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L'Unione informa
 
    25 aprile 2010 - 11 Yiar 5770  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
alef/tav    
  Benedetto Carucci Viterbi Benedetto Carucci Viterbi,
rabbino 
"Rabbi Haninà, assistente dei sacerdoti, diceva:
- Pregate per la salute dei governanti: se non fosse per il timore che ispirano, gli uomini si divorerebbero vivi l'un l'altro". Spesso si divorano vivi anche tra loro.
Si festeggia il 25 aprile non per ripetere ciò che accadde quel giorno, ma per segnare cosa vuol dire essere liberi. Non solo. Ma anche per ricordarsi, e ricordare a chi fa spallucce, che c’era il totalitarismo in Italia e come sia sempre difficile sottrarsi al suo fascino magnetico andando a “cercare la bella morte” come recitava uno slogan di cui erano orgogliosi coloro che entusiasticamente aderirono convinti a quel totalitarismo. Uno slogan che dimostra che la scelta di testimoniare col sacrificio del proprio corpo la fedeltà a una causa non è il marchio né esclusivo né originario di un sistema di fede specifico. Comunque che non nasce in Oriente, ma che, come molte altre cose, anche noi, proprio qui, c’abbiamo messo del nostro. David
Bidussa,

storico sociale delle idee
david bidussa  
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Qui Roma - Il Brain Forum, le nuove frontiere
della ricerca sul cervello

cervello“ Ho ideato il Brain Forum perché, dal contatto frequente con neuroscienziati , mi sono convinta che i prossimi vent’anni saranno gli anni del cervello, come i passati sono stati i vent’anni del benessere fisico e dell’estetica del corpo”.  Un vero e proprio auspicio che possa esserci un cambio di marcia nella ricerca ma soprattutto nello studio di soluzioni alle malattie degenerative che colpiscono il cervello, sempre più diffuse al nostro tempo. L’idea alla base del convegno è ben sintetizzata nelle parole della giornalista e organizzatrice dell'evento Viviana Kasam che ha aperto al Tempio di Adriano il convegno internazionale “The Brain Revolution: le nuove frontiere della ricerca sul cervello” tenutosi in occasione dei centouno anni del Premio Nobel e senatore a vita Rita Levi Montalcini, i cui saluti hanno aperto l'iniziativa.
Il convegno è stato organizzato dalla Hebrew University di Gerusalemme attraverso Brain Circle Italia, dalla Camera di Commercio di Roma e dalla Fondazione EBRI, il centro Europeo per la ricerca sul cervello nato per iniziativa della Montalcini.  Specificità dell'incontro è stata quella di rivolgersi a un pubblico scientifico cercando però di farlo in un linguaggio comprensibile a un pubblico più vasto, di qui anche la scelta di proporre la diretta in streaming del convegno sul sito www.brain forum.it
Nel corso della mattinata si sono alternati al microfono professori e ricercatori provenienti da ogni angolo del pianeta mostrando una varietà di ricerche sorprendenti e affascinanti per i non addetti ai lavori. Ha aperto il convegno il dottor Martin Monti della Cambridge University mostrando lo sviluppo dei suoi studi sullo stato vegetativo, una delle patologie più misteriose del cervello, mostrando la complessità nello stabilire quando un paziente sia o meno cosciente. È seguito l’intervento del professor Dan Segev della Hebrew University che coordina il  Blu Brain Project, ovvero il tentativo di realizzare una mappatura computerizzata del cervello umano che consentirà una conoscenza approfondita sulle relazioni fra le reti neuronali.
Il professor Kawato di Kyoto ha invece mostrato le possibilità e i limiti dei robot umanoidi e le interazioni fra computer e cervello soprattutto per ciò che concerne la possibilità di fornire comandi attraverso meccanismi digitali.
Infine dopo l’intervento della professoressa Melene Marie del centro Ebri che ha mostrato il meccanismo di funzionamento della memoria ,la professoressa Hermona Soreq della Hebrew University ha mostrato come si realizza attraverso un micro gene di nuova scoperta, l’interazione fra il cervello e gli altri organi del corpo e come gli stress traumatici possano portare a specifiche patologie. In chiusura il professor  Pietro Calissano dell’EBRI ha chiarito le ultime frontiere della ricerca sull’ Alzhaimer e in particolar modo del ruolo del Nerve Growth Factor(NGF), la molecola la cui scoperta valse il Nobel alla Montalcini, nella crescita delle fibre nervose e la sopravvivenza delle stesse cellule dalle quali provengono. Il Prof Calissano ha presentato i risultati della tavola rotonda che si svolgeva in contemporanea al convegno evidenziando la possibilità di impiegare  il NGF per la cura di molteplici malattie nervose e malattie mentali.
Nella tavola rotonda Moses Chao, professore presso il dipartimento di biologia cellulare, fisiologia e neuroscienze della School of Medicine della New York University, è stato il primo a prendere la parola catturando l’attenzione dei presenti proprio sulla plasticità celebrale  ed illustrando i suoi studi sul NGF e sul BDNF i quali aprono nuove prospettive sulla cura delle malattie neurodegenerative.
 Ha fatto poi seguito l’intervento del  prof. Antonino Cattaneo, docente di neurobiologia presso la scuola normale di Pisa e  direttore  del laboratorio per le malattie neurodegenerative dell’EBRI di Roma il quale ha guidato molteplici  ricerche sulle proprietà fisico chimiche del NGF ed ha mostrato la messa  a punto  di un modello animale di Alzheimer che si instaura quando dal cervello viene rimosso il NGF.
Il  professor Federico Cozzolino, ordinario di scienze tecniche di medicina di laboratorio ha invece recentemente sviluppato una sostanza che simula l’azione del NGF e che è quindi utilizzabile in molte delle patologie che si scaturiscono proprio dalla mancanza di questa neurotrofina.
Ha poi chiuso il dibattito il professor William Mobley, Università della California - San Diego -  i cui studi e ricerche sono volte in particolare alla neurologia infantile. Mobley è uno tra i primi scienziati ad aver studiato i meccanismi tramite i quali le fibre nervose trasportano sostanze trofiche e nutritizie dalle cellule nervose all’organismo e da queste al cervello. Nel  suo intervento ha parlato proprio di questo sistema di trasporto e degli “ingorghi di traffico” che possono in esso generarsi  provocando gravi danni celebrali.
Nella sessione pomeridiana  Il professor Hagai Bergman, dopo aver fatto un veloce excursus storico sulla cura del morbo di Parkinson ha illustrato l’applicazione e i limiti della DBS (deep Brain stimulation) per curare non solo il Parkinson, ma anche la depressione, la schizofrenia e le malattie degenerative legate al sistema della dopamina. Mentre praticamente  al termine del convegno  il  Prof Elio Scarpini ha illustrato le nuove frontiere della ricerca di una cura sull’Alzhaimer, aprendo alla possibilità di sperimentare un vaccino in Italia.

Daniele Ascarelli e Valentina Della Seta

 
 
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  Davar acher -  Testimoniare il genocidio

ugo volliIeri gli armeni in tutto il mondo hanno ricordato il novantacinquesimo anniversario del loro genocidio, quel Medz Yeghern (il Grande Male), che distrusse la metà del loro popolo e che i turchi si ostinano a non riconoscere, continuando anche a fare il possibile per cancellare ogni loro traccia (ogni chiesa, ogni monastero, ogni villaggio cristiano) nelle terre armene che occupano. Come ha scritto Elie Wiesel, nell'essenza del genocidio vi è l'atto finale di cancellare le sue tracce e di negare l'avvenuto. Ma pensate come ci sentiremmo noi se la Germania fosse stata guidata ininterrottamente da negazionisti e il mondo esitasse a prendere atto che semplicemente la Shoà c'è stata.
Io credo che faccia parte dei compiti storici dell'ebraismo testimoniare non solo della Shoà, ma anche degli altri genocidi, che nell'ultimo secolo non sono mancati, purtroppo; dagli armeni ai Tutsi, fino a quello ancora in corso nel Darfur. Allo stesso tempo penso che bisogna sempre ricordare l'unicità della Shoà, che in questo momento tende a essere negata, soprattutto da coloro che cercano di indebolire Israele (anche se tutti sappiamo che la legittimità dello Stato di Israele e le sue radici storiche sono ben precedenti alla Shoà). Che vi sia questa tendenza ad affogare la Shoà in una generica notte delle ingiustizie e delle stragi, per cui l'umanità sarebbe sempre stata crudele allo stesso modo e tanto varrebbe ricordare assieme indiani d'America, palestinesi, italiani dell'Istria eccetera eccetera, è sotto gli occhi di tutti. Anche in Italia spesso nel mondo cattolico e nelle schegge del vecchio comunismo questa tentazione è evidente e esplicita. Per capirne il senso politico, rimando a un importante articolo apparso sul Jerusalem Post  mercoledì scorso e riportato dalla rassegna stampa di questo sito: "Genocide, universalism and the degradation of the memory" di Seth Frantzman.
Vi sono oggettivamente dei caratteri unici della Shoà, che vanno sottolineati: la sua dimensione transpolitica, sottratta al principio di razionalità, la sua radice teologico-apocalittica, il razzismo biologico. Che i nazisti sottraessero forze preziose durante la fase decisiva della guerra per deportare e uccidere gli ebrei; che continuassero a farlo anche quando la sconfitta era chiara e perfino dopo di essa, come intima anche il testamento di Hitler; che dessero la caccia con bestiale ferocia fino all'ultimo anziano inoffensivo; che mirassero in ogni modo alla degradazione fisica e morale dei deportati; che non si facessero frenare da posizioni politiche e religiose  delle persone e dall'assimilazione, ma cacciassero anche gli ebrei occulti e per loro materialmente inoffensivi, ma pur sempre "razzialmente contaminanti"; che cercassero insomma non di neutralizzare nel loro territorio un nemico politico ma di eliminare da tutta la faccia della terra una contaminazione metafisica, è stato spesso notato. Per una ulteriore riflessione su questo punto rimando a un libro bello, anche se certamente discutibile di Emil Fackenheim appena tradotto in italiano: Tiqqun – Riparare il mondo (Edizioni Medusa).
Questo fa la differenza con gli altri crimini commessi dal nazismo: l'eliminazione degli avversari politici, dei "disadattati" come i Rom, di omosessuali e "malati di mente" era soggetta a un criminale ma anche a un "normale" calcolo politico che tiene conto dei mezzi e dei fini. Così è stato per il tentativo turco di distruggere il popolo armeno come entità politica autocosciente (non a caso hanno incominciato dagli intellettuali e dai leader comunitari), non di estirpare ogni goccia di sangue armeno (avrebbero dovuto sterminare buona parte del popolo turco stesso, che nella sua maggioranza ha discendenze armene, curde, greche ecc.)
L'unicità della Shoà rispetto agli altri genocidi è la stessa unicità dell'odio attuale per Israele. Anche qui, fra i bruciatori di bandiere e fra i terroristi veri e propri  agisce un oscuro carico teologico e metafisico magari inconsapevole, che produce una violenza e una virulenza, una volontà di distruzione totale, del tutto eccedente la normalità dei conflitti politici e delle guerre. Le persone buone e generose che odiano Israele oggi (ce n'è purtroppo) sono come i loro nonni, bravi e onesti borghesi o integri popolani che si fecero "volonterosi carnefici" del popolo ebraico pensando di fare del bene – aiutati allora come oggi da qualche ebreo odiatore di sé per ragioni altrettanto oscure e "demoniache". Riflettere sull'unicità della Shoà rispetto ai genocidi ci apre una strada per capire più profondamente anche la dinamica della politica internazionale di oggi e la ragione per cui da Obama all'Europa e non solo nel mondo islamico, un piccolo Stato che ha un millesimo della popolazione mondiale e ancor meno territorio è visto come il più grande pericolo per la pace oggi.

Ugo Volli


Qualcosa di più di una caduta di stile


claudio vercelliLa recente disavventura di padre Raniero Cantalamessa, noto e apprezzato predicatore cattolico che, dinanzi al Papa, ha associato gli attacchi mediatici contro la Chiesa cattolica nel merito della questione della pedofilia all’antisemitismo nazista, invita a qualche riflessione di merito. La pur relativa modestia dell’evento demanda ad un clima di disorientamento che pare lambire da tempo alcuni segmenti del mondo cattolico. Ragioniamo pacatamente su due ordini di riflessioni, evitando di fare barricate. Il primo rimanda all’immagine che il cattolicesimo sembra avere fatto propria del micro-universo ebraico. Il secondo, invece, rinvia al sofferto rapporto che la Chiesa di Roma rivela di intrattenere con aspetti della modernità. Primo passaggio, dunque. L’ebraismo ha conosciuto, a partire dal Concilio giovanneo, una riconsiderazione che non ha precedenti nella storia delle relazioni intrattenute tra le due religioni. Si è trattato di un percorso evolutivo che si è consolidato e sedimentato sotto il pontificato di Papa Giovanni Paolo II ma che ha visto coinvolti tutti i pontefici del secolo appena trascorso. Benedetto XVI, per parte sua, si è fatto garante della continuità di tale indirizzo. Da figli minori si è assurti allo stato di «fratelli maggiori». Tale evoluzione, tuttavia, soprattutto se rapportata ai suoi tanti effetti e alle infinite ricadute, non sempre è stata contraddistinta da una altrettanto chiara capacità di gestire il nuovo rapporto, costruito nel corso di questi ultimi quarant’anni, con gli ebrei. I quali rimangono, per una parte del mondo cattolico, un oggetto e non un soggetto, una entità indistinta e indistinguibile e non ancora dei compagni di viaggio la cui natura è intrinsecamente pluralista. Verso qualcosa che ci è estraneo si possono nutrire molti sentimenti, non da ultima anche una irrisolta identificazione, basata tuttavia su passioni tanto accese quanto assai poco commisurate alla materiale realtà di cui sono fatti gli interlocutori. Se dell’ebraismo come religione il cattolicesimo sembra avere colto le tante peculiarità non la stessa cosa può essere detta quando questo è declinato nei termini di una concreta comunità umana. La quale rimane, agli occhi di un certo cattolicesimo, qualcosa di distante, ovvero di astratto. Ancora una volta alla concretezza dei rapporti si sostituisce la fruizione di immagini e rappresentazioni. Gli ebrei, nel Novecento, sono stati tanto rappresentati quanto ben poco conosciuti. Il rilievo che lo sterminio nazista ha assunto nella definizione di ciò che è ebraico sembra ora essere divenuto una sorta di filtro, attraverso il quale fare passare ogni relazione con gli ebrei. L’assunto neanche troppo implicito, elemento di per sé di grave distorsione, è che questi vadano fatti oggetto di particolari attenzioni in quanto vittime per definizione. Si tratta di un luogo comune diffuso e pericoloso. Se si è amati poiché vittime, e ne è esempio il merito del rimando di Cantalamessa alla lettera dell’«amico ebreo», non ci si potrà emancipare da tale scomoda condizione se non a costo di decadere dal ruolo di oggetto dell’altrui considerazione. Riscontro di ciò ci è offerto dalla severità con la quale ogni gesto dello Stato d’Israele è oggi vagliato, non essendo quella una storia ascrivibile ad una qualche forma di vittimofilia. Nel mondo cattolico a volte si verifica un fenomeno di identificazione per traslazione, laddove agli ebrei contemporanei è attribuita una sorta di funzione martirologica. Ma per l’ebraismo la Shoah non ha alcun significato testimoniale, trattandosi, letteralmente, di una «catastrofe» umana. Nulla di meno, nulla di più. Gli ebrei non sono testimoni del male; semmai ne sono stati tra i destinatari. La sofferenza non costruisce identità. Stabilire un legame privilegiato sulla scorta di questa peculiarità implica invece il falsare aprioristicamente il rapporto, distorcendo, sia pure in virtù di un “pregiudizio positivo”, la fisionomia del proprio interlocutore. Il secondo punto ha invece a che fare con il legame che è intrattenuto con ciò che chiamiamo «modernità». Elemento di inquietudine, a tale riguardo, è stata la denuncia, ripetuta a più riprese da una parte della stampa vicina al mondo cattolico, di un «complotto», ordito da «poteri forti», che si starebbe consumando contro l’attuale pontificato. C’è qui un’ansia sottesa, che rimanda alla incomprensibilità del presente e al suo bisogno di semplificarlo con chiavi di lettura ai limiti della banalizzazione. Non a caso tale polemica ha ad obiettivo gli Stati Uniti, intesi come una terra tendenzialmente ostile, secolarizzata poiché “relativista”, laddove l’equivalenza tra i convincimenti e le fedi condurrebbe alla perdita del senso dell’umano. A ciò si coniuga l’evocazione di una dimensione occulta, dove non meglio precisate «forze» starebbe tramando dietro le quinte contro il presidio morale di Roma. La qual cosa non ci riguarderebbe se non richiamasse, sia pure involontariamente, vecchi fantasmi mai venuti meno. Lo si evince meglio quando si coniuga tale enfasi alle parole del vescovo di Cerreto Sannita, monsignor Michele De Rosa, membro della Commissione CEI per l’ecumenismo e il dialogo, il quale, ha definito gli ebrei «permalosi», contestando in tal modo una sorta di gelosa difesa delle proprie prerogative e di permanente indisponibilità verso le offerte altrui. Si tratta di una reazione a fil di pelle, anch’essa da non enfatizzare, ma che rivela il modo in cui il rapporto con gli ebrei è intrattenuto da alcuni esponenti delle gerarchie, laddove il tutto viene rafforzato dall’affermazione per cui «capisco che abbiano sofferto con l’Olocausto, ma non possono farne una bandiera». Il rischio, neanche troppo implicito, è in questo caso che antichi convincimenti riprendano forza. Poiché nella tradizione antisemita l’ebreo è visto come, al contempo, uno e tutto: uno, poiché impermeabile; tutto, perché intenzionato a controllare il mondo attraverso trame clandestine. La modernità, per una parte del pensiero tradizionalista, rimanda a questo gioco delle parti, dove il ruolo dell’«ebreo» è definito una volta per sempre, nella sua proverbiale insaziabilità. Ci è chiaro che non c’erano necessariamente intenzioni di tal genere dietro questi recenti pronunciamenti e tuttavia questi si inscrivono in un registro culturale che si alimenta anche di queste implicite suggestioni. Ragion per cui il chiedere conto delle altrui motivazioni non corrisponde all’esercizio di una facoltà di giudizio permanente, derivante dall’essere stati vittime, ma al bisogno di evitare che da esse si rigeneri un pregiudizio per cui si rischierebbe di esserlo ancora.

Claudio Vercelli
 
 
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Toaff, impresa da traghettatore

In un articolo pubblicato sul mensile «Pagine Ebraiche» nell'imminenza della visita in Sinagoga di Benedetto XVI, e poi ripubblicato sull'« Osservatore Romano», l'ambasciatore di Israele presso la Santa Sede Mordechai Lewy si domandava come mai sono così pochi i rappresentanti dell'ebraismo a partecipare attivamente al dialogo ebraico-cristiano. Una domanda, questa, non solo interessante, ma anche nuova, che Lewy si poneva soprattutto a proposito degli ebrei ortodossi in Israele e nel mondo, ma che può essere allargata anche al mondo ebraico italiano, non solo geograficamente tanto vicino alla Chiesa cattolica. E in effetti, da questa radicale trasformazione dei rapporti tra Chiesa ed ebrei iniziata negli anni Sessanta e proseguita, tra alti e bassi, nel corso dei decenni, il mondo ebraico italiano non sembra essersi sentito troppo colpito o partecipe, tranne poche eccezioni. [...]

Anna Foa, Il Sole 24 Ore, 25 aprile 2010


Una magnifica ossessione

Cominciare a leggere, cessare di leggere. Ricordo quando iniziai a leggere da sola, facevo la prima elementare. Immagino di avere avuto un periodo di letture stentate, come tutti i bambini, e di quelli non ho memoria. Ricordo invece bene la sensazione provata quando cominciai a leggere dei libri, dei veri libri: una sensazione di libertà infinita, come se il mondo si allargasse improvvisamente intorno a me, diventasse illimitato. Tutto mi era permesso, potevo andare ovunque, bastava aprire un libro e lasciarmi trasportare altrove. L'universo era senza fine e popolato da infiniti mondi. Basta con le letture fatte dai genitori o dai nonni, sempre riluttanti e pronti a smettere. Ma soprattutto era il fatto di essere da soli mentre si leggeva. Questa solitudine ti consentiva di essere altrove, mentre la presenza di un lettore ti riportava nella realtà.  [...]

Anna Foa, Pagine Ebraiche, maggio 2010, ripreso dall'Osservatore Romano, 24 aprile 2010

 
 
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Qui Roma - 25 aprile, Nirenstein: contestazioni a Porta S. Paolo riprovevoli e sconcertanti
Fiamma Nirenstein"Esprimo tutta la mia solidarietà - ha dichiarato stamane l'onorevole Fiamma Nirenstein - alla Presidente della Regione Lazio Renata Polverini che è stata contesta con fischi e lancio di uova oggi al corteo a Porta San Paolo per l'anniversario della Liberazione. Plaudo inoltre al Presidente della Provincia di Roma Nicola Zingaretti per essersi rifiutato di prendere la parola perché ciò era stato negato alla Polverini.
Voglio anche ringraziare il presidente nazionale dell'Anpi, Massimo Rendina e Ernesto Nassi, segretario provinciale dell'Anpi Roma, per aver ribadito la necessità di ricorrere all'unità e al rispetto nelle celebrazioni per la Liberazione e per aver ricordato il contributo della Brigata Ebraica alla liberazione dell'Italia dal nazifascismo. La Brigata, infatti, è stata a sua volta contestata con attacchi al corteo che ne sventolava lo stemma insieme a bandiere d'Israele, nonché ad Alberto Tancredi, presidente dell'Associazione romana Amici d'Israele, salito sul palco per prendere la parola. E' del tutto sconcertante assistere ad atteggiamenti di tale aggressività da parte di gente che ancora osa sventolare bandiere con falce e martello e soprattutto bandiere palestinesi nel giorno della Liberazione, quando si sa che il Gran Mufti di Gerusalemme, Haj Amin al-Husseini, passava in rivista le truppe naziste insieme al suo alleato Hitler".


Qui Torino - 25 aprile, la partecipazione della Comunità ebraica


fiaccolata torinoLa città di Torino, medaglia d'oro della Resistenza, ha sempre avuto un riguardo speciale per l'anniversario della Liberazione. Oggi migliaia di tricolori sventolano dalle finestre dei torinesi, l'atmosfera festosa si palpa nell'aria primaverile. La Comunità ebraica, che è attivamente inserita nella vita della cittadinanza, come lo fu nel movimento resistenziale che liberò l'Italia dall'occupazione nazifascista, non fa mancare la sua presenza e il suo sostegno per questo fondamentale appuntamento: ieri sera, appena terminato lo Shabbat, il gonfalone della Comunità Ebraica di Torino si è alzato alla testa della tradizionale fiaccolata organizzata dalla città per la vigilia del 25 aprile. Un corteo di oltre cinquemila persone, fiaccole alla mano, ha attraversato il centro storico della città fino a piazza Castello. Al raduno finale sono intervenute le autorità locali, e insieme a loro un membro illustre della Comunità ebraica: l'ex partigiano Ugo Sacerdote. Dopo aver commemorato la figura di Sandro Pertini, della cui morte ricorre il ventesimo anniversario, Ugo Sacerdote ha suggerito alla piazza di non limitarsi a ricordare: “I valori della Resistenza vivono nella nostra Costituzione – ha spiegato. L'impegno costante nella difesa della Costituzione è il miglior modo di onorare il 25 aprile, una data fondante per la nostra Repubblica”.
La collaborazione tra la Comunità ebraica e le istituzione cittadine, impegnate nelle celebrazioni della festa della Liberazione, prosegue durante la giornata di oggi: questa mattina, alla deposizione delle corone al cimitero Monumentale era presente il presidente Tullio Levi con una nutrita delegazione; il gonfalone con la stella di Davide figurava in prima fila in mezzo a quelli di Comune, Provincia, Regione e delle associazioni di partigiani e resistenti. Da segnalare anche la commemorazione avvenuta nel cimitero ebraico di Carmagnola, e il successivo corteo che in queste ore attraversa il piccolo borgo piemontese. La Comunità ebraica vercellese invece, in collaborazione col suo comune e con il Ministero dei beni culturali, organizza un concerto di musica ebraica, che si terrà alle ore 18.00 di questo pomeriggio di fronte alla sinagoga di via Foa 56, Vercelli.
Questa sera alle 21, nei locali della comunità di Torino, è in programma “Liberi!! 25 aprile 1945. Come ho avuto la notizia?”, un incontro con Arrigo Funaro e Aldo Levi organizzato dall'Associazione ex allievi della scuola ebraica: emozioni e racconti di chi ha vissuto quei giorni. Interverrà anche la cantante Giovanna Galante Garrone, figlia di Alessandro, il noto antifascista. Sono previste testimonianze, letture e canti della resistenza a cura di Maria Teresa Milano.
M.D.

Qui Venezia - L'assessore Agostini: "Bisogna trasmettere
il significato del 25 aprile alle generazioni future"

cerimonia veneziaVenezia ha celebrato ieri il 65° anniversario della liberazione, con una serie di iniziative organizzate dal Comune di Venezia in collaborazione con le associazioni partigiane, il Comitato Coordinamento associazioni combattentistiche e d’arma, l’Istituto veneziano per la storia della Resistenza e della società contemporanea e la Comunità Ebraica di Venezia.
Tra le tante attività che ogni anno vengono organizzate per il 25 aprile anche il consueto percorso della Memoria con la tradizionale deposizione delle corone di alloro davanti ai monumenti ai caduti per la libertà contro il nazifascismo: partito da Campo San Canciano, il corteo, composto da cittadini comuni e cappeggiato da una delegazione di partigiani e di partiti del centrosinistra, ha visitato le lapidi commemorative poste sulle case di sette martiri veneziani per la resistenza:  Bruno Crovato, Luigi Borgato, Giuseppe Tramontin, Ubaldo Belli, Piero Favretti, Augusto Picutti, Manfredi Azzarita. Novità di quest’anno l’accompagnamento al corteo del coro 25 aprile - Mezzalira Olivolo, che oltre alle canzoni tipiche della festa di liberazione ha intonato alcune melodie della tradizione ebraica a suggellare lo stretto rapporto tra le associazioni partigiane e la comunità ebraica lagunare. Il corteo ha concluso il suo itinerario in Campo del Ghetto Nuovo dove era stato allestito un palco vicino al memoriale della Shoah per la cerimonia di commemorazione. Presente all’evento l’assessore Tiziana Agostini che ha portato i saluti dell’amministrazione comunale di Venezia e del sindaco Giorgio Orsoni. Nel suo intervento l’assessore Agostini ha sottolineato come l’Italia sia fondata sulla condivisione dei valori che hanno portato alla sua liberazione: “E’ dal 25 aprile che si genera la memoria collettiva di questo paese ed è compito di tutti trasmetterne il significato alle generazioni che verranno. Dobbiamo commemorare l’impegno e il sacrificio di coloro che si opposero alla servitù nazifascista tenendo sempre a mente che dalla resistenza è nata la nuova Italia”. E’ poi intervenuto Rav Elia Richetti, (nella foto in alto) rabbino capo di Venezia e neo-eletto presidente dell’Assemblea rabbinica italiana, che ha posto l’attenzione sul motivo della cerimonia davanti al memoriale della Shoah per il 25 aprile: “ Oggi non è il giorno dedicato alla memoria della Shoah - ha affermato Rav Richetti -  né per lo stato italiano, nè per il mondo ebraico, ma questa giornata acquista un significato comune per tutti noi. La ricorrenza di oggi non è infatti solo la commemorazione della fine del nazifascismo, ma della fine di una lotta, conclusasi 65 anni fa, di un mondo intero contro una concezione aberrante, di coloro che sostenevano il diritto all’esistenza contro chi lo negava. Questo è il senso di questa giornata e questo è il modo in cui dobbiamo considerarla, affinchè il 25 aprile sia la festa di tutti, di tutto il popolo italiano“.

Qui Trieste - Il sindaco Dipiazza: " La città si inchina
alle vittime di San Sabba"
Il sindaco di Trieste Roberto Dipiazza (Pdl), intervenendo alla cerimonia per il 25 aprile ha dichiarato:  "Trieste si inchina e riconosce le colpe" per le vittime della Risiera di San Sabba, unico campo di stermino nazista in Italia: lo ha sottolineato oggi il sindaco, Roberto Dipiazza (Pdl), intervenendo alla cerimonia per il 25 aprile. "Anche attraverso la mia presenza ogni anno a questa cerimonia - ha detto Dipiazza - ho inteso riaffermare la sacralità e l'importanza di questo luogo per tutta la città di Trieste. All'interno di queste mura, non fa mai male ricordarlo, fu applicato il disegno criminale nazista: vennero rinchiusi, in alcuni casi uccisi, in molti altri deportati, ebrei, sloveni, croati, zingari, omosessuali, partigiani e semplici cittadini. A queste vittime la città si inchina e riconosce le colpe non solo di chi progettò e mise in atto il crimine ma anche di chi lo appoggiò e lo sostenne - ha concluso - su un piano ideale". 

 
 
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