbligatoria, e ha così conseguito il suo primo grande successo politico. Con il fatto di avere circa 40 milioni di abitanti privi di ogni tutela, gli Stati Uniti - oltre a essere una grande potenza - erano finora anche un paese terzomondista. La riforma sulla salute è uno di quei provvedimenti memorabili che hanno plasmato l'America contemporanea, come il programma della rete autostradale del presidente Ike Eisenhower, gli interventi antisegregazionisti e l'inizio dell'avventura spaziale di John Kennedy, le leggi sull'ampliamento dell'immigrazione e sulla tutela economica degli anziani di Lyndon Johnson. Ma era dal 1965 che negli USA non passava alcuna grande riforma economica e sociale, e Obama è riuscito a farlo mentre altri prima di lui avevano fallito. E questo nonostante l'opposizione feroce della minoranza repubblicana che ha difeso a oltranza il contenimento della spesa pubblica ma anche gli interessi delle grandi compagnie di assicurazione. Obama, dopo un anno di incerto governo, riesce ad affermarsi come un presidente di grande carattere e capacità politica sulla scena interna, e da questo può emergere anche un Obama più autorevole e decisionista sul piano internazionale. Farebbero bene a prenderne nota quegli amici di Israele che hanno sviluppato il pensiero debole di un presidente americano in declino e incapace di governare, presto sostituito da qualcun altro, privo di una coerente politica estera, e al quale si può imporre qualsiasi fatto compiuto maturato in un Medio Oriente senza leggi. Sergio
Della Pergola,
Università Ebraica di Gerusalemme
Sergio Della Pergola  
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Spazio e tempo per il dibattito


Prima pagine Pagine EbraicheLa modifica dello Statuto dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane non è un obbligo, né esiste alcun termine temporale per realizzarla. Il Congresso del 2006 approvò una specifica mozione per impegnare il Consiglio ad affrontare questo argomento. A tale scopo il Consiglio ha costituito una Commissione ampia e rappresentativa di tutte le componenti e di tutte le tendenze alla quale, ha affidato il compito di formulare una o più ipotesi, stilate in forma giuridicamente corretta, per regolamentare una materia così istituzionalmente e socialmente rilevante, così politicamente sensibile, così culturalmente coinvolgente.
Può accadere che nel corso del prossimo congresso emerga un’ampia convergenza per approvare alcune modifiche o, al contrario, può accadere che, in mancanza di opinioni largamente condivise, si decida di proseguire il dibattito interno all’UCEI e di rinviare ogni decisione. Non ci troviamo in una situazione di emergenza. Perché la disciplina attualmente in vigore, anche se fondata su una struttura che non consente la migliore rappresentatività di tutte le comunità e non facilita i collegamenti e gli scambi con le altre comunità sia italiane che estere, si è comunque dimostrata capace di far funzionare le nostre istituzioni. Qualsiasi modifica dovrà quindi essere migliorativa in senso generale e nessuno dovrà esercitare, subire, o avere la sensazione di subire pressioni o prevaricazioni.
Il Consiglio ha il dovere ed intende svolgere questa funzione di garanzia sia durante la fase preparatoria attualmente in corso, sia durante il prossimo Congresso. Rimane viva la speranza che maturino positivi risultati suscettibili di immediata applicazione. Qualora questo non si dimostrasse possibile, il Consiglio, piuttosto che adottare decisioni che rischierebbero di costituire il presupposto di gravi contrapposizioni o di fratture interne, riterrebbe di gran lunga preferibile utilizzare i prossimi appuntamenti come occasioni di dibattito, di approfondimento e di ricerca di soluzioni condivise. Concludo con due semplici riflessioni: anche se non si è pressati da termini perentori, rinviare troppo a lungo aggiornamenti utili o necessari, espone al rischio di essere superati dai tempi o degli eventi; l’unanimità dei consensi, oltre ad essere una pura utopia, non è auspicabile, perché potrebbe essere il sintomo rivelatore di una preoccupante caduta dello spirito critico o di una inaccettabile compressione della libertà di pensiero.

Renzo Gattegna, presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
(da Pagine Ebraiche, aprile 2010)


Il laboratorio della riforma

Prima pagine Pagine EbraicheCon quali strumenti si governano gli ebrei italiani? E perché oggi si interrogano e discutono di se e di come aggiornare gli istituti che regolano la loro vita comune? Interrogativi all’apparenza oziosi, o quantomeno riservati a un ridottissimo circolo di persone all’interno di una minoranza già piccola nei numeri. Che interesse può rivestire, sotto il profilo giornalistico, tutto ciò per il comune lettore? Al di là delle apparenze, il fermento che attraversa le istituzioni ebraiche riveste un interesse che va ben al di là dell’attenzione manifestata dagli addetti ai lavori. Perché intraprendere la strada difficile indicata dal mandato congressuale del 2006 che metteva l’accento sulla necessità di aggiornare gli statuti dell’ebraismo italiano dimostra innanzitutto come questa piccola realtà continui a essere un mondo molto diversificato anche nelle proprie identità culturali, storiche e geografiche. Perché dimostra che gli ebrei italiani non hanno perso il gusto di discutere e di confrontarsi. Perché dimostra che dopo duemila anni la più antica comunità della Diaspora non ha perso la voglia di progettare il futuro, di cercare risposte adeguate alle sfide dei tempi che ci attendono. Il tracciato dei tempi e dei modi della riforma, avverte il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna, resta ancora da definire. E sarà segnato tenendo sempre in vista la necessità di raggiungere senza fretta e senza forzature intese le più largamente condivise. Il lavoro fin qui svolto e ancora non concluso, fa presente il presidente della Commissione per la riforma Valerio Di Porto, al di là di ogni pospagineebraiche sibile interpretazione e variazione, costituisce un patrimonio di ragionamenti che potranno in ogni caso rivelarsi utili. “La riforma – commenta appena eletto alla presidenza dell’Assemblea rabbinica italiana il rabbino capo di Venezia Elia Richetti (nuovo vicepresidente è il rabbino capo di Bologna, Alberto Sermoneta e segretario il rabbino capo di Genova, Giuseppe Momigliano) - dovrà tenere certo conto dei rapporti numerici, ma anche della necessità di rispettare l’identità delle 21 comunità”. Una riforma, spiega su queste pagine il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, è auspicabile solo a condizione che risponda davvero alle esigenze di equa rappresentatività, efficacia, equilibrio e rispetto dei ruoli. Affrontare il cambiamento, afferma il presidente della Comunità ebraica di Milano Leone Soued, è necessario per garantire governabilità ed efficacia. E dalle 21 città dove ha sede, talvolta da millenni, una comunità ebraica si moltiplicano le voci, si fanno strada nuove riflessioni. L’esigenza di capire, di discutere, di confrontarsi nel rispetto di tutte le opinioni, costituisce un fermento di dinamismo. E forse, una nuova volta, la minoranza ebraica rappresenta un laboratorio, un piccolo campione ricco di esperienze e di idee della società in cui viviamo. Consapevole delle proprie radici, ma fermamente rivolto all’avvenire.

g.v.
(da Pagine Ebraiche, aprile 2010)
 
 
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  Alla vigilia di Pesach, polemiche e riflessioni sul futuro

Ricccardo Di SegniSiamo in preparazione febbrile a Pesach che, come dovrebbe essere noto, serve a trasmettere il ricordo dell'uscita dall'Egitto del popolo ebraico, momento fondante della nostra storia. Attenzione però alle modalità. In questa turbolenta settimana di bagno mediatico, un brillante giovane impegnato in attività comunitaria ci ha segnalato "il pericolo ...che per gli ebrei italiani l'identità diventi un fatto esclusivo" (Corriere della Sera, 23 Marzo). Fermi tutti. Mi era sembrato di leggere che al momento dell'uscita dall'Egitto, "una mescolanza numerosa" ('erev rav), non ebraica, approfittò dell'apertura dei cancelli per scappare verso la libertà (Shemot 12:38). Per noi, per quanto viziati dalla malattia "monoidentitaria esclusiva", la libertà nostra è anche libertà per gli altri. Non ci siamo dimenticati di questa storia, ma neppure dei guai che la convivenza con la numerosa mescolanza ci procurò negli anni successivi. Ci sarebbe bisogno di un "modello diverso", dichiara il giovane: "Un ebraismo che si occupi dei diritti, della difesa dei più deboli, ovviamente della propria vita religiosa e culturale ma in una visione di scambio e di incontro con le nuove realtà della nostra società."Ma è vero che non ci preoccupiamo dei più deboli? E non è essenziale la conservazione dei nostri riti per formare la coscienza e la sensibilità squisitamente ebraica per questi problemi? E quali sarebbero le nuove realtà con le quali non ci incontriamo? E qual è, in questo manifestino elettorale, la scala di priorità per un dirigente comunitario ebraico?.

Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma




Il rancio

Tizio Della SeraSulla storia della presenza ebraica nella terra chiamata Israele, preesiste una barriera che non è costituita dall'ignoranza della Storia, ma dalla muraglia del pregiudizio. Si dà per scontato che esistano diritti oggettivi dei palestinesi, e ciò sottintende a sua volta, o forse nasconde, che gli ebrei debbano ringraziare il mondo di avere avuto il permesso di vivere dove non ne avevano il diritto. Ogni giorno prendiamo di questo rancio tossico e malcotto. Tuttavia, potremmo considerare che la pace si fa con sacrifici e umiliazioni, e che esistono dei diritti se non naturali, politici del popolo palestinese, delle giuste aspirazioni a una propria patria, e che ciò va corroborato dai sacrifici delle due parti. Un giorno, quasi più fatalmente che politicamente, dovrà esser dato spazio all'esistenza di una patria palestinese accanto a quella di una patria ebraica. Per farlo, bisognerà sacrificare pezzi di terra, di storia, di cultura, e cioè vie, colline e rioni dove gli ebrei hanno abitato migliaia di anni, quando i collettivi universitari e la jihad non esistevano. Ma per quanto sia difficile allestire la pace con i Palestinesi, in modo sostanziale e paradossale il nemico più ostico della pace non è costituito da  Hamas o da Teheran. Ma dal pregiudizio europeo.

Il Tizio della Sera



Ecco nella sua versione integrale l'intervento di ieri che è stato pubblicato con alcune imperfezioni.

A proposito di antisemitismo - 4

LucreziUn’ultima importante considerazione da fare in tema di antisemitismo riguarda il diffuso e multiforme uso del ricordo della Shoah in chiave antiebraica. Com’è noto, se tale evento, soprattutto negli ultimi trent’anni, è assurto, nella cultura occidentale, a massimo simbolo universale di una forma di memoria e coscienza necessaria e condivisa (venendo fatto oggetto, in Europa e in Nordamerica, di molteplici iniziative di studio, commemorazione e interpretazione, a livello etico, pedagogico, storico, artistico ecc., in ambito tanto pubblico quanto privato, con il coinvolgimento attivo di numerosissime autorità civili e religiose, moltissimi docenti e discenti, di tutte le età, moltitudini di cittadini di ogni nazione), suscita un interesse ben diverso nel mondo islamico, le cui posizioni, di fronte ad esso, sono essenzialmente quattro.
La prima, molto diffusa, è la rimozione: della Shoah non si deve parlare mai, né nei libri di scuola né altrove, perché è un non-evento, qualcosa che non è accaduto o di cui, anche se è accaduto, è meglio tacere. È la posizione prevalente nei Paesi arabi cosiddetti moderati, e che ora appare promossa attivamente anche dal governo della civilissima Gran Bretagna, che ha invitato le autorità scolastiche a dare minore rilievo a tale argomento, per non “urtare la suscettibilità” degli scolari di fede islamica e delle loro famiglie.
Una seconda posizione è quella negazionista: della Shoah occorre parlare, ma solo per dire che non è mai esistita, se non come menzogna inventata ad arte dal “complotto sionista”. Una tesi ben nota, che ha molti sponsor di prestigio, primo fra tutti il Presidente iraniano Rafsanjani.
Terza posizione: la Shoah è esistita, ma è stata opera degli stessi ebrei, che dovevano precostituire una scusa valida per ottenere l’autorizzazione alla creazione di Israele. È l’argomento, fra l’altro, della tesi di dottorato, intitolata, "La connessione tra nazismo e sionismo”, discussa al Collegio Orientale di Mosca, nel 1982, da Mahmoud Abbas (Abu Mazen), attuale Presidente dell’Autonomia Palestinese, beniamino dell’Occidente per la sua ‘moderazione’.
Quarta e ultima posizione, più esplicita e sincera: la Shoah c’è stata, ed è stata un’ottima cosa, come “vendetta anticipata” dei crimini di Israele: un plauso stampato, per esempio, su dei grandi manifesti, distribuiti tra il pubblico, in migliaia di copie, in occasione della conferenza ONU di Durban del 2001 “contro il razzismo”.
Quel che viene da chiedersi, ancora una volta, è come mai l’Occidente, se avverte il bisogno di commemorare le vittime della Shoah, non avverta, proprio mai, il bisogno si riflettere, almeno un minimo, su tale diversità di approccio da parte dei propri vicini, né di tenerne conto, in qualche misura, per valutare il loro livello di sensibilità morale e di considerazione dei diritti umani.
P.S. Se è difficile fare una classifica, sul piano di tale ‘controcommemorazione’, fra i vari Paesi arabi, certamente nessuno è secondo alla Siria, i cui libri, giornali e mass-media trattano della Shoah, nei modi su ricordati (spesso nello stesso contesto, e poco importa che le varie teorie si contraddicano platealmente l’un l’altra), con alta frequenza e grande risalto (insieme al completo campionario delle altre amenità antiebraiche). E ha suscitato un certo turbamento, nei giorni scorsi, ascoltare il Presidente della Repubblica Italiana, mentre, innanzi al Presidente siriano (lo stesso che, alla presenza di Giovanni Paolo II, ricordò, nel 2001, che gli ebrei hanno torturato Gesù e perseguitato Maometto), si diceva “molto preoccupato” per il comportamento di Israele. Avremmo, certamente, preferito che quella visita non si svolgesse; ma, se proprio la ragion di stato lo imponeva, non avremmo voluto sentire quelle parole, pronunciate davanti a quell’interlocutore. Quanto è grande la stima che abbiamo sempre avuto per Giorgio Napolitano, tanto dolorosa è stata, stavolta, la delusione.

Francesco Lucrezi, storico
 
 
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Ardeatine, insieme per non dimenticare
Intensa. Lunga. Una cerimonia a cui non è voluto mancare il capo dello Stato: «Un'occasione per rinnovare la memoria». E ancora: «Onorare la Costituzione rispettando tutte le istituzioni dello Stato democratico». Sono i moniti lanciati dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ieri alle Fosse Ardeatine nel 66esimo anniversario dell'eccidio nazi-fascista, presenti centinaia di studenti giunti da varie parti d'Italia. La zona blindata e chiusa al traffico per le presenze delle autorità. La lettura dei nomi dei caduti, la preghiera cattolica e quella ebraica, l'intervento dell'Anfim. Un appuntamento importante per la città e per la collettività: «Ho il dovere, come è scritto nella Costituzione, di rappresentare l'unità nazionale, sono qui per ribadire che dopo la tragica esperienza della barbarie nazista è nato lo Stato democratico con la sua Costituzione che noi dobbiamo onorare nel rispetto di tutte le istituzioni», ha continuato Napolitano. «Questa dev'essere un'occasione per rinnovare la memoria», ha dichiarato il primo cittadino Gianni Alemanno, «bisogna tramandarla anche quando non ci saranno più testimoni diretti attraverso luoghi come il museo della Shoah e Forte Bravetta». Per Nicola Zingaretti, presidente della Provincia di Roma. «Chi scelse un luogo così nascosto per commettere l'eccidio una cava ai margini della città, lo ha fatto nella speranza che tutto rimanesse nascosto e che si dimenticasse. Non è stato così e questa cerimonia conferma quanto sia importante non dimenticare. Per intorno a noi c'è un forte clima di intolleranza che preoccupa». Presenti il vicepresidente del Senato, Vannino Chiti, il presidente della Provincia Nicola Zingaretti, il vicepresidente della Regione Esterino Montino, i rappresentanti della Comunità Ebraica Riccardo Pacifici, Renzo Gattegna e il rabbino capo Riccardo Di Segni. […]
Ester Mieli, Libero, 25 marzo 2010

Gli ultimi ricorsi al Tar, poi si va alle urne
Schivato - per ora - il rinvio, bocciata la lista del Pdl, restano due scogli prima del voto del 28 e 29 marzo: due ricorsi al Tar, uno del Partito Liberale e l'altro di «Rete Liberal» guidata da Vittorio Sgarbi.  […]
[…] Sul fronte delle due candidate, botta e risposta a distanza tra Emma Bonino e Renata Polverini. Argomento, il nuovo faccia a faccia televisivo (sarebbe stato il terzo consecutivo) saltato perché la Polverini aveva «altri impegni già presi». «Ha fatto bene a non venire ha detto la Bonino tanto la campagna elettorale nel Lazio la sta facendo Berlusconi con le sue telefonate fiume». I1 riferimento è all'intervento del premier a «Uno Mattina» dove ha detto che «la Polverini difende la famiglia, la Bonino no». La candidata del centrodestra replica alla radicale:« Io non mi sono mai assentata dal Lazio, mentre oggi la Bonino è in Piemonte (per un'iniziativa con Mercedes Bresso, ndr). E chi sta con me sa che mi alzo all'alba, sto fuori tutto il giorno, non dormo, non ceno...», la replica. La Polverini dopo le Fosse Ardeatine è stata ospite della Comunità ebraica. Due gli impegni assunti col rabbino capo Riccardo Di Segni e col presidente della Comunità Riccardo Pacifici: «Apprezzo molto l'ospedale israelitico e la scuola ebraica». Per la sindacalista, anche un fuoriprogramma. Dopo aver ricevuto in dono delle ciambelline, uscendo dalla Sinagoga è stata «intercettata» dai proprietari di una pasticceria del ghetto: «Ma che fa, prende i dolci della concorrenza?», le hanno detto. E così la Polverini è entrata, acquistando una torta. La Bonino, invece, ha parlato del futuro: «Incarichi a Pan- nella? Perché no, ma non credo che vorrà. Ma ho già in mente alcuni nomi per la giunta, mica sono Alice nel paese delle meraviglie». [...]
Ernesto Menicucci, il Corriere della Sera, 25 marzo 2010

Netanyahu non cederà. Ecco i suoi dieci motivi
Dopo tre ore trascorse alla Casa Bianca di cui una e mezza a quattr'occhi col Presidente Obama la crisi provocata dalla decisione di Netanyahu di continuare a costruire alloggi alla periferia di Gerusalemme Est (e in una casa di antica proprietà ebraica nel quartiere arabo di SheiK Jerrah dove nel 1947 i palestinesi sterminarono sotto gli occhi degli inglesi un convoglio medico ebraico) resta insoluta e grave. Non è la prima e la peggiore fra i due Paesi perché avviene in condizioni differenti dalle precedenti. Ad esempio non è l'ultimatum dato da Eisenhower a Ben Gurion del 1956 di ritirarsi dall'Egitto; non è la «revisione» dei rapporti minacciata da Kissinger nel 1975 che obbligò Rabin a evacuare il Sinai; non è neppure la minaccia di cancellare la copertura dei crediti nel 1991 se non fosse mutata l'occupazione della Palestina. E' una crisi fastidiosa per ambo le parti che l'incontro di martedì pomeriggio fra Obama e Netanyahu ha aggravato, sia per la difficoltà reciproca di salvare la faccia sia perché gli americani non credono alla buona fede del premier israeliano. Vediamo dieci ragioni per cui Netanyahu manterrà una linea di «schiena diritta» nei confronti della Casa Bianca.  [...]
R. A. Segre, il Giornale, 25 marzo 2010

 
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LezioneAll'UceiPesach: anche all'Unione                
momenti di studio e di riflessione
Roma, 25 mar -
“Il concetto di pochi ma buoni, non è caratterizzante dell’ebraismo, che richiama nel suo ambito l’elemento composito di una comunità che contiene in sé ogni tipo di individuo: i giusti, i mediocri e i malvagi”, ha detto, fra l'altro, il rav Roberto Della Rocca, direttore del dipartimento Educazione e cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, in un intervento che si è svolto durante un momento di incontro alla vigilia delle festività di Pesach nella sede Ucei. Assieme al personale dell'Unione erano presenti il presidente Renzo Gattegna e l’assessore al Bilancio Anselmo Calò. Il rav si è soffermato sui concetti di responsabilità e di delega: “Se delego una persona a rappresentarmi - ha detto - gli attribuisco la mia fiducia e allo stesso tempo questa persona accetta su di sé la responsabilità di comportarsi come io stesso mi comporterei”. Questo concetto, tipico di ogni comunità ebraica, può essere preso in considerazione per un grande o per un piccolo ambito e quindi anche in un ambiente di lavoro, dove ognuno deve rispondere delle proprie responsabilità e portare la responsabilità dei colleghi. L'incontro si è concluso con il saluto del presidente Gattegna, che ha espresso a tutti il proprio augurio di una stagione serena e costruttiva.


Crisi Usa-Israele, la stampa israeliana:
“Netanyahu è stato messo alle strette”
Gerusalemme, 25 mar -
Preoccupato il giudizio della stampa israeliana alla conclusione del viaggio del premier israeliano Benyamin Netanyahu negli Usa. Il presidente Barack Obama ha posto “con le spalle al muro” Netanyahu avanzando una serie di richieste in tema di processo di pace con i palestinesi. “Obama ha posto richieste che per Israele sarà difficile accettare", afferma il quotidiano israeliano Yadioth Aharonot. Il Maariv, cita una fonte governativa americana, secondo la quale "Obama si è stufato delle tattiche dilatorie" di Netanyahu e in un commento parla di un "agguato" teso a Netanyahu dal governo americano. Haaretz: "Si aggrava la crisi con gli Usa: Obama esige da Netanyahu impegni scritti per passi volti a creare un clima di fiducia" in vista di negoziati di pace indiretti con i palestinesi. Netanyahu, afferma il giornale, esce da Washington "isolato, umiliato e indebolito". Netanyahu, dal canto suo, tornato in patria al momento della partenza da Washington aveva affermato: "Pensiamo di aver trovato un modo eccellente di permettere agli americani di far avanzare il processo di pace e al contempo di preservare i nostri interessi nazionali". Tornato in patria il premier israeliano riunirà subito i sette ministri del 'gabinetto informale' per le questioni politiche e militari per riferire dei colloqui americani ed esaminare i passi successivi.


Bashar al Assad a Israele: “Vogliamo la pace,
ma non abbiamo fiducia nel governo Netanyahu”
Damasco, 25 mar -
“Il nostro Paese resta impegnato nella ricerca della pace con Israele, ma non fiducia nell'attuale governo israeliano”, così il presidente siriano Bashar al-Assad si è pronunciato sui negoziati con Israele. E ancora il capo dello stato siriano ha avvertito Israele: "Non vi sono altre opzioni al di fuori della pace. Israele è più debole e la forza militare non può più da sola garantire la sua esistenza". Assad ha detto poi che la Siria, con l'Iran paese sponsor degli Hezbollah, continuerà a sostenere quelli che ha definito i movimenti di resistenza del mondo arabo. "Ma anche loro vogliono la pace, anzi sono nati proprio per l'assenza di pace", ha affermato. 
 
 
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