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L'Unione informa |
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2 maggio 2010 - 18 Iyar 5770 |
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alef/tav |
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Benedetto Carucci Viterbi, rabbino |
"Ben
Zomà dice:- Chi è sapiente? Colui che impara da ogni persona" (Avot
4,1). Sapiente è colui che cerca la sapienza, non chi sa tutto. E' il
desiderio a rendere sapienti. |
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La
questione marrana spesso è stata correlata alla necessità di
classificare. Essenziale era stabilire l’appartenenza perché ai marrani
non veniva riconosciuta un'identità. I marrani, infatti, erano
guardati con sospetto perché ritenute figure ambigue. Per comprenderli
li si sarebbe dovuti guardare come figure anfibie. Solo le società
aperte sono in grado di sopportare le identità multiple e
incerte e di saperne comprendere la ricchezza senza
criminalizzarle “a priori”. Quelle ossessionate dall’identità -
soprattutto in Età pre-moderna, ma anche in Età attuale - sono troppo
occupate a costruire corsie discriminative al fine di rendere innocui
presunti “anormali” per “mettersi in ascolto”.
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David Bidussa,
storico sociale delle idee |
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Moked - Gli altri e noi. Il senso di una svolta
La
grande convention di primavera dell'ebraismo italiano dedicata
quest'anno al marranesimo e al recupero delle identità negate si chiude
in queste ore e per le centinaia di ospiti giunti da molte città
italiane sulla riviera adriatica, da Israele e diverse realtà ebraiche
internazionali è venuto il momento dell'arrivederci. Al di là
dell'indubbio successo organizzativo dell'iniziativa del dipartimento
Educazione e cultura dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
diretto dal rav Roberto Della Rocca, si respira la sensazione di una
svolta. L'antica aspirazione di gettare ponti, di aprire il dialogo
all'interno del mondo ebraico e con tutte le componenti della società
che guardano con interesse al mondo ebraico si fa più vicina. Il
delicatissimo recupero delle identità perdute in secoli di persecuzioni
e negazione non è impossibile. Un progetto che guardi dopo mezzo
millennio di assenza verso il Sud Italia va prendendo corpo. Il lavoro
è impegnativo, le responsabilità enormi. Ancora una volta la
piccolissima minoranza degli ebrei italiani guarda avanti, riprende in
mano il proprio destino e raccoglie la sfida.
gv
Moked - Gattegna: "Marrani, in difesa della vita un lacerante compromesso con la propria identità"
Progetti
di dialogo e di partecipazione, impegno per la cultura, investimenti
sui giovani. Al Moked primaverile che chiude stamani i battenti e cui
hanno partecipato centinaia ospiti di tutte le generazioni, il
presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna
ha sottolineato la forte attualità del tema del marranesimo, che ha
contrassegnato quest’edizione della convention annuale. “Per difendere
le loro vite – ha detto – i marrani hanno dovuto accettare un grande
compromesso, in una difesa passiva e lacerante della loro identità.
Questa situazione non è qualcosa di isolato ma costituisce una parte
integrante della storia ebraica”. La condizione marrana, spiega il
presidente Gattegna, ai tempi dell’Inquisizione è stata legalizzata e
pianificata.
“Ma
il fenomeno di rivendicare il proprio ebraismo in maniera molto aperta
è un fenomeno del tutto recente. Fino alla Shoah si riteneva infatti
fosse pericoloso o comunque nocivo dichiararsi ebrei. Ma da quel
drammatico spartiacque della nostra storia è nata una reazione che ha
visto quali tappe centrali la rivolta del ghetto del Varsavia e la
costituzione della Brigata ebraica, primo nucleo attorno cui si
costituirà l’esercito dello Stato d’Israele”. Proprio
ai caduti della Brigata ebraica, che tanta parte hanno avuto nella
liberazione dell’Italia centrale, è stata dedicata una cerimonia nel
Cimitero di guerra alleato di Piangipane, a Ravenna, nel
sessantiacinquesimo anniversario della battaglia del Senio.
La
toccante commemorazione ha visto la partecipazione di Renzo Gattegna,
dell’addetto per la Difesa all’Ambasciata d’Israele Shlomo Cohen, del
rabbino capo di Ferrara Luciano Caro, dell’assessore al Comune di
Ravenna Matteo Casadio e di una delegazione del Moked assieme alle
associazioni degli ex combattenti rappresentate da Filippo Arnetoli.
“In quegli anni – ha detto Gattegna - le sorti del mondo erano
veramente in pericolo e in questa terra si svolsero battaglie
sanguinose. Siamo venuti qui per dedicare una preghiera per i caduti
della Brigata ebraica, una preghiera che dedichiamo però a tutti quei
giovani che sono caduti per consentire a noi di vivere in libertà”. “Chi
vuole minacciare la pace nel mondo, deve sapere che Paesi liberi come
l’Italia e Israele non glielo permetteranno”, ha sottolineato Cohen
mentre il rav Caro si è soffermato sul ruolo dei soldati che
combatterono nella Brigata ebraica. “Come i Maccabei e come
i combattenti del ghetto di Varsavia, insieme a centinaia di migliaia
di altri giovani hanno dato un fondamentale contributo alla democrazia,
che per quanto sia un meccanismo imperfetto, garantisce l’umanità dalla
barbarie dei totalitarismi.” Quanto alle attività del Moked, anche quest’anno una particolare attenzione è stata riservata ai ragazzi. Preannunciato
da mesi su Facebook Emmeme 5770, l’evento dedicato ai giovani tra i 12
e i 18 anni, ha catturato subito attenzione e grandi entusiasmi. “Uno
Shabbat e tre intere giornate – spiega Claudia De Benedetti,
vicepresidente UCEI e assessore ai giovani - sono state dedicate alla
costruzione di un solido gruppo, pronto ad accogliere gli stimoli e le
sfide proposte da giovani madrichim formati dall’Ufficio giovani
nazionale sotto la direzione di rav Roberto Della Rocca, Alan Naccache
e Natasha Rubin”. La giornata del venerdì è trascorsa, come vuole la tradizione, al parco divertimenti di Mirabilandia.
Poi
l’appuntamento con lo Shabbat, con l’accensione dei lumi nel salone e
la tefillah, in cui è stato donato a tutti i partecipanti un siddur
realizzato per l’occasione: colorato ed accattivante. Divertenti e
disincantati e i giochi del venerdì sera: dal ritorno ai passatempi
della prima infanzia alla realizzazione di scenette e prese in giro. E
poi gran serata in discoteca, il sabato sera. “Durante
la giornata conclusiva – dice Claudia De Benedetti - le attività si
sono concentrate su aspetti meno noti dell’identità ebraica e con
l’ausilio e il contributo di esperti e rabbanim si sono approfonditi
testi e situazioni che coinvolgono direttamente i giovani ebrei
dall’antisemitismo, all’antisionismo, a Ghilad Shalit. Un’esperienza
più che riuscita per cui gli organizzatori meritano senz’altro un
ottimo voto”. (nelle immagini
alcuni momenti della convention ebraica di primavera, la celebrazione
al cimitero di Piangipane con il presidente Ucei Gattegna, il rav
Luciano Caro e il consigliere d'ambasciata Shlomo Cohen,
il rav Roberto Della Rocca assieme alla professoressa Silvia Godelli e,
infine, alcuni giovanissimi partecipanti alle attività giovanili)
Marco Di Porto e Daniela Gross
Moked - Un sogno realizzato
Il
sogno di un ragazzo che, per caso e per passione, si trasforma in
realtà. E’ su questa traiettoria, condita da un’abbondante dose di
creatività, che si gioca in meno di dieci anni il singolare percorso di
Moise Levy. Sessantadue anni, medico otorinolaringoiatra, fino al 2007
in servizio all’ospedale Niguarda di Milano, Moise è il vincitore della
prima edizione del Premio educazione e cultura del 5770 del Dec –
Dipartimento Educazione e Cultura UCEI. Riconoscimento, assegnato nel
corso del Moked, che vuole incoraggiare quanti si prodigano nella
diffusione e nella trasmissione della cultura ebraica all’interno delle
Comunità. Aspetto per cui la vicenda del dottor Levy è senz’altro unica. Milanese,
a 12 anni Moise va a studiare al Collegio rabbinico di Torino ed è qui
che si radicano i primi semi di un interesse destinato a germogliare in
tempi assai più recenti. “In quegli anni – racconta – studiavamo il
Kizur Shulchan Aruch un ebraico e pensavo sempre che sarebbe stato
assai più semplice farlo su una traduzione italiana delle regole”. Gli
anni non cancellano l’idea. Così nel 1998 si mette a tavolino e inizia
a tradurre questo testo fondamentale. Poi lo rivede insieme al rav
Bahbout (“ci siamo chiusi in casa per oltre un mese a studiare e
discutere: un’esperienza bellissima”), lo correda di indice analitico,
storia dell’Halakhah, immagini e glossario e, dopo aver imparato a
impaginare i testi (“è bastato prendere un manuale e studiare”,
minimizza) lo pubblica per Lamed dedicandolo al rav Raffaele Grassini,
suo compagno di Collegio rabbinico e a tutti gli ebrei italiani. Poco
dopo è la volta delle mitzvot, “Mio figlio Davide – ricorda – stava
preparando il bar mitzva e un mese prima mi chiede aiuto per imparare
le 613 mitzvot a memoria”. Ne nasce una pubblicazione che le riordina
in positive e negative proponendole nell’ordine in cui compaiono nella
Torah e per argomenti.
A
questo punto la vocazione culturale di Moise Levy è ormai matura, come
la sua capacità di disegnare complesse architetture a fini didattici.
Dopo una traduzione dei Salmi (con tanto di traslitterazione e note per
la lettura) il medico si cimenta con la traduzione della Torah e delle
Haftarot integrando il testo con il commento di Rashi. Una sfida
impegnativa, che richiede quasi tre anni e si conclude nel 2008. “Ho
cercato di portare a termine il lavoro secondo lo spirito di Rashi
cercando di mettermi nei panni di chi legge e vuole capire. Per
agevolare il compito al lettore ho dunque inserito i commenti fra
parentesi nel testo corredandolo comunque di richiami”. Ad
arricchire l’opera compare l’elenco delle mitzvot suddivise fra quelle
in uso e quelle che non lo sono più e un suggestivo indice analitico in
cui rintracciare personaggi e avvenimenti della Torah scoprendo tutti i
passi in cui ricorrono certe figure, fatti o determinati oggetti (ad
esempio il bastone, che è quello di Balam ma anche quello di Aron, il
termine assassino o la parola hametz). Ma lo spirito didattico di
Moise non è ancora soddisfatto perché l’autore si pone il problema
della lettura: come si può mostrare a chi si avvicina alla Torah il
modo giusto di leggerla? Qui il supporto decisivo arriva dalle nuove
tecnologie. “Ho fotografato un intero Sefer Torah, l’ho scaricato sul
computer e l’ho cantato tutto registrando le letture. Infine ho
associato i file a un calendario ebraico – italiano che reca gli orari
dello Shabbat di 12 città italiane e 26 città nel mondo”. Il risultato
è che basta entrare (dal sito http://libri.levy.it) e cliccare. Il
mouse si trasforma in iad e si può seguire la lettura oltre che
scaricarne i file in formato mp3. Con un tocco ironico chi entra di
Shabbat è avvisato che quel giorno è programmato per non funzionare.
Ulteriori filmati danno risposta a chi ha dubbi su come indossare
Talleth e Tefillin, fare la metila iadaim o recitare le berachot.
Insomma, un lavoro immenso, che certo da solo vale un premio anche
perché è già stato adottato dalle scuole ebraiche di Roma e Milano. Strada
facendo, per portare avanti la sua passione, dopo la pensione il dottor
Levy è diventato editore. “Ma – dice - non volevo diventasse un lavoro.
La mia è sempre stata una ricerca spinta dal desiderio di imparare e di
trasmettere agli altri quanto avevo appreso. Il premio Educazione e
cultura del Dec è importante proprio perché riconosce il valore della
diffusione culturale. E’ fondamentale che i ragazzi studino, perché è
da loro che inizia l’ebraismo”.
d.g.
Moked - Nel mare immenso del Talmud
L’importanza
di studiare insieme il Talmud, il ruolo del maestro e l’attualità di
questa complicata e immensa opera. Parliamo di questo e di molto altro
con rav Gianfranco Di Segni,
che al Moked primaverile di quest’anno, ha tenuto ieri una lezione di
gruppo sul Talmud dal significativo nome Chavruta (studiare insieme). Tradizionalmente
il Talmud nelle Yeshivot, e in forma diversa anche in questo Moked, si
studia insieme ai compagni e con un maestro. Qual è l’importanza di
questi due elementi? Innanzitutto bisogna dire che il
Talmud, assieme alla Bibbia, è l’opera principale della trasmissione
della cultura ebraica, sono le due colonne portanti della nostra
tradizione. In realtà sono da considerare un tutt’uno, perché il Talmud
è l’integrazione della Torah, è la Torah scritta che accompagna la
Torah orale. Per la comprensione e la trasmissione del Talmud è
necessario che sia tramandata da maestro ad allievo, o da genitore a
figlio se il genitore è in grado di insegnare. Il Talmud è un messaggio
molto complesso, sintetico ed è impossibile capire ed entrare nella
logica di questa opera senza un maestro. Ma l’impostazione è diversa da
una lezione universitaria: da secoli nelle Yeshivot gli allievi si
dividono in coppie, cercando autonomamente di capire ed indagare i
significati del testo talmudico del giorno. Dopo questo momento, tutti
gli studenti si riuniscono per ascoltare la lezione generale del Rosh
haYeshiva, del maestro. Lo studio del Talmud dunque è si compone sia di
un lavoro autonomo del allievo sia della più classica lezione frontale. Qual è il pregio di questo metodo? In
questa maniera si arriva meglio alla comprensione del testo, si ricorda
meglio; lo sforzo, la fatica aiutano a capire e memorizzare i brani. Il
Talmud è intenzionalmente scritto in maniera sintetica, criptica, di
difficile comprensione. E’ in aramaico, non ci sono i segni di
punteggiatura né delle vocali né i segni d’interpunzione, quindi spesso
non si capisce se la frase è una domanda o un’affermazione. Per questo
è indispensabile la presenza di un maestro e, ovviamente, l’ausilio dei
commentatori come Rashì, senza il quale sarebbe praticamente
impossibile lavorare. Al Moked è stato adottata una modalità un
po’ diversa dalla Yeshiva. La lezione, che abbiamo chiamato Chevruta,
da Haver, compagno, si svolge a gruppi in cui ci sarà qualcuno di più
esperto in modo da facilitare la comprensione di tutti e poi faremo una
sessione insieme. Come si è svolta la lezione e di cosa tratta? C’è
stata un’introduzione sulla struttura del Talmud e in merito al brano
che ho scelto, poi lo studio a gruppi e infine una lezione insieme per
vedere cosa ogni gruppo ha capito. Il brano che ho scelto per la prima
sessione, visto che l’argomento della convention è i marrani, è preso
dal trattato di Sanhedrin che parla dell’epoca del messia. La
connessione con il marranesimo è chiara perché i marrani erano ebrei
costretti a convertirsi al cristianesimo ed accettare formalmente la
messianicità di Gesù, che la religione ebraica non riconosce. E’
interessante vedere nel Talmud come e con quali segni è descritta la
venuta del messia, in questo modo si può comprendere il motivo del
distacco fra ebraismo e cristianesimo in merito proprio alla
messianicità di Gesù. L’idea è di dare un assaggio di quello che è il
Talmud e come si studia, ma chiaramente solo un assaggio, l’auspicio è
che poi si continui questo tipo di lavoro nelle proprie comunità. Che valenza ha nel presente lo studio del Talmud? E’ ancora attuale? Il
Talmud è un’opera di dimensioni enciclopediche, sono venti volumi come
la Treccani, è vastissimo non a caso viene chiamato il mare del Talmud.
E’ dunque difficile trovare un argomento, attuale o meno, che non sia
trattato estesamente o per allusioni. Ad esempio, ci sono riferimenti
alla bioetica: si parla del problema della definizione dell’inizio
della vita, da cui dipende anche la liceità o meno di eseguire
l’aborto. Secondo il Talmud, l’embrione fino a quaranta giorni dal
concepimento, è semplice acqua, quindi non è una vita umana. Da qui
deriva il fatto che, per quanto sia vietato, l’aborto, in questo lasso
di tempo, non è considerato omicidio. Quali competenze bisogna avere per poter studiare un’opera così complessa? Per
approcciarsi al Talmud bisogna avere ovviamente delle conoscenze
elementari di cultura e lingua ebraica, sapere un po’ di aramaico, poi
certo per una comprensione più chiara ci sono i commentatori e i
maestri. Comunque delle basi minime devono esserci, altrimenti sarebbe
come studiare il calcolo differenziale senza aver sapere le quattro
operazioni elementari. In merito allo studio del Talmud si è
diffusa da molti anni un‘attività molto popolare, si chiama Seder
Limud: ogni giorno in tutto il mondo ci son gruppi o singoli che
studiano la stessa pagina del Talmud, il Daf Yomì o foglio giornaliero.
In sette anni si concludono le circa 2 mila 500 pagine dell’opera. I
fogli stampati sono gli stessi in tutte le edizioni, dalla versione di
Bomberg del 1500 che ha fissato la struttura del Talmud, nel senso che
quando si indica per esempio un trattato di Sanhedrin 37 tutti sanno
qual è quella pagina. Un’altra cosa da segnalare è che il prossimo
novembre si concluderà l’edizione del Talmud tradotta e commentata da
rav Adin Steinsaltz, uscirà infatti l’ultimo trattato a cui seguiranno
manifestazioni e festeggiamenti in tutto il mondo. In Italia lo studio
del testo talmudico si è diffuso proprio grazie all’edizione Steinsaltz
che ha il vantaggio di essere punteggiata e tradotta in ebraico
moderno, con spiegazioni e approfondimenti. Alcuni criticano il lavoro
del rav Steinsaltz proprio perché ritengono che faciliti troppo la
studio: se tutto è spiegato, non si devono fare molti sforzi, non si
memorizza bene il testo, non lo si fa proprio e si tende poi a
dimenticarlo. In ogni caso l’opera di Steinsaltz è di grandissimo
valore e speriamo che la nostra generazione possa portare avanti la
traduzione del Talmud in italiano. Diciamo che questo Moked potrebbe
essere un augurio perché ciò avvenga.
Daniel Reichel |
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pilpul |
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Davar Acher - Popolo o illusione?
Sarà colpa di Shlomo Sand e del suo libro che nega il popolo ebraico in
nome della correttezza politica antisionista. Sarà merito dello studio
storico che lavora in maniera meno ideologica di un tempo sui rapporti
fra l'ebraismo e il suo contesto europeo, così intensi e contraddittori
a partire dall'Illuminismo. Sarà l'urgenza provocata dalla crisi
demografica e dalla "lontananza" crescente di molti. Fatto sta che
anche l'ebraismo italiano si pone con maggiore interesse e con notevoli
divisioni di fronte all'interrogativo dell'identità ebraica. Si tratta
di un'essenza intatta o del frutto di numerose contaminazioni? Ha
carattere etnico, religioso, nazionale o è una semplice invenzione?
Siamo un popolo, una "popolitudine", un gruppo di interesse, un insieme
di fedeli? Come si può oggi riproporre una tale identità in tempi di
multiculturalismo e di globalizzazione? Non sarà antiquato "fuori
moda", "essenzialista", anzi reazionario, semplicemente parlarne?
Perché non accettare, come ha deciso il tribunale supremo inglese, che
è ebreo chi dice di credere nella nostra fede, comunque essa sia a sua
volta definita? E'
una questione millenaria, che si trova già sviluppata nelle nostre
scritture in maniera complessa e dialettica. Nessuno può pretendere di
dire su di essa una parola decisiva. Da parte mia vorrei invitare chi
discute a prendere in mano il libro di David Banon recentemente
tradotto da Jaca Book sotto il titolo "La lettura infinita" (ma in
realtà risalente a più di vent'anni fa). Sotto lo scopo di tracciare
un'analisi dei procedimenti midrashici, vi si trova una sorta
di amorosa anatomia del pensiero ebraico, o del suo spirito, che
si è conservato, continuo se non intatto, almeno dai tempi dei profeti
e poi della Mishnà a oggi. Vi troviamo un procedimento di pensiero e un
oggetto (che non è la teologia ma il senso del tempo), la cui
originalità e differenza da forme di pensiero di comparabile durata e
complessità come la storia della filosofia occidentale è evidente.
L'ebraismo va dunque compreso sui tempi lunghi per la sua capacità di
riprodurre questo pensiero, oltre che naturalmente di difendere una
cultura materiale in senso antropologico (e più specificamente uno
"lifestyle" come lo definiosce Bersano): ne fanno parte regole
alimentari, feste, organizzazioni comunitarie, liturgia, regole di
gestione del corpo, strutture familiari insomma buona parte di quel che
noi chiamiamo alakha. Questi stili di pensiero e di vita hanno
mantenuto una straordinaria costanza nello spazio e nel tempo e
influenzano ancora, benché in maniera indiretta, le frange sempre più
ampie che ne sono uscite. Ad esse si aggiunge un'autocoscienza
collettiva, che è sempre stata scelta, non data come un fatto
inevitabile: negli ultimi venti secoli praticamente ogni singolo ebreo
ha avuto la possibilità e spesso una tremenda pressione per uscire dal
suo contesto e diventare altro. Noi siamo qui oggi perché i nostri avi
hanno scelto ciascuno di essere ciò che era, e questa scelta oggi
incombe a ciascuno di noi, in un contesto meno drammatico ma non per
questo meno capace di forzare comportamenti. A noi oggi forse non basta
scegliere di essere ciò che siamo, abbiamo bisogno di diventare ciò che
siamo, di specificarci rispetto alla società. Un pensiero autonomo
e originale; una cultura materiale diversa da tutte le altre
profondamente radicata e dettagliatamente specificata in maniera
esplicita; un'autocoscienza chiara che si sostanzia in scelte
individuali sempre difficili, talvolta eroiche. Tutto ciò prolungato
nella storia per forse un centinaio di generazioni. Lungi da essere
un'invenzione (magari nel senso buono), come il popolo italiano, quello
tedesco o quello americano, am Israel è forse la realtà sociale più
solida che si sia presentata nella storia.
Ugo Volli
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rassegna stampa |
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«Noi per Gerusalemme, dalla parte di Wiesel» La
Gerusalemme «al di sopra della politica» di Elie Wlesel («per me, per
l'ebreo che sono») o quella da «condividere tra i due popoli che ci
vivono», rivendicata dai 99 intellettuali della sinistra israeliana. Le
pietre del cuore e della religione o quelle scagliate negli scontri di
strada. La città ultraterrena (e intoccabile) o la terra da misurare
nei negoziati di pace. Alcuni esponenti della comunità ebraica italiana
discutono e per lo più difendono le parole del premio Nobel,
sopravvissuto ad Auschwitz. E nel dialogo a distanza tra la diaspora e
Israele, raccontano la loro Gerusalemme (e quello che dovrebbe
diventare o rimanere). Riccardo Pacifici,
presidente della comunità ebraica di Roma: «Sono pronto a raccogliere
le firme in sostegno a Elie Wlesel. Ognuno di noi prega tre volte al
giorno rivolto verso Gerusalemme, che preferisco chiamare Yerushalayim.
Nella diaspora esiste un trasporto religioso verso la capitale, ma
rispetteremo qualunque decisione dovesse prendere la democrazia
israeliana. La questione della città dovrebbe essere il punto finale
nei negoziati». Tobia Zevi
fa parte dell'assemblea nazionale dei giovani del Partito democratico:
«Quella che viene chiamata sinistra ebraica è oggi in difficoltà, il
pericolo vissuto da Israele rende più complesso il lavoro di chi è
impegnato sul fronte della pace. Lo status di Gerusalemme dev'essere
affrontato in termini politici e territoriali, non religiosi. Tra me e
Pacifici esiste un perimetro condiviso: vanno spiegate le ragioni dello
Stato ebraico, va sancita l'irrinunciabilità alla sua esistenza e va
garantita la possibilità di critica alle scelte dei governi
israeliani». [...] [...] Victor Magiar,
tra i fondatori del Gruppo Martin Buber - Ebrei per la pace: «La
Gerusalemme di Wiesel è quella del nostro cuore, ma noi abbiamo bisogno
di scelte realistiche ed è realistico pensare che ci dovrà essere un
compromesso ragionevole. Ero bambino nel 1963, in Libia, e ricordo
molto bene le parole di Gamal Abdel Nasser: "Possiamo perdere cento
guerre, ci basta vincere l'ultima" e "Abbiamo le nostre donne, li
sommergeremo con i nostri figli . Se Israele non si sbriga a trovare la
pace, pur non perdendo militarmente, rischia di sparire sommersa dalla
demografia». Davide Frattini, Corriere della Sera, 1 maggio 2010 |
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notizieflash |
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Auguri al rav ElioToaff, omaggio a un grande ebreo italiano Rav
Elio Toaff compie 95 anni. Fra le iniziative per festeggiarlo, il
giornale dell'ebraismo italiano Pagine Ebraiche pubblica articoli e
documenti a lui dedicati e un'intervista in cui il rav lancia un
appello agli ebrei italiani. Il Museo Ebraico di Roma insieme alla
Fondazione Elio Toaff per la cultura, presentano una mostra (Auguri a
Rav Toaff: omaggio a un grande ebreo italiano) allestita al Museo
ebraico della Capitale. Fra le varie iniziative anche la pubblicazione
di una raccolta di studi coordinata dalla storia Anna Foa e un
documentario con la raccolta di materiali delle cineteche Rai intende
ripercorrere la vita del rav Toaff, maestro di vita e guida spirituale
della Comunità Ebraica di Roma per la quale è tuttora figura di
riferimento. Nel corso del suo lungo incarico rabbinico, rav Toaff ha
saputo guardare al mondo esterno alla realtà ebraica e, mostrando una
formidabile capacità di comprensione dei mutamenti politici e culturali
del Paese, è riuscito a rendere la Comunità interlocutrice rispettata
delle Istituzioni italiane, senza perdere mai di vista le proprie
origini e la propria identità. Il sito Torah.it invita a festeggiare il compleanno del Rav ascoltando le registrazioni delle sue lezioni. Ad Mea ve Esrim!
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei
l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere
ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo
e-mail, scrivete a: desk@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”. |
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