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L'Unione informa |
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27 aprile 2010 - 13 Iyar 5770 |
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alef/tav |
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Roberto Della Rocca, rabbino |
Nel
variegato elenco di precetti compresi nel capitolo 19 del Levitico
compare l'obbligo di ammonire una persona che non si comporta
bene evitando di diventare corresponsabili della sua cattiva
condotta. I Maestri di ogni generazione si dibattono sulla concreta
applicazione di questa delicata norma interrogandosi su chi è
legittimato ad ammonire, in quali casi è veramente opportuno riprendere
una persona laddove si presume che l'ammonimento non solo non
verrà ascoltato ma potrebbe addirittura rafforzare forme di
recidiva. Vi sono anche raccomandazioni circa le modalità e le
precauzioni da adottare quando ci si accinge ad ammonire,
soprattutto per non provocare mai l’imbarazzo di colui che viene
diffidato. In una società ebraica ideale l'ammonimento
costituisce un valore aggiunto oltre che un imperativo. Secondo
una Tradizione il Santuario è stato distrutto perché le persone,
soprattutto quelle di grande sapienza, non si ammonivano
reciprocamente. E per rincarare la dose c’è una piccante metafora
rabbinica per la quale i leader che non si ammoniscono
reciprocamente, soprattutto in momenti di crisi, sono paragonati
a montoni che avanzano a testa bassa evitando di guardarsi. E’ pur
vero che quando manca una solida complicità ammonire una persona
rischia di trasformarsi in un atteggiamento di superbia o di falso
moralismo. |
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Rabbi
Menachem Mendel di Kotzk chiese a un discepolo: "Dove si trova Dio"?
“Ovunque, naturalmente”. "No Si trova solo dove è autorizzato a
entrare". |
Vittorio Dan Segre, pensionato |
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Qui New York – Tre giorni per parlare degli ebrei esuli negli States
Tre
giorni di studi e incontri per approfondire la storia degli ebrei
italiani emigrati negli Stati Uniti in fuga dalle persecuzioni
nazifasciste. Il Centro Primo Levi, organizzazione no profit
statunitense che si occupa di divulgare la bimillenaria storia della
più antica comunità della Diaspora, presenta con questo auspicio la
rassegna Americordo. Il
programma è vasto: si parte oggi nel tardo pomeriggio con un intervento
della giornalista Gianna Pontecorboli, che attraverso varie interviste
e una lunga ricerca archivistica ha ricostruito la fuga e i primi anni
trascorsi nel Nuovo Continente da un gruppo eterogeneo di ebrei
italiani, scappati dalla patria in seguito alla promulgazione delle
leggi razziste. Domani sarà invece il turno di Renato Camurri, che
presenterà L’Italia vista dall’America,
volume in cui si raccolgono una serie di considerazioni del grande
Franco Modigliani, osservatore e testimone da Oltreoceano delle vicende
economiche e sociali del paese che lo aveva rifiutato in quanto ebreo.
A chiudere la tre giorni una serie di dibattiti che dopodomani
attireranno un pubblico che è facile immaginare numeroso nelle aule
della prestigiosa Columbia University. I dibattiti saranno incentrati
sulla condizione di esule, sul rapporto del migrante con la propria
nazione di origine e sulle difficoltà di ricominciare una vita lontano
da casa, e vedranno la partecipazione di autorevoli relatori, in parte
provenienti dal mondo accademico e culturale italiano. Ci saranno ad
esempio il giornalista Sandro Gerbi (che ha scritto un pezzo su Eugenio
Colorni nel primo numero di Pagine Ebraiche) e Annalisa Capristo,
bibliotecaria del Centro Studi Americani di Roma e tra le protagoniste
della Festa del Libro ebraico in Italia da poco conclusosi a Ferrara.
Ed è stata proprio lei ad inaugurare la nuova Webzine del Centro Primo
Levi, dedicata ad Americordo e aperta a tutti quanti vorranno
contribuire al suo sviluppo con articoli, documenti, foto e qualsiasi
altro tipo di materiale.
Nella sua intervista, una analisi
approfondita sullo stato della ricerca storiografica italiana sul tema
delle leggi razziste e del fascismo, si è cercato di fare il punto su
alcune delle tappe più significative che hanno portato gli studiosi ad
allontanarsi dai facili cliché come “italiani brava gente” e simili per
avvicinare con maggiore oggettività la realtà storica di quel periodo
drammatico e spesso rivisitato in chiave edulcorata da nutrite schiere
di revisionisti. La Capristo ha sottolineato il grande merito che va
riconosciuto a Michele Sarfatti e al Centro di Documentazione Ebraica
Contemporanea (Cdec) per aver invertito la rotta nell’approccio
storiografico (fino a quel momento popolato da falsi miti) al fascismo
e ai suoi crimini. “Gli studi di Sarfatti e quelli di Liliana Picciotto
hanno mostrato le responsabilità del fascismo nella deportazione e
nello sterminio degli ebrei italiani durante gli anni della Repubblica
Sociale”. E nonostante il panorama storiografico italiano sia ancora
piuttosto frammentato, la conclusione della Capristo è che “il lavoro
di Sarfatti sia generalmente accettato ed abbia generato un nuovo ed
importante trend di studi”. La webzine Americordo è solo
l’ultimo degli strumenti informativi predisposto dal Centro Primo Levi:
l’obiettivo è costantemente puntato sulla piccola ma vibrante minoranza
ebraica italiana. Qualche settimana fa il giornalista Alessandro
Cassin, fiorentino di nascita ma newyorkese di adozione, ha pubblicato
sul sito del Centro un botta e risposta con Guido Vitale, direttore di
Pagine Ebraiche e del Portale dell’Ebraismo Italiano, sulla stagione di
grande mobilità ed effervescenza vissuta dalla stampa ebraica nostrana.
Stagione culminata con la nascita di un giornale nazionale, con il
potenziamento della newsletter quotidiana e con il ritorno in rotativa
di HaTikwa, il giornale dei giovani per lungo tempo fermo ai box.
Significative le parole usate da Cassin per aprire il pezzo: “In tempi
in cui i grandi imperi mediatici stanno crollando e il giornalismo
sembra una professione morente, il mondo ebraico italiano decide di
andare controcorrente”.
Adam Smulevich
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Qui Milano - Il mitico Zio Coso sale in scena
Lo Zio Coso sale in scena. E Alla ricerca dello Zio Coso è
il titolo della trasposizione teatrale del romanzo di Alessandro Schwed
(Ponte alle Grazie), allestito a Milano al Teatro Ringhiera dal 27
aprile. C’è grande passione nelle parole del regista triestino
Alessandro Marinuzzi, mentre racconta del suo rapporto personale e
artistico con Alessandro Schwed, il Giga Melik del settimanale satirico
Il Male negli anni ‘70, e soprattutto con il suo romanzo Lo Zio Coso.
Due artisti uniti dalla sensibilità verso il paradosso e verso una
lettura in chiave umorista del mondo circostante. Temi che ben emergono
nell’opera Lo Zio Coso dove il protagonista, in treno verso l’Ungheria,
si convince che la Seconda guerra mondiale e i suoi orrori non siano
mai avvenuti. Paradossalmente questo succede proprio mentre si sta
recando in visita a uno zio, di cui dimentica persino il nome, per
ascoltare la storia della sua esperienza ad Auschwitz. Alessandro Marinuzzi, come nasce il suo incontro con Lo Zio Coso? Questo
spettacolo è il frutto di una combinazione fortunata e di un percorso
che giunge finalmente a compimento dopo diversi anni. Nell’estate del
2005, al Festival di Montalcino, incontrai per caso una cara amica,
Erina, che mi presentò il marito, Alessandro Schwed. Tra noi si creò
una forte sintonia. Il romanzo era appena uscito. Quando lo lessi,
mi colpì profondamente. In occasione della Giornata della Memoria del
2009, ho avuto la possibilità di portarne una lettura al Teatro Club di
Udine. Quello di Milano sarà uno spettacolo completo. Quale aspetto del libro ha catturato la sua attenzione? Mi
ha colpito particolarmente il tema dei negazionismi, e della parodia
della storia che diventa parodia anche dell’attualità: mi ha
sempre interessato. Nei confronti di quest’opera ho provato subito un
grande coinvolgimento emotivo. Portarla in scena rappresenta una mia
sfida personale al Male, nel senso più assoluto del termine. Qual è il meccanismo attraverso cui dalla lettura di un testo, lei arriva alla trasposizione teatrale? Leggendo alcune opere, sia scritte per il teatro, sia semplici romanzi, mi capita di provare l’impulso, quasi la necessità, di vederli in scena. Significa entrare fisicamente all’interno del testo, vivendolo come un enigma da risolvere per portarne poi
il risultato in teatro. Per Lo Zio Coso, questo sentimento è nato
ancora prima di terminare il libro. Ho cominciato a immaginare i
personaggi come interpretati dagli attori con cui da anni collaboro,
Paolo Fagiolo e Marcela Serli. Nell’ambito di questa operazione
culturale non finisco mai di scoprire nuovi aspetti del romanzo. Il
titolo del romanzo di Schwed è Lo Zio Coso, lei ha scelto di ampliarlo
in Alla ricerca dello Zio Coso. Come mai questo cambiamento? Lo
spettacolo è basato su un mio progetto di elaborazione de Lo Zio Coso,
che non ha la pretesa di porsi come sua riduzione ufficiale. Vuole
rappresentare la ricerca non solo dello Zio Coso, ma anche del romanzo
stesso, e di una risposta alla sua domanda fondamentale: come guardare
nella direzione del male per conoscerlo, ma anche per difendersene.
Rossella Tercatin
“Alla ricerca dello zio coso” da martedì 27 a giovedì 29 aprile alle 20.45, Teatro Ringhiera Via Boifava 17, Milano tel 02 84892195
di Alessandro Schwed e Alessandro Marinuzzi testo di Alessandro Schwed drammaturgia di Alessandro Marinuzzi dal romanzo “Lo zio Coso” di Alessandro Schwed progetto e regia di Alessandro Marinuzzi
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Istantanee - Di giorno non si vedono le stelle
"Chi crede non si imbatterà mai in un miracolo. Di giorno non si vedono stelle". (Franz Kafka, "Gli otto quaderni in ottavo", Terzo quaderno)
Marina Arbib
Liberazione e rivoluzione
Ancora
sul 25 aprile 2010. Due le novità importanti sul piano lessicale:
«riunificazione» e «libertà». Su quest’ultima ha già scritto Anna Foa,
e personalmente mi limito a sostenere che è sbagliato sostituirla a
«liberazione». Vorrei riflettere sulla prima: riunificare l’Italia, nel
2010, è obiettivo ambizioso e difficilissimo. Che non consiste solo nel
ridurre le differenze scandalose tra Nord e Sud, ma anche, per esempio,
nel favorire un’integrazione reale degli stranieri sempre più numerosi,
e nel garantire a ogni persona uguali opportunità e tutele.
A Roma viene impedito di parlare a Renata Polverini, presidente del
Lazio. Nicola Zingaretti, presidente della Provincia di Roma, viene
colpito per averla difesa e in segno di solidarietà rinuncia a parlare.
A contestare in questo modo indegno è una sparuta rappresentanza di
autonomi. Tale è la rabbia nei confronti della presidente berlusconiana
che le bandiere israeliane della Brigata ebraica, stranamente, non sono
fischiate. Per questa gente la Liberazione è sempre stata una
«rivoluzione mancata», ma oggi rischia di essere percepita anche come
una «Liberazione mancata». Sbagliavano prima e sbagliano adesso. Perché
lo stato democratico frutto della Resistenza, pur tra i suoi molti
problemi, non può in alcun modo essere paragonato alla dittatura
nazi-fascista. Ma non bisogna ignorare quanto l’Italia odierna possa
apparire intollerabilmente ingiusta, corrotta, priva di futuro. È per
questa ragione che occorre moltiplicare gli sforzi per «riunificare»
l’Italia: a questo Tikkun, come ebrei, possiamo e dobbiamo
contribuire.
Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas |
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Obama e l'assedio di Israele Nel
video di Hamas si vede il mite Noam Shalit, invecchiato e col bastone,
che vaga sconsolato per le strade d'Israele stringendo una foto del
figlio in cattività. Verso la fine del filmato appare una scritta che
dice: "Gli sforzi del governo israeliano hanno avuto successo". Dopo
uno scambio di prigionieri, Noam finalmente incontra il figlio Gilad .
A quel punto si vede l'anziano padre che siede in attesa al valico di
Erez finché non gli viene consegnata una bara coperta dalla bandiera
israeliana. Ha accusato duramente il colpo Israele dopo questo spietato
documento della propaganda islamista. Hanno sempre tormentato Israele
le immagini dei suoi soldati rapiti e usati, spesso da morti, come
merce di scambio. Ma l'ultima trovata sul caporale Shalit tormenta
particolarmente l'inconscio collettivo di Israele perché arriva in un
momento di grave isolamento internazionale. [...]
Il Foglio, 27 aprile 2010
Dal giardino dei Finzi-Contini alla Corte suprema d'America La
prima cosa che colpisce, quando lo si incontra, è la sua cordialità
priva di qualsiasi affettazione. Eppure, nel firmamento del grande
mondo legale americano, Guido Calabresi non ha certo bisogno di
presentazioni. Ormai quasi ottantenne, è nato nel 1932, Calabresi è
giudice della corte d'appello federale del secondo circuito, la più
Importante dopo quella di Washington e contemporaneamente è professore
emerito alla facoltà di giurisprudenza di Yale, quella in cui tutti gli
studenti di legge sognano di entrare. Per quasi dieci anni, dal 1985 al
1994, di quella stessa facoltà è stato il preside. E negli anni
precedenti, quando era soltanto un professore, sui banchi delle sue
classi sono passati i giudici della Corte Suprema Samuel Mito e
Clarence Thomas e soprattutto l'ultima arrivata Sonia Sotomayor,
nominata da Barack Obama. «Guido», come lo chiamano affettuosamente i
suoi allievi, non è per soltanto un rispettato giudice e un ammirato
professore. Da quando ha sposato Ann Taylor, che discende da una delle
famiglie che hanno fondato New Haven, è diventato membro di diritto
della migliore società del New England. Ai suoi studenti, ricorda
spesso di essere anche «il nigeriano di allora», uno degli spaesati
ebrei italiani che Mussolini ha involontariamente regalato all'America
con l'emanazione delle leggi razziali e che, partendo dalla situazione
di immigrati, hanno scalato tutti i gradini di una nuova carriera, in
un mondo non sempre facile.[...]
Gianna Pontecorboli, La Stampa, 27 aprile 2010 |
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MO: Esponenti politici di Hamas criticano il filmato di Shalit Gaza, 27 apr - In
un dibattito tenuto la scorsa notte a Gaza da esponenti politici di
Hamas una delle figure di spicco nella Striscia, Mahmud a-Zahar, ha
duramente criticato il filmato diffuso domenica dal braccio armato di
Hamas sul 'caso Shalit', il caporale israeliano tenuto prigioniero da
quattro anni. Il video, di tre minuti, mostra il graduale
invecchiamento del padre di Ghilad Shalit, sempre più angosciato per il
protrarsi della prigionia del figlio. Secondo a-Zahar il filmato è
controproducente perché da esso "qualcuno potrebbe concludere, a torto,
che gli islamici non rispettano i loro prigionieri, fino al punto di
ucciderli". In precedenza il cartone animato era stato duramente
criticato anche da un portavoce governativo israeliano secondo cui "in
questa occasione Hamas ha conseguito un record di cinismo". Le
televisioni israeliane, da parte loro, si sono astenute dal
trasmetterlo. Oggi intanto molti israeliani esprimono solidarietà alla
famiglia Shalit, indossando magliette bianche. L'iniziativa, nata
spontaneamente su Facebook, ha raccolto in pochi giorni centinaia di
migliaia di messaggi di adesione.
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
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