se non visualizzi correttamente questo messaggio, fai  click qui  
 
  logo  
L'Unione informa
 
    12 aprile 2010 - 28 Nisan 5770  
alef/tav   davar   pilpul   rassegna stampa   notizieflash  
 
Moked - il portale dell´ebraismo italiano
alef/tav    
  Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma Riccardo
Di Segni,

rabbino capo
di Roma
Mentre si ricorda il giorno della Shoà e dell'eroismo, istituito dal parlamento israeliano, una riflessione che origina dal racconto della parashà che abbiamo letto questo Shabbat. E' la storia terribile della morte dei primi due figli del gran sacerdote Aharon, fulminati per un errore procedurale durante la cerimonia della loro investitura. Parlando dei due figli sopravvissuti, dai quali discende la dinastia sacerdotale tuttora esistente, la Torà li chiama "notarìm", rimasti. I commenti, attenti alle sfumature, notano che nell'ebraico biblico vi sono due termini per indicare lo stesso concetto: "nishàr" e "notàr"; solo che il primo indica la parte buona che avanza, e l'altro la parte meno buona che rimane, una specie di scarto. Come a dire che i due fratelli sopravvissuti all'incidente non erano affatto migliori, anzi, rispetto a chi era stato fulminato. E' il problema di molti sopravvissuti, di cui spesso ha scritto Primo Levi, e dei loro discendenti e che non li ha lasciati fino alla fine. Perché loro si e noi no?
Molti anni fa, feci una lezione di aggiornamento sulla storia degli ebrei agli insegnanti di religione della diocesi di Napoli. Un enorme anfiteatro pieno di docenti attentissimi, un monsignore, l'organizzatore del corso, seduto accanto a me. Alla fine, dopo molte domande, un professore chiese dal fondo: "Ma se gli ebrei hanno subito tutte queste persecuzioni, non ci sarà la mano di Dio?". Il monsignore accanto a me si agitò sulla sedia come se fosse diventata incandescente e poi mi sussurrò all'orecchio: "Non si preoccupi, lo teniamo d'occhio, ma non possiamo licenziarlo, tiene famiglia!"  Ecco, immagino che il vescovo emerito di Grosseto, monsignor Babini, che ha fatto al blog Pontifex dichiarazioni decisamente antisemite, non tenga famiglia, ma data la rapidità della smentita, e il suo tono chiaramente farina del sacco della Santa Sede,  evidentemente lo si tiene d'occhio lo stesso. Certo, dopo che i buoi sono già scappati dalla stalla. Le sue dichiarazioni erano così folli che, più che scomodare l'antisemitismo, bisognava forse pensare a qualche problema d'età o di testa. Ma intanto sabato, sullo stesso blog, il vescovo emerito di Foligno, monsognor Arduino Bertoldo, ribadisce il concetto: gli ebrei sono deicidi, nemici della Chiesa, e si sentono sempre il popolo eletto. Che si convertano e la piantino. Che ci sia un'epidemia?        Anna Foa,
storica
Anna Foa  
  torna su
davar    
 
  "Ridicola successione di dichiarazioni e di smentite"

"La più bieca propaganda antisemita", così il presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Renzo Gattegna, definisce le presunte dichiarazioni del Vescovo Emerito di Grosseto monsignor Babini. "Stiamo assistendo a una ridicola successione di dichiarazioni e di successive smentite che non è più tollerabile. Si rischia di perdere la pazienza", ha affermato dal canto suo il presidente della Comunità Ebraica di Roma Riccardo Pacifici. Ma Gattegna ha voluto anche sottolineare e ricordare che tali affermazioni "non sono in linea con le tradizionali posizioni della chiesa cattolica di rispetto e amicizia con il popolo ebraico". "Nel prendere atto della successiva smentita, le Comunità ebraiche si augurano - spiega ancora Gattegna - che le gerarchie ecclesiastiche e gli organismi rappresentativi dell'episcopato italiano vogliano fare chiarezza sull'episodio, sulla confusione mediatica che ne è derivata e sulle eventuali responsabilità". Di dichiarazioni "gravi, insulse e offensive dell'intelligenza umana" ha invece parlato il Consigliere Ucei Gadi Polacco definendo l'accaduto "uno scivolone concettuale e di pessimo gusto che cade neanche a farlo apposta, alla vigilia delle celebrazioni del Giorno della Shoà”. “Appare però in giornata la smentita di Babini - dice ancora il Consigliere - alla quale segue invece la conferma del sito Pontifex che dichiara di avere anche i nastri delle dichiarazioni  e a questo punto - invita a riflettere Polacco - chi è che complotta veramente?". "Se lo scopo è quello di distrarre l'opinione pubblica dalle responsabilità di alcuni e isolati casi di presunta pedofilia, cavalcando gli stereotipi più retrivi dell'antisemitismo cattolico preconciliare - ha spiegato invece Pacifici - auspichiamo oggi più che mai lo spirito che ha accompagnato, con forte emozione, la visita di Benedetto XVI in sinagoga. Una visita che riteniamo utile alla società civile tutta nello spirito del dialogo e del confronto fra 'fratelli'". Il presidente della Comunità Ebraica romana ha poi ringraziato il portavoce della sala stampa vaticana, padre Lombardi, per "lo sforzo profuso in queste settimane nel ricucire questi constanti strappi e che ci fa guardare al futuro con ottimismo. Ci appelliamo però ai vescovi italiani tutti a una presa di posizione inequivocabile che chiarisca quale è il loro pensiero e la loro considerazione del mondo ebraico al di là della tormentosa e complicata vicenda che sta vivendo il vaticano a causa delle accuse di queste settimane".


Est - Ungheria, la destra estrema continua a crescere

Arrigo LeviMentre in Polonia sono ore di lutto nazionale e la voglia di votare a destra alle elezioni presidenziali trae nuova linfa dalla martirizzazione dell’ex  presidente omofobo e populista Lech Kaczynski, nella vicina Ungheria il rischio di una deriva xenofoba e nazionalista è da ieri sera una possibilità sempre meno remota. Lo Jobbik, il movimento dell’ultradestra di ispirazione fascista e antisemita, è entrato per la prima volta in Parlamento, ottenendo il 16,7 % di consensi. Un dato molto significativo, che risulta in ulteriore crescita rispetto al clamoroso (perlomeno in quei giorni sembrava tale) 14,77 % ottenuto alle ultime Europee.
Le elezioni hanno visto la vittoria schiacciante e ampiamente prevista dei conservatori di Fideusz (52,7 %), che dopo otto anni di opposizione non avranno bisogno di stringere alleanze per governare. Pesantissima batosta dei socialisti (19,3 %), che adesso sentono il fiato sul collo dello Jobbik. Lo sbarramento fissato al 4 % è stato superato anche dai verdi con il 7,4%. Assegnati 258 seggi su 386, per la ripartizione degli altri posti disponibili bisognerà attendere la seconda giornata di votazioni prevista per il prossimo 25 aprile.
Nato nel 2002 come Associazione dei Giovani di Estrema Destra per iniziativa di alcuni studenti universitari cattolici e protestanti, lo Jobbik è diventato un partito nell’ottobre del 2003. Grazie ad un programma elettorale farcito di slogan che enfatizzano le radici cristiane del paese e demonizzano tutti coloro che non si riconoscono in quei valori e hanno la sfortuna di appartenere a razze inferiori (i bersagli preferiti sono come sempre ebrei, rom ed omosessuali), è riuscito in breve tempo a catalizzare un numero crescente di consensi. Merito anche della forte radicalizzazione sul territorio e di una struttura paramilitare (la temibile Magyar Garda più volte sotto i riflettori per episodi di cronaca sconcertanti) che esercita una certa fascinazione soprattutto nei giovanissimi. Gabon Vona, leader dello Jobbik, ne è consapevole. Dunque non sorprende che al termine degli scrutini abbia anticipato con voce trionfante il suo primo progetto da neoeletto: “Entrerò in Parlamento con l’uniforme della Garda”.
Un elemento che distingue ulteriormente lo Jobbik dagli altri movimenti politici ungheresi è lo stile comunicativo non propriamente raffinato utilizzato dai suoi aderenti e simpatizzanti. In testa alla classifica dei politici più volgari spicca la bionda avvocatessa Krisztina Morvai, deputata al Parlamento Europeo ed elemento di punta del partito. Subito dopo essere stata eletta confidò ai giornalisti quale fosse il suo grande sogno: “Sarei contenta se coloro che si definiscono fieri ebrei ungheresi se ne andassero a giocherellare con i loro piccoli peni circoncisi, invece di insultare me”. Una donna di gran classe questa Morvai, che nell’enfasi del momento lanciò un messaggio molto chiaro alla comunità ebraica ungherese: “La gente come voi è abituata a vedere la gente come noi mettersi sull’attenti ogni volta che date sfogo alle vostre flatulenze. Dovreste per cortesia rendervi conto che tutto questo è finito. Abbiamo rialzato la testa e non tollereremo più il vostro tipo di terrore. Ci riprenderemo il nostro paese”. Le si possono rimproverare molte cose, ma non la mancanza di chiarezza nelle linee di fondo della sua azione politica.

Adam Smulevich


Liliana Picciotto presenta Un paese non basta di Arrigo Levi
 
Arrigo LeviUna ventina di giorni fa, nella bella cittadina di Carpi, Arrigo Levi, cui mi lega una più che ventennale amicizia di cui vado molto fiera, ha avuto la gentilezza di presentare il mio ultimo libro sul campo di Fossoli dal titolo L’alba ci colse come un tradimento.  Stasera,  sono  onorata di poter ricambiare il favore, presentando io a Milano, assieme al Presidente del CDEC, Sacerdoti, il suo Un paese non basta.
E’ questa la storia di un’esistenza policentrica:  per i molteplici luoghi abitati, per i molteplici tempi vissuti, per i molteplici interessi toccati, perfino per le molteplici sue lingue parlate: inglese, spagnolo, francese, un poco anche di russo e di ebraico.  Arrigo in questo libro narra di sé, della sua formazione, del mondo circostante, con i suoi sviluppi e le sue involuzioni di civiltà; e, per noi che lo leggiamo, è un modo unico e fortunato di passare in rassegna tutto un secolo.
Il suo viaggio inizia dalla sua Modena, dalle  origini dei suoi due ceppi famigliari, i Levi e i Donati, portatori di un senso antico di onestà, giustizia, operosità, apertura verso il prossimo;  valori tipici della borghesia ebraica illuminata dell’epoca, non osservante,ma consapevole della propria identità. Ci sono nel libro passaggi commoventi di devozione verso il padre Enzo, avvocato antifascista molto in vista a Modena, punto di riferimento morale per tutta la famiglia,  sollecito custode della sicurezza dei figli. Al momento delle persecuzioni fasciste,  si vide costretto a far emigrare la famiglia in Argentina, ritornando in patria il 2 giugno 1946, esattamente il giorno felice delle prime libere elezioni in Italia dopo il ventennio fascista.  Purtroppo, a un anno soltanto dal suo ritorno in patria,  Enzo Levi  morì di malattia.  Ma per Arrigo non morì mai;  così  dice nel libro:” Io sento davvero di avere vissuto tutte le esperienze della mia vita come fossero null’altro che la continuazione naturale della vita di mio padre” . E non è solo alla memoria di suo papà che Arrigo fa appello per trovare, negli anni giovanili, la sua strada di uomo; egli fa appello a tutti i suoi predecessori:  “Ogni uomo ha nella mente e nell’anima un secolo di memorie; e i ricordi di alcuni momenti della vita dei padri sono spesso assai più vivi, e più fortemente incisi nella coscienza di quelli, incerti o casuali, della propria prima infanzia.”
E che dire della madre? La lettera ai figli, scritta lo stesso giorno della morte del marito è di una rara e purissima poesia, un inno d’amore, e siamo grati ad Arrigo per  non averla solo conservata in un cassetto ma di averla pubblicata.
L’antisemitismo e la shoah ritornano continuamente nel libro come un nodo non risolto.  Arrigo  sempre e in ogni caso, si sforza di interpretare e comprendere il mondo circostante,  ma la shoah rimane per lui, come credo per tutti noi, un grande interrogativo umano, un tarlo che tormenta la mente non solo di noi ebrei, ma di tutti gli uomini.  Per la sua inutilità, per la sua semplicità di svolgimento, per l’ingenuità dei suoi obiettivi e, tuttavia quasi vincente per la sua pervicacia e automatismo criminoso. “Perché gli uomini possano trattare in un modo così disumano altri uomini non  è dato comprendere” dice ad un certo punto Arrigo, sconsolatamente.  Ma egli non ricorda solo la shoah, si ricorda anche di non dimenticare i giusti, coloro che si sono adoperati per il soccorso agli ebrei in pericolo, le innumerevoli suore e preti sparsi in tutta Italia, i villici del paese di Nonantola che aiutarono i ragazzi ebrei ospitati a Villa Emma a “sparire” dalla circolazione e a passare in Svizzera, il professor  Tosatti che operò lo zio Enrico Donati di appendicite senza che questi ne avesse bisogno per sottrarlo alla prossima deportazione da Fossoli, al taxista di piazza che, come in un film, venne a prelevare lo zio all’uscita dal’obitorio sotterraneo dell’ospedale per portarlo di nascosto lontano.
I Levi vivono l’epoca delle persecuzioni in Italia in Argentina, a Buenos Aires. Sono gli anni importanti dell’università, dell’affermazione della sua vocazione giornalistica, dell’intuizione della futura virata autoritaria che flagellerà in effetti l’Argentina  con il peronismo e il regime dei colonnelli.  Levi ama profondamente  la sua seconda patria, la sua seconda cultura spagnola, la sua seconda lingua, dice infatti: “ arrivare a Madrid o a Buenos Aires, o in un’altra grande città dell’America latina , da Città del Messico a Santiago del Cile, è sempre un po’ tornare a casa. Sono un po’ come un mio patrimonio segreto…” .
I due anni successivi al rientro a Modena, furono gli anni dell’ ingresso formale nella carriera giornalistica di Arrigo e di una vita impregnata di passione politica, di letture, di studi, di ritrovata identità nazionale. Arrigo ama l’Italia, si è sempre considerato un italiano dalle molte patrie. Ma c’è qualcosa che lo turba: in un angolo  del Medio Oriente c’è un piccolo Stato chiamato Israele i cui abitanti rischiano la loro sopravvivenza, è lo spauracchio del genocidio che si ripresenta. Queste sono le sue parole: “Era per me, molto semplicemente, intollerabile il pensiero che si volesse e si potesse “buttare a mare” quella piccola comunità ebraica di alcune centinaia di migliaia di sopravissuti, ciò che gli stati arabi dichiaravano essere loro precisa intenzione”.   
E più in là: “A me sembrò che non sarebbe valsa la pena di vivere se anche questo disastro si fosse realizzato”, e ancora: “avevo il senso di un particolare dovere di ebreo europeo che aveva avuto la fortuna di scampare alla shoah, che viveva per così dire, una vita in dono o in prestito…”.
Si decise ad arruolarsi come volontario, partì nel giugno del 1948 per Israele, dopo un breve addestramento militare,  con alcuni giovani ebrei italiani. Alcune impressioni di Levi sul Paese sono di un lirismo assoluto, come il seguente passaggio:”salendo dalla pianura, …in alto c’era, sublime, sulla cresta della montagna che, dall’altra parte , scendeva verso lo sprofondo del Mar Morto, Yerushalaim, la città santa, rinchiusa nelle sue rosee mura turrite, su cui si potevano intravvedere i soldati della Legione araba giordana. Gerusalemme confina con il cielo, come nessuna altra città; e questo mi ha sempre comunicato un miscuglio di esaltazione e di paura”. Provo esattamente questa sensazione ogni volta che in taxi, dall’aeroporto Ben Gurion salgo verso Gerusalemme, è un colpo al cuore che si ripete e che Arrigo ha descritto nel libro così bene.
E in un altro passaggio tratto dal taccuino che tenne in Israele durante la guerra, un’ altra osservazione mi ha colpita: “ Domina nella mia mente l’immagine di un paesaggio a chiazze, ma in prevalenza ancora desertico; si udiva nella notte, vicinissimo, l’urlo ossessivo degli sciacalli. Quando tornai in Israele, 25 anni dopo, tutto era cambiato, il paesaggio si era come ricomposto a unità, non c’erano più zone d’aspetto desertico e da anni non urlavano più gli sciacalli”.  Mi è venuta subito in mente una visita che feci nel 1993 ad Ada Sereni  nella sua Beth Avrà, poco sopra l’ospedale Hadassa a Gerusalemme,  dove viveva. Mi ci recai assieme a Shimon. Lei era già una donna di 88 anni, bellissima nella sua altera vecchiezza, con un filo di perle al collo e i capelli perfettamente a posto. Aprì la finestra che dominava la vallata sottostante e mi disse: “ vedi, quando io arrivai  in questo paese predominava il colore giallo, era tutto disperatamente giallo, oggi predomina il verde, sono felice perché vuol dire che il paese è vivo e ridente e vivrà per sempre”.   
E, ancora, a proposito del deserto del Negev dove Levi fu di stanza come soldato per alcuni mesi: “…L’alba spalanca un vasto, struggente panorama. La prima fermata è alle nove, in una specie di anfiteatro naturale di rocce affacciato sul paesaggio desertico, un inatteso arco di colline, rosate dal sole che sorge, la curva di un fiume asciutto, le rive scavate dall’acqua che non c’è…Un paesaggio maestoso , vuoto e senza fine che suscita sentimenti strani. Il fascino del deserto è inatteso e emozionante. Si aggirano nella mente suggestivi ricordi biblici…” e più in là: “…viaggiamo verso sud-est , su lunghi rettilinei, con all’orizzonte lontane montagne luminose, in un tramonto esaltante, con luci che danno strani colori alle rocce e alla sabbia”. Arrigo, evidentemente, descrive,nel suo taccuino, non la terra ma ciò che la terra gli dice. Queste descrizioni sono tra i punti più alti del libro dal punto di vista letterario.
Alla fine della guerra d’indipendenza d’Israele, Levi sarebbe potuto rimanere, ma fedele alle sue premesse: - “Non presi la decisione di partire in Israele perché fossi sionista” aveva detto -  si mette a cercare nuovi obiettivi che accontentino la sua sete di larghe prospettive.  Gli pesa un po’ il problema della lingua che non è la sua, pensa che dovrà ancora viaggiare, studiare, conoscere il mondo. E, con la felice frase che dà titolo al libro, in una lunga lettera a una sua amica argentina scritta da Israele, dice: “Forse un paese non mi basta”. Lascia Israele con un profondo senso di ammirazione, dice che il paese è intento a realizzare la giustizia sociale, non per via rivoluzionaria, ma sulla spinta di necessità nazionali,  più importanti di qualsiasi individuo. Da acuto osservatore, vedeva la pace, allora, più vicina di quanto l’abbia vista poi, senza mai cessare di sperare in essa e di invocarla mediante il dialogo tra lo Stato d’Israele e gli stati arabi. 
Arrigo sceglie per sé non una, ma molte coscienze nazionali, l’italiana, l’argentina, l’ israeliana, più tardi quella inglese. Tutto è un arricchimento della personalità e in realtà tutto serve a ciò che gli sta a cuore: superare il concetto di nazionalità.  Scrive da mazziniano convinto: “è giusto e doveroso a un certo punto dell’umanità passare a un autentico umanesimo supernazionale”. 
Levi torna dunque  in Italia, si laurea in filosofia con una tesi sulla Bibbia e lui, che si dichiara non credente ma che è pieno di curiosità per il fenomeno religioso, si rivela una persona dall’umanità “consapevole”, portatore di una fede laica che  svolge una continua  ricerca della verità e della giustizia. Crede anche nel dialogo tra le religioni, come una delle grandi e creative  esperienze culturali e civili, scrive, in questo nostro tempo di luci e di ombre. 
 Dopo la laurea è indeciso sulla strada da intraprendere, è ormai il 1950, si reca a Milano per chiedere consiglio ad un giornalista affermato. Questi gli procura un posto a Londra alla “Voce di Londra”, proprio quella mitica radio che molte volte lui e tanti antifascisti avevano ascoltato clandestinamente dall’Italia nel periodo nero della mancanza di libertà. 
Lo attendevano una nuova patria  e altri più grandiosi traguardi di giornalista, di uomo di cultura, di cittadino della libertà, di uomo pubblico di riferimento.
 Grazie Arrigo per averci permesso, nello spazio di un libro, di essere stati con te un po’ al centro del mondo.

Liliana Picciotto
 
 
  torna su
pilpul    
 
  Chiesa e Sionismo: paragoni gravi e ingiustificabili

Donatella Di CesareChe cosa c’entra il sionismo con i mali interni alla chiesa? Che cosa c’entrano gli ebrei con i preti pedofili? Paragoni gravi e ingiustificabili, frasi infelici, parole usate a sproposito, che rinviano però inquietantemente a un sostrato antiebraico, hanno scandito in questo periodo i discorsi delle gerarchie ecclesiastiche. L’intervento del vescovo emerito di Grosseto, monsignor Giacomo Babini, è l’ultimo in ordine di tempo. Colpisce, preoccupa e allarma la continuità e l’evidente escalation.
Parole dette e subito dopo negate, lanciate e ritirate, usate come armi improprie che finiscono per essere un boomerang. Qualcuno ha cercato di far passare tutto ciò come una difficoltà della chiesa, una sua incapacità di comunicare. Certo non essere chiari è oggi un grave ostacolo. Ma qui si tratta di qualcosa di ben più profondo: di una mancanza di etica della comunicazione che mette allo scoperto una altrettanta mancanza di rispetto per l’altro. È questo il grande problema della chiesa che pare finita in un’epoca preconciliare. Le difficoltà proprie sarebbero causate dagli altri, e in particolare dagli altri più prossimi, dagli ebrei (ma non dimentichiamo l’attacco di ieri agli omosessuali). Mentre si dibatte nelle questioni al proprio interno, la chiesa rifiuta ogni critica e reagisce stizzita. Il caso di Pio XII è eclatante. A essere indignati per tutto ciò non sono solo gli ebrei. Perché non è per nulla ovvia la pretesa di essere infallibili e incriticabili. Non più.
Una delle grandi conquiste della comunicazione che passa anche attraverso i nuovi media è l’apertura del dibattito a tutti. E chi comunica con cattive intenzioni o abusa ambiguamente, anche senza riflettere, di parole dense di significato, per scaricare le proprie responsabilità sugli altri, si espone - com’è giusto che sia - al giudizio di tutti coloro che partecipano al dialogo pubblico e con la loro partecipazione mantengono viva la democrazia.

Donatella Di Cesare, filosofa
 
 
  torna su
rassegna stampa    
 
 
leggi la rassegna
 
  Abusi, frase choc sugli ebrei. Poi l'ex vescovo smentisce
[...] Dura era stata anche la presa di posizione del rabbino David Rosen, del comitato ebraico americano (Ajc): «La Cei deve condannare diffamatori stereotipi che evocano la peggiore propaganda cristiana e nazista». Il clima è rovente. In Germania, patria del Papa con 25 milioni di cattolici, un sondaggio del settimanale Focus (svolto su un campione rappresentativo di 613 persone) sostiene che un cattolico su 4 sta meditando di abbandonare la Chiesa. Un quotidiano tedesco chiede la «scomunica» per i preti pedofili. In Gran Bretagna due militanti del movimento ateo hanno messo al lavoro i propri legali per chiedere l'incriminazione per crimini contro l'umanità di Benedetto XVI. Auspicando un arresto durante la sua visita in Gran Bretagna prevista per settembre.[...]
Virginia Piccolillo, Corriere della Sera, 12 aprile 2010

«Persecuzioni colpa degli ebrei» È giallo sulle parole del vescovo
[...]Com'era comprensibile, le parole attribuite al prelato non sono passate inosservate. Il Comitato ebraico americano, in un comunicato ufficiale diffuso a New York, ha chiesto ai vescovi italiani di condannare immediatamente le dichiarazioni «antisemite» rilasciate dal vescovo emerito di Grosseto. Duro anche il giudizio del deputato del Pd Emanuele Fiano, di origini ebraiche: «Nel sessantacinquesimo anniversario della liberazione del campo di concentramento di Buchenwald, dover leggere ancora oggi parole vergognosamente antisemite e razziste come quelle del vescovo emerito di Grosseto, dovrebbe indurre chi ha responsabilità nella gerarchia ecclesiastica a provvedimenti chiari e forti».[...]
Andrea Tornielli, Il Giornale, 12 aprile 2010

Zingaretti con le scuole nel lager nazista
"I giovani non perdano la Memoria"

La democrazia «non è un fatto acquisito», ma una conquista che va «tutelata ogni giorno». Non è un caso che Nicola Zingaretti lo dica qui. Davanti a lui ci sono 240 studenti provenienti da sessanta istituti della provincia di Roma. Le sue parole, a Ebensee, hanno un peso particolare, come dimostrano gli occhi attenti dei ragazzi che per qualche minuto smettono di scattare foto con i cellulari e lo ascoltano in silenzio. Perché Ebensee non è un luogo qualsiasi dell'Austria, ma un ex lager nazista. Non c'è solo Auschwitz. Ma tanti altri campi di sterminio disseminati lungo il cammino di morte delle SS. Ebensee è uno di questi. Lo chiamano «minore», ed è un rivolo d'ombra di Mauthausen, il campo di sterminio nazista costruito nel cuore dell'Austria e tristemente noto per aver tolto la dignità, la libertà e la vita stessa a migliaia di dissidenti politici, intellettuali, studenti. Gli ebrei qui erano pochi, circa mille, di cui 73 romani. Tra i sopravvissuti c'è Mario Limentani, 87 anni, che a Ebensee fu trasferito nel 1944 da Mauthausen.[...]
Anna Rita Cillis, La Repubblica Roma, 12 aprile 2010

Una Spoon River israeliana sepolta tra parole e fumetti
Amos Oz vive da sempre in Israele,  ha lavorato in un kibbutz per trent' anni, ha partecipato da riservista alle guerre del 1967 e del 1973, ha alle sue spalle molti libri importanti, significativi, medi, sufficienti, controversi, e oggi, a settant'anni, ha scritto un capolavoro, uno di quei libri che possono da soli giustificare un'esistenza da scrittore: il libro si intitola 'Scene dalla vita di un villaggio', è tradotto da Elena Loewenthal ed è pubblicato da Feltrinelli. [...]
[...]Ma quanto è influenzata la creatività che si rifà all'ebraismo dal luogo in cui si vive, soprattutto un luogo di tensioni contrastanti come è lo stato di Israele? Un giovane e già famoso autore francese di fumetti, Joann Sfar, al contrario di Oz, che  ha scelto di vivere fisicamente e culturalmente l'avventura del sionismo, sostiene l'importanza culturale della diaspora, e la mette all'origine di Klezmer. Conquista dell'Est una graphic novel pubblicata nella bella collana Lizard della Rizzoli, che aveva pubblicato l'altrettanto riuscito Il gatto del rabbino. Al centro di Klezmer c'è l'avventura picaresca allo stato puro: la storia di un ragazzino, che viene espulso dalla sinagoga e smette di credere in Dio, si intreccia ai vagabondaggi di musicanti rom e klezmer, all'incontro con selvatiche e erotiche ragazze, ai massacri di ebrei e zingari negll anni tra i pogrom degli Zar e quelli che preparano Hitler, alle feste di villaggio negli shtetl, al mondo defunto e magico delle comunità ebraiche dell'Est dell'Europa.[...]
Giuseppe Montesano, Il Mattino, 12 aprile 200
 
 
  torna su
notizieflash    
 
 
Israele, suonano le sirene, il Paese si ferma                                    
per ricordare le vittime della Shoà
Tel Aviv, 12 apr -
Al suono delle sirene gli israeliani hanno sospeso stamane ogni attività per due minuti di raccoglimento in ricordo di tutti coloro che furono assassinati nei campi di concentramento tedeschi. In mattinata si sono svolte cerimonie solenni in tutti gli istituti scolastici, nelle sinagoghe e nei musei del Paese che conservano le testimonianze della Shoà. Alla Knesset, il parlamento israeliano, vengono letti i nomi delle vittime dei nazisti. Ieri, in una cerimonia svoltasi a Yad va-Shem di Gerusalemme il premier israeliano Benyamin Netanyahu ha lanciato un appello ai "Paesi illuminati" affinché condannino con decisione l'Iran per le sue minacce di distruzione dello Stato ebraico e affinché sventino i suoi progetti nucleari. Anche il Capo dello Stato Shimon Peres ha sostenuto che è obbligo delle Nazioni Unite dedicare la massima attenzione "alle minacce di distruzione di Israele" che giungono dall'Iran. Un rapporto di un istituto di ricerca dell'Università di Tel Aviv ha messo in guardia che gli attacchi antisemiti hanno segnato un'impennata nel 2009. Oggi la stampa israeliana dedica grande attenzione alle elezioni svoltesi in Ungheria dove - titola allarmato il quotidiano Haaretz - "il partito della destra antisemita è divenuto la terza forza politica del Paese". 
 
 
    torna su
 
L'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche.
Gli articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili.
Gli utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste, in redazione Daniela Gross.
Avete ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo e-mail, scrivete a: desk@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”.