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L'Unione informa |
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22 aprile 2010 - 8 Iyar 5770 |
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alef/tav |
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Riccardo
Di Segni, rabbino capo di Roma |
Nei
giorni scorsi l'Europa è stata messa in ginocchio da una nuvola
minacciosa prodotta dall'eruzione di un lontano vulcano islandese; i
voli aerei si sono bloccati e a catena si sono intasati tutti gli altri
trasporti. E' curioso notare come nella simbologia della Torà nella
maggioranza dei casi la nuvola rappresenti il luogo o il tramite della
rivelazione divina e la protezione e la guida per i movimenti del
popolo ebraico nel deserto; un codice diametralmente opposto a quello
che abbiamo ora vissuto. |
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Martedì
su questa pagina è apparso il sunto di una conversazione che ho tenuto
al Centro Bibliografico dell'UCEI a Roma. Nella mia riflessione cercavo
di individuare gli elementi essenziali del contesto in cui si è
sviluppato l'ebraismo italiano nei tempi lunghi. Rilevavo la
sorprendente persistenza di certe costanti geografiche, culturali,
ideologiche: le divisioni nord-sud della penisola, la dialettica
culturale e politica fra periodi di apertura pluralistica e periodi di
chiusura settaria, l'armamentario di idee fisse con il quale (lasciando
da parte gli esponenti del pensiero cattivo) gli esponenti del pensiero
buono (Tacito, Dante, Carlo Cattaneo, Benedetto Croce) hanno
contrassegnato l'ebreo come "esterno, alieno, altro". Anche da parte
ebraica hanno operato strategie e processi di lungo periodo, e uno di
questi è la genetica delle popolazioni, recentemente rivalutata dagli
studi sul genoma umano. Qui, nel reportage, è caduto un refuso: non è
esatto che gli ebrei romani siano discendenti dagli ebrei ashkenaziti,
ma è vero il contrario: gli ebrei romani stanno semmai all'origine
degli ebrei ashkenaziti. L'antico trasferimento al nord a partire dagli
insediamenti iniziali del sud e centro Italia (esemplificato dalla
chiamata di Calonimo di Lucca da parte di Carlo il Calvo alla fine del
primo millennio) ha infatti contribuito a generare il nucleo culturale
ebraico di Ashkenaz attorno alla Valle del Reno, fra le odierne Francia
e Germania. E partendo da qui, diversi secoli più tardi, nascevano le
prime comunità della Polonia e della Lituania da cui sarebbero nati i
molti milioni di ebrei che avrebbero formato il nuceo dominante
dell'ebraismo europeo orientale e i loro discendenti nelle Americhe.
Importanti costanti di DNA, anche se è sempre bene ricordare che è il
DNA culturale, non solo quello bio-chimico, che in definitiva ha
assicurato la permanenza dell'identità ebraica attraverso i millenni e
attraverso i continenti. |
Segio Della Pergola, Università Ebraica di Gerusalemme |
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Qui Ferrara - "La cultura rabbinica in Italia, la sua storia e le sue prospettive"
Il
saluto di Riccardo Calimani al pubblico presente nella sala Agnelli
della Bibioteca Ariostea di Ferrara al termine del Convegno 'La cultura
rabbinica in Italia: la sua storia e le sue prospettive' cui hanno
partecipato il rav Luciano Caro, rabbino capo di Ferrara, il professor
Dario Calimani dell'Università Ca' Foscari di Venezia, il
professor Umberto Fortis, studioso di ebraismo e il rabbino capo di
Roma Riccardo Di Segni oltre al rav Roberto Della Rocca, direttore del
dipartimento Educazione e Cultura dell'Ucei, in qualità di
moderatore, ha rappresentato il momento conclusivo della Festa del
Libro ebraico in Italia che si è svolta a Ferrara in questi giorni. A
dare il via al convegno sulla cultura rabbinica in Italia, subito dopo
una breve introduzione del Rav Della Rocca, il rabbino Caro che ha
fatto una breve carrellata dei rabbini ferraresi le cui prime
testimonianze risalgono al XII, nella città di Ferrara coesistevano
comunità diverse, dice il Rav, a loro volta divise in sottogruppi
ciascuno dei quali aveva il suo rabbino, fra questi il rav Caro ha
ricordato la figura di Moshè Ben Meir, ma anche Yaakov Olmo, Elia da
Ferrara, Isacco Lampronti e la sua enciclopedia Pahad Itzhak. Dal
particolare al generale “La cultura dell'ebraismo italiano: un mito?”
titola il contributo del professor Dario Calimani, partendo da una
osservazione di fondo: l'ebraismo italiano è uno strano fenomeno, dice
Calimani, fuori quasi non si conosce e in Italia, lo si pensa
come una realtà di vaste proporzioni. La storia degli ebrei italiani
non è mai stata facile, ammette il professor Calimani, ma fino alla
Shoah “non non si sono mai avute tragedie nazionali, come è accaduto
invece in Inghilterra, Germania, Polonia, Russia, anzi “Medioevo
e Rinascimento hanno favorito lo sviluppo di una cultura che ha dato
germogli per almeno due secoli, e fino al Settecento. La scuola
rabbinica di Trani, nel lontano Medioevo, era nota in tutta Europa; al
rabbinato di Venezia, nel ’500, faceva ricorso Enrico VIII
d’Inghilterra alla ricerca di puntelli biblico-teologici per il suo
divorzio dalla cattolica Caterina d’Aragona”. Dove è finito
quell'ebraismo? Si domanda allora il professor Calimani,e ancora, “che
non si tratti solo di un problema di percentuali?'” Se si paragona,
infatti, il numero degli ebrei italiani più o meno costante nel corso
del tempo (fra i trentamila e i cinquantamila) e il numero degli ebrei
francesi, inglesi o addirittura americani, il contributo culturale
dell'ebraismo italiano sarebbe da considerarsi con tutto rispetto. “L’ebraismo
italiano ha in effetti una storia illustre” dice il professore passando
a tracciare il lungo cammino che si snodandosi lungo la Penisola e nel
tempo parte dalla Sicilia del VII secolo e giunge fino ai nostri
giorni, contando sul contributo di molti nomi illustri come Ovadiah da
Bertinoro, Ovadiah Sforno, Judah Mintz, Azariah dei Rossi,
ma anche in tempi più recenti, Itzchak Shmuel Reggio, e Shmuel
David Luzzatto, il famoso SHaDaL, Eliah Benamozegh e ancora ai primi
del'900, Umberto Cassuto eppure è come se dopo l'emancipazione esso
abbia un po' perduto la propria identità “non è stato più recuperato il
senso della cultura e la capacità di produrre cultura” A
riconsegnare all'ebraismo (e non solo a quello italiano) la propria
identità è sì la fondazione dello Stato di Israele, ma “l'ebraismo
italiano è un po' alla Zelig alla ricerca della perduta identità”
eppure gli strumenti non mancano e sarebbe ora necessario attraverso
questi strumenti tornare finalmente a dare nuovi impulsi, produrre
nuovi stimoli culturali, di studio e di ricerca. Il professor
Umberto Fortis traccia un profilo dell'impegno letterario dei rabbini
nell'età dei ghetti, Baruch Sermoneta, Azarià De Rossi, i dialoghi
dell'amore di Leone ebreo. A concludere la carrellata degli
interventi il rav Riccardo Di Segni che propone un'attenta analisi dei
mutamenti del rabbinato italiano negli ultimi cento anni. “Mutamenti –
ha ironizzato il rav – il titolo andrebbe un po' messo in crisi
perché bisognerebbe vedere se effettivamente questi movimenti ci sono
stati”. Cita Immanuel Chai Ricchi, cabbalista sfrenato e ancora Itzhak
Lampronti che in epoca di enciclopedie si inventa un'enciclopedia
ebraica, due rabbini diversissimi fra loro, ma - spiega il rav - questa
coesistenza di rabbini così diversi è un modello che si sperimenta
spesso all'epoca, Lampronti è però più vicino alla figura attuale del
rabbino italiano. Attualmente il rabbinato italiano appartiene alla
nuova ortodossia o ortodossia moderna non è avulso dal contesto e non
ha fatto grande fatica ad infilarvisi. Nella prima metà del '900 uno su
tre rabbini non era italiano di nascita ma lo era di formazione
rabbinica. Attualmente la situazione è molto diversa, ci sono
rabbini che operano con una tradizione che non ha nulla a che vedere
con quella italiana, come quelli Chabad. La Shoah oltre ad aver
falcidiato l'ebraismo italiano ha anche reciso drasticamente un grande
numero di menti rabbiniche, e negli ultimi decenni studiosi importanti
come Roberto Bonfil e Ariel Toaff pur avendo studiato nelle scuole
rabbiniche italiane hanno indirizzato le proprie energie
nell'approfondimento della speculazione storica anziché a
quella rabbinica eppure questo rabbinato italiano continua a
produrre dei frutti “Quello di ci cui sentiamo la mancanza, ha
detto concludendo il rav Di Segni, è una straordinaria mancanza di
forze, finora ce l'abbiamo fatta, speriamo di continuare a farcela”.
Lucilla Efrati
Qui Firenze - Un nuovo presidente per la Comunità
Guidobaldo
Passigli (nella foto il primo a destra) è il nuovo presidente
della Comunità ebraica di Firenze. La sua nomina è avvenuta nel corso
della prima riunione del Consiglio formatosi dopo le elezioni (con
affluenza record del 47,34 per cento) di domenica scorsa. In occasione
della consultazione elettorale Guidobaldo Passigli aveva ottenuto il
numero più alto di consensi (170 voti), battendo al fotofinish Franco
Ventura (166 voti) e Gadiel Liscia (165 voti). La proposta di
affidargli la guida della collettività ebraica fiorentina è giunta dal
presidente uscente Daniela Misul, a cui sono andati i complimenti di
Passigli e del Consiglio “per l’ottimo lavoro svolto in questi anni”.
In particolare “nel proficuo rapporto con le istituzioni”. Ad
affiancare il neopresidente nelle decisioni più delicate saranno la
stessa Misul e Ventura (alla sua prima esperienza in Consiglio),
entrambi nominati alla vicepresidenza. Ma non tutte le cariche sono
state ancora assegnate: sarà necessario attendere una riunione
ulteriore per definire ruoli e mansioni dei nove consiglieri eletti,
anche se le linee guida del loro futuro agire sono state perlopiù
delineate ieri sera. Nato nel 1939, studi scientifici e una laurea in
Geografia Economica, Guidobaldo Passigli è stato per lungo tempo a capo
della Tipografia Giuntina e uomo di primo piano della sezione industrie
grafiche della Associazione industriali di Firenze. Il suo programma
ruota intorno ad un grande concetto di fondo: austerità. Non solamente
nelle spese “ma anche nelle scelte, nei risultati e nell’efficienza”.
Passigli ha promesso che sarà un presidente attento alle esigenze e
alle proposte degli altri consiglieri: “Cercherò di ascoltare tutti”.
Adam Smulevich
Qui Roma - Razzismo in rete
Grande
successo di pubblico per la serata sull’antisemitismo on line
organizzata dal benè Berith giovani insieme alla Consulta della
Comunità ebraica di Roma a palazzo Valentini, sede dalla Provincia di
Roma. L’evento, ha attratto soprattutto giovani under 30, accolti dai
saluti del Presidente della Consulta Elvira di Cave e dal neo eletto
presidente del Bené Berith giovani Angelo Moscati, il
quale sottolineando l’importanza del tema, ha assunto, a nome
dell’associazione, la responsabilità di iniziare un percorso di
approfondimento riguardanti queste tematiche così attuali ma spesso
tralasciate. Primo a prendere la parola è stato il Presidente
della Comunità Ebraica di Roma, Riccardo Pacifici, che ha introdotto il
tema della serata, da un lato evidenziando le lacune normative che
impediscono una repressione efficace dei siti internet con contenuti
antisemiti, soprattutto di quelli con sede sociale all’estero,
dall’altro, ha invitato a non fornire all’interno dei social network
dati dal carattere privato che possono esser utilizzati per scopi
fraudolenti. “L’Italia” ha detto Pacifici “è molto avanti sul tema
della Memoria ma deve assumere maggiore coscienza dal punto di vista
della lotta all’antisemitismo nelle nuove forme che questo può assumere” L’occasione
della serata è stata la visita in Italia di Andrè Oboler,
dell’associazione sionista australiana, che terrà domani una audizione
alla Commissione Esteri della Camera, nell’ambito di un ciclo di
audizioni focalizzate sull’antisemitismo, promosso dall’onorevole e
vicepresidente della commissione, Fiamma Nirenstein, che è intervenuta
sottolineando la difficoltà che il legislatore incontra di fronte a un
fenomeno poliforme come la Rete che può esser riempito di infiniti
contenuti ed è estremamente difficile da controllare per la sua
“extraterritorialità”. Andrè Oboler ha invece mostrato esempi di
antisemitismo on line, diffuso su portali e social network, affermando
che la Rete deve costruire valori propri per combattere
l’antisemitismo, che non andrebbe tollerato nelle sue esternazioni
pubbliche anche se digitali così come non viene tollerato nella realtà
quotidiana. La tematiche tecniche son state affrontate da Alex
Zarfati, esperto di social network, che ha invece puntato il dito
contro la superficialità degli utenti dei social network che li porta
spesso a sottovalutare i rischi cui si può andare incontro fornendo
pubblicamente informazioni private. Zarfati ha fornito una lista di
importanti consigli per gli utenti facebook, primo fra tutti
personalizzare le impostazioni della privacy. Stefano Gatti
infine, responsabile del Cdec ha mostrato una serie di siti internet
dai contenuti antisemiti, che sovrappongono spesso antisionismo a
stereotipi antiebraici. In chiusura, chiamato in causa da Elvira
di Cave dopo gli interventi dal pubblico, ha preso la parola Marcello
Pezzetti,storico della Shoah, auspicando che il nuovo Museo della Shoah
si occupi non soltanto di Memoria ma anche di denunciare e combattere
ogni forma di antisemitismo.
Daniele Ascarelli
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La conversazione
L'altro
giorno tiro su un autostoppista. Era fermo nella notte al crocevia
deserto di una città italiana. Aveva il sacco a pelo, i jeans, i
capelli raccolti in una crocchia alta e la barba brizzolata. Sembrava
un maturo samurai in viaggio in Occidente. Mi vede che torno indietro a
prenderlo, sorride. Sale in macchina, ha la voce educata, quasi
musicale. Deve essere sui quarantacinque, quarantasei anni. Ha passato
la vita traversando da solo l'oceano, anzi, gli oceani, su una sua
piccola barca che ora è ancorata al largo della costa colombiana. E' un
uomo che ha vissuto da solo, che può stare in silenzio per mesi, che sa
navigare, riparare una falla, costruire un comodino, una casa, uno che
non si vanta, ma dice quello che ha fatto. Se ora mi parla è perché ne
ha voglia. La sua vita è del tutto diversa. E che fai tu? mi domanda a
un certo punto, io faccio questo e quello, gli dico, gli dico che sono
ebreo e lui mi dice che poco tempo fa ha visto "Il violinista sul
tetto" e che era molto divertente. Curioso impatto. Come se in treno
conoscessi un cinese e per fare una conversazione distesa gli dicessi
che una settimana fa ho visto delle statue di terracotta. Come per la
fatale china di qualcosa che rassomiglia a un imbuto, mi dice scuro in
volto che però in Israele non va. Gli spiego quello che spiego a tutti
da quando sono nato, lui mi dice certo, naturale, poi parliamo subito
d'altro. Dopo un po' scende di macchina. E' arrivato. Adesso lui
arriverà a casa, e penserà ai casi suoi. Mi ha detto che deve riparare
il tetto, e che l'attuale compagna sta litigando con la sua ex moglie.
Gli stringo la mano con affetto, vorrei che mi volesse bene, che ci
volesse bene, che capisse. Lui si lascia stringere la mano. Capisco che
alla conversazione su Israele non penserà più. Io sono ancora in
macchina e ci penso, torno a casa, oltrepasso incroci e ci penso,
arrivo, vado a letto, e ci penso, mi sveglio la mattina dopo e ci
penso, passa una settimana e ve ne parlo. Per gli Ebrei, lo Stato di
Israele non è un argomento di conversazione, e non è un argomento di
conversazione neanche Il violinista sul tetto. Ogni volta si tratta di
vivere o morire.
Il Tizio della Sera
L’omelia del Venerdì Santo
La tempesta mediatica suscitata dall’omelia di Padre Raniero
Cantalamessa mi ha colto nella casa di Barcellona, nel Barrio Gotico,
fra la grande chiesa gotica di Santa Maria del Mar e la Cattedrale:
questa era la zona dove nel Medio Evo, dopo la predica del Venerdì
Santo si scatenavano le violenze omicide della plebaglia nei confronti
degli ebrei, il luogo da dove nell’estate del 1492, nel giro di poche
settimane, a seguito dell’editto di espulsione dei reali cattolici
Ferdinando e Isabella, gli ebrei di quella città come di tutta la
Spagna furono costretti a convertirsi o partire, abbandonando tutti i
loro averi, le loro case, i loro cimiteri, gli affetti e i ricordi più
cari. Molti di loro partirono portandosi dietro la chiave, dopo aver
accuratamente chiuso il portone di casa, con la segreta speranza di
ritornare; altri, fra cui i miei antenati, trovarono rifugio per pochi
anni in Portogallo, da cui furono espulsi dopo l’eccidio di Lisbona del
Venerdì Santo del 1506, arrivando pochi anni dopo nel sicuro porto di
Livorno, dove il Granduca di Toscana, Ferdinando I con le leggi patenti
del 1591-93 garantì non solo libertà di culto ma la possibilità, per
l’epoca assolutamente straordinaria, di ritornare a praticare il
giudaismo per i nuevos cristianos (quei marrani che in tutta Europa, se
scoperti a praticare in segreto il giudaismo, venivano bruciati sulle
auto da fé). Così
come, per Pesach (la Pasqua ebraica) si celebra la liberazione dalla
schiavitù in terra d’Egitto all’epoca del faraone, circa 3.500 anni fa,
ed ogni ebreo nel momento del ricordo e della celebrazione del rito è
come se egli stesso fosse presente a quel miracolo, a maggior ragione
la memoria delle persecuzione e della cacciata dalla Spagna e dal
Portogallo fanno parte del vissuto e delle emozioni profonde di chi da
quel mondo proviene. Dopo cinque secoli, un altro predicatore
francescano, come se il tempo non fosse passato, riproponeva la stessa
politica del disprezzo e la stessa teologia della sostituzione della
vecchia con la nuova alleanza, come se il tempo non fosse passato? Come
se non ci fosse stato Papa Giovanni XXIII, il Concilio Vaticano II,
Nostra Aetate, Giovanni Paolo II, il suo viaggio a Gerusalemme, la sua
solenne richiesta di perdono al Muro Occidentale, il viaggio in Israele
di Benedetto XVI? Mi sembrava strano che Padre Cantalamessa,
Concionator domus pontificalis, intimo di quel papa Benedetto XVI, che
nel 2001, Cardinale Joseph Ratzinger prefetto della Congregazione per
la dottrina della fede, nell’introduzione al documento della Pontificia
Commissio Biblica, scriveva che :”..un congedo dei cristiani
dall’Antico Testamento.. avrebbe la conseguenza di dissolvere lo
stesso cristianesimo, ma non potrebbe neppure essere utile ad un
rapporto positivo ttra cristiani ed ebrei”, e continuava :” Ciò che
però deve conseguire… è un rinnovato rispetto per l’interpretazione
giudaica dell’Antico Testamento”, ma anche che :”..i cristiani possono
imparare molto dall’esegesi giudaica praticata per 2000 anni”, per
concludere :”Io penso che queste analisi saranno utili per il progresso
del dialogo giudeo-cristiano, ma anche per la formazione interiore
della coscienza cristiana”. E allora, per esprimere un giudizio
ponderato non mi restava che leggere l’omelia nella sua interezza,
evitando di reagire a caldo ai cosiddetti lanci d’agenzia e alle
semplificazioni spesso interessate dei giornali come è accaduto a molti
esponenti dell’ebraismo italiano e mondiale. L’omelia si compone
di circa venticinque capoversi di cui solo tre, quelli finali, si
riferiscono esplicitamente al mondo ebraico e alla citazione della
lettera dell’amico ebreo. Il tema centrale è la violenza e il suo
rapporto col sacro e infine la violenza sulle donne. R.Girard aveva
affermato che “la violenza è il cuore e l’anima segreta del sacro”.
Secondo lui è Gesù che spezza il meccanismo che sacralizza la
violenza.. Aggiunge Padre Cantalamessa che “Il valore moderno della
difesa delle vittime, dei deboli e della vita minacciata è nato sul
terreno del cristianesimo, è un frutto tardivo della rivoluzione
operata da Cristo”. Sottolineo tardivo perché vedo nell’uso di questo
aggettivo un rammarico ed una critica per il grande ritardo nella
realizzazione di questo valore. E’ evidente che per l’ebraismo questo
legame si spezza con il presunto sacrificio di Isacco. Abramo è pronto,
nonostante l’immenso dolore a sacrificare l’unico figlio nato da Sara
in tarda età ed è l’Onnipotente che lo ferma, indicando, appunto nella
rinuncia al sacrificio umano, ad Abramo e ai suoi discendenti il valore
fondante della sacralità della vita e separando definitivamente il
destino di Israele da quello dei popoli circostanti, dediti
all’idolatria e ai sacrifici umani sopratutto dei primogeniti. Ma
non possiamo essere noi a togliere a Padre Cantalamessa il diritto di
ritenere che sia il cristianesimo a spezzare definitivamente questo
rapporto fra violenza e sacro. E’ all’interno di questo discorso
sulla violenza che negli ultimi tre capoversi Padre Caantaalamessa
affronta il tema del rapporto con i “fratelli ebrei”; per inciso né
maggiori né minori, ma uguali, eliminando quegli equivoci e malintesi
circa la primogenitura di Giacobbe, minore di Esaù e la sua
sostituzione con la nuova Alleanza (cristiana), al posto della prima
(ebraica). Nel riconoscere che “Essi sanno per esperienza cosa
significa essere vittime della violenza collettiva e anche per questo
sono pronti a riconoscerne i sintomi ricorrenti” si cita la lettera
dell’amico ebreo in cui si esprime solidarietà nei confronti
dell’”attacco violento e concentrico contro la Chiesa” e si ravvisa
nell’”uso dello stereotipo, il passaggio cioè della responsabilità e
colpa personale a quella collettiva, qualcosa di analogo agli aspetti
più vergognosi dell’antisemitismo”. La lettera conclude affermando che
le due Pasque, pur avendo elementi di alterità (cioè di diversità
assolute) vivono comunque nella speranza messianica che sicuramente ci
ricongiungerà nell’amore del Padre comune. Agli auguri di Buona Pasqua
rivolti a tutti i cattolici, Padre Cantalamessa risponde “auguriamo ai
fratelli ebrei Buona Pasqua”, e lo fa con le parole di rabbi Gamliel
della Misha e dell’Haggadà, passate poi nella più antica liturgia
cristiana. Poiché il termine Shoah non compare, dal momento che su
tutti i giornali, in tutte le interviste, viene utilizzato, dovremmo
concludere che “gli aspetti più vergognosi dell’antisemtisimo” = Shoah.
Ora se il termine Shoah non può essere identico a nessun altro si
potrebbe tentare una sostituzione con termini come “genocidio”,
“soluzione finale”, “annientamento” e similari mentre il termine usato
nella lettera e riportato da Padre Cantalamessa, per quanto forte, ha
una accezione culturale, che può preludere ad atti concreti, ma che non
li contiene, così come, ad esempio l’antisemtismo francese dell’epoca
di Dreyfus non ha comportato una pratica di tipo nazista per la quale è
stato coniato il termine Shoah. Credo che nessuna logica, da quella
aristotelica a quella analitica del 900, consentirebbe questo salto
logico, che è stato reso possibile, solo per una maliziosa
estrapolazione di una frase dal suo contesto. E allora non ci
resta che ascoltare la parole del rabbino Alon Goshen-Gottstein
(direttore dell’Elijah Interfaith Institute di Gerusalemme)
pubblicate dal Jerusalem Post Dopo aver notato che per augurare
Buona Pasqua agli ebrei si utilizza la Basilica di S.Pietro, in
occasione del Venerdì Santo, di fronte al Papa, si chiede: “quando era
mai successo precedentemente che un’omelia del Venerdì Santo fosse
usata per tale scopo? Probabilmente mai. Perché diamo per scontato
questo gesto di buona volontà? Perché ci sorvoliamo sopra in silenzio?
Pensare agli ebrei come a fratelli nella fede durante il servizio del
Venerdì Santo davanti al Papa è il frutto di decenni di lavoro nel
campo delle relazioni ebraico-cristiane. Che ciò sia stato detto così
naturalmente e spontaneamente è la vera notizia”. Si domanda il rabbino
:”Il salutarci il Venerdì Santo con parole prese dalla Mishna e Haggada
non trasmette forse un potente messaggio che qui c’è qualcosa di giusto
e che abbiamo fatto progressi?”. Continua il rabbino:” dobbiamo
esprimere il nostro rammarico per non essere riusciti ad ascoltare il
messaggio come era stato trasmesso e per aver permesso ai media di
creare una storia sbagliata, perdendo quella vera… Gli ultimi giorni ci
hanno mostrato ancora una volta che un cattivo ascolto è esso stesso
una fonte di violenza”. E conclude :”Grazie Padre Cantalamessa”. Io
aggiungo :”qualcuno dovrebbe chiedere scusa a Padre Cantalamessa”
Guido Guastalla Consigliere della Comunità Ebraica di Livorno
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Scenari di guerra in Medio Oriente, come già scriveva ieri il Wall street Journal.
il primo è configurato dalla consegna da parte dei siriani dei missili
scud a Hizbullah, goffamente negata durante la visita in Italia dal
premier libanese Hariri con un 'argomentazione solo propagandistica
("dicevano anche che Saddam avesse le armi di distruzione di massa",
come raccontavano ieri tutti i giornali e oggi L'osservatore romano). Ne parla Pierre Chiartano su Liberal.
Un secondo ha a che fare direttamente con l'Iran e lo descrive un
dossier di "Libero", con tre articoli: l'autocrazia sciita è
sempre più pericolosa (Alessandro Bonelli), Israele potrebbe essere costretto ad attaccare (Carlo Pannella), e si spiega come, gli ayatollah cercheranno di bloccare il golfo persico (Gianandrea Gaiani).
Un incidente grave potrebbe presto derivare dall'azione di un gruppo di
"pacifisti", cioè sostenitori di Hamas, che hanno comprato una grossa
nave per portare rifornimenti non ammessi a Gaza (Giorgio sul Manifesto). Vi è di nuovo tensione anche a Hebron, intorno alla Tomba dei Patriarchi, come racconta Picasso su Liberal.
L'amministrazione americana intanto, dopo aver "sommessamente"
protestato con la Siria per le usa le dichiarazioni di un ex
ambasciatore al New York Times, Indyk, al solito un ebreo della
specie dei Rahm e dei Goldstone, per premere su Netanyahu in direzione
di un cambio di governo (Il Messaggero).
Che questo passaggio sia al centro di una strategia americana per il
resto completamente immobilista o attendista, tanto da eliminare ogni
sostegno alle forze democratiche (Giulio Meotti sul Foglio) lo spiega oggi una analisi molto completa della situazione, scritta da Mattia Ferraresi ancora sul Foglio. Sullo
sfondo una ideologia comune all'Europa e all'America sempre più
antisraeliana, come quella espressa ieri da un grosso articolo del
"filosofo" Salvador Paniker sul Pais,
in cui si sostiene che la fondazione di Israele 62 anni fa è stata "un
errore" e ora ci resta il compito di rimediare. Della stessa serie
fanno parte i tentativi (ben presenti anche in Italia) di
de-ebraicizzare la Shoà, di cui parla un importante articolo di Seth I.
Franzman, pubblicato ieri sul Jerusalem Post. Nel
frattempo però ieri è stata festeggiata in Italia il sessantaduesimo
anniversario della fondazione di Israele, con un ricevimento in
ambasciata cui ha partecipato tutto il mondo politico e istituzionale (Il Messaggero Roma).
Ed è un segnale importante di amicizia e di possibile collaborazione
fra Italia e Israele l'apertura di una sezione italiana della gloriosa
Agenzia Ebraica, l'ente che ha sempre guidato l'insediamento
ebraico in Eretz Israel, com'era già stato annunciato su questo sito.
Sarà guidato da Claudia De Benedetti, che ne parla in un'intervista al Messaggero.
Ugo Volli |
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Colosseo
spento per Gilad Shalit
Alemanno accetta la proposta
Ugei Roma, 22 apr - Facendo
seguito ad una proposta avanzata dall’Unione Giovani Ebrei d’Italia
(Ugei), il sindaco di Roma Alemanno ha annunciato che il 25 giugno
prossimo le luci del Colosseo, simbolo per eccellenza della città, si
spegneranno in segno di solidarietà per Gilad Shalit, il soldato
israeliano da quasi quattro anni nelle mani di Hamas. Rivolto agli
ebrei capitolini, il sindaco ha affermato: “Roma sostiene
Gilad”. Molto soddisfatto della decisione presa da Alemanno è il
presidente Ugei Giuseppe Piperno, che ha ricordato come la campagna per
la liberazione di Gilad Shalit sia “un impegno che stiamo portando
avanti con tutte le nostre forze” e ha auspicato che il percorso
intrapreso dalla città di Roma “possa essere da esempio per tutte le
capitali europee”. Sulla stessa lunghezza d’onda Daniel Funaro,
consigliere Ugei con delega alla politica, che ringrazia Alemanno “per
aver accettato immediatamente la nostra proposta”. Il sogno di entrambi
è che questa iniziativa non si renda comunque necessaria: “Ci auguriamo
che i famigliari ed il popolo di Israele possano abbracciare Gilad
prima di quella data”. |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
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