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L'Unione informa
 
    4 aprile 2010 - 20 Nisan 5770  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
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  Benedetto Carucci Viterbi Benedetto Carucci Viterbi,
rabbino 
Il Baal Shem Tov diceva che quando  dimentichiamo i nostri difetti, Dio fa in modo che li vediamo negli altri. Se non arriviamo a vederli anche in noi stessi, non abbiamo ancora lavorato a sufficienza.
A forza di dire che un fatto è incomparabile e unico, si finisce col parlarne da tutte le parti sempre in maniera impropria. Finirà che, per non sbagliare, non se ne parlerà più.  David
Bidussa,
storico sociale delle idee

david bidussa  
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  renzo gattegnaDialogo - Gattegna: "Chiarezza e stabilità
per proseguire assieme"
 

Sono trascorse poche settimane dalla storica visita di Benedetto XVI alla sinagoga di Roma, che si è svolta in un clima di comprensione e di amicizia dopo le gravi divergenze che avevano fatto salire la tensione e creato il timore che la visita stessa potesse essere soggetta a contestazioni.
La realtà è che le relazioni tra ebrei e cattolici negli ultimi anni, pur in un complessivo miglioramento, sono state caratterizzate da una continua alternanza di fatti positivi e negativi.
Sembra quasi che, pur con le migliori intenzioni di entrambe le parti, di proseguire nel cammino del dialogo nel reciproco rispetto e nella pari dignità, il peso di 2000 anni di contrasti, di incomprensioni e di pregiudizi tenda a prendere, talvolta, il sopravvento.
Gli esempi sono numerosi: la revoca della scomunica ai seguaci di Lefebvre, fra i quali si è distinto il negazionista della Shoah, Williamson; la reintroduzione del testo originale in latino della preghiera del venerdì di Pasqua, che contiene l’auspicio della conversione degli ebrei; il riconoscimento delle virtù eroiche a Pio XII prima ancora che avvenisse l’apertura degli archivi storici.
È giusto riconoscere che per alcuni di questi eventi l’impulso non è venuto dal vertice della Chiesa cattolica, tanto che il papa è successivamente intervenuto, con determinazione ed efficacia, per svolgere un ruolo di esegesi e chiarificazione.
La verità è che nell’epoca storica che viviamo, da una parte non è più concepibile che si ripetano esplosioni di intolleranza religiosa e ideologica o conflitti armati finalizzati ad imporre l’egemonia di una civiltà sulle altre, dall’altra sembrano crescere e rafforzarsi tendenze integraliste e fondamentaliste.
Gli ebrei ritengono che il costruttivo dialogo e l'incontro in uno spirito di riconciliazione siano progressi di inestimabile valore che iniziarono 50 anni fa sotto il pontificato di Giovanni XXIII e trovarono una solenne affermazione nella dichiarazione Nostra Aetate, promulgata nel 1965 alla quale hanno fatto seguito gesti e dichiarazioni di grande rilevanza da entrambe le parti. Ora che i primi passi sono stati compiuti, sarebbe necessario eliminare qualsiasi forma di improvvisazione e procedere alla programmazione di un preciso percorso; sarebbe anche opportuno creare organismi e strumenti di agile comunicazione e consultazione per evitare che, in futuro, equivoci, incomprensioni o divergenze interpretative allontanino il raggiungimento del fine comune, il consolidamento di un'amicizia e di una fratellanza vivamente desiderate dalla grande maggioranza dei fedeli delle due religioni.
L'ultimo esempio che dimostra quanto sia necessaria una migliore comunicazione è l'episodio delle inopportune frasi e dell'inappropriato accostamento contenuti nel discorso del predicatore cappuccino Raniero Cantalamessa, che hanno suscitato lo sdegno e le giuste rimostranze delle Comunità ebraiche.
Questo susseguirsi di errori a volte gravi, a volte banali, a volte non voluti, ma sempre negativi, produce danni che non vengono cancellati dalle successive rettifiche affidate al Portavoce vaticano; anche queste rettifiche interpretative fanno parte ormai di un rituale scontato che sta perdendo la sua efficacia per eccesso di utilizzazione. Sarebbe necessario, quindi, introdurre due novità per interrompere questa serie di incomprensioni. La prima è di carattere teologico o ideologico: la Chiesa cattolica, oltre a eliminare dalla liturgia pasquale la preghiera che auspica la conversione degli ebrei, dovrebbe emettere una dichiarazione chiara e definitiva di rinuncia alla conversione stessa. La seconda è di carattere metodologico: l’istituzione di organismi, commissioni, gruppi di studio, che lontani dal clamore dei mezzi di comunicazione lavorino in silenzio e profondità per proseguire in tutti i chiarimenti necessari nel rispetto della ferma determinazione di entrambe le parti a rimanere fedeli ai propri principi e ai propri valori.

Renzo Gattegna, Presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane


Con amici così, chi ha bisogno di nemici?


Siamo "permalosi", ci manda a dire il vescovo di Cerreto Sannita Michele De Rosa il quale, partendo dallo scivolone di padre Cantalamessa che citando un  "amico ebreo" aveva azzardato un paragone tra antisemitismo ed i presunti attacchi in corso nei confronti del Papa, si produce poi in un vero e proprio sfogo nel quale sembra confessare di non poterne più delle pretese di questi ebrei : ''Preghiamo perché si convertano e non va bene, abbiamo tolto l'espressione 'perfidi giudei', e non va bene, papa Benedetto XVI ha cambiato la preghiera del Venerdì Santo nella messa tridentina, e non va bene. Bisogna sempre chiedere scusa ogni volta, mi sembra ci sia una reazione esagerata''.
"...Capisco che abbiano sofferto con l'Olocausto, ma non possono farne una bandiera...", è un'altra "perla" del De Rosa pensiero.
Il Vescovo De Rosa è membro della Commissione CEI per l'ecumenismo e il dialogo e, a parte lo stress che pare aver accumulato, mi conferma ancora una volta la saggezza di un detto americano che spesso mi viene ricordato : "con amici così, chi ha bisogno di nemici?!".

Gadi Polacco, Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane

 
 
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  ugo volliDavar Acher - Nazionalismo ebraico

Chi oggi nel mondo ebraico è tiepido sulla difesa di Israele, dice che tutti gli ebrei ormai sono schierati dalla parte di Israele (e i più bravi sono “per Israele e per la pace”), dimenticando Chomski e Naomi Klein da un lato e i Naturei Karta dall’altro, entrambi con largo seguito. E poi spesso prosegue dicendo che il nazionalismo è un atteggiamento superato e fuori moda, o un errore teorico, il che forse nella filosofia contemporanea è la stessa cosa. Al contrario di quelli palestinesi, progressisti e internazionalisti, i nazionalisti ebrei sarebbero pericolosi reazionari, per il fatto di mettere in testa alle loro preoccupazioni il loro popolo e la sua incolumità. Oggi questo nazionalismo non si porta più, dobbiamo essere tutti aperti, accoglienti, interculturali. Fare ponti e non muri, come disse qualcuno dall’altra parte del Tevere, dimenticando che i muri talvolta salvano la vita.. Sarà vero, ma dato che mi occupo di comunicazione so che le mode sono transitorie e molto spesso brutte.
Al di là della politica quotidiana c’è un grande problema teorico che si pone intorno all’ebraismo a questo proposito. Il nazionalismo infatti presuppone innanzitutto una nazione, se no è chiaramente abusivo. Siamo una nazione? O forse invece una religione (magari “mosaica” come si usava dire fra le due guerre) che può essere seguita da membri di tutti i popoli? La seconda ipotesi, quella dell’ebraismo come religione che si illude di essere una nazione, è per esempio al centro del libro recente di Shlomo Sand, uno storico moderno dell’Università di Tel Aviv che si è cimentato fuori dalla sua competenza accademica, per sostenere che vi sia stata un’”invenzione del popolo ebraico”, e che noi saremmo tutti discendenti di Kazhari convertiti che abusivamente ci leghiamo a Eretz Israel. Con maggiore intelligenza e rispetto la stessa tesi dell’ebraiusmo come pura religione è stata di recente riproposta negli Appunti sulla questione ebraica di Guido Bersellini, che riprendono le tesi di Nello Rosselli. E’ chiaro che in un contesto nazionalistico come l’Italia fascista, la Russia di Stalin (o la Francia di Robespierre) è più facile difendere una religione minoritaria che un popolo disperso. La stessa pretesa di rifiutare il carattere nazionale e privilegiare il carattere religioso appare nella recente sentenza della corte inglese che ha obbligato una scuola religiosa ebraica a iscrivere uno studente che non rispondeva ai criteri alakhici, argomentando che sarebbe contro la legge anti-discriminazioni ogni criterio di selezione che non si basase sulla “fede” e non sull’appartenenza.
Non posso discutere qui nel dettaglio queste posizioni, naturalmente. Sono però numerosissimi gli elementi nella nostra tradizione che indicano che innanzitutto il nostro è un popolo, proprio una nazione nel senso etimologico: a partire dal nome che portiamo, preso del nostro avo Israele, da cui le dodici tribù sono nate, per cui il nome più comune per ebrei nel Tanach è “bené Israel”. Anche la nostra religione, concetto intraducibile in ebraico se non lo si intende se come l’insieme dalle leggi delle pratiche e dai patti dati al popolo, ha un fondamento nell’anteriorità: la promessa di Abramo, l’uscita dall’Egitto di cui tutti anche oggi dobbiamo sentirci partecipi, come abbiamo letto nel seder. Proprio come nazione accettiamo degli obblighi religiosi e siamo titolari di diritti, come afferma la celebre prima nota del commento di Rashi alla Torah. Chi pensa a un ebraismo come pura etica, senza sostanza nazionale, si illude come Hermann Cohen, che alla vigilia della presa del potere del nazismo pensava che l’ebraismo fosse una “religione tedesca”, tanto coincideva con l’etica kantiana.
Se siamo una nazione costruita intorno alla sua religione nazionale, che non intendiamo necessariamente estendere agli altri, anche se ci aspettiamo il riconoscimento dei nostri valori, e non una religione che si finge nazione, possiamo essere nazionalisti, cioè volere l’autonomia e la libertà del nostro popolo? O per essere un “popolo sacerdotale” dobbiamo per forza immaginarci come vittime per l’eternità, come ci vorrebbero e ci amerebbero certi ambienti? E’ facile trovare nelle nostre scritture numerosissime tracce della lotta anche fisica per la nostra libertà. Molte delle nostre feste parlano di questo, molti personaggi amati sono stati guerrieri, da Abramo a Davide. Certo, vi sono molte esortazione all’accoglienza degli stranieri nella Torah, ma questi stranieri sono definiti come ospiti dentro il popolo, che accettano di vivere secondo le sue leggi. Niente è più lontano dall’ebraismo della con-fusione con altri e della condivisione della terra e di Gerusalemme.
Se Israele è una nazione e da un certo punto di vista è il prototipo storico della nazione che va al di là delle istituzioni politiche contingenti, sopravvive e lotta anche senza uno stato o quando lo stato è diviso, perché l’amore di Israele non dovrebbe essere un nazionalismo? Il nazionalismo arabo, per i progressisti di tutto il mondo, va bene. Il patriottismo americano, francese, russo, perfino svizzero è bene accetto e popolare. Perché quello ebraico no?

Ugo Volli
 
 
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"Crisi alle spalle, la forza della Comunità è il confronto"
Riccardo Pacifici, presidente della Comunità ebraica. Lunedì avete celebrato la cena pasquale, il Seder dl Pesach... 
«Festa solenne, per noi. Momento in cui le famiglie si riuniscono. E nella Comunità tutti, anche le famiglie meno osservanti eseguono meticolosamente questo precetto». E le polemiche, le dimissioni degli 11 consiglieri, le divisioni?
«Preferirei lasciarmele alle spalle. Forse è più importante capire chi siamo. Funzioniamo come un piccolo Comune, con cariche elettive non retribuite. Io vivo della mia attività di agente di commercio e di promotore di negozi in franchising. Ci occupiamo delle scuole, fulcro della comunità. Di solidarietà a chi è in difficoltà per la perdita della casa o del lavoro, esistono situazioni disperate. Infatti abbiamo attivato lo sportello anti-usura, uno dei cinque del Comune di Roma, aperto a tutta la città. Eroghiamo servizi di culto, controlliamo l'ospedale Israelitico da un milione e centomila prestazioni l'anno all'intera città, il Museo ebraico, la nostra casa di riposo, i movimenti giovanili, oggi anche una nuova libreria ebraica. Insomma, tanto volontariato, persino una futura assistenza sociale in un campo rom. E il nostro modo di intendere la vita della Comunità ebraica romana». 
Torniamo alle dimissioni. Preoccupato per l'immagine della Comunità? Per qualcuno è troppo chiusa in sé. 
«No. Al contrario. Abbiamo rotto uno dei pregiudizi più radicati, l'idea che gli ebrei romani siano un corpo monolitico chiuso. Abbiamo mostrato il volto di una Comunità capace di confrontarsi apertamente anche se in maniera serrata. La ricchezza del dibattito interno è una nostra grande forza. Comunità chiusa? Sorrido, perché negli ultimi dodici anni la Comunità si è inserita come protagonista nel dibattito civile, magari polemizzando ma sempre in modo costruttivo. ll nostro dinamismo ci ha posto all'attenzione delle forze istituzionali e politiche. Un esempio: il rabbino capo Riccardo Di Segni è vicepresidente del Comitato nazionale della Bioetica. Negli anni '70 sarebbe stato impensabile». 
Le dimissioni porteranno a elezioni anticipate in Comunità? 
«Ne parleremo dopo il Consiglio del 22 aprile, quando le dimissioni verranno analizzate e discusse».
I vostri rapporti con la politica, col governo Berlusconi? Siete, come qualcuno ha detto, la lavatrice per politici impresentabili?
«
Sorrido ancora. Ma quale lavatrice... I miei interlocutori di destra e di sinistra conoscono bene il mio impegno politico. Dissento dall'analisi. Dobbiamo confrontarci con tutte le forze politiche e istituzionali non per fare politica attiva ma testimoniando i nostri valori, vigilando contro ogni forma di razzismo, xenofobia e antisemitismo e nello stesso tempo nella difesa del diritto di Israele alla sicura esistenza come Stato».[...]

Paolo Conti, Corriere della Sera, 3 aprile 2010

Un albero per Ginettaccio, fra i giusti
Il giardino dei giusti, sul Monte Herzl, a Gerusalemme, potrebbe ornarsi di un altro albero, grazie al racconto di una anziana sopravvissuta che ora vive in Israele. Un albero che diventi «un memoriale e un nome», come recita il salmo di Isaia che ha dato il nome al giardino, dedicato a Gino Banali. Il grande ciclista fiorentino che salvò, portando nascosti nella sua bici, i documenti che il cardinale Elia Dalla Costa faceva preparare per nascondere e far fuggire gli ebrei che i nazisti e i fascisti vuolevano catturare durante la Seconda guerra mondiale per portarli nei campi di  concentramento. [...]
 [...]«E' molto significativo quello che ha fatto la città di Firenze, ma quello che potrebbe arrivare da Israele sarebbe veramente il massimo che gli possa essere riconosciuto», spiega Adam Smulevich. Il giornalista, con un articolo di Pagine ebraiche, il mensile dell'Ucei (Unione delle Comunità Ebraiche Italiane), ha lanciato a livello nazionale l'appello per Bartali. Nel numero uscito in edicola a fine marzo (si può trovare alla stazione, alla libreria Edison, all'aeroporto) lo stesso Smulevich, parlando dell'albero piantato nell'Orto del Parnaso, ricordava che «c'è un altro albero che meriterebbe di essere piantato. Dove? A Yad Vashem. Recentemente Sara Funaro aveva lanciato un appello sulle pagine del bimestrale Toscana Ebraica, chiamando a raccolta i testimoni di quella straordinaria prova di coraggio per far ottenere a Gino il massimo riconoscimento conferito dallo Stato d'Israele, Il tempo, per evidenti ragioni anagrafiche, stringe. L'appello viene riformulato su Pagine Ebraiche. Chi sa qualcosa, parli: c'è un eroe silenzioso che se lo merita». C'è bisogno di testimoni, infatti, per poter ottenere il riconoscimento da parte del museo-memoriale. Una testimonianza diretta di chi è stato salvato o abbia visto salvare gli ebrei dai campi di concentramento, in qualsiasi modo.

Marzio Fatucchi, Il Corriere Fiorentino, 4 aprile 2010

Gattegna: la Chiesa rinunci a chiederci la conversione
«Vede, li dialogo costruttivo e l'incontro in spirito di riconciliazione sono progressi inestimabili iniziati cinquant'anni fa, con Giovanni XXIII, che hanno trovato un'affermazione solenne con la Nostra Aetate del 65.Ma il passato di contrasti, incomprensioni e pregiudizi è così vasto, duemila anni, che non possiamo sperare in un miracolo. Sarà un lavoro lungo. Per questo è importante evitare pause, improvvisazioni ed errori». Renzo Gattegna, presidente degli ebrei italiani, parla a tarda sera, terminato lo shabbat. La festività non poteva stemperare "Lo sdegno delle comunità ebraiche" per "Le frasi inopportune" e «l'accostamento inappropriato» nell'omelia di Padre Cantalamessa. Ma proprio «l'ultimo episodio», sospira Gattegna, dimostra che «bisogna migliorare la comunicazione tra di noi» e «creare organismi e strumenti di agile consultazione». Dalla preghiera in latino del Venerdì Santo al caso nel vescovo negazionista Williamson al «riconoscimento delle virtù eroiche di Pio XII prima che si aprissero gli archivi storici» dice, «c'è stato un susseguirsi di errori a volte gravi, a volte banali, a volte non voluti, ma sempre negativi». E anche le precisazioni «non riparano il danno, il fatto stesso che padre Lombardi debba intervenire a precisare significa che la versione originale non era chiara, e le rettifiche continue perdono d'efficacia».

G.G.V. - Corriere della Sera, 4 aprile 2010

Il rabbino Di Segni al New York Times 
«Incredulo per la preghiera sugli ebrei»

Il parallelo fatto durante la liturgia del Venerdì Santo in Vaticano tra gli attacchi alla Chiesa per i preti pedofili e «gli aspetti più vergognosi deli'antisemitismo» ha suscitato dure critiche da parte del mondo ebraico, riportate tra l'altro dalla stampa americana, e anche da associazioni statunitensi delle vittime degli abusi. Il New York Times ha citato ieri la reazione «incredula» del rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni al parallelo citato da padre Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa pontificia: «Con un minimo di ironia potrei dire che visto che oggi è il Venerdì Santo, quando la Chiesa prega il Signore che illumini i nostri cuori perché riconosciamo Gesù», ha detto li rabbino alludendo al passo della preghiera sulla conversione degli ebrei, «che anche noi preghiamo il Signore perchè illumini i loro cuori». [...]

Libero Roma, 4 aprile 2010


Bidussa: «Segno di fragilità e di idee antiamericane»
«Le parole di padre Raniero Cantalamessa rivelano che la Chiesa cattolica vive una condizione di profonda debolezza, e che cerca il consenso su una chiamata alle armi presentandosi vittima di complotti e persecuzioni. Al di là del parallelo con la Shoah, è evidente che le gerarchie ecclesiastiche mirano a colpire un bersaglio ben preciso: gli Stati Uniti, espressione della modernità, della pluralità delle fedi e delle convinzioni etico-religiose, percepiti come una terra di infedeli e di lobby, aliena dalle radici giudaico-cristiane dell'Europa». E' il passaggio centrale della riflessione di David Bidussa, scrittore e storico sociale delle idee, in merito alle parole pronunciate dal frate cappuccino durante la messa del venerdì santo. Un'analisi, quella di Bidussa, che trova motivi di profonda preoccupazione sull'identità del Vecchio continente.[...]

E.P., Il Riformista 4 aprile 2010


Israel: «Una moratoria sull'uso della parola Shoah»
«Il paragone con la Shoah per indicare ogni situazione efferata e odiosa è molto pericoloso. Propongo allora una moratoria dell'abuso di un simile riferimento, per potere, tutti, raffreddare le menti e ragionare seriamente». Giorgio Israel, matematico di fama internazionale, rifiuta di accendere ulteriori polemiche dopo le parole pronunciate nella basilica di San Pietro dal predicatore pontificio Raniero Cantalamessa durante l'omelia della Messa del Venerdì santo. Espressioni che, stabilendo un qualche parallelo fra la persecuzione antisemita e gli attacchi di questi giorni alla Chiesa cattolica per la vicenda degli abusi e delle violenze sui minori, hanno provocato durissime reazioni nel mondo ebraico e fra le associazioni delle vittime dei crimini di pedofilia.

Edoardo Petti, Il Riformista 4 aprile 2010

 
 
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notizieflash    
 
 
Turisti israeliani nel Sinai a rischio rapimento                                 Tel Aviv, 4 apr -
Nizan Nuriel, il capo del Lotar, l'ente governativo israeliano di monitoraggio del terrorismo, in una intervista a radio Gerusalemme, ha affermato che i 20 mila escursionisti israeliani che hanno scelto di trascorrere le vacanze della festività di Pesach nel Sinai rischiano in ogni momento il rapimento e una prolungata prigionia a Gaza. Nuriel ha detto che membri di Hezbollah, di al-Qaida e di altri gruppi che si richiamano alla Jihad (guerra santa islamica) "si prefiggono di catturare (nel Sinai, ndr) cittadini israeliani per trasferirli a Gaza", dove dal giugno 2006 si trova prigioniero il soldato israeliano Ghilad Shalit. "Si tratta di un avvertimento molto serio, basato su informazioni di intelligence" ha ribadito Nuriel.
 
 
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