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    18 aprile 2010 - 4 Iyar 5770  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
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  Benedetto Carucci Viterbi, rabbino Benedetto Carucci Viterbi, rabbino Prima della sua fine Rabbi Sussja di Hanipol disse: “Nel mondo a venire non mi si chiederà: 'Perché non sei stato Mosè?'. Mi si chiederà: 'Perché non sei stato Sussja?".Riusciremo, nel nostro momento, a rispondere a questa domanda?
Secondo alcuni sociologi, rispetto alla questione dell’osservanza delle regole, le società si distinguono in due grandi gruppi: il primo caratterizzato da una “cultura della vergogna”, il secondo da una “cultura della colpa”.  La “cultura della vergogna” sarebbe propria di quelle società il cui valore massimo è l’onore e nelle quali l’osservanza delle regole è ottenuta attraverso la proposizione di modelli positivi di comportamento e coloro che non si adeguano incorrono nel biasimo sociale e in una sensazione di inadeguatezza. La “cultura della colpa” invece caratterizzerebbe quelle società che privilegiano, per esempio, il pentimento e il perdono, in cui chi tiene un comportamento vietato si sente oppresso da un senso misto di colpa, di rimorso e di angoscia. Dove siamo noi? 
David
Bidussa,
storico sociale delle idee
David Bidussa, storico sociale delle idee  
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  Qui Ferrara - Al via la grande Festa del libro ebraico

Ferrara“La minoranza ebraica può ancora dare moltissimo al Paese. Speriamo di riuscire, attraverso il nuovo Museo nazionale dell’ebraismo italiano e della Shoah, a far conoscere meglio le potenzialità e di riuscire a dare un contributo al dibattito culturale nazionale”. Così Riccardo Calimani, presidente del Meis, ha dato il via questa mattina a Ferrara alla prima giornata della Festa del libro ebraico in Italia che si conclude mercoledì.
Promossa dal Meis, il Museo nazionale dell’ebraismo italiano e della Shoah che nel giro di pochi anni troverà posto nel comprensorio di via Piangipane che un tempo ospitava le carceri, la manifestazione punta a trasmettere l’importanza di questa realtà che, pur in fase di costruzione, ha l’ambizione a porsi come laboratorio culturale dinamico. A segnalare questo ruolo attivo anche la sede dell’inaugurazione, cui hanno preso parte il sindaco di Ferrara Tiziano Tagliani, la presidente della Provincia Marcella Zappaterra, il prefetto Provvidenza Raimondo, il direttore scientifico del Meis Piero Stefani, rav Luciano Caro, Riccardo Calimani e il presidente UCEI Renzo Gattegna. La Festa del libro si è infatti aperta nella raccolta Sala estense dove un tempo, ha ricordato Stefani, gli ebrei erano costretti ad ascoltare le prediche coatte.
Il rapporto di Ferrara con la realtà ebraica, ha sottolineato il sindaco Tiziano Tagliani, ha visto momenti molto favorevoli e periodi drammatici. “Si tratta di una contraddizione forte che vorremmo riuscire a ricucire in un rapporto stabile con la cultura ebraica. La Festa del libro è un momento davvero importante per Ferrara. Oggi leggiamo la prima pagina del libro del Meis ed è per noi motivo di grande orgoglio”. Il modello del Meis, ha sottolineato Renzo Gattegna, sarà dinamico. “Il nascituro Museo non si esaurirà non sarà solo un ricordo del passato ma costituirà un centro vivo di studio, ricerca e divulgazione”. Nulla di meglio dunque che partire dai libri per raccontarsi agli altri. Il popolo ebraico, ha ricordato infatti il rav Caro, intrattiene con il libro (o meglio con il libro per eccellenza, la Bibbia) un rapporto strettissimo che sembra trovare grande riscontro nel pubblico. Sono infatti tantissimi, ha detto Calimani, i libri di carattere ebraico che ogni anno escono in Italia, spesso con significativi successi di vendita.
A suggellare il via alla manifestazione, l’apertura nella sala d’onore del Comune di Ferrara della mostra Le origini del libro ebraico in Italia, curata da Gadi Luzzatto Voghera, che propone fino al 30 aprile una selezione di opere rare: incunaboli, cinque centine ed edizioni rare. In esposizione numerose cinquecentine del Centro bibliografico UCEI appartenenti al Collegio rabbinico italiano.
Ma il cuore della Festa è a pochi passi dal suggestivo palazzo comunale, nel Chiostro di San Paolo, dove protette dalle volte antiche si estende una grande libreria d’argomento ebraico. Sono romanzi, saggi, poesia, libri per ragazzi, opere contemporanee o volumi della tradizione: un’immensa carrellata di volumi delle più diverse case editrici per un totale di 1500 titoli, tutti da leggere o quanto meno da sfogliare.

Daniela Gross


Qui Ferrara - Il saluto del Presidente Gattegna

GattegnaSono lieto di partecipare all’inaugurazione della Festa del libro ebraico, che vede unite in un comune impegno le Istituzioni italiane e le Istituzioni ebraiche. Quest’importante evento non è fine a se stesso ma rappresenta il preludio e la preparazione di un altro impegno, ben più duraturo e complesso: la creazione del Museo nazionale dell’Ebraismo italiano e della Shoah di Ferrara, destinato a diventare l’unica, la più estesa e completa narrazione, esposizione e illustrazione della lunga storia dell’ebraismo in Italia che rappresenta un importante capitolo della storia del nostro Paese.
I fattori che rendono veramente speciale la presenza ebraica in Italia sono molteplici. Innanzi tutto la sua antichità poiché la sua origine risale a 2 mila 200 anni fa, al periodo della Roma repubblicana, oltre due secoli e mezzo prima di quel fatale anno 70 che vide la distruzione del Tempio di Gerusalemme da parte dell’imperatore Tito e l’inizio della diaspora, la dispersione degli ebrei nel bacino del Mediterraneo e nei tre continenti.
Un ulteriore elemento distintivo sono la stabilità e la continuità di questa presenza. La comunità ebraica è rimasta ed è sopravvissuta in questo Paese nonostante l’alternarsi di periodi di pacifica convivenza e periodi drammatici di discriminazione e persecuzione. La sola vera massiccia emigrazione senza ritorno è stata infatti quella avvenuta intorno al Cinquecento, allorché la dominazione spagnola, applicando le leggi dell’Inquisizione, espulse, costrinse alla conversione e distrusse le numerose Comunità presenti nel Meridione d’Italia che da allora non si sono mai più ricostituite. Fu una grande tragedia per gli ebrei e una grave perdita civile, sociale e culturale per intere regioni quali la Puglia, la Campania, la Basilicata, la Calabria e la Sicilia.
L’altro elemento da ricordare sono l’integrazione e il contributo della cultura ebraica a quella italiana. Basti pensare che per secoli l’ebraismo è stata l’unica religione monoteistica in una società totalmente pagana e che i primi cristiani, quando iniziarono ad arrivare in Italia, adottarono come luoghi di culto e cimiteri le stesse catacombe ebraiche, com’è facile vedere ancora oggi visitando gli scavi fatti a Roma a Villa Torlonia.
Da queste brevi e sommarie riflessioni si può dunque intuire quale sia l’importanza dell’edificando Museo dell’Ebraismo italiano e della Shoah, che non sarà solo un ricordo del passato ma costituirà un centro vivo di studio, ricerca e divulgazione. Voglio ringraziare quindi, oltre alle autorità, tutta la popolazione di Ferrara che sta vivendo con curiosità e partecipazione la realizzazione di quest’impresa ambiziosa e coraggiosa, come detto unica, che arricchirà e farà onore a questa città in cui gli ebrei hanno vissuto lunghi periodi di fioritura e splendore culturale e civile.

Renzo Gattegna, Presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane



Est - Varsavia, l'omaggio a Lech Kaczynski

funeraliLa popolarità di Lech Kaczynski, il presidente della Polonia scomparso insieme ad alcuni tra i principali esponenti del governo nella tragedia aerea di Smolensk, era in calo costante. Lo rivelano recenti sondaggi che evidenziano come fosse sempre meno apprezzato il suo modo autoritario e poco disposto al compromesso di esercitare il potere. Ma adesso che Kaczynski è morto, i sondaggi indigesti hanno lasciato spazio al dolore di un paese sotto choc e dal futuro politico incerto. Le piazze si sono riempite di gente commossa, piccoli e grandi memoriali improvvisati sono sorti agli angoli delle strade. Il tutto mentre è partito il countdown per i funerali di stato che si celebreranno nel pomeriggio di oggi nella basilica di Cracovia. Tra i più scossi dai luttuosi accadimenti il premier liberale Donald Tusk, che ha parlato della “più grande sciagura per il nostro paese dalla fine della guerra in poi”.
Lech Kaczynski è stato un uomo su cui tanto si è discusso e su cui tanto si continuerà a discutere anche in futuro. Insieme al fratello gemello Jaroslaw era stato il fondatore di Legge e Giustizia, partito ultraconservatore e populista per lungo tempo prima forza politica del paese. Più volte accusato di avere idee omofobe e xenofobe, Lech si definiva un euroscettico convinto. Uno dei suoi cavalli di battaglia era: “Contro l´Unione Europea e se necessario contro lo stesso eroe della rivoluzione Lech Walesa”. Ma aldilà di alcune miopie politiche evidenti (condizionate in particolare dalle pressioni esercitate dal fratello Jaroslaw), gli va riconosciuto un grande merito: quello di aver sempre cercato il dialogo con la comunità ebraica polacca. Un dialogo assolutamente non scontato in un paese che ha più volte cercato di condannare al silenzio quegli scomodi eredi di un passato orrendo.
Gli ebrei polacchi consideravano Kaczynski un loro amico. E lui ricambiava questo sentimento con gesti concreti e parole di apertura, anche perché riteneva l’emancipazione della minoranza ebraica tra i simboli più evidenti di una nazione che cercava di lasciarsi alle spalle il capitolo doloroso e mai totalmente rimosso della liberticida dittatura comunista. Kaczynski, per suggellare questo clima di reciproca fiducia, nel dicembre del 2008 si era reso protagonista di un episodio dai mille risvolti simbolici: la visita alla sinagoga Nozyk di Varsavia. Primo presidente nella storia della Polonia a varcarne la soglia, il suo ingresso era stato accolto dagli applausi. In quella stessa sinagoga, una settimana fa, centinaia di persone si sono ritrovate per una cerimonia commemorativa in suo onore.
Kaczynski intratteneva ottimi rapporti con i principali leader ebraici polacchi. In particolare con il rabbino capo Michael Schudrich, che nel 2008 lo aveva accompagnato in visita al memoriale di Katyn. In quel luogo maledetto dalla storia il presidente gli aveva mostrato una targa che ricordava Baruch Steinberg, rabbino delle forze armate che vi aveva perso la vita insieme agli altri soldati prigionieri dei russi. Rav Schudrich rimase profondamente colpito dal suo gesto: “Ci teneva moltissimo che io vedessi quella targa. Ci fermammo in raccoglimento e pregammo in silenzio per alcuni minuti”. Il ricordo di Schudrich è affidato ad una lettera pubblicata sul Jewish Chronichle in cui si elencano alcuni meriti di Kaczynski, tra cui quello di essere stato il primo presidente ad aver creato una cerimonia speciale per ricordare i Giusti tra le Nazioni polacchi e quello di aver promosso la costruzione del museo ebraico di Varsavia. La lettera firmata da Schudrich ha un titolo emblematico: “We lost a friend”.
Kaczynski era anche un sincero alleato di Israele. La sua vicinanza alle sorti dello stato ebraico l’aveva dimostrata sul campo. Ad esempio recandosi in Israele pochi giorni dopo la fine delle guerra con il Libano e contribuendo alla creazione di solide relazioni strategiche tra i due paesi. In prima fila tra gli oppositori di Ahmadinejad, considerava Ariel Sharon il suo modello di riferimento politico. “È un leader da cui traggo costantemente ispirazione”, era solito ripetere. Recentemente aveva preso posizione contro le conclusioni della Commissione Goldstone definendole “unilaterali” e aveva proposto la creazione di un triangolo commerciale tra Stati Uniti, Israele e Polonia. Scelte coraggiose che gli avevano procurato non pochi problemi in patria.
Il primo ministro Netanyahu, appena giunta la notizia della morte di Kaczynski, ha commentato: “Conoscevo il presidente Kaczynski come un polacco patriota, un grande amico di Israele e un leader che cercava di avvicinare i due popoli. Ha aperto una nuova pagina nelle relazioni tra i nostri paesi”. Il presidente Peres si era detto “sconvolto e profondamente turbato”.

Adam Smulevich

 
 
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  Davar Acher - Vigilia d'Indipendenza

Ugo VolliCome si formano gli Stati? Nella maggior parte dei casi per via di guerre di conquista. E' il caso dell'Italia, della Germania, più anticamente della Francia e della Gran Bretagna, della Russia e della Spagna, unificati da dinastie che badavano per lo più al loro interesse dinastico, anche se magari non erano "indifferenti al grido di dolore" del paese oppresso dagli stranieri, come disse Carlo Alberto. Le eccezioni a questa nascita giustificata esclusivamente dalla forza sono rare: stati che proclamano la loro indipendenza sulla base di principi, che giustificano la loro istituzione con una dichiarazione approvata democraticamente. E' il caso degli Stati Uniti con la grande prosa di Thomas Jefferson : "Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità; che per garantire questi diritti sono istituiti tra gli uomini governi che derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati; che ogni qualvolta una qualsiasi forma di governo tende a negare questi fini, il popolo ha diritto di mutarla o abolirla e di istituire un nuovo governo fondato su tali principi e di organizzarne i poteri nella forma che sembri al popolo meglio atta a procurare la sua Sicurezza e la sua Felicità".
Ed è il caso del testo più sobrio letto sessantadue anni fa, il 5 di Iyar del 5708, da Ben Gurion: "In Eretz Israel è nato il popolo ebraico, qui si è formata la sua identità spirituale, religiosa e politica, qui ha vissuto una vita indipendente, qui ha creato valori culturali con portata nazionale e universale e ha dato al mondo l'eterno Libro dei Libri. Dopo essere stato forzatamente esiliato dalla sua terra, il popolo le rimase fedele attraverso tutte le dispersioni e non cessò mai di pregare e di sperare nel ritorno alla sua terra e nel ripristino in essa della libertà politica. Spinti da questo attaccamento storico e tradizionale, gli ebrei aspirarono in ogni successiva generazione a tornare e stabilirsi nella loro antica patria; e nelle ultime generazioni ritornarono in massa. Pionieri, ma'apilim e difensori fecero fiorire i deserti, rivivere la loro lingua ebraica, costruirono villaggi e città e crearono una comunità in crescita, che controllava la propria economia e la propria cultura, amante della pace e in grado di difendersi, portando i vantaggi del progresso a tutti gli abitanti del paese e aspirando all'indipendenza nazionale".
E' un testo importantissimo e che merita di essere studiato nei dettagli. Nei paragrafi successivi ci si richiama al sionismo e ai suoi programmi congressuali, si citano come fonti legittimanti la dichiarazione Balfour e forse per l'unica volta al mondo, una decisione dell'assemblea dell'Onu: "L'Assemblea Generale chiedeva che gli abitanti di Eretz Israel compissero loro stessi i passi necessari da parte loro alla messa in atto della risoluzione. Questo riconoscimento delle Nazioni Unite del diritto del popolo ebraico a fondare il proprio Stato è irrevocabile. Questo diritto è il diritto naturale del popolo ebraico a essere, come tutti gli altri popoli, indipendente nel proprio Stato sovrano".
Si proclamano i principi politici democratici (“Lo Stato d'Israele sarà aperto per l'immigrazione ebraica e per la riunione degli esuli, incrementerà lo sviluppo del paese per il bene di tutti i suoi abitanti, sarà fondato sulla libertà, sulla giustizia e sulla pace come predetto dai profeti d'Israele, assicurerà completa uguaglianza di diritti sociali e politici a tutti i suoi abitanti senza distinzione di religione, razza o sesso, garantirà libertà di religione, di coscienza, di lingua, di istruzione e di cultura, preserverà i luoghi santi di tutte le religioni e sarà fedele ai principi della Carta delle Nazioni Unite").
Si propone, nonostante l'aggressione in corso, la pace ai nemici che cercavano di distruggere Israele alla nascita e ancora lo fanno ("Facciamo appello - nel mezzo dell'attacco che ci viene sferrato contro da mesi - ai cittadini arabi dello Stato di Israele affinché mantengano la pace e partecipino alla costruzione dello Stato sulla base della piena e uguale cittadinanza e della rappresentanza appropriata in tutte le sue istituzioni provvisorie e permanenti. Tendiamo una mano di pace e di buon vicinato a tutti gli Stati vicini e ai loro popoli, e facciamo loro appello affinché stabiliscano legami di collaborazione e di aiuto reciproco col sovrano popolo ebraico stabilito nella sua terra. Lo Stato d'Israele è pronto a compiere la sua parte in uno sforzo comune per il progresso del Medio Oriente intero").
Con tutte le difficoltà di una storia tormentata e tutte le oscillazioni di una politica democratica, soprattutto nonostante i costi umani di un'aggressione subita ininterrottamente da allora e che ci obbliga a tenere nella giornata di oggi il lutto delle vittime, prima di poter festeggiare l'indipendenza, Israele ha tenuto fede alla sua dichiarazione, si regge ancora oggi sui valori di allora e conduce in sostanza la stessa grande politica disegnata dalle parole di Ben Gurion. Purtroppo l'appello al buon vicinato non è mai stato veramente raccolto, perché esso presuppone l'accettazione del "sovrano popolo ebraico stabilito sulla sua terra", che gli arabi rifiutano e una volontà di "collaborazione e aiuto reciproco" che è negata anche nell'odio da coloro che hanno firmato accordi di pace con Israele.
Da parte nostra, di ebrei della Diaspora, non ci resta che continuare ad adempiere alla nostra parte del compito, com'è descritta nell'ultima frase del documento: "Facciamo appello al popolo ebraico dovunque nella Diaspora affinché si raccolga intorno alla comunità ebraica di Eretz Israel e la sostenga nello sforzo dell'immigrazione e della costruzione e la assista nella grande impresa per la realizzazione dell'antica aspirazione: la redenzione di Israele". E di essere fieri di una formazione politica che nella sua essenza, è la più democratica e motivata nei principi che ci sia oggi al mondo.

Ugo Volli
 
 
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Quei libri del «popolo del Libro» valgono milioni
Bibliofilia: poteva non cascarci il «popolo del libro», gli ebrei? La prima edizione della «Festa del libro ebraico in Italia» a Ferrara da oggi fino al 2l aprile - è l'occasione giusta per toccare con mano (e per quanto riguarda i due incuoaboli esposti, solo con gli occhi) la millenaria corrispondenza di amorosi sensi tra i discendenti diAbramo e la pagina scritta, quella stampata in particolare. E una storia colma di passioni, di episodi romanzeschi (l'acerrima lotta tra gli editori Giustiniani e Bragadini intorno a un'edizione low cost di Maimonide) e di eventi tragici (diversi roghi del Talmud). «Il primo libro a stampa in ebraico ci racconta Gadi Luzzatto Voghera, curatore della Mostra del libro antico all'interno della rassegna vide la luce a Roma nel 1460, ma purtroppo non se ne è conservata nessuna copia, solo la notizia. A Reggio Calabria, invece, nel 1475, ne venne stampato un altro di cui ancora oggi esiste un esemplare. Fino al Seicento l'Italia è stata il luogo elettivo dell'editoria israelita, nonostante agli ebrei fosse interdetta qualsiasi attività artigiana: nelle tipografie potevano mettere capitali e cultura, ma non il proprio nome. Ad ogni modo, di incunaboli in ebraico se ne conservano oggi una quarantina di esemplari, mentre abbiamo migliaia di copie di centinaia di titoli stampati nel Cinquecento». [...] 
Tommy Cappellini, il Giornale, 18 aprile 2010 

I dieci nazisti più ricercati del mondo
Li chiamano Most Wanted , come i fuorilegge introvabili del Far West, eppure molti di loro sono già stati scovati, identificati e processati per i loro crimini vecchi più di sessant'anni. Sono persone ormai anziane, anzi- nessuno si offenda- sono vecchi: novantenni, centenari. In alcuni casi la data di nascita va talmente indietro nel tempo che si pensa siano morti. Ma finché non c'è certezza, il centro Simon Wiesenthal continuerà a inseguirli, stanarli, portarli davanti a un giudice. Loro sono i criminali nazisti ancora in vita che non hanno pagato le loro colpe. Vecchie e nuove fughe più o meno rocambolesche, cambi di nome, cittadinanza e residenza grazie all'aiuto di burocrati compiacenti, ottusi o molto più facilmente corrotti. E poi giudici compassionevoli convinti dall'età avanzata degli imputati o avvocati difensori senza scrupoli che speculano su ogni cavillo. Anche se il cliente ha ucciso o fatto uccidere, dieci, cento, diecimila civili che in tempo di guerra avevano avuto la sfortuna di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Punire chi ha incarnato più di ogni altro il Male nel XX secolo e per decenni l'ha passata liscia: è questo il senso della lista dei ricercati diramata e aggiornata - ad aprile, come ogni anno - dal Centro Wiesenthal. […]
Roberto Scarcella, il Secolo XIX, 18 aprile 2010

Dal Libano l'ultima beffa per l'Occidente
Tutti col numero sulla maglietta, il primo ministro Saad Hariri tutto sudato nello sforzo di fare gol mentre invece andava a rete solo Naim Gemayel, figlio di Bashir, il capo maronita assassinato, che si è detto tuttavia contento di giocare insieme agli Hezbollah che ha sempre criticato: questa è stata la scena idilliaca che martedì a stadio chiuso i politici libanesi hanno rappresentato per commemorare il 35esimo anniversario della terribile guerra civile che ha contrapposto le numerose fazioni, e la pretesa riconciliazione. Ma già venerdì, a una sessione del dialogo nazionale , di fronte alle altre fazioni gli Hezhollah (13 eletti e tre ministri nel governo Hariri) rivendicavano il possesso del loro esercito privato sostenendo che «il Libano non ha alternativa se non la resistenza» ovvero la guerra contro Israele, ormai ritiratosi dal 2000. Il segnale più immediato di pericolo per il Libano oggi si chiama Scud, un tipo di missile che porta una tonnellata di esplosivo e può raggiungere ogni parte di Israele, missile che, secondo fonti arabe o israeliane ha raggiunto per iniziativa siriana le mani degli Hezbollah. Gli americani hanno cercato ieri di gettare acqua sul fuoco di questa notizia, dicendo che si sa che i missili si erano mossi ma non si sa se sono arrivati, o arrivati tutti, nelle mani degli Hezbollah. Ma non si vede davvero quale altra destinazione avrebbero potuto raggiungere, anche se gli americani, pur cercando di tenere bassi i toni, stanno prendendo contromisure. Lo Scud è minaccioso per l'attuale situazione Libanese, almeno quanto lo è per Israele. Oltre ai circa 40 mila missili e alle altre armi ormai disseminate in tutto il sud del Libano, gli Hezbollah possiedono adesso, per iniziativa iraniana e con l'aiuto indispensabile dei siriani, il missile che Saddam Hussein usò per colpire Tel Aviv. Hezhollah oggi è palle del governo Hariri, e il ministro della Difesa Ehud Barak ha dichiarato che un attacco dentro i confini di Israele renderebbe necessaria una risposta israeliana che coinvolgerebbe le infrastrutture di tutto il Libano. Il riarmo massiccio degli Hezbollah è prima di tutto un insuccesso per la politica mediorientale degli Usa e dell'Europa, che si erano proposte con visite e accordi, di strappare la Siria all'asse iraniano. […]
Fiamma Nirenstein, il Giornale, 18 aprile 2010

Iran, anche De Michelis al contro-summit nucleare
Teheran - L'Iran ha negato ieri di voler costruire ordigni atomici, accusando gli Stati Uniti di essere «i soli criminali nucleari», durante una conferenza internazionale sul disarmo in corso ieri e oggi a Teheran. L'iniziativa è una risposta al vertice sulla sicurezza nucleare tenutosi il 12 e del 13 aprile a Washington, durante il quale il presidente Usa Barack Obama ha fatto pressioni per la rapida approvazione di sanzioni contro l'Iran. Al summit di Teheran erano presenti i ministri degli Esteri di otto Paesi, tra i quali Iraq, Siria e Libano, e i viceministri di altri Paesi tra i quali la Russia, secondo i media locali. La Cina ha inviato un assistente speciale del capo della diplomazia. Tra i partecipanti non governativi, secondo l'Ansa e il sito italiano della radio tv di Stato iraniana Irib, c'era l'ex ministro degli Esteri italiano Gianni De Michelis, presidente dell'organizzazione non-governativa Ipalmo, l'Istituto per le relazioni tra i Paesi dell'Africa, America Latina, Medio Oriente ed Estremo Oriente. «Il solo criminale nucleare del mondo ora afferma falsamente di essere impegnato a combattere la proliferazione di armi nucleari, ma non ha intrapreso né intraprenderà mai alcuna seria azione in questo senso», ha affermato la Guida suprema iraniana, ayatollah Ali Khamenei, riferendosi agli Usa, in un messaggio ai partecipanti. […]
Il Corriere della Sera, 18 aprile 2010

 
 
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Israele, quarantamila viaggiatori bloccati                                          
per l'eruzione del vulcano islandese
Tel Aviv, 18 apr - 
Duecento voli annullati nel fine-settimana e 40 mila viaggiatori bloccati: queste le ripercussioni in Israele dell'eruzione del vulcano islandese. Ma i problemi per i viaggiatori non sono ancora finiti, si è appreso che oggi gli israeliani diretti in Europa, con la compagnia aerea El-Al, hanno potuto scegliere solo fra opzioni molto limitate, fra cui Madrid, Roma, Atene o Istanbul, e allo stesso modo le migliaia di israeliani bloccati nel continente sono stati invitati a dirigersi negli stessi aeroporti ancora aperti per fare rientro in patria. 

 
 
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