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L'Unione informa |
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1 aprile 2010 - 17 Nisan 5770
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alef/tav |
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Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma |
Domani,
nel giorno più funesto della storia del rapporto cristiano ebraico,
qualcuno pregherà per la nostra conversione e affinché i nostri cuori
finalmente vedano la luce. Lo farà nella lingua, ormai morta, di
quell'Impero che distrusse due volte Gerusalemme. Due anni fa la
pubblicazione del nuovo testo latino dell'oremus suscitò proteste
e polemiche, mentre cercavano di spiegarci che la preghiera era per il
nostro bene. Si arrivò a un armistizio essenzialmente politico quando
fu precisato che la preghiera si riferisce alla fine dei tempi (il che
può essere) e che "non è intenzione della Chiesa cattolica operare
attivamente per la conversione degli ebrei" (così sembra essere
effettivamente oggi). Di fatto il cosiddetto dialogo ebraico cristiano
si muove nello spazio del politico reale. Quanto sia largo o stretto
questo spazio, è da verificare ogni giorno. |
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Le
elezioni regionali di questa settimana offrono un’occasione per
confrontare i sistemi politici di due democrazie, Italia e Israele. In
Italia, su 13 regioni andate al voto, i partiti vicini al governo
passano dal controllo di due regioni a sei, e i partiti
dell’opposizione passano da 11 a sette. Se abbiamo capito bene, allora,
hanno vinto tutti: ha vinto il governo che migliora di quatto
posizioni; ha vinto l’opposizione che mantiene il controllo della
maggioranza delle regioni in cui si è votato. Oppure ha perso il
sistema: molto alto l’astensionismo, e all’interno delle due grandi
coalizioni si rafforzano gli elementi del voto campanilista e del voto
contro. In fin dei conti, forse, il governo ha vinto, ma la
governabilità ha perso qualcosa. E qui entra in gioco Israele, uno dei
pochi paesi al mondo dove ancora si elegge su un parlamento eletto con
la proporzionale pura in un collegio unico nazionale. Il governo di
coalizione si regge su sette partiti (sui 12 rappresentati alla
Knesset), e le figure principali - Bibi, i ministri degli esteri, degli
interni, della difesa - godono di scarsa popolarità, fra l’altro per le
recenti gaffe in politica estera. Ma il sondaggio di questa settimana
in Israele indica che se si votasse oggi l’attuale coalizione
governativa manterrebbe la maggioranza, sia pure ridotta di qualche
seggio. Dunque, un’altra vittoria per il governo; un’altra sconfitta
per la governabilità.
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Sergio Della Pergola, Università Ebraica di Gerusalemme |
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L'uso universale dell'Esodo
Nel
costante dibattersi dell'ebraismo fra il particolarismo e
l'universalismo, colpisce l'uso universale che della liberazione
dell'Esodo, che noi ebrei celebriamo nel Seder e nella lettura
dell'Haggadah, è stato fatto nella storia. In particolare il mondo
protestante del Cinque-Seicento ha visto nell'Esodo la metafora di ogni
rivoluzione, di ogni volontà di opporsi alla tirannia e di conquistarsi
la libertà. Lo ha raccontato in un librino affascinante di tanti anni
fa un grande studioso americano del pensiero politico, Michael Walzer,
dimostrando la potenzialità innovativa, costruttiva di questa metafora,
che esalta l'agire dell'uomo nella storia, la sua azione politica nel
mondo. E possiamo forse dedicare un pensiero, ricordando la nostra
liberazione, a quanto questa liberazione è stata capace nel corso dei
secoli di dire al resto del mondo.
Anna Foa, storica
Istantanee - Pesach all'ospedale Schneider
Pesach,
poco prima del Seder, Ospedale Schneider, Petach Tiqvah: mio figlio
viene ricoverato d'urgenza per un'appendicite acuta. Mio marito, uomo
di poche parole, mi comunica col cellulare che lo stanno portando in
camera operatoria, ma lui gli ha già fatto fare Pesach, pronunciando la
formula della Haggadah :"Pesach, Mazah u-maror". Gli ospiti
cominciano ad arrivare: stupiti di trovare solo me in casa, decidono
all'unanimità che si può rispondere al telefono. Il tempo passa, cominciamo la lettura della Haggadah, un po' più distratti del solito. Finalmente,
il telefono squilla: risponde Etty, che, nel ruolo di vice-nonna
adottato sui due piedi, ci dà la buona notizia: il ragazzo si sta
risvegliando dall'anestesia. Sollievo generale e benedizioni del caso. Il Seder procede senza interruzioni ulteriori. L'indomani
sera, mi precipito con un taxi all'ospedale. Se non fosse un ospedale,
sarebbe un meraviglioso "regno dei bambini": medici alla mano,
infermiere sorridenti, giocattoli, colori gioiosi e, soprattutto, la
capacità di dare la parola ai piccoli pazienti, di rispondere alle loro
domande senza spazientirsi, di spiegare senza fretta, di curare con
rispetto. Padre e figlio sono in una stanza, divisa in due da
una tenda; dall'altra parte, c'è una ragazzina araba, operata per una
grave malformazione alla spina dorsale, con la madre. "Um
Meysam", la madre della ragazzina, ha una veste lunga fino ai piedi,
capo e collo coperti dall'Hijab. Ha sette figli a casa; ha lasciato
tutto pronto in freezer, perché "Abu Ali", suo marito, non saprebbe
come sbrogliarsela ai fornelli e i figli - Allah li protegga!- hanno
tutti buon appetito. Stavano proprio per sistemarsi benino, lei e "Abu
Ali", si erano costruiti la casa e progettavano persino un viaggio
all'estero… poi, è nata Meysam: "Che ne sappiamo noi del volere di
Allah ?!". Meysam non può' andare a scuola, la educa lei, a casa, con
un libro in ebraico, per i giardini d'infanzia: Meysam fa un po'
fatica, ma, alla fine, capisce tutto. I gemiti di Meysam ci
interrompono; arriva a spron battuto un'infermiera etiope che potrebbe
fare la fotomodella. "Aveva tanta paura dell'operazione! - le spiega la
madre in ebraico - ma l'ho convinta: dopo, le ho detto, potrà mettersi
anche lei le belle jallabie delle sorelle…Insomma, speriamo…: Allah è
misericordioso!" Mio figlio, invece, ha ripreso appetito e non è
per niente soddisfatto della dieta liquida; sul sottofondo dei lamenti
di Meysam, lui, zabar verace, fa sentire con recuperata energia la sua
protesta. Arriva il medico, un russo falstaffiano, che ha l'aria di
Mangiafuoco. "Sono affamato!" protesta polemico il mio rampollo. Inalberando
fieramente il suo pancione, il medico sentenzia: "Un vero maschio è
sempre affamato!" e ...: "ha-chakham yavin" ("chi è in grado di capire,
capirà"). Adesso, è arrivata l'ora di dormire. Mio marito
prega in ebraico, "Um Meysam" prega in arabo; si coricheranno ognuno a
fianco della propria progenie, separati da una sottile tenda tirata. E
nessuno ci trova nulla da ridire. Pesach in ospedale: l'uscita dalla schiavitù verso la libertà.
Marina Arbib
Anna Colombo - Un secolo di vita intensa
Anna
Colombo è morta il 4 febbraio in casa sua a Gerusalemme, appena
compiuto il 101 compleanno, lucida e cosciente fino al giorno prima. Da
allora, io, suo unico figlio, ricevo messaggi diversissimi da tanti
suoi amici, ex-allievi e conoscenti, con un unico comune denominatore:
quanto ognuno che l'ha conosciuta abbia ricevuto da lei in campi così
differenti, malgrado, direi, il suo carattere certo non facile. Proprio
chi non è religioso e non crede all'aldilà, come lo era lei e come una
cara amica, direi sua figlia adottiva, non può capacitarsi che una
presenza umana come la sua sia scomparsa nel nulla, con tutte le sue
memorie, esperienze, letture, emozioni. Per me, e credo per molti che
l'hanno conosciuta, resta vivido un patrimonio intero che ci ha
lasciato, diverso per ciascuno, ben oltre al libro autobiografico che
ha pubblicato pochi anni fa ("Gli ebrei hanno sei dita", ed.
Feltrinelli), alle traduzioni e agli articoli pubblicati sulla Rassegna
di Israel, Hakehila e vari altri. Per questo mi permetto di estrarre ed
esporre in poche righe quei valori principali che a mio avviso l'hanno
caratterizzata, e che in parte per lo meno possono essere un riassunto
della sua esperienza umana, lungo un secolo di vita intensa. Cresciuta
in una famiglia ebraica piemontese, tra Alessandria e Genova, in
ambiente piccolo borghese, di fede democratica mazziniana, patriota per
un'Italia liberale e utopicamente socialista, l'ebraismo era per loro
termine d'identità e di calore familiare, più che di religione, e
sorgente, nei Profeti e nei Pirkei Avot, del messaggio universale
d'integrità morale, di libertà, di giustizia sociale e di umanesimo che
la rivoluzione francese e l'emancipazione avevano reso comune per tutti
e anche per gli ebrei, dopo tanti secoli di discriminazione. Era
arrivata al sionismo all'inizio dei suoi 20 anni, e alla fine degli
anni venti del secolo scorso, come espressione più naturale per gli
ebrei della negazione viscerale del fascismo, del nazionalismo e del
totalitarismo, molto prima delle leggi razziste e dell'adozione
dell'antisemitismo di stato e delle persecuzioni dirette anche in
Italia. Il sionismo dunque era per lei sinonimo di lotta per la
democrazia, la tolleranza e il rispetto per il prossimo, nello spirito
del vecchio Hillel, "non fai al prossimo quello che non vorresti sia
fatto a te". Per lei, la Shoà, in cui perirono i genitori e il
fratello (ne ebbe la tragica notizia solo dopo la Guerra, nella lontana
Romania, dove aveva incontrato la realtà di un antisetimitismo
esacerbato, popolare e atavico, sconosciuta in Italia) dette conferma
non solo della necessità dello Stato ebraico per gli ebrei, ma anche
dell'obbligo universale di combattere ogni forma di totalitarismo, di
xenofobia, di razzismo, di discriminazione (di destra o di sinistra). Dal
1968, uscita in pensione dall'insegnamento al liceo pubblico statale in
Italia, e al liceo ebraico di Milano, si è stabilita a Gerusalemme: ma
di questi ultimi 40 anni di vita non per nulla ha voluto sottolineare
nel suo libro, con orgoglio (ma anche con disperazione), solo il fatto
di essere stata assidua partecipante alla vigilia settimanale delle
"Donne in nero", contro l'occupazione militare dei territori e della
popolazione palestinese. Ha visto con dolore la degradazione
nazionalistica del sionismo ufficiale e l'esplosione di fenomeni
coloniali, che forse esistevano sotto-sotto anche prima del 1967, ma
erano contenuti dalla vergogna, ed erano in contraddizione con i valori
dichiarati del movimento di emancipazione del popolo ebraico: si è
trovata di fronte a una realtà che l'ha disillusa dalla sua speranza
che esso fosse immunizzato contro i germi di cui gli ebrei sono stati
per secoli le vittime principali. Ha continuato per tutti questi
anni a interessarsi di ebraismo, di storia, d'arte, di letteratura e di
filosofia; fin quando ha potuto leggere e visitare esposizioni ha
scritto articoli e dato conferenze su quanto leggeva e vedeva,
comunicando ad altri, come educatrice di vocazione, le sue esperienze e
reazioni. Ammirava la curiosità, l'onestà intellettuale e il
rigore del pensiero; disprezzava la retorica, la vigliaccheria dei
compromessi e anche la fiducia cieca, acritica, verso qualunque forma
di autorità, anche a prezzo di perdere amici. Per lei, credo, la
libertà di pensiero non era solo un diritto per cui combattere, ma
anche un dovere per chiunque voglia essere degno di chiamarsi uomo. Qui
terminava la sua dichiarata tolleranza per le idee altrui e per la
libera scelta. Chi non usava il cervello, non meritava la sua
attenzione. Pretendeva che l'accettassero com'era e che
ammettessero come non conformismo la sua spontaneità, senza offendersi
dei suoi modi di fare, spesso non "ben educati". Molti l'hanno ammirata
per "il coraggio di essere com'era, costi quel che costi" (ben scritto
da un'amica), ma molti di più hanno preferito tenersi in guardia. Lei
stessa invece era molto sensibile a come gli altri la trattassero. Le
espressioni del suo affetto e della sua tenerezza sono state molto
parsimoniose, spesso sconosciute, a limite di durezza anche per le
persone più vicine a lei. A suo tempo voleva lasciare il suo corpo
alla scienza, ma ci aveva rinunciato dopo aver saputo delle difficoltà
burocratiche incontrate per questo alla morte di mio padre. In Italia
era iscritta per la cremazione, credo per identificazione coi Suoi,
periti ad Auschwitz, ma questa non è ammessa in Israele. Negli ultimi
tempi mi ha detto che non dava più nessuna importanza alla sepoltura:
si è preparata cosciente alla morte, rifiutando di mangiare negli
ultimi giorni, lei che era scappata per pranzo persino dal suo adorato
Partenone. Rimmon Lavi
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pilpul |
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Cibo pesante
Sono
decenni che non digerisco. Mi viene sempre in mente qualcosa di pesante
che ho dovuto buttare giù in fretta e furia, e non digerisco. Ho
cominciato da bambino a non digerire piccole cose. All'inizio ci fu la
Fiorentina che non vinceva che di rado, ma poi le cose sono assai
peggiorate e sono arrivati bocconi sempre più indigeribili. Per esempio
ci fu quella volta che al liceo mi tirarono addosso le monetine perché
ero ebreo e a me non me ne fregò niente, quelle erano pinzillacchere,
come direbbe Totò. Il fatto è che poi dovetti digerire le scuse.
Dissero che era stato uno scherzo innocente, e le scuse erano peggio
dello scherzo, e l'aggettivo innocente un macigno ficcatomi in gola
come se fosse stato un biscotto per il tè. Io proprio non digerisco.
Per esempio, c'è quella tesi di laurea di Abu Mazen, conseguita nel
1982 nel non limpidissimo Collegio di Storia Orientale di Mosca. Vi si
sosteneva l'indigeribile idea che gli ebrei enfatizzino il numero degli
scomparsi nella Shoah per ottenere il consenso internazionale, e allora
non si tratta di sei milioni di morti, ma di alcune centinaia di
migliaia di vittime - scrisse il nostro eroe. Purtroppo nel 2003,
in un'intervista a Haaretz, si corresse e la mia digestione peggiorò
ancora. Disse che non intendeva più parlare del numero dei morti nella
Shoah, e fu la sua ammenda. Nel giro di poche ore mi misi a non
digerire la sua faccia tosta. Nelle sue parole c'era il senso sotteso
che il numero dei morti non teneva conto della sensibilità dei
popoli arabi, la qualcosa significa che non bisogna parlare della
verità se essa è a pro degli ebrei, e che è normale mentire,
correggere, tacere, omettere, divagare quando si tratta di Israele,
ebrei, sterminio, duemila anni di Storia. E alla fine deve essere
questo che non mi fa digerire, l'essere spostati come manichini e come
manichini essere vestiti un giorno in un modo e il giorno dopo in un
altro. Trovarsi sempre a essere gli ospiti di questo pianeta. Scusate,
voi digerite bene?
Il Tizio della Sera |
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rassegna stampa |
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Non
vi sono molte notizie pertinenti all’ebraismo e a Israele sulla
rassegna stampa di oggi. E, riguardando i giorni scorsi in cui non vi è
stata “L’Unione informa” ma la rassegna è stata comunque compilata
dall’azienda fornitrice, non ve ne sono state neanche ieri e l’altro
ieri. Eppure ci sarebbe da informare e da
riflettere. Subito prima di Pesach “Haaretz” aveva rivelato che Obama
nell’incontro con Netanyahu gli aveva posto dieci condizioni o
“domande” per normalizzare le relazioni, di cui quattro su Gerusalemme:
apertura di una sede governativa palestinese a Gerusalemme, blocco
delle costruzioni nella zona della città che era stata a suo tempo
occupata dalla Giordania, fra cui Ramat Shlomo, proibizione di
abbattere le case abusive dei palestinesi, decisione dei temi centrali
in discussione (confini, profughi, capitale ecc.) già nella fase delle
trattative indirette, cioè sulla base di una falsariga americana. Oggi
su un paio di giornali italiani (Il Manifesto, Avvenire)
si riferisce in notizie brevi della condizione sul blocco delle
costruzioni della Gerusalemme già occupata dalla Giordania (o Est, come
si usa dire in maniera imprecisa) che sarebbe però secondo i giornali
citati limitata a quattro mesi, cioè fino alla fine del blocco delle
costruzioni in Giudea e Samaria sancita dal governo israeliano (che
peraltro, in un’altra delle condizioni capestro per Israele, gli
americani vogliono prolungare). Nel frattempo continua la campagna della stampa internazionale al seguito di Obama contro il governo israeliano. Lo Herald Tribune riporta un editoriale apertamente disfattista di “Haaretz”, e Panorama
pubblica un articolo di Pino Buongiorno, che addita il preteso
isolamento di Netanyahu, usando come oro colato un sondaggio pubblicato
da “Haaretz” una settimana fa in forma assai scorretta e
propagandistica e prontamente smentito dal suo supervisore scientifico:
un piccolo scandalo del giornalismo israeliano puntualmente non
riportato dalla stampa internazionale. E naturalmente Buongiorno per
dimostrare la sua tesi dell’”isolamento” applica i metodi del gossip
irresponsabile tipici del giornalismo italiano alla politica
israeliana, raccontando al lettore che cosa il padre centenario di
Netanyahu avrebbe consigliato al figlio durante il seder di Pesach:
peccato che la stampa non fosse invitata al seder e che il giornalista
italiano, se pure fosse stato presente, non avrebbe potuto capire
niente per via della barriera linguistica. Vi sono due
articoli interessanti sui rapporti fra ebraismo e cristianesimo, non
tanto per quel che dicono ma per l’ignoranza che rivelano. Alfonsdo
Belardinelli sul Foglio,
scopre che vi è una differenza fra le due religioni che si può
caratterizzare col fatto che i cristiani parlano di Gesù “Cristo” e noi
solo di Gesù (perché, guarda un po’ “cristo” è la traduzione greca di
“Mashiach”, cioè “unto” e noi non pensiamo che il Messia sia arrivato
2000 anni fa); Avvenire popotus,
cioè il supplemento settimanale del quotidiano cattolico, riconoscendo
correttamente che l’”ultima cena” di Gesù sia stato un seder, si
avventura in una ricostruzione del nostro sito decisamente imprecisa.
Più utile invece, l’articolo di Claudia Milani (sempre su Avvenire)
a proposito delle posizioni del cardinal Kaspar (responsabile vaticano
per i rapporti interreligiosi a proposito dei rapporti fra ebraismo e
cristianesimo. Altre notizie: Il Belgio mette al
bando il burqa (primo in Europa). Il museo della Liberazione di Via
Tasso a Roma, la cui sede è stata recentemente imbrattata da
neonazisti, sarà dotato di un sistema di telecamere di sorveglianza,
che finora mancavano, per decisione del sindaco Alemanno (E-polis). Da leggere infine con molta attenzione critica un articolo di Francesco Spano sul Messaggero,
che prova a inquadrare la recente crisi del consiglio della Comunità
ebraica romana in un contesto più vasto, utilizzando però per
condannare la maggioranza della Comunità e appoggiare la minoranza
dimissionaria proprio quella categoria di “deriva identitaria” che è
stata autorevolmente rifiutata su queste pagine dal rabbino capo di
Roma. Scrive Spano fra l’altro: “combattere la tentazione
dell’arroccamento identitario significa ridefinire un modo alto per
essere ciò che siamo con gli altri e per gli altri; specie con quelli
che hanno elementi di diversità.” Al di là della bizzarria di alcuni
concetti confusamente multiculturalisti (vi sarebbero alcuni forniti di
“elementi di diversità” altri che “immerso in una società liquida,
cerca riferimenti in tradizioni che rischiano di diventare granitiche”…
eccetera) e a parte l’evidente finalità politica di un intervento che
si presenta come “alto”, quella di Spano e delle persone che egli cita
è una ricetta sicura per far sparire quanto resta dell’ebraismo
italiano, già diluito come una piccola minoranza in una società che per
l’ebraismo ha un rispetto o un senso di colpa confuso e vago, un po’
come per gli animali in via di estinzione che sono simpatici se non
pretendono di continuare a vivere secondo i loro costumi e le loro
esigenze. Ugo Volli
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notizieflash |
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Napoli, il concorso del Comune che tutela le religioni Napoli, 31 mar - Il
Comune di Napoli tutela in tutto e per tutto le religioni. In occasione
del concorso indetto dal Comune e gestito dalla società Ripam Formez,
per il quale è prevista la partecipazione di circa 110 mila persone,
sono previste salette per pregare ma anche la possibilità di chiedere
lo spostamento della prova laddove la convocazione dovesse coincidere
con un giorno di festa, tutto questo al fine di rispettare le
confessioni religiose di ciascun candidato. “Un piena attuazione del
rispetto della Carta costituzionale, visto che garantisce a tutti pari
opportunità”, così l'assessore al Personale di Napoli, Enrica Amaturo,
commenta il provvedimento adottato. Ai sensi della legge 8 marzo 1989
n.101, i candidati di religione ebraica che risulteranno convocati a
sostenere la prova per i giorni 19 e 20 maggio 2010, festa di Shavuot,
potranno così chiedere l'eventuale spostamento della convocazione. Ai
candidati di religione islamica che risulteranno convocati a sostenere
la prova per i giorni di venerdì 21 maggio, 28 maggio e 4 giugno è
stata data, invece, facoltà di recarsi in apposita sala, annessa alla
sede di svolgimento della prova, per la recita delle preghiere del
venerdì, in orari che comunque non coincideranno con quelli di
svolgimento della prova. Siamo in una società multietnica ed è giusto
fare un concorso multietnico", ha affermato ancora la Amaturo. |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei
l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere
ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo
e-mail, scrivete a: desk@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”. |
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