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L'Unione informa
 
    30 aprile 2010 - 16 Iyar 5770  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
alef/tav    
  roberto colombo Roberto Colombo,
rabbino 
Non lamentiamoci troppo per le dispute comunitarie. Un tempo erano assai più violente. A metà del 1800 un colto laico di Bucarest chiese al rabbino Meïr Leibush ben Jechiel Michaèl, noto con l’acronimo di  Malbìm: "E’ scritto nel Talmùd che quando passa un rav ci si deve alzare e quando passa un cane ci si deve abbassare. Qual è la regola quando il Rabbino e il cane sono assieme?”. Il Malbìm, colse subito la derisione dell’uomo che paragonava il rav a un cane, così rispose: “Non so la risposta. Ma Hillèl insegnò che quando non si conosce una norma si deve vedere come il pubblico si comporta per risolvere la questione. Dunque usciamo per la strada io e te e vediamo se la gente si alza per il passaggio del rav o si siede per quello del cane”. Dispute violente,
nel passato, ma almeno molti avevano ancora la cultura per discutere su un passo del Talmùd.
Parigi. La grande mostra al Musée d’Orsay dal titolo “Crime e chatiment”  (Delitto e castigo) riscuote un enorme successo.. Dipinti, disegni, sculture che,  come sottolineano i curatori,  non giustificano né denunciano il Male, ma trasmettono il fascino per il crimine, un soggetto privilegiato dagli artisti i quali si interrogano anche sul castigo considerato a sua volta un altro crimine. I visitatori procedono di sala in sala compostamente bisbigliando commenti. Raramente sono impressionati dalla descrizione della sofferenza  che trasmettono quei dipinti così fedeli alla realtà da sembrare istantanee in punto di morte. Sulla riva destra della Senna, nel cuore del Marais  al Memoriale della Shoà c’è un’altra mostra “Filmer le champ” dedicata  ai tre registi – Ford, Fuller e Stevens – che riveleranno  al mondo l’orrore dei campi di concentramento nazisti documentando Dachau e l’avanzata delle truppe alleate. I filmati, che saranno proiettati  come prove a Norimberga nel novembre 1945,  condizioneranno successivamente il percorso artistico dei tre registri  ma anche il nostro lessico e la nostra riflessione sull’uomo: “dall’atroce” ai “campi di sterminio”.
Sonia Brunetti Luzzati,
pedagogista
sonia brunetti  
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  Moked - Un premio per la cultura ebraica


moise leviC’è un patrimonio di lavoro, nel cuore delle Comunità ebraiche, che rimane sconosciuto. Un impegno di tutti i giorni, prezioso per la sua diffusione, che costruisce cultura e conoscenza in uno sforzo appassionato di trasmissione dei valori ebraici. A riconoscerne l’importanza e la portata giunge ora, per la prima volta in Italia, il Premio educazione e cultura del Dipartimento Educazione e Cultura (Dec) dell’UCEI. Il riconoscimento, che sarà assegnato domani sera, nella convention annuale in corso in questi giorni, vuole premiare quanti nel silenzio si prodigano, in forme diverse, sul fronte culturale: nelle scuole, nei Talmud Torah e nelle iniziative di studio. In questa prima edizione il Premio sarà assegnato a Moise Levy (nella foto) medico, milanese, per la sua appassionata opera di traduzione di testi fondamentali della tradizione ebraica, tra cui la Torah e le Haftaroth, il Kizur Shulchan Aruch e i Salmi. Testi in gran parte già adottati dalle scuole ebraiche, in cui la traduzione si affianca a nuovi approcci per una migliore comprensione del testo e dei commentari.
“Molto spesso – spiega il rav Roberto Della Rocca, direttore del Dec, che ha fortemente voluto l’iniziativa – il lavoro quotidiano, capillare, che non fa parlare di sé è dato per scontato e non viene valutato nel suo reale significato. Con questo riconoscimento vogliamo invece esprimere un apprezzamento a quanti si dedicano a quest’opera incoraggiandoli a continuare nella loro opera volta a mettere a fuoco l’educazione e la cultura ebraica”.
Il Premio educazione e cultura, che s’ispira anche alle esperienze del Pras Israel e del Premio della Sochnut, punta inoltre a valorizzare le risorse interne alle Comunità ebraiche. “Oggi in Italia – dice infatti il rav Della Rocca – si premiano tanti sedicenti ebraisti che ostentano conoscenze e cultura senza davvero possederle. Chi lavora all’interno del mondo ebraico di solito rimane nell’ombra: con il Premio del Dec vorremmo porre rimedio a questo squilibrio”.
I nomi dei premiati sono stati segnalati dalle istituzioni comunitarie e quindi selezionati da una giuria.

d.g.



Moked - Musica sefardita con Raiz e Radicanto


raizDomani sera i partecipanti al Moked 2010 festeggeranno l'uscita dallo Shabbat con i canti della tradizione marrana e sefardita. Lo spettacolo musicale allestito da David Meghnagi, psicanalista e appassionato cultore di musica e canto liturgico, prevede l'esibizione di Raiz e i Radicanto.
Raiz, noto cantante partenopeo, ex voce del gruppo Almamegretta, ha raccolto grandi successi in tutti i generi in cui si è cimentato. Il progetto che sta portando avanti attualmente lo vede collaborare con il complesso barese dei Radicanto: insieme hanno iniziato una ricerca volta al recupero di sonorità e atmosfere della musica mediterranea, fondendo insieme diverse tradizione per dare corpo a suggestioni musicali vecchie e nuove insieme. David Meghnagi, organizzatore.
Arrangiando la canzone napoletana come una cantica sefardita, riscoprendo le tradizioni liturgiche degli ebrei nordafricani e della musica araba e mediorientale, Raiz e i Radicanto percorrono le culture musicali che si affacciano sul mare nostrum rileggendole attraverso prospettive inedite.
Il progetto, caratterizzato da un consapevole quanto ambizioso sperimentalismo, non vuole certo diventare materiale per gli scaffali di qualche dipartimento di etnomusicologia; intende invece lanciare, attraverso le canzoni popolari di tempi e luoghi lontani, un messaggio di pace quanto più diffuso possibile, convinto che la convergenza musicale di diversi popoli possa essere veicolo di tante altre conciliazioni, soprattutto in una regione – quella mediterranea – tanto meravigliosa quanto dilaniata da secolari conflitti, tuttora in corso.

raiz e radicantoL’obiettivo è ricreare un sound panmediterraneo, in cui si fondono ispirazioni e culture diverse ma con una comune sensibilità e da codici musicali comuni. Un concerto dall'assetto acustico, quindi, con suoni caldi e ammalianti che evocano la sensualità delle terre da cui provengono.
Il nome dello spettacolo frutto del lungo lavoro di ricerca è Musica immaginaria mediterranea. Immaginaria perché non esiste una vera e propria musica mediterranea: esistono tante tradizioni, canoni e liturgie che presentano un comune sottofondo, la dolce eco del mare su cui si affacciano tutte. L'immaginazione di Raiz e i Radicanto consiste proprio nel reinventare una poetica e una musicalità che le sintetizzi tutte, che costruisca, con i mattoni delle diverse tradizioni un'ipotetica e suggestiva essenza comune della musica mediterranea, in cui notevole influenza hanno avuto le numerose e artisticamente vitali comunità ebraiche che hanno attraversato la regione nel corso di molti secoli.
Al concerto seguiranno alcune letture teatrali ad opera di Olek Mincer, già attore del teatro statale yiddish di Varsavia, rinomato anche nel panorama cinematografico italiano ed internazionale, da sempre molto attento alle tematiche ebraiche nel suo lavoro.

Manuel Disegni



Moked - Lag BaOmer, intensità e gioia

lagbaomerQuesta domenica, il 18 di Iyar, cadrà Lag BaOmer, il trentatreesimo giorno dell’Omer (secondo la Ghematriah la lettera “lamed” [ל] vale 30 e la lettera “gimel” [ג] vale 3, pertanto le due lettere assieme fanno 33 [לג). Un momento di festa che sarà festeggiato con intensità e gioia anche dai partecipanti al Moked primaverile, la convention organizzata dal dipartimento Educazione e Cultura dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, in cui si interrompe il periodo semiluttuoso che va dal secondo giorno di Pesach e finisce con la festa di Shavuot. Durante i cinquanta giorni dell'Omer, infatti, si ricordano, oltre alle tante Comunità ebraiche che rimasero vittima delle crociate, le dodicimila coppie di allievi di Rabbi Akiva, che morirono per la diffusione di una pestilenza. Secondo la tradizione talmudica, i discepoli del celebre maestro furono puniti da D-o perché “non agirono con rispetto l’uno dell’altro”. L’epidemia che li colpì, terminò proprio il giorno di Lag BaOmer che da allora divenne un giorno di festa e, come ha ricordato Rav Adolfo Locci nel suo editoriale su Hatikwa, rappresenta il simbolo della Ahavat Israel (amore per Israele), ovvero del rispetto del prossimo.
Durante Lag BaOmer cadono, dunque, le diverse proibizioni che caratterizzano il periodo dell’Omer: è permesso celebrare matrimoni, radersi la barba o tagliarsi i capelli. Nel Medioevo questo giorno aveva assunto un significato particolare per gli allievi delle scuole rabbiniche, tanto da venire definito “Festa dello studioso”. Questa tradizione si è conservata fino ai giorni nostri, infatti in Israele, nei campus universitari, i giovani continuano a festeggiare questa ricorrenza come la “giornata dello studente”.
Oltre all’epidemia degli allievi di Rabbi Akiva, nel giorno di Lag BaOmer cade anche l’anniversario della scomparsa di Rabbì Shim‘on Bar Yochai, riconosciuto come l’autore di uno dei libri fondamentali della Kabbalah, lo Zohar. La sua tomba presso il villaggio di Meron, vicino città di Sofen, è diventato un luogo di pellegrinaggio e il 18 di Iyar viene riconosciuto come Yom Hillula, un giorno di celebrazioni gioiose e allegre. Molte persone infatti si raccolgono ogni anno a Meron per festeggiare con danze, canti ed accensioni di grandi falò il ricordo di Rabbì Shim‘on Bar Yochai. Alcuni portano i propri figli, al terzo anno di età, a rasarsi per la prima volta i capelli come segno di buon auspicio e fortuna.
Terzo avvenimento che si ricorda durante la festa di Lag BaOmer è la rivolta di Bar Kokba. Tra il 135 e il 132 e.v. Shimon Ben Kosiba, soprannominato Bar Kokba (figlio della stella), guidò l’insurrezione, inizialmente vittoriosa, di una parte del popolo di Israele contro i romani. La ribellione, di cui Rabbi Akiva fu il leader spirituale, fu poi sedata nel sangue. Bar Kokba, di cui si narrano le gesta eroiche, trovò la morte nella famosa fortezza di Betar (nome ripreso da Zeev Jabotinski nel 1923 quando creò il movimento giovanile sionista revisionista Betar), assediata per oltre un anno dalle legioni del generale Sesto Giulio Severo.
Tradizionalmente la rivolta di Bar Kokba viene ricordata con l’accensione di falò, in memoria dei fuochi di segnalazione accesi dai ribelli sulle montagne, mentre i bambini giocano con arco e frecce.

Daniel Reichel


Qui Firenze - Un incontro per ricordare e costruire
un futuro migliore


qui firenzeCosa possiamo fare per riparare il mondo dopo Auschwitz? Questa la domanda che ha fatto da filo conduttore a Perché ricordare: Un incontro sulla Memoria, meeting di approfondimento svoltosi nella Sala Comparetti della Facoltà di Lettere e Filosofia. Il fine dell’incontro era proprio quello: parlare di Memoria in un’ottica costruttiva e non meramente celebrativa. È stato un successo di contenuti e pubblico. La prof.ssa Ida Zatelli, organizzatrice dell’evento, è molto soddisfatta: “La risposta del pubblico in sala (tra cui i vertici della Comunità ebraica fiorentina) è stata più che positiva”. [...]

Adam Smulevich

Il testo integrale dell'articolo è sul Portale dell'Ebraismo italiano, moked.it 
 
 
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  Pagine di identità

anna segre Quando arrivo a trattare in classe scrittori come Svevo o Saba mi viene sempre il dubbio: se insisto sulle loro radici ebraiche gli allievi potrebbero giudicarmi campanilista, se ne parlo meno di quanto si aspettano potrei apparire reticente. A loro volta i libri di testo mi mettono a disagio quando vedono l’ebraismo da tutte le parti (nell’autoironia, nel senso di estraneità, in capre dal viso semita che assumono significati simbolici quanto meno anacronistici), come se la cultura ebraica si riducesse a questo; tuttavia mi infastidisce anche quando trascurano di segnalare le radici ebraiche degli autori, perché mi sembra che tacendo sulle possibili influenze di culture “altre” si voglia trasmettere un’impressione falsamente piatta e uniforme della letteratura italiana.
Anche all’interno del mondo ebraico oscilliamo tra due opposte tentazioni: arrampicarci sugli specchi per trovare qualcosa di ebraico anche in personaggi che possono al massimo rievocare qualche vago ricordo di famiglia, oppure negarlo perfino dove è evidente (per esempio in autori come Primo Levi). Per venirne a capo bisognerebbe prima definire la cultura ebraica, e sappiamo che è un compito impossibile. Intanto la riflessione sugli scrittori ebrei italiani ci porta a ragionare sulla nostra stessa identità.

Anna Segre, insegnante


Comix - Le origini di Capitan America

capitan americaE’ il 1941, marzo, siamo sempre a New York, dove vari fumettisti, scrittori e tipografi stanno scrivendo la storia del fumetto. E’ appena uscito un nuovo comic book con un nuovo supereroe. Si tratta di Capitan America. Dedicare qualche riga a Cap, come spesso viene amichevolmente chiamato è doveroso, visto che dalla sua creazione ha ispirato oltre tre generazioni di supereroi.
Fu creato oltre che da Jack Kirby  anche da Joe Simon. Joe era cresciuto a Rochester, New York, in una famiglia di ebrei dove il padre praticava il mestiere del sarto. Il co-autore di Cap inizia a lavorare con diversi autori e syndacate come freelance. E’ in quella occasione che incontra Kirby, nel 1998 ha così descritto quell’evento:
I had a suit and Jack thought that was really nice. He’d never seen a comic book artist with a suit before. The reason I had a suit was that my father was a tailor. Jack’s father was a tailor too, but he made pants! Anyway, I was doing freelance work and I had a little office in New York about ten blocks from DC [Comics]’ and Fox [Feature Syndicate]’s offices, and I was working on Blue Bolt for Funnies, Inc. So, of course, I loved Jack’s work and the first time I saw it I couldn’t believe what I was seeing. He asked if we could do some freelance work together. I was delighted and I took him over to my little office. We worked from the second issue of Blue Bolt...
Successivamente la Timely Comics, prima di diventare la Marvel Comics, commissiona ai due autori la creazione di un nuovo supereroe dopo il successo della Torcia Umana. Nasce così Capitan America che vende subito un milione copie. Si tratta di un personaggio figlio del periodo della guerra.

capitan america1Sempre Joe Simone dice ”The opponents to the war were all quite well organized. We wanted to have our say too.” Proprio così. Il personaggio combatte nazisti e giapponesi, presentando il punto di vista di chi ritiene che si debba combattere il pericolo nazista. Il personaggio generò una ricca discussione tra i lettori di comics spesso con lettere molto negative e la nascita di fan club.
Il duo Simon-Kirby produsse solo i primi dieci numeri, poi passò alla DC Comics. Il loro personaggio resisterà fino al 1950 per poi andare in vacanza e tornare nelle edicole americane nel marzo del 1964 nel numero 4 del comic book The Avengers. Il personaggio ha sempre rappresentato i valori di libertà tipici della società statunitensi. E li difenderà fino a morire in una delle miniserie più forti anche politicamente della Marvel, Civil War, dove i supereroi si dividono tra coloro che rivelano la loro identità e chi si rifiuta per non essere controllato dallo Stato. Una miniserie che riflette il drammatico dibattito politico e sociale sulla Libertà durante l’amministrazione di Bush junior.
Cap è contro la schedatura, contro il carcere per coloro che si oppongono. Difende quella libertà assoluta, piena, autentica che aveva difeso contro il nazismo. E morirà per questo.
Per poi tornare, come tutti gli eroi non può veramente morire. Il suo destino è perseguire l’obiettivo che gli autori gli hanno affidato. Spesso è stato associato a temi nazionalistici e troppo-americanofili, perdendo spesso nel confronto con altri “super” meno marcatamente statunitensi. Ma alla fine non può che emergere il significato più profondo, la sua identità di difensore della Libertà. Come i supereroi creati da Stan Lee, Bob Kane e tanti altri autori ebrei statunitensi, il Capitan America di Jack Kirby e Joe Simon si erge al golem che non è più tra noi e difende i più deboli da chi come il nazismo conosce solo la violenza morale e fisica.

Andrea Grilli

 
 
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Carnet contenuto quello dell’informazione in campo ebraico per la giornata di oggi. Partiamo da un lieto evento, il genetliaco di Elio Toaff, già rabbino capo della Comunità di Roma e ora figura emerita dell’ebraismo italiano. Ne fa un ritratto a tutto tondo lo storico Andrea Riccardi per il Corriere della Sera, mentre Fabio Perugia, su il Tempo, e Giovanna Casadio, su il Venerdì de La Repubblica, ricordano la lieta e festosa ricorrenza. Una vita lunga, intensa, benemerita e piena di aneddoti da raccontare a tutti noi, che siamo un po’ come i suoi “nipotini adottivi”. A tale riguardo si preannuncia di sicuro interesse il numero in uscita di «Shalom», che pubblica una bella intervista al Rav, come ci segnala Achille Scalambrin per la Nazione. Elio Toaff può vantare molti meriti, prima tra tutti un’umanità, nell’animo come nell’intelligenza, che lo ha reso interlocutore non solo della sua comunità ma anche dell’intera nazione. Non di meno è e rimane innanzi tutto un esponente di primo piano dell’ebraismo peninsulare, proveniente da quegli ambienti culturali che dall’epopea del Risorgimento, inteso come unificazione degli spiriti e unione delle volontà, trassero la forza e la motivazione per dare nuova linfa all’identità degli ebrei, la cui identificazione con l’Italia, nei momenti migliori come in quelli più difficili, divenne il tratto saliente del proprio modo di essere e di vivere la propria contemporaneità. Mazal tov, quindi, poiché nella sua persona si rispecchia una tradizione nel medesimo tempo profonda e condivisa, lontana da qualsiasi geloso particolarismo perché aperta al confronto con il mondo circostante. Da questo punto di vista, il suo magistero, esercitato in anni anche molto travagliati, si è riverberato su tutta la nazione, ricordando agli italiani quanta importanza vada attribuita, ieri come oggi, alla presenza di una vivace ancorché piccola Comunità ebraica, che è presidio di storia e identità, non solo proprie. L’una e l’altra, quindi, patrimonio nazionale. Si è troppo spesso dimentichi, qualche volta anche in casa propria, di quale sia la lunga linea di continuità che collega il presente degli ebrei italiani a un passato di fervido impegno nella costruzione di uno Stato unitario e di una società informata ai principi della solidarietà e della reciprocità. In Toaff, peraltro, si conserva e si rinnova quella linea di continuità che trova nel livornese Elia Benamozegh, già maestro del padre di Elio, il primo punto di riferimento, per poi proseguire con Dante Lattes fino ad arrivare ai giorni nostri. Il messaggio, rigorosamente monoteistico, assume in questo caso una vocazione universalistica, rivolgendosi anche ai noachiti e, più in generale, a quanti, pur non ebrei, possono e intendono cogliere il principio di umanità del quale, secondo Lattes, l’ebraismo è intimamente depositario. Per venire a fatti più prosaici e, purtroppo, anche più prevedibili nella loro ossessionante reiterazione, i giornali di oggi rimandano all’ennesima polemica innescatasi dopo la morte di quattro palestinesi, deceduti in uno dei tunnel che collegano la striscia di Gaza al territorio egiziano. Ne danno resoconto Francesco Battistini per il Corriere della Sera, Annalena Di Giovanni su Terra e, con un “francobollo”, Michele Giorgio per il Manifesto. L’accusa rivolta dalla leadership politica palestinese alle autorità cairote, è quella di avere deliberatamente assassinato i quattro clandestini, ricorrendo al gas che, secondo Hamas, sarebbero stato lanciato all’interno dei sottopassaggi. Antonio Picasso, su Liberal, coglie lo spunto dalla notizia di cronaca per affrontare il tema del difficile rapporto tra l’Egitto, nel delicato momento della transizione di potere da Hosni Mubarak al figlio Gamal (notare il passaggio di consegne, che si consuma all’interno della medesima famiglia), e le organizzazioni del radicalismo islamico. Per la verità non si tratta certo di una novità il fatto che queste ultime ambiscano a destabilizzare il «faraone», così come i governanti del Cairo sono chiamati dagli estremisti musulmani. Le vicende che portarono all’assassinio, nel 1981, di Sadat, così come il fatto che l’Egitto, già alla fine degli anni Venti, sia stata la culla della Fratellanza musulmana, la maggiore organizzazione dell’integralismo sunnita, stanno a dimostrare la linea di continuità tra le tensioni di ieri e di oggi. Non di meno si aggiunge ora la scarsa (se non nulla) propensione degli egiziani nei confronti dei palestinesi medesimi, visti come un fattore di destabilizzazione a livello regionale. La scelta di “sigillare” Gaza, con la costruzione di un solido muro interrato, destinato ad interrompere i collegamenti con il territorio circostante, si inscrive in questa strategia dell’isolamento che trova buona parte dei paesi arabi di fatto silenziosamente consenzienti. Poiché una cosa non si è forse ancora intesa, ovvero che se la causa di uno Stato palestinese indipendente è a tutt’oggi agitata nel consesso internazionale come uno strumento di pressione politica, nei fatti l’isolamento che le popolazioni di Gaza e della Cisgiordania stanno vivendo (più la prima che non la seconda, ad onore del vero) è, prima di tutto, il risultato di un’antica diffidenza araba, che trae le sue radici dal mancato riconoscimento, nel 1948, non solo del diritto all’esistenza d’Israele ma anche di quello di uno Stato indipendente per gli arabi dei territori mandatari. Non si dava spazio, allora, per l’uno come per l’altro; dopo di che lo Stato degli ebrei nacque nel nome di una determinazione politica che alla controparte mancava del tutto. Assai improbabile che ora i maggiorenti dei paesi limitrofi ad Israele concedano ai palestinesi una indipendenza politica che vedono come fumo negli occhi. Insomma, i primi ad osteggiare qualsiasi forma di futuro che non sia quello della più totale dipendenza sono quegli stessi che a parole si dichiarano i patrocinatori dell’altrui libertà.
 

Claudio Vercelli

 
 
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Processo di pace: appello  Hillary Clinton                                      Washington, 30 apr -
Il segretario di Stato americano, Hillary Clinton, intervenendo a Washington ad un incontro organizzato dalla associazione ebraica American Jews Commission (AJC) ha rivolto un appello agli Stati Arabi affinché intraprendano "passi concreti" per rafforzare il processo di pace in Medio Oriente tra israeliani e palestinesi. "Sono necessarie misure precise per dimostrare a israeliani e a palestinesi che la pace è possibile e che porterà benefici tangibili". La Clinton si è appellata in particolare alla Siria, sottolineando che "ogni missile od ogni trasferimento d'armi a Hezbollah o ad Hamas consegnato di contrabbando nel sud del Libano o a Gaza fa arretrare la causa della pace". Secondo il segretario di Stato americano, i Paesi Arabi devono continuare a sostenere il presidente palestinese, Mamud Abbas, nella sua volontà di negoziare con Israele. I ministri degli Esteri dei Paesi Arabi si incontreranno sabato prossimo e per questo Hillary Clinton li ha invitati a "fare di più" per dare "una risposta positiva" alla proposta americana di riavviare i colloqui di pace. I Paesi Arabi, ha detto, devono "tendere la mano" a Israele, e mettere fine al suo isolamento regionale. Nello stesso tempo devono sostenere Abbas nel suo sforzo di costruire istituzioni palestinesi forti. Quanto allo Stato ebraico, il segretario di Stato ha detto che Israele "deve fare la sua parte, rispettando le aspirazioni legittime dei palestinesi, mettendo fine alle attività di colonizzazione, rispondendo ai bisogni umanitari di Gaza". Hillary Clinton ha quindi espresso l'auspicio che tutte le parti di adoperino per rafforzare gli scambi commerciali, le linee aeree, le comunicazioni postali, gli "scambi da persona a persona".



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