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L'Unione informa
 
    26 marzo 2010 - 11 Nisan 5770  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
alef/tav    
  roberto colombo Roberto Colombo,
rabbino
Secondo una consuetudine, la candela usata per la ricerca del chamez deve essere bruciata assieme alle sosanze lievitate trovate. E' probabile che il senso di tale usanza sia il seguente: colui che sente come dovere primario quello di trovare attorno a se soprattutto cose negative, alla fine sarà distrutto e consumato dal suo stesso odio. (Rebbe di Chenz)
Sempre più frequenti le segnalazioni sull’uso della parola “ebreo” come insulto razziale tra i giovani  nelle scuole. Anni fa, quando l’impatto degli immigrati nelle classi non era ancora così numericamente consistente, si sosteneva che l’afflusso dei diversi avrebbe risolto in maniera “quasi naturale”, se non miracolosa, i problemi legati all’accettazione e al rispetto del diverso. I  bambini, considerati erroneamente non portatori di pregiudizi, avrebbero imparato a vivere nella collaborazione e nel rispetto dei nuovi arrivati, perché forti della generosità infantile. Tutto ciò non è avvenuto. Interessanti ricerche condotte in Inghilterra hanno sfatato il mito del buon fanciullo e dimostrato che l’arma più efficace per rendere l’offesa più pesante è proprio l’uso dell’insulto razziale. Nulla di nuovo sotto il sole?  Forse è  meglio superare rabbia, vittimismo  o rassegnazione e affrontare il problema  ogni volta che si pone  altrimenti corriamo il rischio di renderlo eterno come nella storiella dell’uomo che batteva le mani ogni dieci secondi. Interrogato sul perché del suo strano atteggiamento rispose: “Per scacciare gli elefanti”.“Elefanti? Ma qui non ci sono elefanti!” E lui:”Appunto”. Sonia
Brunetti Luzzati,

pedagogista
sonia brunetti  
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  Verso Pesach - Come si svolge il Seder 

mazzahIl rav Alberto Moshe Somekh ha raccolto norme, regole, tradizioni e riflessioni sulla festività di Pessach in un articolo di cui proponiamo un estratto.

Il Seder (Leylè Pessach; lett. “ordine [delle sere di Pessach]”) costituisce l’insieme di atti e letture seguito nelle case ebraiche la prima (fuori d’Israele anche la seconda) sera di Pessach. Gli scopi del Seder sono essenzialmente due: ricordare la liberazione dalla schiavitù egiziana e trasmetterne il messaggio alle nuove generazioni, destando particolarmente l’attenzione dei bambini. Finché il Bet ha-Miqdash (Tempio di Gerusalemme) è esistito, l’atto principale consisteva nell’offerta e nella consumazione del Qorban Pessach (Sacrificio Pasquale, consistente in un agnello arrostito allo spiedo) insieme alla Matzah (pane azzimo) e al Maròr (erba amara), cui prendeva parte tutta la famiglia, secondo la prescrizione della Torah (Shemot 12). Dopo la distruzione del Tempio non è più stato possibile compiere il sacrificio.

La bibliografia in proposito è vastissima. Scopo del presente scritto è illustrare al pubblico italiano le principali Halakhot del Seder. Ci soffermeremo dunque prevalentemente sulla parte normativa, riportando riflessioni sul significato dei vari atti solo per quanto attiene alla Halakhah da seguire.

Fonti
Il passo della Torah dal quale si imparano le norme del Qorban Pessach e del Seder è essenzialmente il capitolo 12 di Shemot (Esodo). Nella Mishnah e nel Talmud l’argomento è affrontato nel trattato Pessachim, specialmente nel decimo e ultimo capitolo. La normativa su Pessach si trova codificata nel Maimonide, Hil. Chamètz u-Matzah specialmente ai capp. 7-8 e nello Shulchan ‘Arukh, Orach Chayim, parr. 429-494: per quanto concerne il Seder, specificatamente i parr. 472-486.
Per la stesura di questo scritto ci siamo avvalsi anche di appositi compendi halakhici e di edizioni della Haggadah dotate di commento halakhico. Nella fattispecie, ove non diversamente indicato, ci siamo riferiti alle pubblicazioni seguenti:
-Haggadah “Shevach Pessach” con l’introduzione del Rav Yishma’el ha-Kohèn (Laudadio Sacerdote) di Modena in ebraico, Belforte, Livorno, 1790.
-Menachem E. Artom, Seder “Qaddesh” shel Pessach mi-Carmagnola mi-shnat 1829, in Artom-Caro-Sierra, “Miscellanea di Studi in memoria di Dario Disegni”, Scuola Rabbinica Margulies-Disegni, Torino, 1969, p. 23-43 (parte ebraica). Il testo è un quntrass (raccolta di fogli) con le regole del Seder spiegate succintamente ad opera del giovane Simone Levi di Carmagnola scritta il 4 nissan 1829, probabilmente oggetto di una ripetizione in vista di Pessach sotto la guida del padre o di un maestro, redatta in italiano ma in caratteri ebraici. Si tratta probabilmente di un cliché nelle Comunità piemontesi, in quanto è stato recentemente rinvenuto nel fondo mss. ebraici di Alessandria ora conservato presso l’Archivio Terracini di Torino (n. 900) un testo analogo, con pochissime varianti, di un secolo prima: esso reca in calce il nome del “giovanissimo Menachem Ottolenghi di Acqui”, che lo avrebbe vergato l’8 nissan 5485 (22 marzo 1725).
-Shlomo Yossef Zevin, Ha-Mo’adim ba-Halakhah (The Festivals in Halachah), disponibile in edizione inglese (ArtScroll Judaica Classics, New York, 1982, p. 129 ssg.). 
-Haggadah “Qol Dodì” con l’introduzione inglese del Rav David Feinstein di New York , figlio del celebre Decisore R. Mosheh Feinstein (m. 1986), autore dei Resp. Iggherot Mosheh, ArtScroll Mesorah Series, New York, 1990.
-Il Pesach Digest pubblicato annualmente in inglese dal Rav Avraham Blumenkrantz di Far Rockaway, New York: è un prontuario molto aggiornato di tutte le norme di Pessach.
-Haggadah “Chazòn ‘Ovadyah” in due voll. e specialmente il secondo, con l’introduzione del Rav ‘Ovadyah Yossef, già Rabbino Capo Sefaradita dello Stato d’Israele.
-R. Mosheh Ya’aqov Weingarten, “Ha-Seder he-‘Arukh” in tre voll. in ebraico e specialmente il primo, Otzar ha-Mo’adim Institute, Yerushalaim, 1991 (5751).
-La Haggadah della Entziqlopedyah Talmudit (ET), Herzog Institute, Yerushalaim, 5765, corredata con le voci dell’Enciclopedia relative al Seder (in ebraico). Dal momento che i volumi usciti finora non raggiungono la metà dell’opera, solo i seguenti argomenti sono in pratica disponibili: Akhilat Matzah, Akhilat Maròr, Afiqoman, Arba’ Kossot, Bediqat Chamètz, Bi’ùr Chamètz, Birkat ha-Shir, Haggadah, Hallèl, Hallèl ha-Gadòl, Hassebah, Charosset.
-Il volume Pessach della collana Peninè Halakhah del Rav Eli’ezer Melamed di Har Berakhah, 5766, notabilmente ai capp. 15 e 16.
 
Preparazione dei cibi e accensione dei lumi nei giorni festivi
Di Shabbat, a differenza dei giorni di Yom Tov (festa solenne), è proibito trasportare oggetti, accendere il fuoco in qualsiasi modo e cucinare. Durante il 1°, 2°, 7° e 8° giorno di Pessach (sempre che non cadano di Shabbat), invece, è permesso trasportare oggetti fuori casa, cucinare ed accendere il gas a questo scopo, purché da una fiamma già accesa da prima della festa. E’ però proibito spegnere il gas dopo averlo acceso. I fornelli elettrici possono essere usati solo se tenuti accesi anch’essi da prima dell’inizio della festa, ma ciò è sconsigliabile.
Nei giorni di Yom Tov si può cucinare e preparare solo per il giorno stesso (ma non per l’indomani; per giorno stesso si intende dal tramonto all’uscita delle prime tre stelle la sera successiva: in tutto circa 25 ore). Perciò i cibi per il secondo Seder debbono essere stati cucinati dalla vigilia o scaldati dopo lo spuntare delle stelle della seconda sera: anche la tavola per la cena va apparecchiata dopo quest’ora o tramite non ebrei. Così pure la hadlaqat neròt (accensione dei lumi festivi) la seconda sera va eseguita con una fiamma già accesa da prima della festa.
Se non è Venerdì Sera, si accende il fiammifero e si recita la Berakhah relativa prima di portare la fiamma ai lumi, in quanto se anche dicessimo che la Berakhah costituisce accettazione di Yom Tov, accendere un lume da un lume già acceso rimane permesso. E’ perciò preferibile attenersi alla regola generale di recitare la Berakhah su una Mitzwah prima di compiere l’atto cui si riferisce (‘ovèr la-‘asiyatan). Occorre porre attenzione a non spegnere il fiammifero dopo l’uso: lo si appoggerà lasciando che si spenga da solo. Alcune usano aggiungere la Berakhah She-he-cheyyanu. […]

Alberto Moshe Somekh, rabbino capo di Torino

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Qui Firenze - Izzedin Elzir, nuovo presidente Ucoii:
“Credo nel dialogo e nella reciproca comprensione”


Elzir“Vorrei una comunità islamica più coesa e trasparente”. È il grande sogno dell’imam di Firenze Izzedin Elzir, da domenica scorsa nuovo presidente dell’Unione delle Comunità ed Organizzazioni Islamiche in Italia (Ucoii). Elzir pronuncia questa frase dal grande valore simbolico nel suo ufficio situato all’interno della piccola moschea (un garage dismesso) di Borgo Allegri. Intorno a lui c’è chi prega con gli occhi fissi sul Corano, chi legge un giornale e chi discute animatamente in arabo. Un’umanità varia e articolata che rende ancora più interessante questo incontro che inizialmente immaginavo in forma privata. A pochi passi dall’ufficio il pittoresco mercatino delle pulci di piazza dei Ciompi brulica di vita e giovani artisti un po’ fricchettoni cercano l’ispirazione sotto la Loggia del Pesce, antico residuo del vecchio ghetto ebraico. Intanto i dodici rintocchi delle campane della chiesa di S. Ambrogio annunciano che è mezzogiorno.
Izzedin Elzir è un signore sui quaranta, molto affabile e gentili nei modi. Fisicamente gracilino e basso di statura, ha deciso di assumersi una responsabilità pesante come un macigno. Ride e mi confida: “Guarda, ho giusto finito di parlarne davanti ad un caffè con il mio amico Simcha (il gestore del ristorante kasher distante un tiro di schioppo). Mi aspettano delle giornate molto intense”. Ma il duro lavoro non sembra spaventarlo più di tanto. Racconta, sempre con un sorriso ospitale, quale sarà la sua settimana tipo da presidente: “Tre giorni a Firenze e tre giorni a giro per l’Italia. Il giorno libero spero di poterlo dedicare alla famiglia”. 
Il programma di Elzir si annuncia parzialmente innovativo. Ecco uno dei punti che ritiene basilare: “Vorrei che il sermone del venerdì venisse recitato non solo in arabo ma anche in italiano. Questo perché nella nostra comunità gli arabi costituiscono una minoranza (circa il 40 per cento) e perché bisogna continuare nel percorso di integrazione intrapreso”. Ma i musulmani si stanno davvero integrando? “Penso di sì, anche se possiamo e dobbiamo fare di più. L’esempio di Firenze, città in cui siamo in ottimi rapporti con le istituzioni politiche, con le altre comunità religiose e con la cittadinanza, deve costituire un modello anche per le altre realtà presenti sul territorio”. Elzir, residente in Italia da oramai 19 anni (è di origine palestinese), ammette senza problemi che il suo percorso è stato più facile di quanto si possa pensare: “Quando mi sono trasferito in questo paese ero un giovane studente di moda. La mia vita è stata meno complicata di quella di molti altri immigrati”. Poi torna a parlare di Ucoii e lancia una stoccata che lascia facilmente intendere quale sarà uno dei suoi obiettivi futuri: “Perché ai musulmani non è permesso stipulare delle Intese con lo Stato? La scusa che siamo una comunità eterogenea non sta in piedi. Anche i cristiani lo sono eppure, con risultati diversi, sono riusciti ad arrivare ad un accordo. I cattolici hanno il Concordato, tutti gli altri le Intese”. Neanche il fatto che ci siano almeno tre organi che si candidano a rappresentare l’Islam italiano è un problema? Elzir rincara la dose: “Gli accordi si fanno con chi si propone. E noi lo faremo sicuramente. Ogni altra considerazione è un ribaltamento della prospettiva attraverso cui affrontare in modo corretto queste dinamiche”. L’imam individua comunque una lacuna strutturale nel mondo islamico italiano, anche se strettamente legata a ragioni anagrafiche. “Siamo una comunità giovane. In alcuni casi dobbiamo ancora farci degli amici tra i vari amministratori locali. Ma con il tempo le cose andranno meglio”. Ritorna sulla questione dell’integrazione e sintetizza in poche parole un concetto che ritiene essenziale: “Bisogna che la gente capisca che siamo cittadini italiani di fede islamica. Dunque concittadini dei nostri amici cristiani ed ebrei. Con pari diritti e con pari doveri”. E sul concetto di cittadinanza comune a prescindere dalla fede religiosa ha insistito tantissimo in questi ultimi anni. Con entusiasmo apparentemente genuino si sofferma perciò sul buon rapporto (quasi di vicinato visto che la sinagoga dista neanche 200 metri in linea d’aria dalla moschea) che ha con la comunità ebraica e commenta: “Le due comunità cercano di costruire insieme ponti di dialogo”. Ma sul conflitto in Medio Oriente il confronto si presenta indubbiamente più difficile: “Noi siamo vicini al popolo palestinese e loro ad Israele. È più saggio occuparsi di quello che succede a Firenze”. Elzir ci tiene a fare una precisazione: “Nel passato sono stato più volte accusato di essere vicino ad Hamas. Non nego una certa affinità su alcune questioni, ma le mie parole sono state strumentalizzate. Ribadisco anche in questa occasione che sono contrario ad ogni forma di terrorismo”. L’argomento è pesante, meglio parlare di dialogo interreligioso. “È un qualcosa in cui credo davvero molto. Non a caso sempre più spesso la comunità islamica fiorentina partecipa ad incontri ed iniziative che cercano di abbattere il muro dell’incomunicabilità reciproca”. Il mandato di presidente dell’Ucoii inizia con gli stessi auspici: “Avremo pur sempre opinioni differenti su molte cose ma vorrei che ci rispettassimo maggiormente l’un con l’altro”.

Adam Smulevich
 
 
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  pilpulComix - Magneto, The testament

Nel 2008 la Marvel pubblica una miniserie in qualche modo risolutiva sulla storia di uno dei suoi personaggi più famosi e controversi. Ne avevamo parlato l’anno scorso di Magneto e del tema della Shoà così come è apparso nelle storie dei fumetti dei mutanti in tutti questi anni.
Il personaggio era rimasto in questi anni avvolto nel mistero, la sua storia era incompleta e troppo diluita nei decenni di storie degli X-Men. Così Greg Pak e Carmine Di Giandomenico hanno realizzato una storia estremamente profonda, intensa e completa sulla sua giovinezza. Non troviamo i mutanti, non troviamo il buon Xavier a confrontarsi con gli ideali di Magneto. Chi abbiamo di fronte è un giovane ragazzo, Max Eisenhardt che vive con con il padre e il resto della famiglia nella germania nazista. Attraverso le vicende della sua famiglia Pak ha raccontato l’avvento del nazismo, la presa del potere, i maggiori eventi tragici dell’epoca fino all’invasione della Polonia, e l’internamento ad Auschwitz-Birkenau dove Max farà parte di un sonderkommando.
Ogni volta che Max partecipa a un evento storico realmente accaduto Pak si sofferma a darci informazioni, precisazioni per istruire il lettore. Carmine Di Giandomenico non ha limiti nel disegnare le tavole: passa da un primo piano a una panoramica senza perdere la precisione, l’attenzione al dettaglio che palesi il fatto, il sentimento del personaggio, la sua tragicità. Le frequenti splashpage ci assalgono buttandoci in faccia il dramma della Shoà.

pilpul2Il volume, sia nell’edizione italiana quanto in quella in lingua inglese, contiene un ricco apparato bibliografico con commenti sulle varie fonti a cui gli autori si sono ispirati per la maggiore precisione nella costruzione della storia. Di particolare interesse nell’edizione statunitense è una Teacher’s Guide, una breve guida per gli insegnanti al fine di aiutare gli studenti ad approfondire il tema della Shoà con obiettivi didattici, argomenti e ricerche per approfondimenti.
Max Eisenhardt è l’origine di Magneto. Come nasce un personaggio di questo spessore? Fin ad oggi si erano sommati indizi vari, briciole di storie in storie in questi decenni. Ma ora Magneto ha una origine profondamente radicata nella Storia, profondamente tragica. E soprattutto incarna un desiderio, l’ultimo sussulto dell’uomo Max Eisenhardt prima di diventare Magneto: 'don’t let this ever happen again' (non permettete che accada di nuovo).
Di fronte al padre che rinviava sempre la decisione di scappare, la sua difficoltà a capire che tutto stava andando a rotoli, Max capisce che per difendere i mutanti, bisogna cambiare atteggiamento. Ecco perché i Mutanti Malvagi, ecco perché il rifiuto, almeno iniziale, ad aderire a un piano di convivenza pacifica di Xavier. Ecco perché non si fida degli umani... normali. Proprio quella normalità pretese di decidere chi ha diritto di vivere e chi no.
In appendice una storia in bianco e nero di Neal Adams e Joe Kubert su Dina Babbitt, obbligata da Mengele a ritrarre i volti delle sue vittime. Dopo la guerra la donna ha scoperto che i suoi disegni si erano salvati e al momento sono custoditi dal governo Polacco che non vuole restituirli alla Babbitt. Le tavole di Kubert sono un tentativo di sensibilizzare il mondo dei fumetti a questo diritto negato.

Andrea Grilli


Watermarks, la rivincita delle nuotatrici dell'Hakoah Vienna


pilpulWatermarks (Hakoah Lishot), 'la forza di nuotare' di Yaron Zilberman, regista approdato al cinema dal mondo del High Tech, è un interessante documentario di 90 minuti inserito, fra le pellicole selezionate per il Kolno'a Film Festival, la cui edizione veneziana si è appena conclusa. Il documentario racconta la storia delle campionesse di nuoto appartenenti al leggendario club sportivo ebraico, Hakoah Vienna. Il club Hakoah, venne fondato nel 1909 in risposta al famoso paragrafo ariano, che proibiva ai club sportivi austriaci di accettare atleti ebrei. Fino a quel momento, lo sport non aveva mai avuto un ruolo centrale nella comunità ebraica austriaca, che aveva invece prodotto una generazione di intellettuali e artisti riconosciuti a livello mondiale, come Freud e Mahler.
Negli anni venti il club vinse il campionato austriaco di calcio e fu anche la prima squadra europea capace di battere una formazione inglese sul proprio terreno. In breve tempo grazie ai suoi 3 mila membri attivi, divenne uno dei più grandi club d’atletica in Europa. Ma fu soprattutto nei primi anni trenta che l’Hakoah raggiunse una fama internazionale grazie a una generazione di nuotatrici capaci di battere ogni record a livello nazionale.
Nel 1936, in occasione delle Olimpiadi di Berlino, tre di loro furono chiamate a rappresentare l’Austria, fra queste Judith Haspel insignita quell’anno con la medaglia d’onore come una delle tre migliori atlete austriache. Judith insieme alle due compagnie decise di non competere: “Mi rifiuto – disse – di partecipare ad una competizione in un paese che perseguita in modo così vergognoso la mia gente”.  Un gesto di dissenso che le costò tutto. Il suo rifiuto spinse infatti la federazione a squalificarla da ogni futura competizione e a cancellare tutti i suoi record.
Dopo l’Anschluss, l'annessione dell'Austria alla Germania nazista nel 1938, i nazisti fecero chiudere il club sportivo. Con l’aiuto di alcuni amministratori di Hakoah, le nuotatrici riuscirono però fortunosamente a fuggire dalla città verso paesi più ospitali come Israele, Inghilterra, Stati Uniti e Russia. 
Il regista Yaron Zilberman, dopo 65 anni volle incontrare i membri ancora in vita della squadra di nuoto femminile, ormai sparsi in giro per il mondo: Trude Platcek Hirschler, Elisheva Schmidt Susz, rinomata psicoterapista infantile di Tel Aviv, Hanni Deutsch Lux, Judith Haspel, Greta Stanton, professoressa di sociologia del New Jersey, Ann-Marie Pisker di Londra, Anni Lampl da Los Angeles e Nanne Selinger da New York, che fu l’unica delle nuotatrici a tornare a Vienna per poi andarsene nuovamente quando Kurt Waldheim, venne eletto presidente.
Zilberman propose alle nuotatrici, ormai ottantenni, di incontrarsi tutte a Vienna nella loro vecchia piscina d’allenamento. Un viaggio nelle memorie della gioventù, un itinerario emozionale per rinsaldare un legame senza tempo. Commovente il momento che vede il team finalmente riunito indossare nuovamente i costumi da bagno dell’Hakoah Vienna per un’ultima sessione di nuoto proprio nella città che le aveva umiliate e costrette a scappare. Watermarks è un documentario sulla passione di sette eccezionali atlete; sette donne che ancora oggi, a dispetto dell’età, riescono a nuotare con la stessa eleganza di un tempo.

Michael Calimani
 
 
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Come dobbiamo interpretare la crisi che in queste ultime settimane sembra agitare duramente i rapporti tra Israele e Stati Uniti? Il preludio ad una revisione sostanziale delle relazioni privilegiate tra i due paesi, e quindi la rottura di un asse strategico, oppure una tempesta in un bicchiere d’acqua? Con tutta probabilità non si tratta né dell’uno né dell’altro caso. Partiamo dagli articoli di Meron Rapoport su l’Espresso e dell’Osservatore romano per avanzare qualche considerazione. Se l’autore del primo servizio si esprime in toni piuttosto netti, rilevando quante siano le cautele che vanno nutrite nel formulare dei giudizi, ma anche quali possano essere, non di meno, i dubbi, sulla tenuta di saldi legami tra Washington e Gerusalemme, rimane il fatto che è difficile sostenere che si sia all’alba di una nuova era politica. Ben lontani, quindi, dal celebrare un divorzio che invece, maliziosamente, certuni vorrebbero prefigurare come uno dei possibili esiti. Certo, se è vero quello che riporta la Stampa, sia pure a titolo di gossip politico, ossia che Obama avrebbe seccamente interrotto il colloquio con Netanyahu, dicendo di volere andare a cenare con sua moglie Michelle, ciò sarebbe il segno di una frizione abbastanza evidente, quanto meno tra i due uomini. Che non si amino, peraltro, parrebbe a questo punto sufficientemente chiaro. A ciò si aggiungono – e qui si tratta di segnali ben più corposi – l’assenza di comunicati congiunti e la mancata ottemperanza a quelle consuetudini del cerimoniale diplomatico (foto, conferenze stampa e così via) che corredano gli incontri andati a buon fine. Piccoli segni di un qualcosa di ben più grande e quindi preoccupante? Chi conosce la storia diplomatica sa quante siano state, anche in un passato recente, le frizioni tra le due capitali. Solo una lettura superficiale e apologetica può indurre a ritenere che la «special relationship» sia stata priva di tensioni. Peraltro essa data agli anni Settanta, ed è stata comunque sempre il risultato della difficile dialettica tra la Presidenza, propendente per una maggiore simpatia verso lo Stato ebraico, e il Dipartimento di Stato, che ha spesso fatto da freno in tal senso. La novità, semmai, è data dal fatto che adesso, a manifestare le maggiori cautele sia, anche se per voce altrui, lo stesso Barack Obama, e non altri segmenti dell’Amministrazione. Il timore che si riconnette a questo stato delle cose è che tale atteggiamento possa preludere ad una netta attenuazione dei rapporti, sacrificati in omaggio all’intenzione (scarsamente corrisposta dalle controparti) di stabilire legami più intensi con il mondo musulmano. Al momento, va tuttavia riconosciuto, al di là di alcune prese di posizione, nulla nei fatti è successo. Obama non ha mutato nella sostanza l’indirizzo della politica americana in Medio Oriente né parrebbe poterlo fare, quanto meno in tempi brevi. Quello che si è consumato, come sottolinea Leslie H. Gelb, intervistato da Antonio Carlucci sempre per l’Espresso, è che la frizione è tutta diplomatica e gli Stati Uniti non intendono lasciare passare un comportamento che è stato inteso come irriguardoso nei confronti delle loro prerogative negoziali. Lucio Caracciolo, sulla medesima testata, usa toni meno sfumati, indicando nella politica verso Gerusalemme, e nella questione della sua evoluzione urbana e demografica, un vero e proprio punto di collassamento rispetto ad un processo negoziale che è assai improbabile che, a queste condizioni, possa ripartire. Fiamma Nirenstein, su il Giornale, è invece di diverso avviso, ritenendo che gli eventi che si sono consumati in questi giorni corrispondano ad un copione già visto, scontato e mediocre, dove all’ostilità dei (molti) soliti si aggiunge una politica, quella dell’Amministrazione americana, pencolante e a dir poco incerta, senza un traguardo nel mentre mette a rischio una solida partnership con Gerusalemme. Sul versante israeliano Eric Salerno, per il Messaggero, avanza alcune riflessioni nel merito dei riflessi che il viaggio di Netanyahu in America, svoltosi sotto l’egida di una fredda reciprocità tra gli interlocutori, potrebbe avere di qui alle settimane e ai mesi a venire. Se è inopportuno affermare che si sia ad un braccio di ferro tra gli Stati Uniti ed Israele, come invece lascia intendere Umberto De Giovannangeli su l’Unità, è invece assai più plausibile dire che si è a un secco confronto politico tra i governi dei due Stati. Il primo Ministro israeliano non piace a Washington, che evidentemente caldeggia, dietro le quinte, un mutamento degli equilibri interni a Gerusalemme, auspicando un ritorno sulla scena di Kadima, il partito dei moderati, come sottolinea Maurizio Piccirilli su il Tempo. Sullo sfondo di questa non facile crisi c’è l’involuzione – l’ennesima – che si registra a Gaza dove, come scrive Sergio Romano su Panorama, la concorrenza estremista ad Hamas, portata avanti dai gruppi salafiti, si sta facendo intensa e lascia prefigurare un futuro prossimo di tensioni, derivanti dalla prevedibile stagione, in divenire, di lotte intestine.
 
Claudio Vercelli

 
 
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Israeliani insoddisfatti del governo Netanyahu                               Tel Aviv, 26 mar -
Cresce fra gli israeliani la delusione e la sfiducia nel premier Netanyahu. Questo il risultato di un sondaggio pubblicato dal quotidiano Haaretz. Il sondaggio era stato condotto all'inizio della settimana scorsa, quindi prima del discusso colloquio fra il premier e il presidente degli Stati Uniti Barack Obama. Ecco i risultati in dettaglio: il 51 per cento degli israeliani non sono soddisfatti di Netanyahu, mentre il 41 per cento mantengono un parere favorevole. Haaretz nota che - probabilmente per considerazioni di politica interna - in una sola settimana la percentuale degli scontenti è cresciuta del 7 per cento. Il personaggio pubblico più popolare di Israele in questo momento è il capo dello stato Shimon Peres, che gode della approvazione del 78 per cento degli intervistati. E' seguito in ordine di popolarità da due personaggi non propriamente politici: il capo di stato maggiore generale Gaby Ashkenazi e dal governatore della Banca di Israele Stanley Fischer, entrambi sostenuti dai favori del 74 per cento degli israeliani.
 
 
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