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L'Unione informa |
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30 aprile 2010 - 16 Iyar 5770 |
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alef/tav |
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Roberto Colombo, rabbino |
Non
lamentiamoci troppo per le dispute comunitarie. Un tempo erano assai
più violente. A metà del 1800 un colto laico di Bucarest chiese al
rabbino Meïr Leibush ben Jechiel Michaèl, noto con l’acronimo di
Malbìm: "E’ scritto nel Talmùd che quando passa un rav ci si deve
alzare e quando passa un cane ci si deve abbassare. Qual è la regola
quando il Rabbino e il cane sono assieme?”. Il Malbìm, colse subito la
derisione dell’uomo che paragonava il rav a un cane, così rispose: “Non
so la risposta. Ma Hillèl insegnò che quando non si conosce una norma
si deve vedere come il pubblico si comporta per risolvere la questione.
Dunque usciamo per la strada io e te e vediamo se la gente si alza per
il passaggio del rav o si siede per quello del cane”. Dispute violente,
nel passato, ma almeno molti avevano ancora la cultura per discutere su un passo del Talmùd. |
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Parigi.
La grande mostra al Musée d’Orsay dal titolo “Crime e chatiment”
(Delitto e castigo) riscuote un enorme successo.. Dipinti, disegni,
sculture che, come sottolineano i curatori, non
giustificano né denunciano il Male, ma trasmettono il fascino per il
crimine, un soggetto privilegiato dagli artisti i quali si interrogano
anche sul castigo considerato a sua volta un altro crimine. I
visitatori procedono di sala in sala compostamente bisbigliando
commenti. Raramente sono impressionati dalla descrizione della
sofferenza che trasmettono quei dipinti così fedeli alla realtà
da sembrare istantanee in punto di morte. Sulla riva destra della
Senna, nel cuore del Marais al Memoriale della Shoà c’è un’altra
mostra “Filmer le champ” dedicata ai tre registi –
Ford, Fuller e Stevens – che riveleranno al mondo l’orrore
dei campi di concentramento nazisti documentando Dachau e l’avanzata
delle truppe alleate. I filmati, che saranno proiettati come
prove a Norimberga nel novembre 1945, condizioneranno
successivamente il percorso artistico dei tre registri ma anche
il nostro lessico e la nostra riflessione sull’uomo: “dall’atroce” ai
“campi di sterminio”.
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Sonia Brunetti Luzzati,
pedagogista |
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davar |
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Moked - Un premio per la cultura ebraica
C’è
un patrimonio di lavoro, nel cuore delle Comunità ebraiche, che rimane
sconosciuto. Un impegno di tutti i giorni, prezioso per la sua
diffusione, che costruisce cultura e conoscenza in uno sforzo
appassionato di trasmissione dei valori ebraici. A riconoscerne
l’importanza e la portata giunge ora, per la prima volta in Italia, il
Premio educazione e cultura del Dipartimento Educazione e Cultura (Dec)
dell’UCEI. Il riconoscimento, che sarà assegnato domani sera, nella
convention annuale in corso in questi giorni, vuole premiare quanti nel
silenzio si prodigano, in forme diverse, sul fronte culturale: nelle
scuole, nei Talmud Torah e nelle iniziative di studio. In questa prima
edizione il Premio sarà assegnato a Moise Levy (nella foto) medico,
milanese, per la sua appassionata opera di traduzione di testi
fondamentali della tradizione ebraica, tra cui la Torah e le Haftaroth,
il Kizur Shulchan Aruch e i Salmi. Testi in gran parte già adottati
dalle scuole ebraiche, in cui la traduzione si affianca a nuovi
approcci per una migliore comprensione del testo e dei commentari. “Molto
spesso – spiega il rav Roberto Della Rocca, direttore del Dec, che ha
fortemente voluto l’iniziativa – il lavoro quotidiano, capillare, che
non fa parlare di sé è dato per scontato e non viene valutato nel suo
reale significato. Con questo riconoscimento vogliamo invece esprimere
un apprezzamento a quanti si dedicano a quest’opera incoraggiandoli a
continuare nella loro opera volta a mettere a fuoco l’educazione e la
cultura ebraica”. Il Premio educazione e cultura, che s’ispira
anche alle esperienze del Pras Israel e del Premio della Sochnut, punta
inoltre a valorizzare le risorse interne alle Comunità ebraiche. “Oggi
in Italia – dice infatti il rav Della Rocca – si premiano tanti
sedicenti ebraisti che ostentano conoscenze e cultura senza davvero
possederle. Chi lavora all’interno del mondo ebraico di solito rimane
nell’ombra: con il Premio del Dec vorremmo porre rimedio a questo
squilibrio”. I nomi dei premiati sono stati segnalati dalle istituzioni comunitarie e quindi selezionati da una giuria.
d.g.
Moked - Musica sefardita con Raiz e Radicanto
Domani
sera i partecipanti al Moked 2010 festeggeranno l'uscita dallo Shabbat
con i canti della tradizione marrana e sefardita. Lo spettacolo
musicale allestito da David Meghnagi, psicanalista e appassionato
cultore di musica e canto liturgico, prevede l'esibizione di Raiz e i
Radicanto. Raiz,
noto cantante partenopeo, ex voce del gruppo Almamegretta, ha raccolto
grandi successi in tutti i generi in cui si è cimentato. Il progetto
che sta portando avanti attualmente lo vede collaborare con il
complesso barese dei Radicanto: insieme hanno iniziato una ricerca
volta al recupero di sonorità e atmosfere della musica mediterranea,
fondendo insieme diverse tradizione per dare corpo a suggestioni
musicali vecchie e nuove insieme. David Meghnagi, organizzatore. Arrangiando
la canzone napoletana come una cantica sefardita, riscoprendo le
tradizioni liturgiche degli ebrei nordafricani e della musica araba e
mediorientale, Raiz e i Radicanto percorrono le culture musicali che si
affacciano sul mare nostrum rileggendole attraverso prospettive inedite. Il
progetto, caratterizzato da un consapevole quanto ambizioso
sperimentalismo, non vuole certo diventare materiale per gli scaffali
di qualche dipartimento di etnomusicologia; intende invece lanciare,
attraverso le canzoni popolari di tempi e luoghi lontani, un messaggio
di pace quanto più diffuso possibile, convinto che la convergenza
musicale di diversi popoli possa essere veicolo di tante altre
conciliazioni, soprattutto in una regione – quella mediterranea – tanto
meravigliosa quanto dilaniata da secolari conflitti, tuttora in corso.
L’obiettivo
è ricreare un sound panmediterraneo, in cui si fondono ispirazioni e
culture diverse ma con una comune sensibilità e da codici musicali
comuni. Un concerto dall'assetto acustico, quindi, con suoni caldi e
ammalianti che evocano la sensualità delle terre da cui provengono. Il
nome dello spettacolo frutto del lungo lavoro di ricerca è Musica
immaginaria mediterranea. Immaginaria perché non esiste una vera e
propria musica mediterranea: esistono tante tradizioni, canoni e
liturgie che presentano un comune sottofondo, la dolce eco del mare su
cui si affacciano tutte. L'immaginazione di Raiz e i Radicanto consiste
proprio nel reinventare una poetica e una musicalità che le sintetizzi
tutte, che costruisca, con i mattoni delle diverse tradizioni
un'ipotetica e suggestiva essenza comune della musica mediterranea, in
cui notevole influenza hanno avuto le numerose e artisticamente vitali
comunità ebraiche che hanno attraversato la regione nel corso di molti
secoli. Al
concerto seguiranno alcune letture teatrali ad opera di Olek Mincer,
già attore del teatro statale yiddish di Varsavia, rinomato anche nel
panorama cinematografico italiano ed internazionale, da sempre molto
attento alle tematiche ebraiche nel suo lavoro.
Manuel Disegni
Moked - Lag BaOmer, intensità e gioia
Questa
domenica, il 18 di Iyar, cadrà Lag BaOmer, il trentatreesimo giorno
dell’Omer (secondo la Ghematriah la lettera “lamed” [ל] vale 30 e la
lettera “gimel” [ג] vale 3, pertanto le due lettere assieme fanno 33 [לג).
Un momento di festa che sarà festeggiato con intensità e gioia anche
dai partecipanti al Moked primaverile, la convention organizzata dal
dipartimento Educazione e Cultura dell'Unione delle Comunità Ebraiche
Italiane, in cui si interrompe il periodo semiluttuoso che va dal
secondo giorno di Pesach e finisce con la festa di Shavuot. Durante i
cinquanta giorni dell'Omer, infatti, si ricordano, oltre alle tante
Comunità ebraiche che rimasero vittima delle crociate, le dodicimila
coppie di allievi di Rabbi Akiva, che morirono per la diffusione di una
pestilenza. Secondo la tradizione talmudica, i discepoli del celebre
maestro furono puniti da D-o perché “non agirono con rispetto l’uno
dell’altro”. L’epidemia che li colpì, terminò proprio il giorno di Lag
BaOmer che da allora divenne un giorno di festa e, come ha ricordato
Rav Adolfo Locci nel suo editoriale su Hatikwa, rappresenta il simbolo
della Ahavat Israel (amore per Israele), ovvero del rispetto del
prossimo. Durante Lag BaOmer cadono, dunque, le diverse
proibizioni che caratterizzano il periodo dell’Omer: è permesso
celebrare matrimoni, radersi la barba o tagliarsi i capelli. Nel
Medioevo questo giorno aveva assunto un significato particolare per gli
allievi delle scuole rabbiniche, tanto da venire definito “Festa dello
studioso”. Questa tradizione si è conservata fino ai giorni nostri,
infatti in Israele, nei campus universitari, i giovani continuano a
festeggiare questa ricorrenza come la “giornata dello studente”. Oltre
all’epidemia degli allievi di Rabbi Akiva, nel giorno di Lag BaOmer
cade anche l’anniversario della scomparsa di Rabbì Shim‘on Bar Yochai,
riconosciuto come l’autore di uno dei libri fondamentali della
Kabbalah, lo Zohar. La sua tomba presso il villaggio di Meron, vicino
città di Sofen, è diventato un luogo di pellegrinaggio e il 18 di Iyar
viene riconosciuto come Yom Hillula, un giorno di celebrazioni gioiose
e allegre. Molte persone infatti si raccolgono ogni anno a Meron per
festeggiare con danze, canti ed accensioni di grandi falò il ricordo di
Rabbì Shim‘on Bar Yochai. Alcuni portano i propri figli, al terzo anno
di età, a rasarsi per la prima volta i capelli come segno di buon
auspicio e fortuna. Terzo avvenimento che si ricorda durante la
festa di Lag BaOmer è la rivolta di Bar Kokba. Tra il 135 e il 132 e.v.
Shimon Ben Kosiba, soprannominato Bar Kokba (figlio della stella),
guidò l’insurrezione, inizialmente vittoriosa, di una parte del popolo
di Israele contro i romani. La ribellione, di cui Rabbi Akiva fu il
leader spirituale, fu poi sedata nel sangue. Bar Kokba, di cui si
narrano le gesta eroiche, trovò la morte nella famosa fortezza di Betar
(nome ripreso da Zeev Jabotinski nel 1923 quando creò il movimento
giovanile sionista revisionista Betar), assediata per oltre un anno
dalle legioni del generale Sesto Giulio Severo. Tradizionalmente
la rivolta di Bar Kokba viene ricordata con l’accensione di falò, in
memoria dei fuochi di segnalazione accesi dai ribelli sulle montagne,
mentre i bambini giocano con arco e frecce.
Daniel Reichel
Qui Firenze - Un incontro per ricordare e costruire un futuro migliore
Cosa
possiamo fare per riparare il mondo dopo Auschwitz? Questa la domanda
che ha fatto da filo conduttore a Perché ricordare: Un incontro sulla
Memoria, meeting di approfondimento svoltosi nella Sala Comparetti
della Facoltà di Lettere e Filosofia. Il fine dell’incontro era proprio
quello: parlare di Memoria in un’ottica costruttiva e non meramente
celebrativa. È stato un successo di contenuti e pubblico. La prof.ssa
Ida Zatelli, organizzatrice dell’evento, è molto soddisfatta: “La
risposta del pubblico in sala (tra cui i vertici della Comunità ebraica
fiorentina) è stata più che positiva”. [...]
Adam Smulevich
Il testo integrale dell'articolo è sul Portale dell'Ebraismo italiano, moked.it
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Pagine di identità
Quando arrivo a trattare in classe scrittori come Svevo o Saba mi viene
sempre il dubbio: se insisto sulle loro radici ebraiche gli allievi
potrebbero giudicarmi campanilista, se ne parlo meno di quanto si
aspettano potrei apparire reticente. A loro volta i libri di testo mi
mettono a disagio quando vedono l’ebraismo da tutte le parti
(nell’autoironia, nel senso di estraneità, in capre dal viso semita che
assumono significati simbolici quanto meno anacronistici), come se la
cultura ebraica si riducesse a questo; tuttavia mi infastidisce anche
quando trascurano di segnalare le radici ebraiche degli autori, perché
mi sembra che tacendo sulle possibili influenze di culture “altre” si
voglia trasmettere un’impressione falsamente piatta e uniforme della
letteratura italiana. Anche
all’interno del mondo ebraico oscilliamo tra due opposte tentazioni:
arrampicarci sugli specchi per trovare qualcosa di ebraico anche in
personaggi che possono al massimo rievocare qualche vago ricordo di
famiglia, oppure negarlo perfino dove è evidente (per esempio in autori
come Primo Levi). Per venirne a capo bisognerebbe prima definire la
cultura ebraica, e sappiamo che è un compito impossibile. Intanto la
riflessione sugli scrittori ebrei italiani ci porta a ragionare sulla
nostra stessa identità.
Anna Segre, insegnante
Comix - Le origini di Capitan America
E’
il 1941, marzo, siamo sempre a New York, dove vari fumettisti,
scrittori e tipografi stanno scrivendo la storia del fumetto. E’ appena
uscito un nuovo comic book con un nuovo supereroe. Si tratta di Capitan
America. Dedicare qualche riga a Cap, come spesso viene amichevolmente
chiamato è doveroso, visto che dalla sua creazione ha ispirato oltre
tre generazioni di supereroi. Fu creato oltre che da Jack Kirby
anche da Joe Simon. Joe era cresciuto a Rochester, New York, in una
famiglia di ebrei dove il padre praticava il mestiere del sarto. Il
co-autore di Cap inizia a lavorare con diversi autori e syndacate come
freelance. E’ in quella occasione che incontra Kirby, nel 1998 ha così
descritto quell’evento: I had a
suit and Jack thought that was really nice. He’d never seen a comic
book artist with a suit before. The reason I had a suit was that my
father was a tailor. Jack’s father was a tailor too, but he made pants!
Anyway, I was doing freelance work and I had a little office in New
York about ten blocks from DC [Comics]’ and Fox [Feature Syndicate]’s
offices, and I was working on Blue Bolt for Funnies, Inc. So, of
course, I loved Jack’s work and the first time I saw it I couldn’t
believe what I was seeing. He asked if we could do some freelance work
together. I was delighted and I took him over to my little office. We
worked from the second issue of Blue Bolt... Successivamente
la Timely Comics, prima di diventare la Marvel Comics, commissiona ai
due autori la creazione di un nuovo supereroe dopo il successo della
Torcia Umana. Nasce così Capitan America che vende subito un milione
copie. Si tratta di un personaggio figlio del periodo della guerra.
Sempre
Joe Simone dice ”The opponents to the war were all quite well
organized. We wanted to have our say too.” Proprio così. Il personaggio
combatte nazisti e giapponesi, presentando il punto di vista di chi
ritiene che si debba combattere il pericolo nazista. Il personaggio
generò una ricca discussione tra i lettori di comics spesso con lettere
molto negative e la nascita di fan club. Il duo Simon-Kirby
produsse solo i primi dieci numeri, poi passò alla DC Comics. Il loro
personaggio resisterà fino al 1950 per poi andare in vacanza e tornare
nelle edicole americane nel marzo del 1964 nel numero 4 del comic book
The Avengers. Il personaggio ha sempre rappresentato i valori di
libertà tipici della società statunitensi. E li difenderà fino a morire
in una delle miniserie più forti anche politicamente della Marvel,
Civil War, dove i supereroi si dividono tra coloro che rivelano la loro
identità e chi si rifiuta per non essere controllato dallo Stato. Una
miniserie che riflette il drammatico dibattito politico e sociale sulla
Libertà durante l’amministrazione di Bush junior. Cap è contro la
schedatura, contro il carcere per coloro che si oppongono. Difende
quella libertà assoluta, piena, autentica che aveva difeso contro il
nazismo. E morirà per questo. Per poi tornare, come tutti gli eroi
non può veramente morire. Il suo destino è perseguire l’obiettivo che
gli autori gli hanno affidato. Spesso è stato associato a temi
nazionalistici e troppo-americanofili, perdendo spesso nel confronto
con altri “super” meno marcatamente statunitensi. Ma alla fine non può
che emergere il significato più profondo, la sua identità di difensore
della Libertà. Come i supereroi creati da Stan Lee, Bob Kane e tanti
altri autori ebrei statunitensi, il Capitan America di Jack Kirby e Joe
Simon si erge al golem che non è più tra noi e difende i più deboli da
chi come il nazismo conosce solo la violenza morale e fisica.
Andrea Grilli
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rassegna stampa |
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Carnet
contenuto quello dell’informazione in campo ebraico per la giornata di
oggi. Partiamo da un lieto evento, il genetliaco di Elio Toaff, già
rabbino capo della Comunità di Roma e ora figura emerita dell’ebraismo
italiano. Ne fa un ritratto a tutto tondo lo storico Andrea Riccardi
per il Corriere della Sera, mentre Fabio Perugia, su il Tempo, e Giovanna Casadio, su il Venerdì de La Repubblica,
ricordano la lieta e festosa ricorrenza. Una vita lunga, intensa,
benemerita e piena di aneddoti da raccontare a tutti noi, che siamo un
po’ come i suoi “nipotini adottivi”. A tale riguardo si preannuncia di
sicuro interesse il numero in uscita di «Shalom», che pubblica una
bella intervista al Rav, come ci segnala Achille Scalambrin per la Nazione.
Elio Toaff può vantare molti meriti, prima tra tutti un’umanità,
nell’animo come nell’intelligenza, che lo ha reso interlocutore non
solo della sua comunità ma anche dell’intera nazione. Non di meno è e
rimane innanzi tutto un esponente di primo piano dell’ebraismo
peninsulare, proveniente da quegli ambienti culturali che dall’epopea
del Risorgimento, inteso come unificazione degli spiriti e unione delle
volontà, trassero la forza e la motivazione per dare nuova linfa
all’identità degli ebrei, la cui identificazione con l’Italia, nei
momenti migliori come in quelli più difficili, divenne il tratto
saliente del proprio modo di essere e di vivere la propria
contemporaneità. Mazal tov, quindi, poiché nella sua persona si
rispecchia una tradizione nel medesimo tempo profonda e condivisa,
lontana da qualsiasi geloso particolarismo perché aperta al confronto
con il mondo circostante. Da questo punto di vista, il suo magistero,
esercitato in anni anche molto travagliati, si è riverberato su tutta
la nazione, ricordando agli italiani quanta importanza vada attribuita,
ieri come oggi, alla presenza di una vivace ancorché piccola Comunità
ebraica, che è presidio di storia e identità, non solo proprie. L’una e
l’altra, quindi, patrimonio nazionale. Si è troppo spesso dimentichi,
qualche volta anche in casa propria, di quale sia la lunga linea di
continuità che collega il presente degli ebrei italiani a un passato di
fervido impegno nella costruzione di uno Stato unitario e di una
società informata ai principi della solidarietà e della reciprocità. In
Toaff, peraltro, si conserva e si rinnova quella linea di continuità
che trova nel livornese Elia Benamozegh, già maestro del padre di Elio,
il primo punto di riferimento, per poi proseguire con Dante Lattes fino
ad arrivare ai giorni nostri. Il messaggio, rigorosamente monoteistico,
assume in questo caso una vocazione universalistica, rivolgendosi anche
ai noachiti e, più in generale, a quanti, pur non ebrei, possono e
intendono cogliere il principio di umanità del quale, secondo Lattes,
l’ebraismo è intimamente depositario. Per venire a fatti più prosaici
e, purtroppo, anche più prevedibili nella loro ossessionante
reiterazione, i giornali di oggi rimandano all’ennesima polemica
innescatasi dopo la morte di quattro palestinesi, deceduti in uno dei
tunnel che collegano la striscia di Gaza al territorio egiziano. Ne
danno resoconto Francesco Battistini per il Corriere della Sera, Annalena Di Giovanni su Terra e, con un “francobollo”, Michele Giorgio per il Manifesto.
L’accusa rivolta dalla leadership politica palestinese alle autorità
cairote, è quella di avere deliberatamente assassinato i quattro
clandestini, ricorrendo al gas che, secondo Hamas, sarebbero stato
lanciato all’interno dei sottopassaggi. Antonio Picasso, su Liberal,
coglie lo spunto dalla notizia di cronaca per affrontare il tema del
difficile rapporto tra l’Egitto, nel delicato momento della transizione
di potere da Hosni Mubarak al figlio Gamal (notare il passaggio di
consegne, che si consuma all’interno della medesima famiglia), e le
organizzazioni del radicalismo islamico. Per la verità non si tratta
certo di una novità il fatto che queste ultime ambiscano a
destabilizzare il «faraone», così come i governanti del Cairo sono
chiamati dagli estremisti musulmani. Le vicende che portarono
all’assassinio, nel 1981, di Sadat, così come il fatto che l’Egitto,
già alla fine degli anni Venti, sia stata la culla della Fratellanza
musulmana, la maggiore organizzazione dell’integralismo sunnita, stanno
a dimostrare la linea di continuità tra le tensioni di ieri e di oggi.
Non di meno si aggiunge ora la scarsa (se non nulla) propensione degli
egiziani nei confronti dei palestinesi medesimi, visti come un fattore
di destabilizzazione a livello regionale. La scelta di “sigillare”
Gaza, con la costruzione di un solido muro interrato, destinato ad
interrompere i collegamenti con il territorio circostante, si inscrive
in questa strategia dell’isolamento che trova buona parte dei paesi
arabi di fatto silenziosamente consenzienti. Poiché una cosa non si è
forse ancora intesa, ovvero che se la causa di uno Stato palestinese
indipendente è a tutt’oggi agitata nel consesso internazionale come uno
strumento di pressione politica, nei fatti l’isolamento che le
popolazioni di Gaza e della Cisgiordania stanno vivendo (più la prima
che non la seconda, ad onore del vero) è, prima di tutto, il risultato
di un’antica diffidenza araba, che trae le sue radici dal mancato
riconoscimento, nel 1948, non solo del diritto all’esistenza d’Israele
ma anche di quello di uno Stato indipendente per gli arabi dei
territori mandatari. Non si dava spazio, allora, per l’uno come per
l’altro; dopo di che lo Stato degli ebrei nacque nel nome di una
determinazione politica che alla controparte mancava del tutto. Assai
improbabile che ora i maggiorenti dei paesi limitrofi ad Israele
concedano ai palestinesi una indipendenza politica che vedono come fumo
negli occhi. Insomma, i primi ad osteggiare qualsiasi forma di futuro
che non sia quello della più totale dipendenza sono quegli stessi che a
parole si dichiarano i patrocinatori dell’altrui libertà.
Claudio Vercelli |
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Processo
di pace: appello Hillary Clinton
Washington, 30 apr - Il
segretario di Stato americano, Hillary Clinton, intervenendo a
Washington ad un incontro organizzato dalla associazione ebraica
American Jews Commission (AJC) ha rivolto un appello agli Stati Arabi
affinché intraprendano "passi concreti" per rafforzare il processo di
pace in Medio Oriente tra israeliani e palestinesi. "Sono necessarie
misure precise per dimostrare a israeliani e a palestinesi che la pace
è possibile e che porterà benefici tangibili". La Clinton si è
appellata in particolare alla Siria, sottolineando che "ogni missile od
ogni trasferimento d'armi a Hezbollah o ad Hamas consegnato di
contrabbando nel sud del Libano o a Gaza fa arretrare la causa della
pace". Secondo il segretario di Stato americano, i Paesi Arabi devono
continuare a sostenere il presidente palestinese, Mamud Abbas, nella
sua volontà di negoziare con Israele. I ministri degli Esteri dei Paesi
Arabi si incontreranno sabato prossimo e per questo Hillary Clinton li
ha invitati a "fare di più" per dare "una risposta positiva" alla
proposta americana di riavviare i colloqui di pace. I Paesi Arabi, ha
detto, devono "tendere la mano" a Israele, e mettere fine al suo
isolamento regionale. Nello stesso tempo devono sostenere Abbas nel suo
sforzo di costruire istituzioni palestinesi forti. Quanto allo Stato
ebraico, il segretario di Stato ha detto che Israele "deve fare la sua
parte, rispettando le aspirazioni legittime dei palestinesi, mettendo
fine alle attività di colonizzazione, rispondendo ai bisogni umanitari
di Gaza". Hillary Clinton ha quindi espresso l'auspicio che tutte le
parti di adoperino per rafforzare gli scambi commerciali, le linee
aeree, le comunicazioni postali, gli "scambi da persona a persona".
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei
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