se non visualizzi correttamente questo messaggio, fai click qui |
|
|
|
|
L'Unione informa |
|
|
|
26 marzo 2010 - 11 Nisan 5770 |
|
|
|
| |
|
alef/tav |
|
|
|
|
|
Roberto Colombo, rabbino |
Secondo
una consuetudine, la candela usata per la ricerca del chamez deve
essere bruciata assieme alle sosanze lievitate trovate. E' probabile
che il senso di tale usanza sia il seguente: colui che sente come
dovere primario quello di trovare attorno a se soprattutto cose
negative, alla fine sarà distrutto e consumato dal suo stesso odio. (Rebbe di Chenz)
|
|
Sempre
più frequenti le segnalazioni sull’uso della parola “ebreo” come
insulto razziale tra i giovani nelle scuole. Anni fa, quando
l’impatto degli immigrati nelle classi non era ancora così
numericamente consistente, si sosteneva che l’afflusso dei diversi
avrebbe risolto in maniera “quasi naturale”, se non miracolosa, i
problemi legati all’accettazione e al rispetto del diverso. I
bambini, considerati erroneamente non portatori di pregiudizi,
avrebbero imparato a vivere nella collaborazione e nel rispetto dei
nuovi arrivati, perché forti della generosità infantile. Tutto ciò non
è avvenuto. Interessanti ricerche condotte in Inghilterra hanno sfatato
il mito del buon fanciullo e dimostrato che l’arma più efficace per
rendere l’offesa più pesante è proprio l’uso dell’insulto razziale.
Nulla di nuovo sotto il sole? Forse è meglio
superare rabbia, vittimismo o rassegnazione e affrontare il
problema ogni volta che si pone altrimenti corriamo il
rischio di renderlo eterno come nella storiella dell’uomo che
batteva le mani ogni dieci secondi. Interrogato sul perché del suo
strano atteggiamento rispose: “Per scacciare gli elefanti”.“Elefanti?
Ma qui non ci sono elefanti!” E lui:”Appunto”. |
Sonia Brunetti Luzzati,
pedagogista |
|
|
|
|
|
|
torna su |
davar |
|
|
|
|
Verso Pesach - Come si svolge il Seder
Il
rav Alberto Moshe Somekh ha raccolto norme, regole, tradizioni e
riflessioni sulla festività di Pessach in un articolo di cui proponiamo
un estratto.
Il Seder (Leylè Pessach; lett. “ordine
[delle sere di Pessach]”) costituisce l’insieme di atti e letture
seguito nelle case ebraiche la prima (fuori d’Israele anche la seconda)
sera di Pessach. Gli scopi del Seder sono essenzialmente due: ricordare
la liberazione dalla schiavitù egiziana e trasmetterne il messaggio
alle nuove generazioni, destando particolarmente l’attenzione dei
bambini. Finché il Bet ha-Miqdash (Tempio di Gerusalemme) è esistito,
l’atto principale consisteva nell’offerta e nella consumazione del
Qorban Pessach (Sacrificio Pasquale, consistente in un agnello
arrostito allo spiedo) insieme alla Matzah (pane azzimo) e al Maròr
(erba amara), cui prendeva parte tutta la famiglia, secondo la
prescrizione della Torah (Shemot 12). Dopo la distruzione del Tempio
non è più stato possibile compiere il sacrificio. La
bibliografia in proposito è vastissima. Scopo del presente scritto è
illustrare al pubblico italiano le principali Halakhot del Seder. Ci
soffermeremo dunque prevalentemente sulla parte normativa, riportando
riflessioni sul significato dei vari atti solo per quanto attiene alla
Halakhah da seguire.
Fonti Il
passo della Torah dal quale si imparano le norme del Qorban Pessach e
del Seder è essenzialmente il capitolo 12 di Shemot (Esodo). Nella
Mishnah e nel Talmud l’argomento è affrontato nel trattato Pessachim,
specialmente nel decimo e ultimo capitolo. La normativa su Pessach si
trova codificata nel Maimonide, Hil. Chamètz u-Matzah specialmente ai
capp. 7-8 e nello Shulchan ‘Arukh, Orach Chayim, parr. 429-494: per
quanto concerne il Seder, specificatamente i parr. 472-486. Per
la stesura di questo scritto ci siamo avvalsi anche di appositi
compendi halakhici e di edizioni della Haggadah dotate di commento
halakhico. Nella fattispecie, ove non diversamente indicato, ci siamo
riferiti alle pubblicazioni seguenti: -Haggadah
“Shevach Pessach” con l’introduzione del Rav Yishma’el ha-Kohèn
(Laudadio Sacerdote) di Modena in ebraico, Belforte, Livorno, 1790. -Menachem
E. Artom, Seder “Qaddesh” shel Pessach mi-Carmagnola mi-shnat 1829, in
Artom-Caro-Sierra, “Miscellanea di Studi in memoria di Dario Disegni”,
Scuola Rabbinica Margulies-Disegni, Torino, 1969, p. 23-43 (parte
ebraica). Il testo è un quntrass (raccolta di fogli) con le regole del
Seder spiegate succintamente ad opera del giovane Simone Levi di
Carmagnola scritta il 4 nissan 1829, probabilmente oggetto di una
ripetizione in vista di Pessach sotto la guida del padre o di un
maestro, redatta in italiano ma in caratteri ebraici. Si tratta
probabilmente di un cliché nelle Comunità piemontesi, in quanto è stato
recentemente rinvenuto nel fondo mss. ebraici di Alessandria ora
conservato presso l’Archivio Terracini di Torino (n. 900) un testo
analogo, con pochissime varianti, di un secolo prima: esso reca in
calce il nome del “giovanissimo Menachem Ottolenghi di Acqui”, che lo
avrebbe vergato l’8 nissan 5485 (22 marzo 1725). -Shlomo
Yossef Zevin, Ha-Mo’adim ba-Halakhah (The Festivals in Halachah),
disponibile in edizione inglese (ArtScroll Judaica Classics, New York,
1982, p. 129 ssg.). -Haggadah
“Qol Dodì” con l’introduzione inglese del Rav David Feinstein di New
York , figlio del celebre Decisore R. Mosheh Feinstein (m. 1986),
autore dei Resp. Iggherot Mosheh, ArtScroll Mesorah Series, New York,
1990. -Il
Pesach Digest pubblicato annualmente in inglese dal Rav Avraham
Blumenkrantz di Far Rockaway, New York: è un prontuario molto
aggiornato di tutte le norme di Pessach. -Haggadah
“Chazòn ‘Ovadyah” in due voll. e specialmente il secondo, con
l’introduzione del Rav ‘Ovadyah Yossef, già Rabbino Capo Sefaradita
dello Stato d’Israele. -R.
Mosheh Ya’aqov Weingarten, “Ha-Seder he-‘Arukh” in tre voll. in ebraico
e specialmente il primo, Otzar ha-Mo’adim Institute, Yerushalaim, 1991
(5751). -La
Haggadah della Entziqlopedyah Talmudit (ET), Herzog Institute,
Yerushalaim, 5765, corredata con le voci dell’Enciclopedia relative al
Seder (in ebraico). Dal momento che i volumi usciti finora non
raggiungono la metà dell’opera, solo i seguenti argomenti sono in
pratica disponibili: Akhilat Matzah, Akhilat Maròr, Afiqoman, Arba’
Kossot, Bediqat Chamètz, Bi’ùr Chamètz, Birkat ha-Shir, Haggadah,
Hallèl, Hallèl ha-Gadòl, Hassebah, Charosset. -Il volume Pessach della collana Peninè Halakhah del Rav Eli’ezer Melamed di Har Berakhah, 5766, notabilmente ai capp. 15 e 16. Preparazione dei cibi e accensione dei lumi nei giorni festivi Di
Shabbat, a differenza dei giorni di Yom Tov (festa solenne), è proibito
trasportare oggetti, accendere il fuoco in qualsiasi modo e cucinare.
Durante il 1°, 2°, 7° e 8° giorno di Pessach (sempre che non cadano di
Shabbat), invece, è permesso trasportare oggetti fuori casa, cucinare
ed accendere il gas a questo scopo, purché da una fiamma già accesa da
prima della festa. E’ però proibito spegnere il gas dopo averlo acceso.
I fornelli elettrici possono essere usati solo se tenuti accesi
anch’essi da prima dell’inizio della festa, ma ciò è sconsigliabile. Nei
giorni di Yom Tov si può cucinare e preparare solo per il giorno stesso
(ma non per l’indomani; per giorno stesso si intende dal tramonto
all’uscita delle prime tre stelle la sera successiva: in tutto circa 25
ore). Perciò i cibi per il secondo Seder debbono essere stati cucinati
dalla vigilia o scaldati dopo lo spuntare delle stelle della seconda
sera: anche la tavola per la cena va apparecchiata dopo quest’ora o
tramite non ebrei. Così pure la hadlaqat neròt (accensione dei lumi
festivi) la seconda sera va eseguita con una fiamma già accesa da prima
della festa. Se
non è Venerdì Sera, si accende il fiammifero e si recita la Berakhah
relativa prima di portare la fiamma ai lumi, in quanto se anche
dicessimo che la Berakhah costituisce accettazione di Yom Tov,
accendere un lume da un lume già acceso rimane permesso. E’ perciò
preferibile attenersi alla regola generale di recitare la Berakhah su
una Mitzwah prima di compiere l’atto cui si riferisce (‘ovèr
la-‘asiyatan). Occorre porre attenzione a non spegnere il fiammifero
dopo l’uso: lo si appoggerà lasciando che si spenga da solo. Alcune
usano aggiungere la Berakhah She-he-cheyyanu. […]
Alberto Moshe Somekh, rabbino capo di Torino
Clicca qui per scaricare la versione integrale dell'articolo
Qui Firenze - Izzedin Elzir, nuovo presidente Ucoii: “Credo nel dialogo e nella reciproca comprensione”
“Vorrei
una comunità islamica più coesa e trasparente”. È il grande sogno
dell’imam di Firenze Izzedin Elzir, da domenica scorsa nuovo presidente
dell’Unione delle Comunità ed Organizzazioni Islamiche in Italia
(Ucoii). Elzir pronuncia questa frase dal grande valore simbolico nel
suo ufficio situato all’interno della piccola moschea (un garage
dismesso) di Borgo Allegri. Intorno a lui c’è chi prega con gli occhi
fissi sul Corano, chi legge un giornale e chi discute animatamente in
arabo. Un’umanità varia e articolata che rende ancora più interessante
questo incontro che inizialmente immaginavo in forma privata. A pochi
passi dall’ufficio il pittoresco mercatino delle pulci di piazza dei
Ciompi brulica di vita e giovani artisti un po’ fricchettoni cercano
l’ispirazione sotto la Loggia del Pesce, antico residuo del vecchio
ghetto ebraico. Intanto i dodici rintocchi delle campane della chiesa
di S. Ambrogio annunciano che è mezzogiorno. Izzedin Elzir è un
signore sui quaranta, molto affabile e gentili nei modi. Fisicamente
gracilino e basso di statura, ha deciso di assumersi una responsabilità
pesante come un macigno. Ride e mi confida: “Guarda, ho giusto finito
di parlarne davanti ad un caffè con il mio amico Simcha (il gestore del
ristorante kasher distante un tiro di schioppo). Mi aspettano delle
giornate molto intense”. Ma il duro lavoro non sembra spaventarlo più
di tanto. Racconta, sempre con un sorriso ospitale, quale sarà la sua
settimana tipo da presidente: “Tre giorni a Firenze e tre giorni a giro
per l’Italia. Il giorno libero spero di poterlo dedicare alla
famiglia”. Il programma di Elzir si annuncia parzialmente
innovativo. Ecco uno dei punti che ritiene basilare: “Vorrei che il
sermone del venerdì venisse recitato non solo in arabo ma anche in
italiano. Questo perché nella nostra comunità gli arabi costituiscono
una minoranza (circa il 40 per cento) e perché bisogna continuare nel
percorso di integrazione intrapreso”. Ma i musulmani si stanno davvero
integrando? “Penso di sì, anche se possiamo e dobbiamo fare di più.
L’esempio di Firenze, città in cui siamo in ottimi rapporti con le
istituzioni politiche, con le altre comunità religiose e con la
cittadinanza, deve costituire un modello anche per le altre realtà
presenti sul territorio”. Elzir, residente in Italia da oramai 19 anni
(è di origine palestinese), ammette senza problemi che il suo percorso
è stato più facile di quanto si possa pensare: “Quando mi sono
trasferito in questo paese ero un giovane studente di moda. La mia vita
è stata meno complicata di quella di molti altri immigrati”. Poi torna
a parlare di Ucoii e lancia una stoccata che lascia facilmente
intendere quale sarà uno dei suoi obiettivi futuri: “Perché ai
musulmani non è permesso stipulare delle Intese con lo Stato? La scusa
che siamo una comunità eterogenea non sta in piedi. Anche i cristiani
lo sono eppure, con risultati diversi, sono riusciti ad arrivare ad un
accordo. I cattolici hanno il Concordato, tutti gli altri le Intese”.
Neanche il fatto che ci siano almeno tre organi che si candidano a
rappresentare l’Islam italiano è un problema? Elzir rincara la dose:
“Gli accordi si fanno con chi si propone. E noi lo faremo sicuramente.
Ogni altra considerazione è un ribaltamento della prospettiva
attraverso cui affrontare in modo corretto queste dinamiche”. L’imam
individua comunque una lacuna strutturale nel mondo islamico italiano,
anche se strettamente legata a ragioni anagrafiche. “Siamo una comunità
giovane. In alcuni casi dobbiamo ancora farci degli amici tra i
vari amministratori locali. Ma con il tempo le cose andranno meglio”.
Ritorna sulla questione dell’integrazione e sintetizza in poche parole
un concetto che ritiene essenziale: “Bisogna che la gente capisca che
siamo cittadini italiani di fede islamica. Dunque concittadini dei
nostri amici cristiani ed ebrei. Con pari diritti e con pari doveri”. E
sul concetto di cittadinanza comune a prescindere dalla fede religiosa
ha insistito tantissimo in questi ultimi anni. Con entusiasmo
apparentemente genuino si sofferma perciò sul buon rapporto (quasi di
vicinato visto che la sinagoga dista neanche 200 metri in linea d’aria
dalla moschea) che ha con la comunità ebraica e commenta: “Le due
comunità cercano di costruire insieme ponti di dialogo”. Ma sul
conflitto in Medio Oriente il confronto si presenta indubbiamente più
difficile: “Noi siamo vicini al popolo palestinese e loro ad Israele.
È più saggio occuparsi di quello che succede a Firenze”. Elzir ci
tiene a fare una precisazione: “Nel passato sono stato più volte
accusato di essere vicino ad Hamas. Non nego una certa affinità su
alcune questioni, ma le mie parole sono state strumentalizzate.
Ribadisco anche in questa occasione che sono contrario ad ogni forma di
terrorismo”. L’argomento è pesante, meglio parlare di dialogo
interreligioso. “È un qualcosa in cui credo davvero molto. Non a caso
sempre più spesso la comunità islamica fiorentina partecipa ad incontri
ed iniziative che cercano di abbattere il muro dell’incomunicabilità
reciproca”. Il mandato di presidente dell’Ucoii inizia con gli stessi
auspici: “Avremo pur sempre opinioni differenti su molte cose ma vorrei
che ci rispettassimo maggiormente l’un con l’altro”.
Adam Smulevich
|
|
|
|
|
torna su |
pilpul |
|
|
|
|
Comix - Magneto, The testament
Nel 2008 la Marvel pubblica una miniserie in qualche modo risolutiva
sulla storia di uno dei suoi personaggi più famosi e controversi. Ne
avevamo parlato l’anno scorso di Magneto e del tema della Shoà così come è apparso nelle storie dei fumetti dei mutanti in tutti questi anni. Il
personaggio era rimasto in questi anni avvolto nel mistero, la sua
storia era incompleta e troppo diluita nei decenni di storie degli
X-Men. Così Greg Pak e Carmine Di Giandomenico hanno realizzato una
storia estremamente profonda, intensa e completa sulla sua giovinezza.
Non troviamo i mutanti, non troviamo il buon Xavier a confrontarsi con
gli ideali di Magneto. Chi abbiamo di fronte è un giovane ragazzo, Max
Eisenhardt che vive con con il padre e il resto della famiglia nella
germania nazista. Attraverso le vicende della sua famiglia Pak ha
raccontato l’avvento del nazismo, la presa del potere, i maggiori
eventi tragici dell’epoca fino all’invasione della Polonia, e
l’internamento ad Auschwitz-Birkenau dove Max farà parte di un
sonderkommando. Ogni volta che Max partecipa a un evento storico
realmente accaduto Pak si sofferma a darci informazioni, precisazioni
per istruire il lettore. Carmine Di Giandomenico non ha limiti nel
disegnare le tavole: passa da un primo piano a una panoramica senza
perdere la precisione, l’attenzione al dettaglio che palesi il fatto,
il sentimento del personaggio, la sua tragicità. Le frequenti
splashpage ci assalgono buttandoci in faccia il dramma della Shoà.
Il volume, sia nell’edizione italiana quanto in quella in lingua inglese, contiene un ricco apparato
bibliografico con commenti sulle varie fonti a cui gli autori si sono
ispirati per la maggiore precisione nella costruzione della storia. Di
particolare interesse nell’edizione statunitense è una Teacher’s Guide,
una breve guida per gli insegnanti al fine di aiutare gli studenti ad
approfondire il tema della Shoà con obiettivi didattici, argomenti e
ricerche per approfondimenti. Max Eisenhardt è l’origine di
Magneto. Come nasce un personaggio di questo spessore? Fin ad oggi si
erano sommati indizi vari, briciole di storie in storie in questi
decenni. Ma ora Magneto ha una origine profondamente radicata nella
Storia, profondamente tragica. E soprattutto incarna un desiderio,
l’ultimo sussulto dell’uomo Max Eisenhardt prima di diventare Magneto:
'don’t let this ever happen again' (non permettete che accada di nuovo). Di
fronte al padre che rinviava sempre la decisione di scappare, la sua
difficoltà a capire che tutto stava andando a rotoli, Max capisce che
per difendere i mutanti, bisogna cambiare atteggiamento. Ecco perché i
Mutanti Malvagi, ecco perché il rifiuto, almeno iniziale, ad aderire a
un piano di convivenza pacifica di Xavier. Ecco perché non si fida
degli umani... normali. Proprio quella normalità pretese di decidere
chi ha diritto di vivere e chi no. In appendice una storia in
bianco e nero di Neal Adams e Joe Kubert su Dina Babbitt, obbligata da
Mengele a ritrarre i volti delle sue vittime. Dopo la guerra la donna
ha scoperto che i suoi disegni si erano salvati e al momento sono
custoditi dal governo Polacco che non vuole restituirli alla Babbitt.
Le tavole di Kubert sono un tentativo di sensibilizzare il mondo dei
fumetti a questo diritto negato.
Andrea Grilli
Watermarks, la rivincita delle nuotatrici dell'Hakoah Vienna
Watermarks
(Hakoah Lishot), 'la forza di nuotare' di Yaron Zilberman,
regista approdato al cinema dal mondo del High Tech, è un
interessante documentario di 90 minuti inserito, fra le pellicole
selezionate per il Kolno'a Film Festival, la cui edizione veneziana si
è appena conclusa. Il documentario racconta la storia delle campionesse
di nuoto appartenenti al leggendario club sportivo ebraico, Hakoah
Vienna. Il club Hakoah, venne fondato nel 1909 in risposta al famoso
paragrafo ariano, che proibiva ai club sportivi austriaci di accettare
atleti ebrei. Fino a quel momento, lo sport non aveva mai avuto un
ruolo centrale nella comunità ebraica austriaca, che aveva invece
prodotto una generazione di intellettuali e artisti riconosciuti a
livello mondiale, come Freud e Mahler. Negli anni venti il club
vinse il campionato austriaco di calcio e fu anche la prima squadra
europea capace di battere una formazione inglese sul proprio terreno.
In breve tempo grazie ai suoi 3 mila membri attivi, divenne uno dei più
grandi club d’atletica in Europa. Ma fu soprattutto nei primi anni
trenta che l’Hakoah raggiunse una fama internazionale grazie a una
generazione di nuotatrici capaci di battere ogni record a livello
nazionale. Nel 1936, in occasione delle Olimpiadi di Berlino,
tre di loro furono chiamate a rappresentare l’Austria, fra queste
Judith Haspel insignita quell’anno con la medaglia d’onore come una
delle tre migliori atlete austriache. Judith insieme alle due compagnie
decise di non competere: “Mi rifiuto – disse – di partecipare ad una
competizione in un paese che perseguita in modo così vergognoso la mia
gente”. Un gesto di dissenso che le costò tutto. Il suo rifiuto
spinse infatti la federazione a squalificarla da ogni futura
competizione e a cancellare tutti i suoi record. Dopo l’Anschluss,
l'annessione dell'Austria alla Germania nazista nel 1938, i nazisti
fecero chiudere il club sportivo. Con l’aiuto di alcuni amministratori
di Hakoah, le nuotatrici riuscirono però fortunosamente a fuggire dalla
città verso paesi più ospitali come Israele, Inghilterra, Stati Uniti e
Russia. Il regista Yaron Zilberman, dopo 65 anni volle
incontrare i membri ancora in vita della squadra di nuoto femminile,
ormai sparsi in giro per il mondo: Trude Platcek Hirschler, Elisheva
Schmidt Susz, rinomata psicoterapista infantile di Tel Aviv, Hanni
Deutsch Lux, Judith Haspel, Greta Stanton, professoressa di sociologia
del New Jersey, Ann-Marie Pisker di Londra, Anni Lampl da Los Angeles e
Nanne Selinger da New York, che fu l’unica delle nuotatrici a tornare a
Vienna per poi andarsene nuovamente quando Kurt Waldheim, venne eletto
presidente. Zilberman propose alle nuotatrici, ormai ottantenni,
di incontrarsi tutte a Vienna nella loro vecchia piscina d’allenamento.
Un viaggio nelle memorie della gioventù, un itinerario emozionale per
rinsaldare un legame senza tempo. Commovente il momento che vede il
team finalmente riunito indossare nuovamente i costumi da bagno
dell’Hakoah Vienna per un’ultima sessione di nuoto proprio nella città
che le aveva umiliate e costrette a scappare. Watermarks è un
documentario sulla passione di sette eccezionali atlete; sette donne
che ancora oggi, a dispetto dell’età, riescono a nuotare con la stessa
eleganza di un tempo.
Michael Calimani
|
|
|
|
|
torna su |
rassegna stampa |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Come
dobbiamo interpretare la crisi che in queste ultime settimane sembra
agitare duramente i rapporti tra Israele e Stati Uniti? Il preludio ad
una revisione sostanziale delle relazioni privilegiate tra i due paesi,
e quindi la rottura di un asse strategico, oppure una tempesta in un
bicchiere d’acqua? Con tutta probabilità non si tratta né dell’uno né
dell’altro caso. Partiamo dagli articoli di Meron Rapoport su l’Espresso e dell’Osservatore romano
per avanzare qualche considerazione. Se l’autore del primo servizio si
esprime in toni piuttosto netti, rilevando quante siano le cautele che
vanno nutrite nel formulare dei giudizi, ma anche quali possano essere,
non di meno, i dubbi, sulla tenuta di saldi legami tra Washington e
Gerusalemme, rimane il fatto che è difficile sostenere che si sia
all’alba di una nuova era politica. Ben lontani, quindi, dal celebrare
un divorzio che invece, maliziosamente, certuni vorrebbero prefigurare
come uno dei possibili esiti. Certo, se è vero quello che riporta la Stampa,
sia pure a titolo di gossip politico, ossia che Obama avrebbe
seccamente interrotto il colloquio con Netanyahu, dicendo di volere
andare a cenare con sua moglie Michelle, ciò sarebbe il segno di una
frizione abbastanza evidente, quanto meno tra i due uomini. Che non si
amino, peraltro, parrebbe a questo punto sufficientemente chiaro. A ciò
si aggiungono – e qui si tratta di segnali ben più corposi – l’assenza
di comunicati congiunti e la mancata ottemperanza a quelle consuetudini
del cerimoniale diplomatico (foto, conferenze stampa e così via) che
corredano gli incontri andati a buon fine. Piccoli segni di un qualcosa
di ben più grande e quindi preoccupante? Chi conosce la storia
diplomatica sa quante siano state, anche in un passato recente, le
frizioni tra le due capitali. Solo una lettura superficiale e
apologetica può indurre a ritenere che la «special relationship» sia
stata priva di tensioni. Peraltro essa data agli anni Settanta, ed è
stata comunque sempre il risultato della difficile dialettica tra la
Presidenza, propendente per una maggiore simpatia verso lo Stato
ebraico, e il Dipartimento di Stato, che ha spesso fatto da freno in
tal senso. La novità, semmai, è data dal fatto che adesso, a
manifestare le maggiori cautele sia, anche se per voce altrui, lo
stesso Barack Obama, e non altri segmenti dell’Amministrazione. Il
timore che si riconnette a questo stato delle cose è che tale
atteggiamento possa preludere ad una netta attenuazione dei rapporti,
sacrificati in omaggio all’intenzione (scarsamente corrisposta dalle
controparti) di stabilire legami più intensi con il mondo musulmano. Al
momento, va tuttavia riconosciuto, al di là di alcune prese di
posizione, nulla nei fatti è successo. Obama non ha mutato nella
sostanza l’indirizzo della politica americana in Medio Oriente né
parrebbe poterlo fare, quanto meno in tempi brevi. Quello che si è
consumato, come sottolinea Leslie H. Gelb, intervistato da Antonio
Carlucci sempre per l’Espresso,
è che la frizione è tutta diplomatica e gli Stati Uniti non intendono
lasciare passare un comportamento che è stato inteso come irriguardoso
nei confronti delle loro prerogative negoziali. Lucio Caracciolo, sulla medesima testata,
usa toni meno sfumati, indicando nella politica verso Gerusalemme, e
nella questione della sua evoluzione urbana e demografica, un vero e
proprio punto di collassamento rispetto ad un processo negoziale che è
assai improbabile che, a queste condizioni, possa ripartire. Fiamma
Nirenstein, su il Giornale,
è invece di diverso avviso, ritenendo che gli eventi che si sono
consumati in questi giorni corrispondano ad un copione già visto,
scontato e mediocre, dove all’ostilità dei (molti) soliti si aggiunge
una politica, quella dell’Amministrazione americana, pencolante e a dir
poco incerta, senza un traguardo nel mentre mette a rischio una solida
partnership con Gerusalemme. Sul versante israeliano Eric Salerno, per
il Messaggero,
avanza alcune riflessioni nel merito dei riflessi che il viaggio di
Netanyahu in America, svoltosi sotto l’egida di una fredda reciprocità
tra gli interlocutori, potrebbe avere di qui alle settimane e ai mesi a
venire. Se è inopportuno affermare che si sia ad un braccio di ferro
tra gli Stati Uniti ed Israele, come invece lascia intendere Umberto De
Giovannangeli su l’Unità,
è invece assai più plausibile dire che si è a un secco confronto
politico tra i governi dei due Stati. Il primo Ministro israeliano non
piace a Washington, che evidentemente caldeggia, dietro le quinte, un
mutamento degli equilibri interni a Gerusalemme, auspicando un ritorno
sulla scena di Kadima, il partito dei moderati, come sottolinea
Maurizio Piccirilli su il Tempo.
Sullo sfondo di questa non facile crisi c’è l’involuzione – l’ennesima
– che si registra a Gaza dove, come scrive Sergio Romano su Panorama,
la concorrenza estremista ad Hamas, portata avanti dai gruppi salafiti,
si sta facendo intensa e lascia prefigurare un futuro prossimo di
tensioni, derivanti dalla prevedibile stagione, in divenire, di lotte
intestine. Claudio Vercelli |
|
|
|
|
torna su |
notizieflash |
|
|
|
|
Israeliani insoddisfatti del governo Netanyahu Tel Aviv, 26 mar - Cresce
fra gli israeliani la delusione e la sfiducia nel premier Netanyahu.
Questo il risultato di un sondaggio pubblicato dal quotidiano Haaretz.
Il sondaggio era stato condotto all'inizio della settimana scorsa,
quindi prima del discusso colloquio fra il premier e il presidente
degli Stati Uniti Barack Obama. Ecco i risultati in dettaglio: il 51
per cento degli israeliani non sono soddisfatti di Netanyahu, mentre il
41 per cento mantengono un parere favorevole. Haaretz nota che -
probabilmente per considerazioni di politica interna - in una sola
settimana la percentuale degli scontenti è cresciuta del 7 per cento.
Il personaggio pubblico più popolare di Israele in questo momento è il
capo dello stato Shimon Peres, che gode della approvazione del 78 per
cento degli intervistati. E' seguito in ordine di popolarità da due
personaggi non propriamente politici: il capo di stato maggiore
generale Gaby Ashkenazi e dal governatore della Banca di Israele
Stanley Fischer, entrambi sostenuti dai favori del 74 per cento degli
israeliani. |
|
|
|
|
|
torna su |
|
L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei
l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere
ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo
e-mail, scrivete a: desk@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”. |
|
|