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L'Unione informa |
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9 aprile 2010 - 25 Nisan 5770 |
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alef/tav |
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Roberto Colombo, rabbino |
All’ottavo giorno
dall’inaugurazione del Santuario Aaron e i suoi figli furono
nominati Cohanìm. C’è da chiedersi perché attendere tanto per
l’investitura? Chi offrì i precedenti i giorni sacrifici nel Tempio? La
prima settimana il Sacerdote fu Moshè ma all’ottavo giorno egli
perse l’incarico. Rashì fa notare che tempo addietro, davanti al
roveto ardente, Hashèm cercò di convincere Moshè per sette giorni
a recarsi in Egitto a salvare gli ebrei e che all’ottavo giorno
il Maestro chiese di nominare il fratello al suo posto. Nella
nostra Parashà le parti s’invertono. Moshè all’ottavo giorno
viene sostituito da Aaròn. Non è ripicca ma un insegnamento. Nella vita
ebraica e in una Comunità non si possono mandare avanti gli
altri per poi, quando fa comodo, cercare di assumere ruoli e incarichi
di potere. (Shem Mishmuèl) |
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Domenica
ricorre Yom ha Shoah. Anche gli alunni e docenti delle scuole ebraiche
sono chiamati a riflettere su ciò che è stato. Alle generiche
affermazioni sul “dovere della memoria” o ad altre
ingannevoli scorciatoie, vuote e controproducenti si cercherà di
rispondere soprattutto con lo studio della Storia. Una scelta
che lo storico Georges Bensoussan ne L’eredità di Auschwitz -
Einaudi così declina: “.. Al ritornello secondo il quale il
passato chiarisce il presente, bisogna aggiungere, fondamento di
una politica della trasmissione, che il presente chiarisce il
passato. Ma nel proiettare sistematicamente l’immagine di
Auschwitz sul nostro presente, un certo insegnamento della Shoah
può ostacolare la comprensione del mondo attuale, come può
intralciare la nostra analisi del passato mettendo nell’ombra
avvenimenti anteriori percepiti come 'secondari' in rapporto allo
sterminio”. |
Sonia Brunetti Luzzati, pedagogista
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Qui Roma - Un albero di ulivo all'Ospedale israelitico
"La
messa a dimora di un ulivo del Keren Kayemet Leisrael, ulivo che
peraltro sembra avere un'età abbastanza simile a quella dell'Ospedale,
è un onore e un'occasione di gioia", così Bruno Piperno, presidente del
consiglio di amministrazione dell'Ospedale israelitico di Roma, ha
voluto dare un ideale benvenuto all'albero di ulivo di oltre cento
anni, simbolo di prosperità e di pace, che da questa mattina presiede
l'entrata principale dell'Ospedale. La cerimonia che ha sancito un
rapporto di amicizia fra il Keren Kayemet Leisrael, promotore
dell'iniziativa, e l'Ospedale si è svolta alla presenza del presidente
della Comunità Ebraica della Capitale, Riccardo Pacifici, del
presidente del KKL Italia Raffaele Sassun e del ministro della Salute
Ferruccio Fazio. "Dal frutto dell'ulivo si ricava l'olio che
doveva essere puro per illuminare Gerusalemme, la via della pace in
tutto il mondo", ha proseguito Piperno, che poco prima aveva tracciato
in brevi linee le principali tappe della storia dell'Ospedale, dalle
Compagnie che già agli inizi del 1600 somministravano medicinali e cibo
ai malati poveri e assistenza sanitaria domiciliare attraverso i propri
medici, alla prima sede dell'Ospedale sull'Isola Tiberina a opera di
Angelo Tagliacozzo nel 1880, fino a oggi che l'Ospedale si è esteso in
tre sedi, una sede centrale in via Fulda e due poliambulatori
distaccati situati all'Isola Tiberina e nel quartiere Marconi fornendo
all'utenza oltre un milione di visite ambulatoriali e circa dodicimila
fra ricoveri annui e interventi Day hospital.
"Questa
messa a dimora è soprattutto un'occasione per confermare la nostra
adesione ad alcuni valori importanti - ha concluso Piperno - l'amore
per lo Stato di Israele, la nostra vicinanza agli ideali di rinascita e
di progresso dell'umanità, la possibilità di apprezzare l'opera
dell'uomo quando questa è indirizzata al bene comune e l'idea
fondamentale che sono soprattutto le buone azioni e il bene che
facciamo al nostro prossimo a dare significato alla nostra esistenza". "Ci
fa piacere essere considerati amici di un'istituzione così apprezzata e
di così alto livello", ha detto il presidente del Kkl Italia, Raffaele
Sassun, che intervenuto subito dopo ha sottolineato: "E'
particolarmente importante che il suggello a questo patto di amicizia
sia stato posto dal ministro della salute italiano", a cui in
precedenza era stato dedicato in Israele un altro albero di ulivo. "I
rapporti fra Italia e Israele sono i migliori di sempre", ha proseguito
Sassun, che facendo propria una frase del Premio Nobel Simone Weil ha
concluso: "Avere radici è il più importante bisogno umano". "Stiamo
rivedendo gli accreditamenti all'interno del Patto per la salute", ha
ricordato subito dopo il ministro Fazio cui è stata consegnata una
targa da parte del presidente del KKL, “ma per avere questi
accreditamenti - ha aggiunto il ministro - bisognerà dare delle
funzioni e dei servizi superiori, come quello dell'umanizzazione dei
pazienti e della verifica e del controllo di qualità di quello che è il
'costumer satisfaction'". "Anche per me l'ulivo ha un significato
particolare - ha poi concluso il ministro - è un simbolo di
prosperità, vita e pace". Al termine della cerimonia sono state
scoperte due targhe, una del Keren Kayemet e un'altra in memoria
del ragionier Angelo Piperno, presidente della "grande trasformazione"
dell'Ospedale da struttura di piccole dimensioni alla struttura attuale
che consente una piena operatività.
Lucilla Efrati
Qui Venezia - La Laguna vista dall'architetto Yona Friedman
Lo
spazio come utopia del reale nella mostra di Yona Friedman “La città
più moderna del mondo. Progetti per Venezia” a cura di Maria Pesavento
e Gabriele Gallo, inaugurata a Venezia presso i SaLE Docks, polo di
produzione artistica e culturale di recente formazione e ricavato nei
vecchi magazzini del sale nelle vicinanze di Punta della Dogana. Yona
Friedman è uno dei più importanti architetti urbanisti viventi, nasce a
Budapest nel 1923 dove frequenta la facoltà di architettura. Sfuggito
ai rastrellamenti nazisti, nel dopoguerra si trasferisce per un
decennio a Haifa, in Israele, per poi trasferirsi definitivamente a
Parigi nel 1957. Fondatore del Groupe d’Études de Architecture Mobile,
comincia già dagli anni ‘60 a elaborare il concetto di ville spatiale,
teorizzando i principi di un’architettura che possa carpire le
trasformazioni che caratterizzano la mobilità sociale nel mondo
moderno. Friedman ha collaborato con l’Unesco e l’Onu in una serie di
progetti di autocostruzione per il Terzo mondo, il più importante dei
quali è il Museum of Simple Technology di Madras, in India, realizzato
nel 1982. Negli ultimi anni ha partecipato con alcuni suoi progetti
alle edizioni 2003, 2005 e 2009 della Biennale di Venezia in Arti
Visive. Un personaggio fondamentale per l’architettura moderna,
che da sempre lavora sul confine tra immaginazione e possibilità di
realizzazione, tra ingegneria e utopia. Friedman con il suo lavoro
dedicato alla ville spatiale, ha di fatto rovesciato fin dagli anni ‘50
la concezione di urbanistica che attribuiva all’architetto il ruolo di
demiurgo, ideatore e costruttore della città. Al contrario egli
immagina la metropoli dell’autorealizzazione, della flessibilità
abitativa dove la città si autocostruisce e dove gli abitanti
autogestiscono lo spazio urbano. Secondo Friedman è proprio
Venezia la città moderna per eccellenza, una città che si presta a una
rielaborazione spaziale grazie alla suo sviluppo su tre livelli tra
loro indipendenti: il livello dell’acqua e dei canali, il livello delle
strade e il livello delle altane. Nella mostra ai SaLE Docks, Friedman
immagina una Venezia sorretta nel cielo da un fitto groviglio di
strutture reticolari e rovescia il concetto di altana, terrazza tipica
costruita sui tetti di Venezia, ridefinendo questo spazio, abitualmente
privato, in chiave pubblica: una rete viaria di altane costruita sopra
la città, che sia fruibile dai cittadini come itinerario aggiuntivo,
complementare alle strade per l’attraversamento di Venezia. Friedman si
dimostra attento anche all’aspetto di sostenibilità ecologica dello
spazio urbano, una parte della mostra è infatti dedicata a una serie di
disegni, proiettati come slide show, sullo sviluppo sostenibile della
città. Un percorso tra realtà e utopia che avviene sotto la guida
di Liocorni, animali fantastici, protagonisti di fregi e bassorilievi
che punteggiano le architetture veneziane. Friedman immagina che queste
figure mitologiche prendano vita divenendo gli abitanti invisibili di
Venezia: Enormi sagome cartonate conducono lo spettatore nel percorso
della mostra alla scoperta della città, dei progetti per Venezia, delle
riflessioni di Friedman sul fare arte fino alle estreme considerazioni
sul vivere quotidiano e su come la città sia un laboratorio di idee in
evoluzione, un organismo mutevole continuamente passibile di
ridefinizione.
Michael Calimani
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Comix - Market Day di James Sturm
James
Sturm si è messo in viaggio in questi giorni per presentare il suo
nuovo graphic novel, Market Day, edito dalla Drawn & Quaterly. La
prima tappa è stata quella del 2 aprile nel Vermont, poi sarà a New
York, Seattle, Portland, Toronto e San Diego al Comic-Com come ospite
d’onore. Come il suo primo lavoro Sturm indaga sulla storia
americana e soprattutto sulla storia ebraica negli USA e nel periodo
convulso e drammatico che va dalla prima rivoluzione industriale alla
fine della Seconda guerra mondiale. Si tratta ormai della cifra
artistica dei fumettisti ebraico-statunitensi. Dai decani Eisner e
Kubert ai recenti autori come Kahn. Market
Day, per ora disponibile solo in edizione americana, ripercorre la vita
ebraica nella industrializzazione dell’Ottocento attraverso la vita di
un uomo, Mendelman, che produce coperte di grande fattura artigianale.
I cambiamenti dei mezzi di produzione, l’avvento della catena di
montaggio, lo mette in ginocchio e riduce drasticamente il suo tenore
di vita. Come racconta Sturm nell’intervista rilasciata a Tablet
Magazine, il suo obiettivo era esprimere o meglio cogliere le emozioni,
i sentimenti del dramma di Mendelman e quindi di tutti coloro che
affrontarono quelle difficoltà. D’altra parte proprio da foto e
immagini d’epoca Sturm ha tratto ispirazione per iniziare una ricerca
storica che lo ha portato a disegnare (leggiamo anche “scrivere”)
Market Day. In qualche modo opere come Market Day sono il frutto
di quel Maus che decenni fa aprì la strada a un fumetto ebraico che
racconta il suo popolo nella “semplicità drammatica” della vita
quotidiana: dall’antisemitismo, alla Shoah, dalle speranze ai sogni,
fino alla povertà o alla ricchezza. Cielo e terra di ogni uomo. Un
percorso di identità che per assurdo si sta formando attraverso le
immagini e non con la parola scritta. Andrea Grilli
Istantanee - Perach la-nizzol ("Un fiore per il sopravvissuto")
"Stasera ho il 'fiore': non torno per cena", aveva comunicato lapidariamente Itamar alla madre, chiudendo il telefono. "Fiore?!"
fece eco perplessa la madre, ma lui aveva già chiuso la comunicazione.
Aveva indossato una divisa stirata; il fiore l'avrebbe portato Noa, una
soldatessa bruttina, ma che un po' gli piaceva. Si trovarono sotto
l'edificio dove abitava la sopravvissuta dalla Shoah, con cui avevano
appuntamento quella sera; l'esercito aveva organizzato incontri tra
soldati e sopravvissuti, all'insegna del motto: "un fiore per il
sopravvissuto". La loro sopravvissuta li aveva già bidonati due volte, ma loro non si tiravano indietro. Mentre
salivano le scale, fianco a fianco, i loro occhi si incrociarono
imbarazzati: da quando erano nati avevano nelle orecchie il suono delle
sirene che commemoravano il giorno della Shoah; avevano letto sui libri
di scuola la testimonianza degli orrori più atroci; avevano sentito i
discorsi degli insegnanti e del direttore e seguito le interviste alla
televisione, ma un sopravvissuto non lo avevano mai affrontato a tu per
tu. Le loro famiglie erano venute dall'Europa prima delle
persecuzioni: la famiglia di Itamar si era installata nel primo
quartiere ebraico di Tel Aviv, i genitori di Noa si erano incontrati in
kibbutz. "…mah! Non so cosa proprio cosa dirle…" fece a bassa
voce Noa, come parlando tra sé. Il piccolo grugnito di assenso che le
venne dalla parte di Itamar la rincuorò un poco. Itamar era lungo lungo
e magro, sembrava proprio un palo del telefono conficcato di fronte
alla porta, pensò Noa, prendendo coraggio dal suo impaccio per
decidersi a suonare. La sopravvissuta aprì la porta con un sorriso
gioviale, recuperò con destrezza il fiore che pendeva malinconicamente
dalla mano di Noa e fece accomodare gli ospiti in salotto. Un "salotto
polacco" , con pesanti poltrone di velluto color senape col poggiatesta
di trine all'uncinetto e fiori di stoffa nei vasi. Alle pareti erano
appesi quadri a olio, con boschi, laghetti e cigni; un gatto grasso e
rossiccio li sorvegliava dal divano. La sopravvissuta sparì svelta in
cucina, riemergendone subito con un vassoio di metallo argentato con i
bicchieri per il tè e una torta di cioccolata. "Osem!" annunciò
con una risatina confidenziale, lei non aveva tempo per fare i dolci,
li comprava al supermercato - del resto, le torte della "Osem" erano
decisamente più buone delle sue… Era piccolo e rotondetta, con un viso
dorato di cipria e le labbra tinte di rosa vivace. Mentre i due soldati
sorbivano il tè, lanciando furtive occhiatine intorno, lei se li
guardava ben bene; alla fine del rapido, ma accurato esame, emise un
sospiro complice e, alzatasi con slancio dalla poltrona, corse via. La
sentirono frugare in un'altra stanza:"Adesso arriva con le foto di
famiglia", sussurrò Noa e Itamar annuì in fretta, mettendosi un dito
sulle labbra: "Occhio, non è sorda!!", diceva l'indice di Itamar. Il
gatto sbadigliò, accigliato, poi salto giù dal divano e andò incontro
alla padrona, mettendosi alle sue calcagna. Lei tornò con due
barattolini, si risedette, assestandoseli in grembo, e entrò subito in
argomento :"Sei proprio carina - fece, rivolta a Noa - però, la
pelle…Hmm! La pelle bisogna curarla di più, con questo clima!" "…ma
io sono nata qui!" - protestò Noa. "E meno male!! "tagliò corto la
sopravvissuta, "ma la pelle è una cosa delicatissima! Pensa, una cosa
tanto fragile ci difende da quando siamo nati: non bisogna aiutarla un
po'?". Si guardò intorno un attimo, in cerca di ispirazione, poi spedì
Itamar a dar da mangiare al gatto. Approfittando di essere sole per un
momento, spiegò a Noa come curare i foruncoli e come rendere la pelle
luminosa. Aveva certe ricette di creme che faceva sua nonna a Cracovia,
altro che Helena Rubinstein. Una volta arrivata in Palestina, dopo il
lager e dopo il campo a Cipro, aveva subito capito che bisognava
aggiornarsi ed era andata a studiare da estetista, era stanca di avere
la pelle bruciata dall'aria calda del Paese. "E, poi, sciogliti i
capelli, vedrai che figurone fai", disse col tono più naturale del
mondo; Noa si rese conto all'istante che non le restava che ubbidire.
"Krasavitza! Bellissima!- fece la sopravvissuta gioiosamente - voi due
mi chiamate signora Fleiszman, ma il mio nome è Eva: cara bambina,
dammi retta". Si chinò in avanti, confidenziale, e spiegò che il suo
problema era la pelle troppo bianca: "Ce l'avevano tutte le donne di
famiglia, mia madre e sei sorelle…: in Polonia era una gran bella cosa,
ma, quando sono arrivata qui, mi chiamavano "faccia da morta",
"saponetta", ma per il bucato, capisci?". "Saponetta?", fece Noa,
non troppo sicura di aver capito. "Be', 'saponetta' erano tutti i
reduci dai campi di concentramento agli occhi degli ebrei di qui,
ma…'saponetta da bucato' ero solo io: un bel guaio!", spiegò Eva e fece
un piccolo gesto con la mano: "Così va la vita, bambina mia, ognuno è
affezionato a quello che conosce, mica bisogna prendersela…Quando verrà
il Messia, capiremo anche questo. Io, lo vedi?, metto la cipria scura
così questo biancore lo vedo solo io, al mattino, e sai che? Sono
contenta della mia pelle di latte- l'orgoglio delle donne di casa mia,
in Polonia, però". Tornò Itamar, scortato dal gatto che
miagolava penosamente : "Gli ho dato da mangiare, come mi aveva detto
lei, ma mi sembra scontento", osservò , un po' avvilito, perché gli
piaceva il diversivo del gatto per rompere il ghiaccio della Shoah. "Ah,
Mitzi! Che gatto simpatico! – esclamò Eva - è come gli uomini, quando
stanno bene, si lamentano! Non ci fare caso… Quando stavamo laggiù ,
chi si lamentava? Eravamo troppo occupati con tutte le tzures, chi
aveva la forza di lamentarsi? " e, indirizzandosi in particolare a Noa,
enunciò: "Mio marito - di benedetta memoria - cominciava la giornata
così: Eva?! Perche' non hai ancora acceso la stufa: si gela! Eva?!, Il
gatto miagola che mi ha fatto diventare sordo, ma gli darai da mangiare
una buona volta? Eva dove sei? …Già fuori a spettegolare con la vicina
- e io son qua che muoio di fame…Eva! Accidenti a te! Fatti vedere
almeno, così dico 'buongiorno' alla mia disgrazia…". Di fronte
alla faccia dei due ospiti, la signora Fleiszman si sentì in dovere di
aggiungere: "Vediamo di capirci, ragazzi. Ho incontrato mio marito nel
campo a Cipro, era lo stesso Dov Baer che mi faceva il filo, quando
eravamo ragazzini a Cracovia, un miracolo! Il nostro è stato un
matrimonio proprio d'amore, abbiamo fatto tre splendidi figli insieme,
e ci siamo adorati sino all'ultimo, quando il mio Dov è morto
schiacciato da un torpedone - riposi in pace! Ma la vita è la vita e
gli uomini son fatti così". Poi fece vedere le foto dei tre
splendidi, che avevano studiato tutti all'università, e della relativa
prole. Fuori era già buio: "Ragazzi - disse la signora Fleiszman
- è ora che torniate alla base. Della Shoah avete già sentito parlare
abbastanza a scuola, ma… è sulla vita che avete ancora un po' da
imparare. Per conto mio, io adesso devo andare: vado a spiegare come
curare la pelle alle donne del 'rifugio per le mogli picchiate', e mi
sa che ne hanno bisogno". Mentre li accompagnava alla porta, tese a Noa
il sacchetto di plastica con i barattoli di crema: "La pelle è proprio
un miracolo, così delicata e così forte. Ricordati! … e dalle una mano
a proteggerti, perché da quando sei viva ti porti dietro un miracolo -
e magari te lo scordi". Già mentre scendevano le scale, Itamar si accorse che Noa gli sembrava proprio carina.
Marina Arbib
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Dopo
la piccola tempesta mediatica dei giorni scorsi, quando le prime pagine
dei giornali sono state investire dall’impeto delle dichiarazioni e
delle analisi sulla vicenda che ha visto chiamata in causa la gestione
vaticana della questione della pedofilia, oggi il carnet delle
informazioni sembra essere orientato a una minore tensione. Si ripetono
gli articoli che ci informano di una spy story, sia pure in tono
minore, che vede implicata una giovane israeliana che, durante lo
svolgimento del suo servizio di leva, avrebbe passato alla stampa
documenti riservati o secretati. Così Davide Frattini su il Corriere della Sera e Roberto Bongiorni su il Sole 24 Ore ma anche, per quel che concerne i quotidiani in lingua inglese, il Wall Street Journal, Ofra Edelman su Haaretz, Isabel Kershner per l’Herald Tribune. Di un qualche interesse, poi, può rivelarsi la lettura di quanto scrive Silvia Grilli su Panorama
dove, parlando dell’ultimo romanzo di Parinoush Saniee, raccoglie un
punto di vista femminile sulla società iraniana ai tempi di Mahomud
Ahmadinejad. Molto inquietante è invece l’articolo che il Foglio
dedica a Jobbik, il partito ultranazionalista e populista ungherese,
che si appresta a mietere consensi alla prossime elezioni, quelle di
domenica entrante. E a tale riguardo ci sia concesso il rimando a una
lettera, quella pubblicata da il Giornale
di oggi, sulla morte del leader estremista Terre’Blanche, laddove si
coglie, nell’equiparazione che il lettore fa tra due ipotetici
razzismi, il segno della confusione di giudizio che sta alla base di
certi modi di interpretare gli eventi. Avremo forse modo di tornare su
questa “nullificazione” dei fatti sociali e delle differenze di ruolo,
che appiattisce il giudizio sulla loro complessità, nel nome di una
lettura al contempo schematica (tutti sono razzisti) e autoassolutoria
(poiché lo sono anche gli altri il “mio” razzismo va rivalutato, ovvero
letto sono una lente più accomodante e benevola). Proviamo però a
tirare le file del discorso relativo al piatto forte delle
comunicazioni nei giorni scorsi, le polemiche che hanno coinvolto la
Curia romana e, sia pure indirettamente, il pontefice medesimo.
L’opportunità ci è ancora offerta da un articolo di Giuliano Ferrara,
su Panorama,
dove l’autore esprime un giudizio secco sull’intera vicenda. L’accusa
di fondo, ripetuta in più occasioni, è stata quella di avere taciuto o,
comunque, di non essere puntualmente intervenuta dinanzi ai ripetuti
casi di pedofilia che hanno coinvolto, nel corso del tempo, esponenti
del clero di diverse diocesi, in Europa come nelle Americhe. Il
comportamento omissivo, oltre ad avere offerto una illegittima
protezione nei confronti dei rei (in più di un caso apertamente
confessi), ha così chiamato in causa l’istituzione ecclesiale che, pur
non essendosi direttamente macchiata di nessuna delle colpe attribuite
ai singoli responsabili, è sembrata volersi fare carico di una sorta di
protezione impropria. L’accusa che è stata levata, e ripetuta, è quindi
triplice: l’avere tollerato, per alcuni dei suoi membri, la
possibilità di comportarsi in maniera tale da violare i diritti
elementari di persone fragili poiché vincolate alla volontà dei
sacerdoti; l’avere derubricato il comportamento deviante da reato a
peccato, sottraendo, attraverso il sistema interno di tutele e
guarentigie, i colpevoli alla giustizia ordinaria; l’avere assunto una
condotta ai limiti dell’omertà dinanzi alle richieste di riconoscimento
degli abusi, disconoscendo l’effettività finché è stato possibile.
L’elemento sotteso a questo viluppo di critiche, è la denuncia della
sfasatura che intercorrerebbe tra il magistero morale della Chiesa,
informato all’affermazione della sacralità di quei principi che
riconoscono l’inviolabilità dell’individuo, e la condotta concreta di
alcune membri del clero, a tale merito estremamente disinvolta. Da ciò,
poiché le critiche sono arrivate a lambire anche la figura di Joseph
Ratinzger, riguardo al suo comportamento ai tempi in cui era presule,
ne è infine derivata una polemica che tarda a stemperarsi, sulla Chiesa
in quanto tale, ovvero sui criteri con i quali si comporta rispetto a
questioni fondamentali, a partire dal rapporto tra affermazioni di
principio e concreta condotta. Si tratta, a ben vedere, di una
questione di vecchia data, solo in parte riconducibile a un preconcetto
anticlericalismo, poiché alcuni dei rilievi sono stati espressi da
laici che non possono essere considerati pregiudizialmente avversi alla
Santa Sede. L’atteggiamento assunto dalle autorità vaticane è stato,
dopo un primo momento di “basso profilo”, quello di rispondere
seccamente alle accuse. E qui è subentrato il rimando agli ebrei. Così
con le parole di padre Raniero Cantalamessa, apprezzato predicatore,
laddove egli ha accostato le polemiche di questi giorni alle
persecuzioni antisemite così come, con ancora maggiore autorevolezza,
l’intervento del cardinale decano Angelo Sodano. Quest’ultimo ha
associato i recenti rilievi critici all’opposizione nei confronti di
Pio X e alla sua battaglia contro il «modernismo», alla querelle
riguardo alla condotta di Pio XII durante la Seconda guerra mondiale e
alla posizione che Paolo VI espresse con l’enciclica Humanae vitae,
laddove alcuni passi furono considerati intrinsecamente antistorici.
Rispetto ad ognuna di queste vicende trascorse Sodano rivendica la
coerenza e la correttezza della posizione assunta dalla Chiesa. Dal che
deriverebbe che anche nel caso della pedofilia la Santa Sede non
avrebbe nulla di cui pentirsi (né, tanto meno, di essere accusata). Nel
fare ciò ha lanciato un grido di allarme - e di accusa - contro il
montare di un attacco concentrico e concertato, che sarebbe alla base
del «chiacchiericcio» in corso. Perché l’atteggiamento assunto da una
parte della Curia romana sollecita perplessità? Che la Chiesa come
istituzione sia sotto attacco pare a molti evidente. Che cosa ciò poi
voglia dire, e cosa comporti, è altro fatto e riguarda il giudizio di
valore che si intende conferire all’intera vicenda. Tuttavia, basti in
questa sede affermare che il riconoscerlo non comporta alcunché di
diverso dal dire che la ragione di tale offensiva, tutta mediatica, è
da attribuirsi non ad un complotto preordinato bensì alla feroce
dialettica tra il circuito informativo – qualcosa che va oltre i mezzi
di comunicazione, per diventare un mondo a sé, dove sempre più spesso
si alimenta quella che chiamiamo opinione pubblica – e il suo ricorso
da parte del Vaticano medesimo. Tralasciamo giudizi di merito per
soffermarci su altri ordini di questioni. La Santa Sede sconta un forte
ritardo di linguaggi, oltre che di contenuti. Più che mai in questo
caso l’immagine che ne è derivata è quella di una istituzione – che è
cosa diversa dalle comunità dei credenti – assisa nella sua prerogativa
di essere titolare di inderogabili certezze. Elemento che viene letto
da certuni non come una facoltà etica bensì come un privilegio
materiale, usato per coprire, corporativamente, condotte più che
reprensibili. Chi vuole essere soggetto giudicante deve sapere che può
trasformarsi in oggetto del giudizio. È nella natura dei tempi che
viviamo, laddove ciò non implica il trionfo del cosiddetto «relativismo
dei valori» bensì della giudicabilità pubblica dei soggetti collettivi,
a partire dalle grandi istituzioni, che sono fatte di uomini. A ciò,
per parte nostra, si aggiunge la questione del ruolo degli ebrei in
tutta la vicenda. Questi ultimi sono stati chiamati in causa loro
malgrado, trattandosi di una polemica che riguarda gli interna corporis
della Chiesa romana. Il paragone tra i disagi che questa sta vivendo e
le sofferenze causate dalle persecuzioni nazifasciste non è solo
storicamente improprio ma moralmente fuorviante. Poiché istituisce,
ancora una volta, una sorta di “privilegio nel dolore”, derivante
dall’enfatizzazione della Shoah intesa come male assoluto. In tale
modo, lo status di vittima assurge ad una posizione ambita poiché
chiunque possa ad esso associarsi, nelle sue vicissitudini, riuscirà a
rivendicare il diritto ad una pari considerazione. Una sorta di
passepartout o, se si preferisce, di grimaldello, che scardina a priori
ogni eventuale contestazione. La qual cosa, se riferita alla
valutazione del comportamento di alcuni membri del clero, pare del
tutto fuori luogo. Con l’aggravante, infine, che il continuo riferirsi
alla tragedia dello sterminio, evocato ad ogni pie’ sospinto come metro
di misura universale, rischia di invalidarne il lascito etico,
inflazionandone (e quindi impoverendone) la rilevanza culturale.
Problema grosso, quest’ultimo, al quale certe non troppo felici
associazioni di parole e di idee stanno purtroppo, in questo come in
altri casi, arrecando indubbio danno. Claudio Vercelli |
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Vertice
di Washington sul nucleare: Israele ci sarà
Gerusalemme, 9 apr - Fonti
governative israeliane informano che "Israele non boicotterà la
conferenza di Washington sulla sicurezza nucleare". All'incontro
previsto per il 12 e 13 aprile prossimi al posto del premier Benyamin
Netanyahu lo stato di Israele sarà rappresentato dal vice primo
ministro con delega per l'energia atomica, Dan Meridor. Il premier ha
rinunciato al viaggio negli Usa dopo avere appreso che, durante la
Conferenza convocata dal presidente americano Barack Obama, Egitto e
Turchia intendono sollevare il problema dell'arsenale atomico dello
Stato ebraico e chiedere una sua adesione al Trattato di non
proliferazione nucleare. |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
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