se non visualizzi correttamente questo messaggio, fai click qui |
|
|
 |
|
L'Unione informa |
|
|
|
28 aprile 2010 - 14 Iyar 5770 |
|
 |
|
| |
|
alef/tav |
|
|
 |
|
 |
Adolfo Locci, rabbino capo di Padova |
Oggi è il 14 di Iyar, Pesach shenì,
ricorrenza istituita per permettere a coloro che non potevano
presentare il 14 di Nissan il Korban Pesach (sacrificio di Pesach), a
causa di una sopraggiunta impurità o di legittimo impedimento, di farlo
il mese successivo. Secondo i maestri, la ‘Avodat Hashem,
il culto al Signore, rappresenta l’essenza del mese di Iyar. Infatti,
la Torà sottolinea che sono le stesse persone, impossibilitate a
presentare il Korban Pesach al tempo stabilito, che chiedono a Mosè di avere un’ulteriore possibilità per poter adempiere alla mitzwà: “perché
dovremmo essere da meno degli altri e non offrire il sacrificio di
Pesach in mezzo ai figli d’Israele, nel tempo stabilito?” (Numeri 9:7). Per il fatto che quegli uomini abbiano voluto fortemente mettere in pratica la mitzwà del Korban Pesach, il Signore ha stabilito l’istituzione di Pesach Shenì trasferendo così il valore della Gheullà – redenzione anche nel mese di Iyar. L’istituzione del primo Pesach rappresenta la Gheullà che è stata promossa le’ela – dall’alto; l’istituzione del secondo Pesach rappresenta invece la Gheullà richiesta letatà – dal basso. Pesach Shenì
ci insegna che in noi c’è una possibile forte volontà di eseguire le
mitzwoth, a dimostrazione del fatto che Israele ha saputo introiettare
dentro di se il senso della Gheullà e che la ricerca costantemente.
Auguriamoci che per il merito di coloro che hanno permesso
l’istituzione di questa festa, in tutte le nostre Comunità si possa
sviluppare nuovamente, come allora, la stessa capacità di voler
fortemente osservare le mitwoth - in quanto “sono la nostra vita e la
lunghezza dei nostri giorni” - anche quando potrebbe sembrare di avere
il “privilegio” dell’esenzione... |
 |
Non basta prendere il sole, se non siamo capaci di regalarlo. (Paul Claudel) |
Matilde Passa,
giornalista |
 |
|
|
 |
|
|
torna su |
davar |
|
|
|
|
Qui Torino - Alex Licht, fare tanto e andare lontano
Mentre
nasce la sede nazionale italiana dell’Agenzia Ebraica per Israele
(Sochnut), dagli uffici centrali dell’istituto arriva a Torino un’altra
lieta notizia: la premiazione della shlicha (letteralmente emissario)
Alex Licht, arevà della
comunità ebraica torinese. Fra circa centocinquanta ragazzi della
sezione europea, Alex è stata scelta come miglior giovane shaliach del
2009, “un premio per le attività svolte, per il grande contributo e
l’impegno dimostrati nei confronti della Sochnut”. Alex, assieme a
tanti altri giovani fra i ventuno e i trent’anni, fa parte del progetto
Areivim, “garanti”: ragazzi inviati nelle comunità di tutto il mondo
dall’Agenzia Ebraica perché svolgano attività e programmi orientati al
consolidamento della conoscenza e consapevolezza dell’identità ebraica,
oltre a promuovere la familiarità con gli ideali sionisti, con Israele
e il suo popolo. Come si legge nel sito dell’organizzazione, “il
progetto affonda le sue radici nella convinzione che l'identificazione
positiva può contribuire ad arginare l'assimilazione e garantire la
continuità della comunità ebraica”. Ma torniamo ad Alex, per cui
arrivano parole di elogio dal presidente della Comunità di Torino,
Tullio Levi “Un riconoscimento sicuramente meritato. Alex è un arevà
straordinaria, per serietà e intelligenza. In questi due anni di lavoro
ha ottenuto dei risultati ottimi, assumendosi la responsabilità di
iniziative nuove, originali, accolte sempre in modo positivo. Non si
può non apprezzare il suo instancabile impegno per la Comunità, dalla
scuola alla casa di riposo. Sarebbe – continua Levi - auspicabile che
molti giovani prendessero esempio da Alex, dal suo entusiasmo e dalla
sua passione”. Abbiamo dunque chiesto alla schlicha dell’anno di raccontarci qualcosa sul suo lavoro e non solo. Come mai ha scelto di entrare nell’Agenzia Ebraica? L’idea
era, finito l’esercito, di fare qualcosa di autonomo, che mi aiutasse a
confrontarmi con me stessa; così ho deciso di provare a entrare in
questo progetto della Sochnut. Dopo un iter un po’ complicato con varie
audizioni, sono stata presa e ho svolto un corso intensivo di tre
settimane. Ogni giorno lavoravamo su religione e cultura ebraica, sulla
lingua, sulla storia di Israele e così via. Abbiamo svolto lezioni
sulle peculiarità delle diverse comunità nel mondo, così come sui
differenti orientamenti religiosi. C’erano ore dedicate alle tecniche
di insegnamento per bambini come per adulti. Finito il corso, hai scelto una destinazione italiana e sei approdata alla comunità di Torino. Qual è stato il primo impatto? Inizialmente
ero un po’ disorientata: dovevo imparare una lingua nuova ed ero
lontana da tutto ciò che conoscevo. In ogni caso, una delle prime
preoccupazioni è stata capire le dinamiche della Comunità, in
particolare quali fossero le cose necessarie, anche dal punto di vista
logistico. In questo sono stata aiutata dal vicepresidente Edoardo
Segre, in merito alle relazioni con la Sochnut, e dalla consigliera
Sarah Kaminski, in merito ai problemi quotidiani. Di fatto, di cosa di occupi all’interno della Comunità? Il
mio lavoro è intergenerazionale, dalla scuola alla casa di riposo. Ci
sono attività dirette ai più piccoli, come Ivrit Be Keif (Ebraico con
piacere) o il corso di arte; l’Ulpan per i genitori, ebrei e non, che
vogliono imparare l’ebraico, così come un corso per i maestri della
scuola. Nuovo è l’appuntamento mensile con “Identità israeliana
moderna”, in cui raccontiamo la società israeliana e le sue continue
evoluzioni. Con gli anziani della casa di riposo, abbiamo creato “ebrei
nel mondo”, una sorta di viaggio nelle diverse realtà della diaspora,
attraverso immagini, video e canzoni . O ancora “Caffè Ivrit”, un’ora
dedicata a leggere giornali in ebraico e ascoltare musica israeliana.
Senza dimenticare tutte le attività legate alle feste. Dopo due anni così intensi, come vedi la comunità di Torino? E’
un luogo dove la vita ebraica si percepisce intensamente. Sembra una
cosa ovvia o scontata ma non lo è. Ci sono molte attività, tutti
lavorano e gli ingranaggi girano. Se però mi chiedi qual è il mio più
grande auspicio, vorrei vedere i giovani caricarsi di maggiori
responsabilità. I giovani, per quanto possa suonare retorico, sono il
futuro, sono coloro che porteranno dam hadash
(sangue nuovo) al cuore della comunità. Devono essere più attivi nella
scuola, nella casa di riposo; i più forti devono dare una mano ai più
deboli. Ad ottobre finirà la tua “avventura torinese”, che cosa porterai con te di questa esperienza? Sicuramente
la conoscenza di una lingua nuova e di un mondo comunitario ebraico
decisamente peculiare. Inoltre in questi mesi ho imparato molto su me
stessa, in particolare su come, contando sulle proprie forze, si possa
fare tanto e andare decisamente lontano.
Daniel Reichel
Qui Londra - Verso il voto fra le incertezze
Il 6 Maggio prossimo la Gran Bretagna andrà al voto. Fino
a qualche settimana fa, l’esito delle elezioni sembrava scontato. Dopo
13 anni di governo, con un primo ministro, Gordon Brown (nell'immagine a fianco),
ai minimi negli indici di gradimento e una crisi finanziaria
spaventosa, i Laburisti erano dati per spacciati. David Cameron, leader
dei Conservatori, poteva vedersi, con una certa sicurezza, già al
numero 10 di Downing Street. Ma, dopo la pubblicazione dei
sondaggi in seguito al primo dibattito televisivo tra i leader dei tre
principali partiti (Labour, Conservative e Liberal Democrat), questa
previsione è stata completamente smentita: i Liberal Democrats, grazie
alla convincente prova del loro capo Nick Clegg, si sono trovati in
prima posizione, con più del 30% dei consensi. Stanchi dei
Laburisti ma non del tutto convinti dall’aristocratico David Cameron,
gli elettori inglesi stanno sempre di più volgendosi verso il partito
Liberal Democratico, considerato come l’unico vero elemento di rottura
rispetto agli anni passati. I numerosi casi di corruzione che
hanno toccato i due principali partiti ed il fallimento di un modello
economico sviluppato dalla Thatcher e portato avanti dal New
Labour, hanno generato una voglia di cambiamento che Nick Clegg
ha saputo fare sua grazie al suo programma di riforme istituzionali e
al suo essere percepito come il nuovo. Molti analisti prevedono che il risultato delle elezioni sarà un hung parliament,
in altre parole un parlamento nel quale nessuno dei partiti avrà la
maggioranza e si dovrà quindi ricorrere ad un governo di coalizione. In
questo straordinario clima d’incertezza (l’ultimo hung parliament
risale al 1974) ogni voto è fondamentale ed il voto ebraico avrà un
peso decisivo in importanti collegi elettorali come quelli di
Finchley/Golders Green ed Hampstead nel Nord di Londra o quello di
Salford, nella periferia di Manchester, dove una numerosa comunità
ultra-ortodossa vive vicina a un quartiere di case popolari nel quale
l’estrema destra sta raccogliendo ampi consensi. Altamente
simbolico il duello nell’Est della Capitale, dove nell’economicamente
depressa Barking si fronteggiano Nick Griffin, segretario dello
xenofobo British National Party e il Ministro Laburista Margaret Hodge,
nata in Egitto da una famiglia di rifugiati Ashkenaziti. Il BNP
vorrebbe piazzare un suo uomo a Westminster per la prima volta ed a
Barking conta già 12 consiglieri nella giunta locale. Il New
Labour ha dimostrato una grande attenzione per il mondo ebraico: il
rabbino capo Jonathan Sacks è stato un importante interlocutore di Tony
Blair mentre Gordon Brown ha voluto la figlia di Sacks, Gila, nel suo
team a Downing Street. La crisi economica, alcune vicende legate
a Israele (per esempio il sospetto uso di passaporti britannici a Dubai
da parte del Mossad) e lo scandalo JFS hanno allontanato l’opinione
pubblica ebraica dal governo. In Inghilterra, gli ebrei votano
generalmente per i Conservatori (ricordiamoci che la Thatcher era la
rappresentante del collegio di Finchley/Golders Green, la zona con la
più alta densità di ebrei del Regno Unito). Il programma
ideologico di Cameron, la teoria della Big Society, una società dove la
presenza dello Stato è ridotta per lasciare spazio alle scelte e
all’intraprendenza dei cittadini intesi come individui e collettività è
visto di buon occhio all’interno della Comunità ebraica con il suo
sistema di scuole e il suo welfare. Ma l’alleanza dei Conservatori a Bruxelles con partiti antisemiti di estrema destra dell’Est Europa desta preoccupazione. I
Liberal-Democratici di Cleggs dal canto loro hanno un problema serio:
il loro atteggiamento verso Israele potrebbe alienare il voto ebraico.
Esponenti importanti del partito come la Baronessa Tonge e Lord Wallace
hanno espresso opinioni controverse e shockanti sul conflitto
Israelo-Palestinese. La Tonge ha giustificato l’uso dei kamikaze da
parte dei Palestinesi e ha chiesto un’indagine per accertare se davvero
l’équipes mediche mandate da Israele a Haiti dopo il terremoto erano lì
per raccogliere organi umani. Lo stesso Clegg ha partecipato ad
una cena organizzata dal miliardario Nadhmi Auchi, l’anglo-iracheno
finanziatore del più virulento sito antisionista inglese. Ci sono ancora due settimane di campagna elettorale e tutto è ancora da giocare.
Rocco Giansante
Qui Parigi - L'isola Giusta
Non
una singola persona ma un'isola intera potrebbe essere presto inclusa
nella lista dei Giusti tra le Nazioni. Si tratta della Corsica, prima
regione francese ad essere liberata dagli occupanti tedeschi. La
motivazione di chi si batte per raggiungere questo obiettivo è
semplice: in Corsica nessun ebreo fu ucciso o venne deportato nei campi
di sterminio nazisti. La pratica per arrivare al massimo riconoscimento
concesso dallo Stato di Israele era già stata avviata da tempo, ma le
carte giacevano da anni in un polveroso ufficio di Gerusalemme. È solo dal 2008, cioè da quando Maxime Cohen è stato eletto presidente della minuscola comunità ebraica corsa (nell'immagine in basso a destra),
che la proposta ha preso nuovo slancio e vigore. Il rappresentante
ufficiale delle circa venti famiglie che compongono la comunità
(raramente si arriva al minian
anche se di shabbat la sinagoga di Bastia è sempre aperta) lo aveva
posto come uno degli obiettivi prioritari del suo mandato: tributare il
giusto onore ad una terra che non fu ostile e che cercò invece di
aiutare quei suoi sfortunati cittadini. Cohen ci sta provando anche se
le difficoltà sono molte. In primis la relativa carenza di
testimonianze e testimoni, elementi su cui Yad Vashem non sembra
disponibile a sconti. “Purtroppo molti sono morti, sia tra i salvati
(ne restano ben pochi e in età piuttosto avanzata) che tra i
salvatori”, spiega Cohen. E poi il muro del silenzio eretto da alcuni
dei salvatori, “che ritengono di aver fatto una cosa normale e non
vogliono essere considerati eroi”. Ma dopo due anni di ricerche casa
per casa almeno un risultato è stato raggiunto: venticinque persone
hanno dato la propria disponibilità a parlare. Nel frattempo Cohen fa
di continuo la spola con Israele, almeno cinque volte all’anno a
discutere con politici e rabbini. E qualcosa si è mosso, tanto che il
rabbino capo di Francia, recentemente intervenuto alla Knesset (il
Parlamento israeliano) riunitasi in seduta plenaria, ha ottenuto
l’applauso dei presenti quando ha ribadito che “la Corsica merita
questo riconoscimento”.
L’isola
che diede i natali a Napoleone Bonaparte è una terra speciale in cui
non si esitò ad aprire la porta della solidarietà. A risultare
determinante fu il comportamento della prefettura, “l’unica in tutto il
territorio francese a non essersi sbarazzata degli ebrei”. Invece del
collaborazionismo con il nazismo, i suoi vertici scelsero la strada del
soccorso a quella minoranza in pericolo. Tra gli uomini determinanti
per la salvezza della comunità ebraica ci fu il viceprefetto Pierre
Henry Rix, che approfittando della visita del console turco Bedi Arbel
a Marsiglia, decise di far stampare delle false carte di identità
turche che vennero prontamente consegnate ai perseguitati. Ma il suo è
solo uno dei tanti nomi: furono in molti a mettere la propria esistenza
a rischio pur di salvare le vite di uomini innocenti. Come il
vicecommissario di Bastia Mathieu Ristori, che restituì al mittente i
documenti inviati da Vichy per chiedere la deportazione degli ebrei
corsi. E più in generale fu la popolazione a dare una mano. Un esempio?
Gli unici ebrei incarcerati in tutto il dipartimento (ad Asco e - per
la cronaca - dai fascisti) vennero sfamati a spese degli abitanti di
quel piccolo villaggio. Eppure i corsi non hanno mai fatto molto
perché queste storie venissero a galla. In tutta la regione, nonostante
i ripetuti atti di eroismo di molti suoi abitanti, non si contano
neanche una decina di Giusti. Jacques Bourgeois, spalla del presidente
Cohen nella battaglia per far scrivere il nome della Corsica nella
lista di chi scelse il bene quando fare del male era più facile, crede
che sia solo una questione di tempo perché quel passato emerga: “Siamo
a tre quarti del cammino, sono fiducioso”. E annuncia il grande
appuntamento di settembre, quando salvatori, sopravvissuti e
discendenti dei sopravvissuti si incontreranno per parlare e ricordare
quella commovente storia di amicizia ed eroismo. “Sarà una
manifestazione importante, anche perché verranno eretti due monumenti a
Bastia e ad Ajaccio”, spiega Bourgeois. Qualora la battaglia di
Cohen, Bourgeois e dei loro sostenitori andasse in porto, la Corsica
sarebbe la prima regione francese a meritare quel particolare e
significativo status. Soltanto un’altra collettività di persone è per
il momento riuscita ad ottenere il riconoscimento dello Yad Vashem: il
comune di Chambon sur Lignon, piccolo borgo dell’Alta Loira in cui
trovarono rifugio da morte certa almeno 3000 persone e a cui è stato
dedicato un giardino del Memoriale nel 1990.
Adam Smulevich
Qui Milano - La ricerca dello zio Coso
Tanta
emozione per il debutto dello spettacolo “Alla ricerca dello zio Coso”
in scena al Teatro Ringhiera fino al 29 aprile. L’emozione di
Alessandro Schwed, autore del romanzo “Lo zio coso” da cui la piéce è
tratta, l’emozione del regista Alessandro Marinuzzi, che aspettava di
vedere l’effetto del suo progetto davanti al pubblico in sala, quella
degli attori e degli spettatori. Tra i giochi di luce dei riflettori,
va in scena il viaggio surreale del protagonista, in treno verso
l’Ungheria per incontrare l’ultimo membro rimasto in vita della
famiglia paterna sterminata ad Auschwitz. Uno zio di cui il ragazzo,
dopo aver ricevuto un colpo in testa, dimentica il nome, lo zio Coso
appunto. È proprio in quello scompartimento che incontra il dottor
Oscar, presunto veterinario austriaco giunto fin là per inculcargli le
sue verità: la seconda guerra mondiale non è mai avvenuta, né si sono
verificate tutte le conseguenze del conflitto, in un crescendo di
falsificazioni grottesche che porteranno il protagonista a convincersi
persino di non esistere. Il pubblico dimostra di apprezzare uno
spettacolo che, come il romanzo a cui si ispira, fornisce momenti
comici che hanno però l’effetto di evidenziare ulteriormente il senso
di tragedia dell’opera. Gli stereotipi antisemiti e negazionisti
vengono spinti al massimo dell’assurdità, eppure il gioco di finzione e
realtà non consente di sollevarsi dall’angoscia del pensiero che quel
che accadde venga davvero negato. Alla fine è commosso Alessandro
Schwed, in prima fila ad applaudire gli interpreti Paolo Fagiolo e
Marcela Serli che, con una performance molto intensa, hanno dato vita
ai suoi personaggi. “Questa storia per me è incredibilmente
coinvolgente – ha commentato – l’ho scritta, ma è come se non l’avessi
fatto veramente io, come se fosse stata nell’aria solo in attesa di
essere fissata su carta. È un mondo da cui, una volta entrati, non si
può più uscire”. Il regista Alessandro Marinuzzi ha invece espresso
alcune riserve “Ci sono punti su cui devo ancora lavorare, e anche gli
attori erano molto tesi, d’altronde abbiamo provato in condizioni
difficili”. Gli spettatori hanno comunque gradito molto, regalando applausi calorosi e commenti positivi.
Rossella Tercatin
|
|
|
|
|
torna su |
pilpul |
|
|
|
|
La Giustizia israeliana che non fa notizia
Il caso di Yakov Teitel, l’estremista israeliano di origine americana –
accusato dell’assassinio di due palestinesi, di contrabbando di
esplosivi e della realizzazione o pianificazione di svariati attentati
contro arabi, israeliani pacifisti e omosessuali – ha giustamente
attirato l’attenzione dell’opinione pubblica, rievocando i sinistri
ricordi di Ygal Amir (l’assassino di Rabin), Baruch Goldstein (autore,
nel 1994, della strage di 29 arabi nella moschea di Hebron) e rav
Kahane (fondatore del partito razzista Kach). E l’occasione è stata
troppo ghiotta, per certa stampa nostrana, per non descrivere il
malfattore come esponente di spicco, quantunque un po’ esagerato, del
vasto movimento dei “coloni più intransigenti”, forti “della capacità
di pressione scaturita da 43 anni d’occupazione” (il Venerdì di
Repubblica del 19 marzo). Certamente
nessuna strumentalizzazione da parte degli ‘antipatizzanti’ di Israele
ci farà retrocedere di un millimetro dalla più ferma condanna di
qualsiasi gesto di violenza e prevaricazione compiuto da cittadini
israeliani, verso chiunque e per qualsivoglia motivo. E una ripugnanza
supplementare suscita, ai nostri occhi, il fatto che Teitel - così
come, prima di lui, Amir e Goldstein – faccia sfoggio della kippà,
simbolo dell’umile sottomissione dell’uomo alla volontà divina e quindi
del rispetto assoluto di ogni vita umana. Ma questi personaggi, in
Israele, sono arrestati e condannati a lunghissime pene detentive, in
forza di sentenze emanate a seguito di regolari processi, con tutte le
garanzie di uno stato di diritto, e col pieno e radicato consenso della
totalità (vogliamo dire del 99,9 %?) dell’opinione pubblica israeliana.
Niente pubbliche ammissioni di colpa, come a Cuba, né impiccagioni in
piazza, come in Iran, né, soprattutto, entusiastiche acclamazioni da
eroi della patria, come quelle recentemente tributate, in Libano e in
Libia, a terroristi responsabili di avere massacrato bambini o di avere
fatto esplodere aerei in volo. Una differenza non di poco conto, che
però, come si dice, “non fa notizia”.
Francesco Lucrezi, storico |
|
|
|
|
torna su |
rassegna stampa |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Avvenire
(e così pure i primi notiziari RAI di oggi) ci informa della decisione
di Abu Mazen di voler aprire ai negoziati indiretti con Netanyahu. Lo
ha annunciato in una intervista all’israeliana Canal 2 nel corso della
quale ha detto di attendersi l’appoggio della Lega Araba che si riunirà
il prossimo 1 maggio. Non dubito che i capi arabi, che tante volte
abbiamo visto tuttavia addormentati durante queste riunioni, pronti a
rientrare nelle loro case al termine di inconcludenti conversazioni
senza neppure presentarsi ai giornalisti, approveranno questa novità
che tuttavia ben difficilmente potrà portare effettivi cambiamenti.
Frena Abu Mazen di fronte alla dichiarata decisione del suo primo
ministro Fayyad di proclamare lo stato palestinese nel 2011; accetta
forze NATO, a guida USA, a separare i due Stati; accetta il baratto,
già discusso con Olmert, tra territori analoghi per dimensione e
rilevanza (ma mi chiedo se è davvero sicuro che tanti israeliani
palestinesi siano pronti a perdere la loro cittadinanza israeliana, ed
i relativi vantaggi, in favore di quella palestinese); è pronto ad
iniziare trattative indirette con Bibi Netanyahu. Viene da chiedersi a
cosa è servito questo blocco delle trattative durato tanti mesi, se non
forse a mettere a punto certi segreti accordi interni al suo gruppo
dirigente. Viene anche da chiedersi che interesse possa avere Israele a
firmare un eventuale accordo con un presidente oramai non più legittimo
in base alle stesse leggi dell’Autorità Nazionale Palestinese; non
dimentichiamo infatti la facilità degli arabi a disconoscere tanti
accordi ufficiali da altri firmati nella pienezza del loro potere; che
succederebbe per un accordo firmato da un leader palestinese senza
titolo?. Nella stessa giornata, tuttavia, Abu Mazen firma anche un
decreto che mira al boicottaggio dei prodotti delle “colonie”; in tal
modo, va chiarito, colpisce i suoi stessi sudditi che, dal lavoro con
gli ebrei, traggono la loro principale fonte di sostentamento. Sul Sole 24 Ore
Moises Naim esprime un parere opposto a quello di Abu Mazen, vedendo
avvicinarsi la concretizzazione del progetto di Fayyad di creare uno
stato palestinese nel 2011. Ma dalla lettura di questo articolo devo
confessare di non riconoscere quello Stato di Israele da poco da me
visitato, trovandovi piuttosto tante parole di facile effetto, ma
slegate dalla realtà. In una breve sul Corriere
viene riportato l’incontro tra il ministro della difesa Barak e il
segretario di Stato (quindi ministro degli esteri) Clinton, definito
come “eccellente, molto costruttivo, positivo”. C’è da chiedersi quale
sia la reale rappresentanza della Clinton oggi, depauperata dal suo
presidente di molti poteri propri della sua carica; e bisogna anche
chiedersi che cosa bolla in pentola a Washington; potrebbe essere un
forte tentativo dell’amministrazione di recuperare consensi
nell’avvicinarsi delle importanti elezioni di mid term, usando proprio
la Clinton, cioè una delle persone meno compromesse nell’attuale gelo
tra USA ed Israele. Interessante, come sempre, Giulio Meotti sul Foglio,
con un’analisi della situazione in Egitto che si avvicina alle
elezioni. Dopo 60 anni che hanno visto avvicendarsi solo 3 capi di
Stato, il paese sembra aprirsi a profondi cambiamenti; ce la potrà fare
El Baradei che gode dei favori dei Fratelli Musulmani? Certamente
questi ultimi sono su posizioni vicine al Khomeinismo, vogliono
interrompere ogni relazione politica ed economica con Israele,
annunciano un difficile futuro per la donna egiziana (si vedrà un
grande incremento di circoncisioni femminili) ed annunciano pesanti
limitazioni alle libertà della forte minoranza copta; già decisero che
non potessero più costruire chiese, ma ora rischiano di allontanare dal
paese la loro elite, riuscendo poi a convertire all’islam la parte più
povera di questa antica comunità. Sarebbe un nuovo successo dell’islam,
nel silenzio del mondo. Su Liberal Ron Ben Yishal firma un articolo che
presenta le prossime manovre congiunte tra Turchi e Siriani:
ufficialmente sono manovre mirate alla lotta di questi due Stati (e
degli iracheni) contro la minoranza curda, ma non possono non entrare
in gioco le importanti forniture militari fatte, ancora recentemente (i
formidabili droni) da Israele all’ex alleato turco. Appare sempre più
evidente come Erdogan miri a fare del suo stato la nuova potenza
egemone del Medio Oriente. Restando in questa regione, sul Sole 24 Ore,
in una breve, leggiamo che il capo del Pentagono accusa Siria ed Iran
di aver venduto a Hezbollah missili molto sofisticati. Mi chiedo se se
ne accorga solo oggi (o se non agisca piuttosto solo oggi nello stesso
spirito che io credo di vedere nell’incontro della Clinton con Barak,
descritto poco sopra). Sarebbe ora che qualcuno si accorgesse anche che
le truppe Unifil dislocate nell’area non possono, in nessun modo,
svolgere il loro compito. Sul Mattino
si trova la dichiarazione fatta ad Al Jazeera da quello che potrebbe
essere il nuovo numero uno di Al Qaeda, Anwar Al-Awlaki, imam che, dopo
aver studiato in America e insegnato nello Yemen ed essere stato colà
incarcerato per sovversione, finse un proprio pentimento. E’ tipico di
quelle genti fingere per ottenere quello che vogliono al momento; non è
questo un caso unico, ed altri ne abbiamo conosciuti, altrettanto
clamorosi, negli ultimi mesi. Oggi, di nuovo latitante, si vanta del
tentato abbattimento di un aereo americano ad opera di uno studente
inglese, suo discepolo, e della strage compiuta in una base in Texas
dove sono morti 13 militari. Solo l’altro giorno l’ultimo attacco,
portato contro l’ambasciatore inglese nello Yemen, uscito indenne da un
attentato che per fortuna ha visto solo la morte del giovane kamikaze.
Interessante la lettura di un editoriale del Foglio
sul laicismo: in America vi è una “buona laicità”, e religione e
modernità coabitano in sostanziale separazione tra Chiesa e Stato; “i
musulmani sono meglio integrati che non nelle periferie turcomanne di
Berlino, nella banlieu parigina o nelle corti della sharia di Londra”. Il Fatto,
in una breve, riporta di un riuscito attacco di hacker israeliani
contro il sito dell’agenzia di stampa ufficiale libanese: gli
attaccanti israeliani hanno promesso una ricompensa a chiunque
permetterà di avere notizie dell’aviatore israeliano Ron Arad da tanti
anni scomparso, e di altri militari dispersi, ma intanto il sito è
rimasto inoperoso per alcune ore a causa del “vile” attacco. Infine Il Secolo
riprende la notizia delle dimissioni di Scialoja motivate,
essenzialmente, dal non poter approvare la nomina di Panella e Morigi
nel comitato per l’Islam voluto da Maroni. L’integrazione del milione e
mezzo (cifra di Scialoja) di musulmani in Italia non è un favore fatto
agli islamici, ma fa comodo a tutti, ci dice l’ex ambasciatore italiano
a Riad. Emanuel Segre Amar |
|
|
|
|
torna su |
notizieflash |
|
|
|
|
Washington, il piano USA contro il nucleare iraniano Washington, 27 apr - Il
segretario alla Difesa americano Robert Gates s'é detto soddisfatto del
piano del Pentagono messo a punto per affrontare la minaccia del
programma nucleare iraniano. Soddisfazione è stata espressa anche dal
suo omologo israeliano Ehud Barack che a sua volta ha lodato la
condotta seguita fin qui dagli States: "Ora è il momento giusto - ha
detto Barack - per portare avanti le sanzioni e l'azione diplomatica".
|
|
|
|
|
|
a su |
|
L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei
l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere
ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo
e-mail, scrivete a: desk@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”. |
|
|