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L'Unione informa |
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13 aprile 2010 - 29 Nisan 5770 |
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alef/tav |
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Roberto Della Rocca, rabbino |
“…
per la vita sono cresciuto in mezzo ai Saggi e non ho trovato per il
corpo cosa migliore del silenzio…” (Pirqè Avòt, 1;17). È questo
un insegnamento rabbinico che abbiamo letto nelle Massime dei Padri,
durante lo scorso Shabbat. È soprattutto con il silenzio che ieri i
cittadini dello Stato d'Israele hanno ricordato la Shoà. E’ nel
silenzio, ci racconta la Torà, la reazione di Aron di fronte alla
tragica e plateale morte dei suoi due figli che volevano sperimentare
un percorso religioso autonomo e imprudente. E’ nel silenzio di Dio che
continuiamo a cercare l’eloquenza del Suo messaggio. E’ nello sforzo di
privilegiare il silenzio per il corpo che possiamo tentare di ascoltare
le espressioni della nostra anima. |
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L'uomo crea la forma delle sostanze. L'azione divina crea dal nulla. |
Vittorio Dan Segre, pensionato
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Est - Tragedia aerea, addio a tre uomini che credevano nel valore della Memoria Tra
i 96 passeggeri dell’aereo presidenziale polacco precipitato a Smolensk
c’erano alcune persone che avevano deciso di combattere per preservare
il valore della Memoria. Come riporta una nota pubblicata sul sito del
Museo di Auschwitz - Birkenau, almeno tre vittime della tragedia
avvenuta in terra russa erano attivamente impegnate in quella battaglia
così difficile da affrontare in un paese spesso indifferente ed
insofferente come la Polonia. Una di queste persone speciali era lo
storico Tomasz Merta, sottosegretario di Stato aggiunto presso il
Ministero della Cultura e del patrimonio nazionale. “Un uomo di
straordinaria profondità e comprensione - si legge nella nota - che si
è sempre battuto con grande sacrificio per la causa della Memoria e per
l’educazione delle nuove generazioni”. Si apprestava a raggiungere
Katyn anche Andrzej Przewoźnik, sottosegretario responsabile dei
monumenti ai caduti della Seconda Guerra Mondiale e membro del
Consiglio dello stesso Museo di Auschwitz - Birkenau. Era stato uno dei
primi politici polacchi ad intervenire pubblicamente in seguito al
furto dell’insegna posta all’ingresso del campo di concentramento. In
quelle ore (era la mattina dello scorso 18 dicembre) aveva pronunciato
parole dure ed inequivocabili: “Si tratta di un atto di vandalismo che
non ha eguali nella storia”. Tra le vittime viene ricordato anche il
prete Roman Indrzejczyk, cappellano personale del presidente Kaczynski,
che il 27 gennaio di quest’anno si era recato a Birkenau ed aveva
recitato la preghiera Eternal Rest in memoria dei milioni di esseri
umani sterminati dai nazisti e dai loro alleati. a.s
Festa del libro ebraico in Italia Ferrara 17-21 aprile 2010
"Essere
ebrei in Italia, tre generazioni a confronto" è uno dei più singolari
appuntamenti della prima Festa del libro ebraico in Italia, proposta
dal 17 al 21 aprile, a Ferrara dal MEIS - Museo Nazionale dell'Ebraismo
Italiano e della Shoah, con il patrocinio del Ministero per i Beni e le
Attività Culturali, della Provincia e del Comune di Ferrara e
dell'Unione delle Comunità Ebraiche in Italia e con il supporto
organizzativo di Ferrara Fiere. Epicentro della manifestazione
l'ex Convento di San Paolo, dove sarà allestita la più grande libreria
specializzata il libri di e sugli ebrei. Ma incontri, confronti,
iniziative e itinerari coinvolgeranno tutto il cuore storico della
città estense. Questi incontri tra diverse generazioni familiari è stato pensato prevalentemente (ma non solo) per le scuole. La
scuola è dedicata a trasmettere il sapere alle nuove generazioni. In
molti casi - tutti lo riconoscono - è più efficace quando è in grado di
trasmettere anche esperienze. Sulla base di queste semplici
considerazioni si è pensato di far incontrare un gruppo di studenti
delle superiori con ebrei ed ebree di tre diverse generazioni. Essi
comunicheranno cosa ha significato e cosa significa per loro essere
ebrei nel nostro paese: il grande spartiacque è, a tutt'oggi, essere
nati prima o dopo la seconda guerra mondiale. Non va dimenticato che
gli studenti dei nostri anni sono tra gli ultimi a poter ascoltare, dal
vivo, la voce di coloro che nel 1938 furono allontanati dalla scuola a
causa delle leggi razziali e a partire dal 1943 si dovettero nascondere
o espatriare per non essere deportati. Lunedì 19 aprile ci sarà
Amos Luzzatto, già presidente della Unione delle Comunità ebraiche
italiane; accanto a lui un padre e un figlio: Daniel e Shulim
Vogelmanm. Luzzatto ebbe l'esperienza singolare di frequentare le
scuola in quella che allora era la Palestina sotto mandato britannico.
Stette là fin dopo la guerra, tornato in Italia divenne medico e grande
esperto di ebraismo. Daniel Vogelmann nacque subito dopo la guerra da
un reduce della Shoah, Schulim l'unico italiano presente nella
Schindler's List. Shulim figlio di Daniel è stato a lungo in Israele,
ora collabora con il padre alla guida della Giuntina (Firenze), la più
qualificata casa editrice ebraica italiana. Martedì 20 parlerà
Alberta Levi Temin scampata per un nonnulla nel 1943 alla deportazione
della Roma occupata dai nazisti. Di lei parla Rosetta Loy nel suo libro
La parola ebreo. Dopo di lei prenderà la parola il noto giornalista e
scrittore milanese Stefano Jesurum che farà come da anello di
congiunzione verso la generazione più giovane rappresentata dalla
storica romana Serena Di Nepi che, pur essendo solo trentenne, è già
madre di tre figli.
Info: www.festalibroebraico.it
Caratteri d'identità
Quanti
sono gli ebrei in Italia? Fermatevi e provate a dare una risposta. Un
milione? No. Duecentocinquantamila? Neppure. La maggior parte di noi li
sovrastima. Pochi sanno che sono soltanto venticinquemila. «Le
minoranze sono sempre sovraesposte. Se ci sono mille palline bianche e
una sola nera, per una legge della percezione, noi vediamo palline
bianche e palline nere», spiega Riccardo Callmani, scrittore, direttore
del Museo ebraico di Ferrara e della neonata Festa del libro ebraico.
Il motivo della kermesse è presto detto: gli ebrei sono, sì, una
minoranza esigua, ma decisamente produttiva e interessante per la
cultura. Tant'è che in Italia, tra volumi scritti da ebrei e testi che
hanno gli ebrei per tema, si contano 1.500 titoli. […]
Cinzia Fiore, il Corriere della Sera, 13 aprile 2010
Tra quei gioielli nascosti sulle strade di Bassani
Noi
siamo molto contenti che vengano ad abitare qua con le loro famiglie
(...) perché a Casa nostra sempre saranno benvisti e ben trattati in
tutte le cose che potremo». La lettera era datata 20 novembre 1492.
Cristoforo Colombo aveva scoperto un Nuovo Mondo oltreoceano giusto il
mese prima, ma non è che qui nel Vecchio ci fossero buone notizie per
tutti. Gli ebrei di Spagna per esempio, su ordine di Isabella di
Castiglia e con l'appoggio dei due papi Innocenzo VIII e Alessandro VI
Borgia succedutisi proprio quell'anno, si erano visti espellere in
massa dal Paese e in Europa non li voleva praticamente nessuno. Con
l'eccezione rappresentata appunto da quella lettera. La firma era di
Ercole I d'Este, duca di Ferrara che, aprendo così le porte della città
agli esuli della diaspora ,sefardita, dava in realtà seguito a una
presenza culturale ebraica che la capitale estense allora conosceva già
da almeno trecento anni e sarebbe arrivata, secoli dopo, a Giorgio
Bassani. Le tracce di questa storia sono silenziose e discrete, ma la
città che ora ospita le giornate del libro ebraico le ha conservate
tutte. [...]
Paolo Foschini, il Corriere della Sera, 13 aprile 2010
Quel lungo bivacco nella solitudine Ecco l'insonnia popolata di incubi
Ho
sempre trovato sconcertante l'accusa che Giacomo Debenedetti rivolse
una volta a Italo Svevo: di aver privato Zeno Cosini il più celebre tra
i personaggi sveviani della discendenza ebraica che avrebbe meritato.
Svevo sarebbe potuto essere «l'artista di un certo momento dell'anima
semita». Ma negando a Zeno Cosini un nome e un cognome giudaico sbatté
la porta in faccia a questa imperdibile opportunità. Ecco la teoria di
Debenedetti. Mi chiedo: davvero bastano un nome e un cognome a definire
l'importanza e il destino di un personaggio, di un romanzo, di
un'intera opera letteraria? Davvero se Svevo avesse fatto di Zeno
Cosini una specie di Leopold Bloom, La coscienza di Zeno sarebbe stato
un'opera ancora più importante ed emblematica? Chissà che il discorso
non meriti di essere ribaltato. Se ci sono tre scrittori che per me
hanno incarnato il sentimento ebraico per antonomasia ovvero il
fervente spaesamento colmo di vergogna e di paura che non smette mai di
attorcigliarsi su se stesso be' quelli sono Kafka, Proust e Svevo. Tre
borghesi disadattati, di solida ascendenza ebraica, che hanno vissuto
con antonomastica e profetica angoscia la vigilia della più devastante
tragedia del popolo ebraico. Eppure, se penso al posto che gli ebrei
avevano nelle opere di questi tre titani della narrativa novecentesca
scopro che esso è inesistente o del tutto periferico. E mi domando
perché. […] […] Ciò che so è che quando penso a Kafka, Proust e
Svevo penso a tre sommi scrittori ebrei. E lo dico non senza emozione.
Tre sommi scrittori ebrei che, con la discrezione dell'esempio, pongono
al centro della loro opera la più annosa della questioni ebraiche.
Ovvero, che diavolo significa essere ebrei? Una domanda cruciale! Che
si pone sia mio padre che non crede in Dio sia il rabbino capo di
Gerusalemme che in Dio e nei suoi ferrei dettami ci crede e come. Una
domanda che non ha risposta e che non deve aveme. E tuttavia una
domanda capitale di cui la narrativa novecentesca si è fatta carico
quasi inconsapevolmente. [...]
Alessandro Piperno, il Corriere della Sera, 13 aprile 2010



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Hackney: la Terra Promessa degli ebrei dello Yemen
Un
piccolo appartamento nel quartiere londinese di Hackney: la famiglia di
Yousef al-Zahari è intenta a pulire i pavimenti in preparazione per
Pesach, l’annuale festa ebraica che commemora la fuga degli israeliti
dalla schiavitù in Egitto. Per gli ebrei di tutto il mondo,
Pesach coincide con un periodo di celebrazione, riflessione spirituale
e rinnovamento. Ma per la famiglia al-Zahari, arrivata in Gran Bretagna
dallo Yemen tre anni fa, questa festa ha uno strato ulteriore di
autenticità. Come gli israeliti, essi sanno molto bene cosa vuol dire
fuggire dalla persecuzione. “Un ebreo in Yemen non può fare
niente”, dice il 24 enne padre di tre, mentre fa una pausa dalle
pulizie per dare da mangiare a Rachel, la figlia più piccola. “Quando
andavamo a comprare da mangiare dovevamo coprirci il capo con dei
mantelli e vestire come i mussulmani. Se uscivamo come ebrei la gente
ci tirava addosso sassi mentre gridava insulti. Ci chiamavano scimmie e
non credenti in continuazione”. Gli ebrei dello Yemen, in quanto
circondati da alcune delle tribù mussulmane d’Arabia più socialmente
conservatrici e ortodosse, hanno sempre vissuto un’esistenza precaria.
Quando ci fu un pogrom nel 1949, la Gran Bretagna, gli Usa e Israele
organizzarono segretamente l’evacuazione di quasi l’intera popolazione
ebraica dello Yemen con aerei, l’Operazione Tappeto Magico. In
pochi mesi, 49 mila ebrei Yemeniti, molti dei quali non avevano nemmeno
viaggiato su un’automobile prima d’allora, furono imbarcati su aerei,
destinazione una nuova vita in Israele. Ma alcune delle più remote
comunità restarono, rischiosamente attaccate ai villaggi dove i loro
antenati avevano vissuto per più di 2500 anni. Nei primi anni del 2000,
tra i 400 e i 600 ebrei vivevano ancora in Yemen. Oggi gli
ultimi ebrei indigeni della penisola arabica stanno disperatamente
cercando di fuggire. Lo Yemen, il paese più povero del Medio Oriente, a
fatica cerca di contenere una rivolta shiita nel Nord, un movimento
secessionista nel Sud e la crescente influenza dei miliziani legati ad
Al-Qaeda. Gli ebrei, che si trovano nel mezzo, sono attaccati da tutte
le parti in lotta. Negli ultimi cinque anni sono aumentati gli
attacchi alle famiglie ebraiche. Tante sono state le donne rapite e
costrette a convertirsi all’Islam, prominenti leader della Comunità
sono stati assassinati e biglietti con scritte incitando gli ebrei a
lasciare il paese sono stati attaccati sulle porte delle loro case. Il
governo Yemenita, che sta cercando di fermare la violenza, ha dato
rifugio a 65 ebrei nella capitale, Sana’a, dopo che questi sono stati
cacciati dalla tribù al-Houthi, una fazione Shia ribelle che combatte
il governo dal loro territorio situato a Nord del paese. Altri 200
ebrei vivono ancora nelle città di Raida e Kharif, subito a Sud della
zona d’influenza degli al-Houthi. Quelli che sono riusciti a
scappare hanno raggiunto Israele, gli Usa e la Gran Bretagna. Si pensa
che sono almeno 49 le famiglie arrivate a Londra, dove sono state
accolte dalla più numerosa comunità ultra-ortodossa del paese nella
zona di Stamford Hill, nel quartiere di Hackney. Shlomo Efraim, 29
anni, conosce molto bene la violenza che si è abbattuta contro gli
ebrei dello Yemen. Nel 2003, la seconda moglie di suo padre (gli ebrei
yemeniti, così come i loro vicini arabi, praticano ancora la poligamia)
è stata rapita e costretta a convertirsi all’Islam. “L’anno dopo mia
sorella è stata rapita” ci dice mentre suo figlio Bezalel, tre anni,
sta a guardare. “Era uscita per andare a visitare una vicina quando fu
rapita. Abbiamo cercato dappertutto fino a quando lo sceicco locale ci
ha detto che era stata presa da una famiglia mussulmana. Allora siamo
andati alla polizia per denunciare il fatto ma, invece di arrestare
quella famiglia, ci hanno messo in prigione per una notte. L’unica
domanda che ci ha fatto la polizia è perché non ci eravamo convertiti
all’Islam”. La famiglia Efraim viene da Raida e viveva vicino a
Moshe Nahari, un illustre maestro, padre di nove bambini, ucciso da
estremisti nel dicembre del 2008. Abdul Aziz al-Abdi, pilota
dell’aviazione militare in pensione, gli aveva ripetutamente ordinato
di convertirsi all’Islam e quando Nahari ha rifiutato è stato ucciso a
colpi di pistola. Al-Abdi, condannato a morte, non è stato ancora
giustiziato. Essendo le donne della famiglia le più a rischio,
Shlomo Efraim - grazie all’aiuto dei leader Haredi di Londra - riuscì a
ottenere un visto per l’Argentina per le sue sorelle. Arrivate ad
Heathrow per cambiare volo, queste hanno chiesto asilo politico
alla Gran Bretagna, dove vivevano già dei loro parenti. Le sorelle, che in Yemen giravano con il viso coperto, non avevano mai lasciato il loro villaggio prima d’allora. Eli
Low, membro della comunità Haredi di Stamford Hill, che ha passato gli
ultimi 10 anni ad aiutare gli ebrei dello Yemen, ha ricevuto le sorelle
Efraim ad Heathrow. “Quando abbiamo superato il cancello degli arrivi,
ho incontrato un amico di famiglia”, ride ricordando la vicenda “non
dimenticherò mai la sua faccia dopo aver visto me, un Ebreo Ortodosso,
condurre un donna con l’abaya (abito Islamico) e le sue sorelle fuori
dall’aeroporto. Avrà pensato che quella fosse la cosa più strana mai
vista”. Gli Efraim adesso vivono vicino a una famiglia proveniente
dal Bangladesh e stanno lentamente imparando a vivere in una
comunità dove ebrei e mussulmani vivono fianco a fianco. Gli
yemeniti arrivati in Gran Bretagna si sono inseriti velocemente nella
comunità ultra-ortodossa di Stamford Hill anche perché questa pratica
un ebraismo molto simile al loro. I bambini frequentano le locali
scuole ebraiche e molte famiglie hanno adottato un gran numero di
ragazze yemenite che adesso parlano arabo, ebraico, yiddish e inglese.
Ma gli ebrei di Stamford Hill dicono che la Gran Bretagna non sta
facendo abbastanza per aiutare gli ebrei rimasti a fuggire. L’anno
scorso, il governo americano ha dichiarato che qualsiasi ebreo yemenita
desideroso di stabilirsi negli USA, avrebbe ricevuto automaticamente
asilo. Il dipartimento di stato ha anche organizzato un volo
l’estate scorsa per 150 persone che volevano raggiungere le loro
famiglie in America. Si pensava che la Gran Bretagna avrebbe fatto qualcosa di simile. Invece,
ogni richiesta d’asilo è vagliata individualmente. Così uno di fratelli
di Shlomo ha visto la sua richiesta rifiutata mentre i suoi genitori
hanno impiegato 7 mesi per cercare di assicurarsi un visto per la Gran
Bretagna. Il deputato Laburista per Hackney Diane Abbott ha
chiesto al governo di considerare rifugiati politici tutti gli ebrei
che hanno lasciato lo Yemen, aventi parenti in Inghilterra. “Se queste
persone perdono la vita per mano di miliziani estremisti arabi allora
il governo britannico sarà accusato di non aver agito pur sapendo del
pericolo” dice. Forse, finalmente, il Governo sta
cambiando posizione. In febbraio Ivan Lewis del Foreign Office ha
visitato le famiglie ebraiche di Sana’a e Timothy Torlot,
l’ambasciatore inglese in Yemen, ha incontrato, la settimana scorsa,
quelle di Raida. Lewis ha dichiarato all’Independent: “Stiamo
discutendo con il presidente e il Governo dello Yemen la sicurezza
della comunità ebraica e la possibilità di trasferire quelle famiglie
che hanno parenti in Gran Bretagna. Speriamo di raggiungere un accordo
nei prossimi 10 giorni”. Questa sarebbe una bella notizia per Rav
Avrohom Goldman, assistente rabbino della sinagoga Yetev Lev, a pranzo
insieme a Low a casa dei Badani. Musa Basani, un uomo sui
cinquanta, che non conosce la sua età con precisione, ha raccontato in
arabo ai suoi ospiti l’arrivo nel suo villaggio degli uomini
dell’ostile tribù al-Houthi dopo gli attacchi dell’11 Settembre:
annunciavano che gli ebrei erano i prossimi della lista. “Hanno
appiccato fuochi e sparato in aria”,dice “Ci hanno detto che saremmo
stati uccisi con la spada di Maometto”. Usciti dalla casa dei Badani,
Rabbi Goldman sospira: “Non stiamo chiedendo molto. Stiamo parlando di
un piccolo gruppo di persone che verrebbe rapidamente assorbito e
sostenuto dalla comunità ebraica qui. Gli americani hanno capito che
gli ebrei yemeniti hanno disperatamente bisogno di un rifugio, perché
la Gran Bretagna non fa lo stesso?”.
Jerome Taylor, The Independent (versione italiana di Rocco Giansante)
Qui Roma - “Nel ventre nero della storia” Pagine di vita di una ebrea romana nella furia nazista
Mercoledì
14 aprile alle 17.30 la Casa della Memoria e della Storia in via San
Francesco di Sales, a Roma farà da cornice alla proiezione del
film “Nel ventre nero della storia” diretto da Luigi Faccini in
collaborazione di Marina Piperno, storia di una famiglia ebrea romana
nella tragedia della persecuzione razzista. “Nel 1938, dopo le
leggi razziali, mio padre partì per un viaggio negli Stati Uniti per
vedere se fosse possibile emigrare - racconta Marina Piperno che oltre
che autrice è anche ispiratrice della storia - Ma non tutto filò per il
verso giusto. Le autorità americane che avevano operato forti
restrizioni sulle quote di emigrazione ebraica gli consentivano di
portare con sé soltanto moglie e figli, ma non mia nonna Rachele, sua
madre. Mia nonna aveva 65 anni. Fu considerata vecchia, persona che non
poteva produrre ricchezza”. Marina come è nata l'idea di produrre un film di questo genere? Questo
film deriva da un film più ampio che dura oltre tre ore 'Storia di una
donna amata e di un assassino gentile', un film in sette capitoli che è
la lunga storia della mia vita, da questo film è stato ricavato “Nel
ventre nero della storia” che è il mio percorso ebraico . Infatti 'Nel
ventre nero dellla storia' è il racconto della mia vicenda come ebrea.
Dentro ad esso c'è tutto il mio ebraismo: io sono un ebrea laica,
vengo da una delle tradizionali famiglie della Comunità di Roma, molto
legate alle proprie radici, ma poco legate alla pratica religiosa anche
se mio padre dopo la Guerra fu il primo a riportare l'uso di fare il seder di Pesach nella famiglia. Come si svolge il film? Il
racconto parte dalle leggi razziste, fin dal discorso della separazione
ebraica. Nel film racconto come la mia famiglia composta da mio padre,
mia madre, mio fratello e tre nonni, si siano salvati durante quel
terribile periodo. Vi è anche una parte molto suggestiva girata ad
Auschwitz. Infatti nello scorso maggio io e mio marito Luigi che è il
regista del film abbiamo avuto, attraverso Marcello Pezzetti il
permesso di girare nel campo vi è quindi una scena in cui io percorro
il campo mentre Luigi mi pone delle domande alle quali io rispondo
anche con molta durezza. Il film termina con il racconto della nuova
produzione: un nuovo film che racconta la storia di un ufficiale
tedesco che andrà a combattere con la Resistenza lasciando l'ideale
nazista. Mi sembra che questo film non sia l'unico che hai realizzato su queste tematiche. No
infatti. Nel 1961 ho prodotto per prima in Italia e forse anche in
Europa un documentario di undici minuti sulla deportazione degli ebrei
romani, dal testo di Giacomo De Benedetti e la regia di Ansano
Giannarelli, quando sullo sterminio ebraico era scesa l'ombra della
rimozione. Il ‘corto' è di forte impatto e ottenne un grande successo,
tanto da essere presentato per l'Oscar. Dopo questo film ho fatto
tantissimo cinema d'autore, recentemente un film sulle stragi naziste,
non soltanto nei confronti degli ebrei ma anche di altre minoranze, poi
un anno e mezzo fa abbiamo girato “Il pane della Memoria” che
racconta attraverso Elena Servi, ultima testimone di quella comunità la
storia del rapporto fra gli ebrei di Pitigliano e gli altri abitanti
del posto. A quale dei tuoi lavori sei più legata? Direi
a “16 ottobre 1943” perché è stato il primo, poi chiaramente anche
quello che presenteremo mercoledì, “Nel ventre nero della storia”
perché parla di me...
Lucilla Efrati
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I nemici di Israele? Non la Chiesa ma l'odio islamico e chi lo tollera Non
ci può essere un modo migliore di celebrare Yom ha Shoah, il giorno
della Shoah, ricordato ieri in Israele con una serie infinita di
memorie personali trasmesse senza sosta da radio e giornali, che
guardando la realtà odierna negli occhi. Realtà nuova e orribile,
fotografata nell'ultimo lavoro del maggiore studioso dell'antisemitismo
Robert Wistrich quando avverte: la realtà in cui viviamo può portare a
una nuova Shoah. Ma attenzione: il pericolo nuovo contenuto
nell'antisemitismo contemporaneo non è quello, per quanto ripugnante,
delle parole del Vescovo Giacomo Babini. [...] Se passiamo ai problemi
davvero seri dell'antisemitismo odierno, essi non sono quelli posti da
Babini. Ieri nel giorno della Shoah, in cui ogni cittadino israeliano
si immobilizza mentre la sirena crea un legame fisico, fatto di vita
vibrante, fra la gente per strada e le donne, gli uomini e i bambini
uccisi dai nazisti, Shimon Peres, Benjamin Netanyahu e Nathàn Sharansky
hanno tenuto discorsi spietati, senza precedenti in cui si esponeva una
presa di posizione nuova e terrificante: il popolo ebraico rischia di
nuovo lo sterminio, e il mondo è cieco proprio come lo fu alla vigilia
della Shoah. […] Fiamma Nirenstein, 13 aprile 2010
Zingaretti: non bisogna dimenticare Mauthausen
- Il monumento dedicato agli italiani è al centro dell'Appelplatz,
piazza d'ingresso al campo di Mauthausen, dove si taceva l'appello dei
prigionieri. Da una parte c'è la frase «per la dignità degli uomini qui
soffrirono e perirono». Dall'altro lato ci sono le foto, i nomi di quei
ragazzi che arrivarono qui per lavorare e morire. E davanti ai loro
volti incastrati nella pietra inizia la visita del campo di sterminio
di 300 studenti delle scuole, che hanno partecipato al «Viaggio della
memoria», organizzato dalla Provincia di Roma, in collaborazione con
l'Aned (associazione nazionale ex deportati). […] Con i
ragazzi ci sono i professori, il vicepresidente del consiglio
provinciale, Sabino Leonetti, il delegato alla Memoria, Umberto
Gentiloni, i testimoni Mario Limentani, Rosario Militello, Vera
Salomon, il presidente della Comunità Ebraica Riccardo Pacifici, il
presidente della Fondazione Museo della Shoah Leone Paserman e il suo
futuro direttore Marcello Pezzetti. E quest'ultimo racconta che «qui
iniziò la bonifica sociale in senso eugenetico, l'eliminazione dei più
deboli». Maria Rosaria Spadaccino, il Corriere della Sera, 13 aprile 2010
Alemanno, staffetta Hiroshima-Gerusalemme Hiroshima
- I sopravvissuti al 6 agosto '45, alla bomba atomica che rase al
suolo Hiroshima, in Giappone si chiamano «hibakusha»: letteralmente
sono quelli che «sono affetti dall'esplosione». E una di questi,
Shizuko Abe, all'epoca aveva 18 anni. E viva per miracolo, e ha parlato
della sua terribile esperienza ai ragazzi delle scuole romane, arrivati
in Giappone per i «Viaggi della Memoria». […] Vicino a lei, Gianni Alemanno e l'assessore alla Scuola Laura Marsilio la guardano esterrefatt,come gli studenti. [...] Ernesto Menicucci, il Corriere della Sera, 13 aprile 2010
Soued ora apre alle moschee: sì a tanti piccoli centri in città Costruire
tante piccole moschee in città per garantire ai fedeli musulmani di
professare la propria religione. A tornare sull'annosa questione di una
o più moschee milanesi, non è un imam, ma Leone Soued, presidente della
Comunità ebraica di Milano, che ieri ha partecipato alla tradizionale
cerimonia del Giardino dei Giusti al Monte stella. «Vanno fatte più
moschee in città in modo tale che si possa dare a tutti il diritto a
esercitare il proprio culto», ha ribadito Soued. Solo così, ha fatto
intendere, si potrà risolvere il problema in cui versa la Comunità
musulmana milanese allontanata da viale Jenner. [...] Manuela Sasso, E Polis, 13 Aprile 2010 |
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notizieflash |
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La
Siria passa armi gli Hezbollah libanesi
Shimon Peres esprime la sua preoccupazione Gerusalemme, 13 apr - Il
presidente israeliano Shimon Peres, che oggi inizia una visita
ufficiale in Francia, ha espresso la sua profonda preoccupazione per le
nuove forniture militari siriane agli Hezbollah libanesi. "Se Damasco
dice di volere la pace perché fornisce agli Hezbollah armamenti che non
hanno altro intento se non minacciare direttamente Israele?" si è
chiesto Peres. La stampa israeliana ha aggiunto che Israele ha chiesto
agli Stati Uniti di dissuadere la Siria dal perseverare in quelle
forniture che - secondo gli analisti - accrescono la tensione militare
nella Regione. In Francia Peres intendere discutere con Sarkozy anche
dei progetti nucleari iraniani. |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei
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