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L'Unione informa |
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2 aprile 2010 - 18 Nisan 5770 |
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alef/tav |
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Roberto Colombo, rabbino |
Rabbì
Moshe Feinstein (1895–1986) tra i più grandi Maestri del XX secolo,
invitò un giorno i propri alunni a un ricco e particolare banchetto per
aver terminato lo studio di tutti i complessi trattati talmudici.
“Maestro”, chiese uno di essi, “Non comprendo il motivo di tanta festa.
Nel corso della tua lunga vita hai finito l’intero Talmud decine di
volte”. “E’ vero” - rispose rav Feinstein - “ma oggi è diverso.
Stavolta sono riuscito a completare l’intero Talmud nel corso di anni,
mentre aspettavo l’autobus che da casa mi portava al mio ufficio. Non
aver buttato via il tempo inutilmente mi ha reso tanto felice”.
Vien da ridere a pensare al tempo che perdiamo noi a discutere e a
litigare spesso per cose assolutamente inutili.
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Nel
suo ultimo libro "Se niente importa - Perché mangiamo gli animali?",
Safran Foer narra le reazioni dellla variegata comunità ebraica
americana a proposito delle crudeli modalità nella macellazione degli
animali praticate nel mattatorio di carne kasher dello Iowa. In un
comunicato congiunto rabbini ortodossi, conservative e riformati
ribadiscono il fatto che il provocare sofferenze a creature viventi è
violare il principio fondante della tradizione ebraica che insegna la
compassione per gli animali. Come spesso accade nel mondo ebraico
l'analisi della questione non si sofferma solo sullo specifico, in
questo caso sull'essere o meno vegetariani, ma si sviluppa anche su un
fronte più ampio, come testimoniato dal parere del direttore ortodosso
di studi talmudici dell'università di Bar Ilan in Israele, il quale
afferma che: "insistere sul fatto che a Dio importi solo della sua
legge rituale e non della sua legge morale vuol dire profanare il
Nome". Una considersazione stimolante, adattabile anche da noi e che si
presta a numerose declinazioni. |
Sonia Brunetti Luzzati,
pedagogista |
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Giorgio Nissim e Gino Bartali: due eroi mai sufficientemente onorati
Da
qualche anno a questa parte si è assistito a una vera e propria
riscoperta dei meriti extrasportivi di Gino Bartali, epica figura del
ciclismo povero e polveroso il cui straordinario eroismo permise a
centinaia di ebrei in fuga di ottenere una nuova identità che avrebbe
salvato loro la vita. Il ruolo di primo piano da lui ricoperto
nella rete clandestina che forniva assistenza e documenti falsi ai
perseguitati del centro Italia meriterebbe, a detta di tanti, il
pubblico riconoscimento dello Stato di Israele con un albero piantato
in suo onore nel Giardino dei Giusti dello Yad Vashem. Non a caso
nella sua amata (e talvolta ingrata) Firenze è stato lanciato nello
scorso autunno un appello che punta a raccogliere quante più
testimonianze possibili per far sì che questo atto di giustizia venga
finalmente compiuto. Portare alla luce aspetti meno conosciuti
della vita di Gino Bartali significa far rivivere nella memoria di
ciascuno le vicende di tanti uomini coinvolti nella rete clandestina
che anteposero la salvezza dei perseguitati ad ogni altra cosa. Tra cui
numerosi membri del clero toscano, come il cardinale Elia Dalla Costa
(vicentino di nascita ma fiorentino di adozione), il sacerdote Leto
Casini e don Giulio Facibeni: per molti ebrei le porte aperte dei loro
conventi e dei loro monasteri vollero dire l’unica possibilità di
salvezza dai criminali nazifascisti e dai delatori disposti a venderli
per una manciata di lire al nemico. Tornare a parlare del Bartali
antifascista e non solo dal Bartali corridore e rivale di Fausto Coppi
significa ricordare e tributare i giusti onori anche a colui che fu il
coordinatore e l’animatore di questa grande operazione di salvataggio:
l’ebreo pisano Giorgio Nissim (nell'immagine in alto). Coinvolto
nelle attività del nucleo fiorentino della DELASEM (l’associazione
ebraica nata per dare assistenza ai correligionari internati in Italia)
da Raffaele Cantoni, Nissim si ritrovò di fatto a capo della sezione
toscana dell’associazione in seguito agli arresti, nel novembre del
1943, di Cantoni e del rabbino Cassuto. Rimasto praticamente senza una
guida, non si perse d’animo e cercò nuovi punti di appoggio per la
rete: li trovò in particolare nei sacerdoti oblati di Lucca, città in
cui decise di concentrare la sua attività. In movimento costante
ovunque vi fosse bisogno del suo aiuto, più di una volta fu lui stesso
ad accompagnare gli ebrei in fuga dall’Italia settentrionale fino alle
case dei loro salvatori. Centinaia di persone sono sopravvissute grazie
al suo eroismo. Oltre al coraggio e alla profonda umanità, Nissim
ha almeno un’altra caratteristica in comune con Bartali: il fatto di
non aver mai voluto parlare (o di averlo fatto assai poco) della sua
attività di soccorritore. Caratterialmente schivo, evitò qualsiasi
riconoscimento ufficiale che ne potesse attestare il ruolo avuto nella
salvezza di così tanti esseri umani. I meritati onori che non ricevette
per sua volontà in vita, gli sono stati tributati soltanto dopo la
morte. Eroe silenzioso come il buon Ginettaccio, per conoscere
qualcosa in più di questo personaggio chiave nella storia dell’ebraismo
italiano si è dovuto attendere addirittura il 2005. Cioè quando la
famiglia di Nissim ha autorizzato la pubblicazione di Memorie di un
ebreo toscano (1938-48), diario a cura della storica Liliana Picciotto
che ha permesso di approfondire maggiormente il funzionamento delle
rete predisposta dalla DELASEM di cui persino i soggetti coinvolti non
erano a piena conoscenza per motivi di sicurezza.
Adam Smulevich
Un albero anche per Ginettaccio
L’eroismo
può avere tanti volti. Anche quello di un uomo dagli occhi tristi e dal
naso spigoloso. Insomma il ritratto di Gino Bartali, toscano doc e
campionissimo della bicicletta negli anni gloriosi del ciclismo. Gli
anni delle rivalità genuine e delle infinite battaglie su strade
disastrate e polverosi viottoli di campagna, ma anche gli anni della
guerra e delle persecuzioni razziali. E fu proprio in quel contesto
drammatico che l’eroe dal naso importante decise di dare tutto se
stesso per salvare il popolo ebraico. La storia è nota, ma neanche
troppo: Bartali partiva da Firenze con destinazione Assisi, quasi 400
chilometri tra andata e ritorno, non di rado percorsi nel giro di
poche ore. Nella canna della bicicletta nascondeva documenti da
falsificare che recapitava alle suore clarisse del monastero di San
Quirico. Le religiose provvedevano a smistarli ad alcuni tipografi della
zona, che li restituivano pronti per essere consegnati ai gruppi di
ebrei in fuga ospitati nel monastero. Era questo il funzionamento della
rete clandestina organizzata dal cardinale Dalla Costa, che vedeva
eminenti personaggi del clero combattere in prima linea contro i
crimini del nazifascismo. Ginettaccio non agiva per interesse, ma
per pura bontà di cuore. Racconta suo figlio Andrea: “Ha percorso
quella tratta almeno 40 volte”. Lungo il tragitto incontrava molto
spesso pattuglie di soldati tedeschi, che insospettiti dal suo
frequente vagare per quei luoghi non esitavano a fermarlo. Ma Bartali
era pur sempre il vincitore di un Tour de France. La scusa che
percorreva quelle strade per allenarsi gli salvò più di una volta la
vita, i tedeschi non smontarono mai suo veicolo e lui poté ogni volta
portare a termine la missione affidatagli: circa 800 ebrei furono
salvati in questo modo avventuroso. Il campione di Ponte a Ema non
parlava mai con nessuno di quello che era stato il suo ruolo
nell’organizzazione. “Perchè mio padre non voleva farsi pubblicità
sulle disgrazie altrui”, ricorda Andrea. Toscano chiacchierone, scelse
la via del silenzio. Bartali ci ha lasciati nella primavera del 2000.
Dalla sua morte in poi le onorificenze che gli sono state conferite
hanno fatto luce su aspetti meno conosciuti di un mito, sportivo e non
solo, del Novecento. Anche le istituzioni si sono mobilitate. Il 25
aprile del 2006 l’ex presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi
ha consegnato alla moglie la Medaglia d’oro al valore civile per il
“mirabile esempio di grande spirito di sacrificio e di umana
solidarietà” del defunto marito. Il Comune di Firenze ha voluto
piantare un albero in suo onore nel Giardino dei Giusti di via Trento. E
c’è un altro albero che meriterebbe di essere piantato. Dove? A Yad
Vashem. Recentemente Sara Funaro aveva lanciato un appello sulle pagine
del bimestrale Toscana Ebraica, chiamando a raccolta i testimoni di
quella straordinaria prova di coraggio per far ottenere a Gino il
massimo riconoscimento conferito dallo Stato d’Israele. Il tempo, per
evidenti ragioni anagrafiche, stringe. L’appello viene riformulato su
Pagine Ebraiche. Chi sa qualcosa, parli: c’è un eroe silenzioso che se
lo merita. E mentre il mondo ebraico prova a mobilitarsi per uno
dei suoi salvatori, a Gino arriva lo schiaffone postumo della sua
Firenze, dove nei mesi scorsi il museo a lui dedicato ha chiuso per
problemi di gestione. Il Comune ha indetto una gara di appalto, ma
tutto tace. E molti si chiedono come possa la città che si candida ad
ospitare i Mondiali di ciclismo nel 2012 condannare il suo più grande
campione all’oblio.
a.s. - Pagine Ebraiche, aprile 2010 |
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Comix - Rony Oren e la claymotion
Nelle
sue mani la plastilina prende vita. In Israele, ma non solo,
generazioni di bambini sono cresciute guardando in tv i suoi Foxy la
volpe e Grabbit il coniglio. Il pappagallo “sabra” è praticamente
un’icona nazionale. Stiamo parlando di Rony Oren (nell'immagine a fianco),
artista israeliano di fama internazionale e docente all’Accademia
d’Arte Bezalel di Gerusalemme, recentemente protagonista di un tour
italiano organizzato dall’ambasciata d’Israele. Da Firenze a Milano, da
Torino a Bologna, Oren e le sue creazioni di plastilina hanno portato
sorrisi ed allegria tra giovani e adulti. “Questo lavoro è
bellissimo” mi spiega l’artista durante la sua visita al Centro
nazionale di cinematografia - Dipartimento di animazione di Chieri
“guardi le persone che si divertono a tornare bambini mentre i più
piccoli possono dare sfogo all’immaginazione”. Al suo pubblico, nel
breve soggiorno italiano, Oren ha insegnato i fondamenti per creare
dinosauri, pinguini e altri animali di plastilina: “modellare una
palla, arrotolare una salsiccia e appiattire una focaccia”. Tre
passaggi e il gioco è fatto. “Il segreto” racconta “è fare le cose nel
modo più semplice possibile”. Ma l’impressione è che sia la sua
passione, il suo entusiasmo a rendere tutto più facile. Maestro
della claymation (animazione della plastilina), Oren inizia a produrre
i suoi cortometraggi nel 1975 e qualche anno dopo si mette in proprio.
“Allora le cose erano evidentemente più difficili: dovevo lavorare
frame by frame, con estrema cura perché non c’era modo di correggere
gli errori. Poi mandavo il tutto in America, a New York, e tre mesi
dopo potevo vedere il risultato dei miei sforzi”. Una giornata intera
di lavoro per una decina di secondi di animazione; rimodellare e
aggiustare costantemente i soggetti per creare il movimento ed evitare
che si sciolgano al calore della luce; aspettare tre mesi per il
prodotto finito. Senza pazienza e passione questo lavoro sarebbe
impossibile, Oren, scherzando aggiunge “un po’ di follia non guasta.
Secondo me” sostiene l’artista “chi fa il nostro mestiere non ha tutte
le rotelle a posto”. Regista, produttore, sceneggiatore, tecnico
delle luci e del suono, Oren nei suoi cortometraggi, oltre cinquecento
in trentacinque anni, è tutto questo. “E’ una sfida continua” racconta
“la più grande difficoltà per chi lavora nell’animazione è saper
cogliere il mondo nel suo movimento, saper riprodurre il linguaggio del
corpo”. Il successo di alcuni dei cortometraggi del pluripremiato
Oren va ben oltre i confini nazionali; serial come "The Egg", "Foxy
Fables", "Tales of a Wise King" e "Grabbit the Rabbit” sono stati
trasmessi in oltre ottanta paesi e in numerosi network, come BBC,
Disney Channel, PBS, e ABC. Oltre alla televisione, la pubblicità
assume un ruolo importante nel panorama lavorativo dell’artista: forse
meno nobile dal punto di vista creativo, ma l’abilità e l’estro
dell’artista si riconoscono anche negli spot. Tuki, il pappagallo, e
Dana, la gatta cantante, sono dei veri capolavori di plastilina: il
volteggiare delle mani, l’arricciarsi del becco o lo sbattere di
ciglia, movimenti e gesti che impressionano per la fedeltà al mondo
reale. Come se non fosse abbastanza, Rony Oren lungo la sua
carriera ha illustrato oltre trenta libri, tradotti in una decina di
lingue. Fra gli ultimi troviamo i “Segreti della Plastilina”, tre
volumi in cui l’autore svela alcuni trucchi del mestiere. La sua
“Haggadah animata” ha venduto oltre centomila copie in tutto il mondo. L’insegnamento
è un’altra delle grandi passioni di questo inesauribile artista
israeliano. Per molti anni a capo del Dipartimento di animazione della
prestigiosa Accademia d’Arte Bezalel, Oren riesce a creare una sintonia
particolare con i suoi allievi. Basta chiedere agli studenti del corso
di Animazione del Centro Sperimentale di Cinematografia di Chieri,
conquistati in una sola mattinata dalla simpatia e dall’umiltà di Oren.
“Questa è la mia dimensione” mi spiega il mago della plastilina “mi
piace stare con i ragazzi, insegnare, trasmettere entusiasmo, creare un
feeling con loro e motivarli. Inoltre con i miei viaggi ho la
possibilità di presentare Israele da un altro punto di vista, non
quello politico ma artistico e culturale”. Il primo contatto con
l’Italia risale ad alcuni anni fa, quando Oren visitò un altro genio
dell’animazione come il toscano Francesco Misseri presso il suo studio
Kappa all’interno del castello di Montalbano. “Un’esperienza
indimenticabile” ricorda Rony “si respirava un’aria intensa, di
creatività e immaginazione”. Dall’ultimo soggiorno italiano,
invece, sarebbe nata una collaborazione con un importante editore
nostrano mentre alcune scuole, fra cui l’Accademia chierese, vogliono
organizzare con Oren alcune sessioni di workshop per studenti di
animazione.
Daniel Reichel
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rassegna stampa |
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Sono
scarsi gli spunti e le sollecitazioni alla riflessione in campo ebraico
offerteci dalla rassegna stampa odierna. Prevale su tutto (e tutti) una
sorta di lieve torpore e dolce tepore, legato anche alle festività in
corso o prossime venture. Peraltro, nelle settimane da poco passate,
non sono mancati gli oggetti d’attenzione, a partire dalla querelle
innescatasi tra Stati Uniti e Israele sulla costruzione degli oramai
famosi 1600 appartamenti nell’area orientale di Gerusalemme.
Bernard-Henry Lévy riprende i termini della questione su il Corriere della Sera,
in un articolo offertoci in traduzione da Daniela Maggioni, rileggendo
gli eventi da due punti di vista. Da un lato rileva come Barack Obama
non sia pregiudizialmente a sfavore dello Stato ebraico, semmai
nutrendo, per biografia personale oltre che per convincimento politico,
una proclività che ha sempre coltivato, così come molti altri politici
americani. Che Israele costituisca un paradigma storico che diventa un
modello culturale non è fatto nuovo nella più recente storia degli
Stati Uniti. L’identificazioni con le sue vicissitudini e, di
conseguenza, la propensione a temperare e misurare l’azione della
superpotenza in rapporto alle esigenze di tutela della sicurezza della
piccola nazione affacciata sul Mediterraneo, è bagaglio che accompagna
molti presidenti americani, da Truman in poi. Obama, ci dice l’autore
dell’articolo, parrebbe non discostarsi, malgrado tutto, da questo
indirizzo di fondo che trova nella funzione “messianica” che è
attribuita ai due Stati il collante di una reciprocità a trati anche
ideologica. Tuttavia, al riscontro sulle continuità si accompagna la
preoccupazione per l’orizzonte in divenire, ragionando sul lungo
periodo, laddove le spinte antisioniste o, comunque, ben poco benevole
nei confronti d’Israele, che pur allignano nell’establishment
statunitense, potrebbero trovare spazio e nuovo fiato. Il fattore
dirimente, tipico della politica americana, sarebbe costituito dalla
capacità di indirizzo che i gruppi di pressione esercitano sulla
politica statunitense: all’eventuale crescita di una lobby avversa ad
Israele si coniugherebbe un clima intellettuale che già da tempo
alimenta le spinte in tal senso, poco potendo, in chiave di
opposizione, sia l’elettorato americano di origine ebraica che i
sostenitori di sempre delle ragioni sioniste. Di altro tenore è invece
Vittorio Emanuele Parsi, su l’Interprete internazionale,
dove declina il difficile tornante attraversato dalle relazioni tra i
due paesi nell’ottica della “perdita di potenza” che parrebbe avere
caratterizzato gli Stati Uniti in questi ultimi dieci anni. I magri
risultati della politica americana in Medio Oriente, e il mancato
raggiungimento dell’obiettivo che George Bush aveva individuato
avviando la guerra a Saddam Hussein (la soluzione del contrasto tra
israeliani e palestinesi all’interno di un nuovo ordine regionale
sancito dalla presenza statunitense), hanno rilanciato gli elementi di
insicurezza e le tensioni di sempre, aggiungendo ad esse una
divaricazione di interessi tra le due amministrazioni. Mentre per
Washington è divenuto di nuovo prioritario procedere a negoziazioni
bilaterali con i singoli attori della scena mediorientale, cercando di
volta in volta i propri interlocutori, per Gerusalemme il mantenimento
della propria sicurezza riacquista una dimensione autonoma,
strategicamente legata ancora agli Usa ma sempre più tatticamente
giocata su equilibri autonomi. Da ciò sarebbero quindi derivate le
tensioni degli ultimi tempi, laddove pur non venendo meno la
partnership privilegiata sul breve e medio periodo gli interessi in
gioco potrebbero rivelarsi se non contrapposti comunque non
coincidenti: se gli Stati Uniti devono mediare e dialogare, Israele
deve contrastare, in buona sostanza. E a tale riguardo il Messaggero riporta la notizia, con scarsi riscontri peraltro, ripresa in sedicesimo anche dal Sole 24 Ore (e da un allarmistico articolo di Umberto De Giovannangeli su l’Unità,
dove si prefigurano drammi a venire), dell’ipotetico lancio di
volantini a Gaza da parte dell’aviazione israeliana nei quali si
avvertirebbero i civili di una prossima iniziativa militare ad ampio
raggio. Ben più concreto è invece l’intensificazione del lancio di
razzi Qassam contro il territorio dello Stato ebraico, attività che ha
ripreso vigore in queste ultime settimane. In tutta probabilità segno,
quest’ultimo, delle difficoltà politiche che Hamas sta attraversando
nel controllo dei territori sui quali ha stabilito la sua signoria,
oramai insediata dalla concorrenza di gruppi radicali di osservanza
salafita, i quali ambiscono a sostituirsi nel controllo di quella che
reputano una preziosa base operativa nonché di costruzione del
consenso. Di integralismo (e di morte) ci parla Roberto Bongiorni su il
Sole 24 Ore
in un articolo che racconta del triste destino delle «fidanzate di
Allah», le donne kamikaze che si fanno esplodere in mezzo alla
popolazione civile. Il fenomeno è universalmente conosciuto ovunque vi
sia un insediamento di fondamentalisti musulmani, non riducendosi alle
sue sole – e pur numerose – manifestazioni in Iraq ma contando
purtroppo in un ampio seguito in Cecenia, in Kurdistan, nello Sry
Lanka come in tante altri parti del mondo. Tuttavia la sua radice
non è propriamente religiosa, essendo stato inaugurato già nel 1985 da
“martiri” di estrazione laica. Chiudiamo questo breve intervento con un
richiamo al polemico articolo del Giornale
su «La sfida degli ebrei alla preghiera del Venerdì Santo», laddove si
dà conto della netta contrarietà, espressa dal rabbino Di
Segni, alla scelta di reintrodurre nella liturgia cristiana in
lingua latina di Pasqua, dell’invocazione alla «conversione degli
ebrei». La chiave di lettura del quotidiano, tutta politica, per così
dire, non pare raccogliere il sentimento di forte disagio che si
accompagna al sentire proferire parole che si volevano consegnate ad un
passato oramai trascorso. Delle quali, segnatamente, non se ne sente
quindi il bisogno. Tutto questo, sia detto per inciso per chi non vuole
intendere il vero senso del disagio, non in omaggio ad un qualche
tatticismo di circostanza ma in ragione di un riscontro di umanità che
si dovrebbe alimentare, in assoluta spontaneità, di un riconoscimento
reciproco che tarda invece a confermarsi. Gli ebrei non sono un partito
politico, le dinamiche interne alle comunità, che pure sono organismi
laici e basati sulla costruzione di maggioranze consensuali, non sono
riducibili a soli calcoli di interesse ma raccolgono anche una
ispirazione etica di fondo, avendo ad obiettivo la tutela e la
promozione dell’eredità spirituale, morale e storica dell’ebraismo. La
quale non vive di sola luce propria ma si confronta con il mondo
circostante. Leggere gli orientamenti prevalenti nell’ebraismo come il
puro risultato di una valutazione di opportunità vuole dire ridurne
l’impronta a qualcosa di molto labile, destinato a non lasciare un
solco nella storia. Come invece è stato, da molto tempo a questa parte.
Claudio Vercelli |
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notizieflash |
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Secondo Salam Fayad, uno Stato palestinese entro il 2011 Tel Aviv, 2 apr - Il
premier dell'Autorità nazionale palestinese (Anp) Salam Fayad, in una
intervista al quotidiano Haaretz, ha oggi dichiarato che "L'anno
prossimo l'umanità interà festeggerà la nascita dello Stato
palestinese". Secondo Fayad la data prevedibile della proclamazione è
l'agosto 2011, precisando che si tratterà "di uno Stato sovrano, non
controllato da altri. Non vogliamo uno Stato 'Mickey Mouse' (Topolino),
né uno Stato a brandelli". Il premier ha aggiunto di essere stato molto
incoraggiato nella realizzazione dei suoi progetti dalle recenti prese
di posizione del Quartetto (Usa, Ue, Russia e Onu) e che è necessario
che la proclamazione del nuovo Stato avvenga durante la presidenza di
Barack Obama. Fayad si dice sicuro che per l'Anp sarà possibile
superare i dissensi con Hamas (che dal 2007 controlla la striscia di
Gaza), ma non entra nei dettagli. |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
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