se non visualizzi correttamente questo messaggio, fai click qui |
|
|
 |
|
L'Unione informa |
|
|
|
3 maggio 2010 - 19 Iyar 5770 |
|
 |
|
| |
|
alef/tav |
|
|
 |
|
 |
Riccardo
Di Segni, rabbino capo di Roma |
Raccolgo
volentieri l'invito del professor Sergio Della Pergola che invita a
citare di più i rabbini italiani in questa rubrica, prendendo una frase
di suo suocero, rav Elio Toaff, di cui stasera festeggeremo i 95 anni.
Anche perché le doverose celebrazioni in suo onore rischiano di
appiattire la sua immagine e la sua storia. Dopo la promulgazione della
dichiarazione conciliare Nostra Aetate, nel 1965, rav Toaff fece un
breve commento, cauto e poco entusiastico, nel quale tra l'altro
diceva: "Gli ebrei potranno giudicare quelle parole solo quando ad esse
seguiranno dei fatti... Il popolo ebraico, il popolo di D. (ed infatti-
a nostro parere- nessuno può contestare la sua qualità di popolo e
tanto meno la sua elezione) non deplora, ma condanna nella forma più
categorica ed assoluta ogni persecuzione in quanto tale, tanto che sia
rivolta verso i suoi amici, quanto contro i suoi nemici". |
 |
Stiamo
parlando molto di marranesimo, a proposito del passato ma anche e
soprattutto a proposito dell'oggi. Devo ammettere che questo
allargamento della definizione di "marrano" all'oggi mi inquieta.
Finiremo per intendere per marranesimo semplicemente la "modernità"
dell'ebreo, con l'esplosione della molteplicità identitaria e
tutti gli aspetti della modernità che conosciamo, in primo luogo la
scissione fra identità e identità religiosa? Certo, il confronto è di
per sé ricco di possibilità interpretative, e gli storici, da
Yerushalmi a Kaplan, lo hanno molto esercitato, facendo però attenzione
a non appiattirne mai i termini. Il recente libro del filosofo
Yirmiyahu Yovel , The other within,
va nella stessa direzione, e finisce per assimilare di fatto il
marranesimo all'emancipazione degli ebrei e al loro accesso alla
modernità. Da storica, non ne sono del tutto convinta, anche se ritengo
utile rifletterci. Per dirla con Manzoni, "Adelante, Pedro, con juicio".
|
Anna Foa,
storica |
 |
|
|
 |
|
|
torna su |
davar |
|
|
|
|
Seicento giorni, molte voci
Questo
notiziario quotidiano compie due anni ed è divenuto l'appuntamento di
ogni giorno con molti lettori. Abbiamo superato assieme la barriera
delle seicento edizioni, eppure molte speranze restano ancora da
realizzare, molti progetti da portare a compimento. Prima
di prendere ancora una volta la rincorsa che consente la puntuale
pubblicazione, vorrei concedermi assieme ai colleghi, ai collaboratori
e ai lettori due righe di respiro per ringraziare tutti di quanto è
stato assieme realizzato. Sono ben consapevole di poter contare su
collaboratori e redattori formidabili e rendo omaggio alla loro
intelligenza. Ma quello che più ammiro in loro è la capacità di stare
assieme, di dare voce alle molte voci che da sempre compongono la
minoranza ebraica in Italia.
gv


“Volevo partire, ma mio padre disse: Un rabbino non lascia mai la sua comunità”
Fermo
là, in poltrona, il Rav si lascia avvolgere dalla luce tiepida e
trasparente del mattino. Poi lancia lo sguardo verso Roma e sembra che
la città lo attenda alla vigilia del novantacinquesimo compleanno con
il dono di tutta la sua primavera. A pochi passi quasi si percepisce
l’eterno scorrere del fiume, il via vai nel ghetto della gente che lo
ha accolto e lo ha seguito in cinquant’anni di magistero, la sinagoga
che lo ha visto protagonista nei momenti più difficili e nelle gioie
più intense per oltre mezzo secolo. I movimenti restano maestosi, ma
sono rallentati dal peso dei ricordi. I gesti, gli sguardi seguono un
flusso di memorie che riaffiorano. E si torna alle origini, agli anni
della giovinezza, anni di speranze spezzate e di scelte dure,
irrevocabili. Era il settembre del 1938, in quella sala
operatoria della prestigiosa clinica universitaria di Pisa, quando suo
fratello apprese di non poter più esercitare la professione medica. Era
il giorno dell’infamia delle leggi razziste che negarono agli ebrei
italiani la dignità di cittadini e privarono il mondo accademico
dell’apporto di scienziati e professionisti di valore. E qualche
solerte assistente si sentiva già pronto a sostenere che l’applicazione
delle leggi doveva avere effetto immediato, a operazione aperta. Il
professor Renzo Toaff decise allora che l’operazione doveva andare
avanti fino alla sua conclusione. “No, questa la finisco io, altrimenti
mi ammazzate il paziente e poi date la colpa a qualcun altro”. La sua
uscita dalla sala operatoria non segnava solo la conclusione di
un’epoca di civile convivenza, ma anche la fine del prestigio che il
mondo accademico italiano aveva saputo conquistarsi. Per molti ebrei
italiani veniva il momento di prendere una decisione. Da un capo
all’altro dell’Italia i fratelli Toaff decisero che era il momento di
reagire. Renzo non ci pensò su due volte e fece i bagagli per la
Palestina. Suo fratello Cesare, avvocato a Trieste, guardava già al
porto da cui presero il largo migliaia di ebrei costretti a lasciare il
proprio paese e decise di seguirlo. E anche Elio, laureato in
giurisprudenza e avviato agli studi rabbinici, si avvicinò al padre
proponendo di seguire i fratelli, di lasciare insieme l’Italia. La
risposta fu ferma, dura, non facile da mandar giù. Eppure quella
incrollabile fermezza e quell’infinito amore con cui si trovò alle
prese, avrebbe condizionato i destini dell’ebraismo italiano per molti
decenni a venire.
“Quando
mi trovai davanti a mio padre – ricorda oggi il rav Elio Toaff –
compresi che non era possibile una mediazione. Che bisognava restare in
Italia e separarmi dai miei fratelli”. Da quel “no” di suo padre sono
venuti tanti fatti incancellabili per la minoranza ebraica in Italia.
Il suo lunghissimo magistero rabbinico, la sua guida di oltre mezzo
secolo della Comunità di Roma, il suo impegno da protagonista nella
Resistenza e in tutti i momenti chiave della storia italiana del ‘900. Suo
padre, il rav Alfredo Sabato Toaff, non era solo il rabbino capo di
Livorno, ma anche una delle voci più autorevoli della cultura
umanistica italiana. Perché non volle lasciarla partire? Non comprese
il pericolo, oppure vide ancora più lontano di quando molti videro
allora? Non so, ricorda oggi il Rav, posso solo dire che
mio padre non ammise repliche. E così facendo condizionò in fondo tutta
la mia vita. E come spiegò il suo diniego? “Un
rabbino, mi disse, non ha la stessa libertà di scelta degli altri. Un
rabbino non abbandona mai la sua comunità”. E fu così che vidi partire
i miei fratelli, continuai gli studi, attraversai gli anni delle
persecuzioni, accettai la responsabilità di tante comunità, fra cui
Ancona, Venezia e infine legai per oltre mezzo secolo il mio lavoro di
rabbino a Roma. Ho avuto la fortuna di diventare rabbino al Collegio
rabbinico di Livorno. Mio padre fu anche il mio maestro. E non era
facile. Suo padre ha lasciato il segno di una personalità immensa. Studiare con lui le fu di peso, la fece soffrire? Guardi,
mio padre non me ne faceva passare una e forse proprio questa è stata
la lezione più grande. Fare il rabbino significa agire secondo
giustizia, senza favoritismi. Ma anche lasciarsi portare da un infinito
amore. Proprio quello con cui lui mi istruì. Una lezione che resta valida ancora oggi per i giovani rabbini? Certo,
i giovani rabbini dovrebbero crescere nella fermezza e nell’amore. A
loro auguro di ricevere i doni e di trovare le risorse che ho avuto la
fortuna di poter raccogliere. Quali? A
loro auguro di avere coraggio, che le delusioni sono sempre pronte
fuori dalla porta. A loro auguro di fare un poco di gavetta, che non è
bene ricoprire i massimi incarichi senza prima aver conquistato la
propria posizione. A loro auguro di avere il tempo e il modo di
studiare, che la preparazione non basta mai. E tante altre cose
ancora...
Cosa? A
loro auguro di essere equamente retribuiti, che non si può pretendere
di avere persone preparate, impegnate e coinvolte se le si fa soffrire
con retribuzioni inadeguate. A loro auguro soprattutto di continuare a
rappresentare i valori dell’ebraismo italiano. Nei
prossimi mesi alcune comunità italiane dovranno affrontare un
avvicendamento negli incarichi rabbinici e le giovani generazioni
scarseggiano. Che accadrà? Mi sembra necessario fare un
grande sforzo per salvare i valori inestimabili che sono i nostri.
Sarebbe un peccato vedere comunità costrette a rivolgersi a rabbini
provenienti da lontano, certo autorevoli, ma magari incapaci di
comprendere le nostre tradizioni e la nostra mentalità. E anche la
nostra lingua. Lei ha accolto
alle porte della sinagoga di Roma il primo papa che fece visita alla
comunità più antica della Diaspora ed è sceso in strada per salutare
anche la recente venuta di Benedetto XVI. Quali segni di differenza
possono essere tracciati fra questi due importanti momenti del dialogo
fra le fedi? Il dialogo è importante, e bisogna andare
avanti con coraggio. Giovanni Paolo II era dotato di questo coraggio.
L’ho visto e di questo posso testimoniare. Quando misura con la sua lunga esperienza la vita delle comunità italiane di oggi, quali problemi vede? Vedo
spesso una carenza di misura, di modestia se vogliamo. E talvolta anche
di senso dell’umorismo. La litigiosità ebraica è superiore alla media
nazionale, il che è tutto dire. Come nel caso di questa tragedia delle
ciambellette. Chi se l’è presa per la proibizione rabbinica di utilizzare a casa propria la farina di Pesach ha esagerato? Sì,
ha esagerato. E ha confuso tradizioni antiche e talvolta fraintese come
un diritto acquisito. Non può essere così. E’ ovvio. E non valeva
proprio la pena di agitarsi tanto. E segnali di speranza, ne vede? Certo che ce ne sono. E tanti. Anche questo giornale ne rappresenta uno. Lei,
Rav, non ha mai rinunciato a seguire l’attualità e a leggere il
giornale. Quando la vista si è affievolita è stata una sofferenza? Ho sempre al fianco qualche persona di buon cuore che mi legge i giornali. Pagina su pagina. A nome di tutta la redazione vorrei ringraziarla di seguire con attenzione anche il nostro lavoro. Questo è un giornale destinato al successo. So che è un complimento sincero e mi sento autorizzato a renderlo pubblico. Ma come fa a saperlo? Lo vedo dallo spirito e dalla generosità con cui i collaboratori offrono il proprio contributo. Lei,
Rav, continua a ricevere la visita di numerose persone che sentono il
bisogno di confidarsi, di chiedere consiglio. Cosa cercano, la sua
esperienza o la sua amicizia? Non sono tempi facili, si
sentono tante storie di gente che soffre, che non riesce a mantenere un
equilibrio all’interno della propria famiglia, che non riesce a
dominare i propri istinti. O anche che ha solo bisogno di un consiglio
amichevole e di una benedizione. E a tutti cosa consiglia? Di
avere coraggio. Ma soprattutto di non perdere mai l’occasione di
impegnarsi nelle due attività che ci fanno essere noi stessi. Quali? Aiutare gli altri. E studiare. Come agire per svolgerle al meglio? Non
è difficile. Dico sempre a tutti, andate a cercarvi un vecchio
solitario. E scacciate la solitudine. Portatelo in giro, regalategli un
poco del vostro tempo. Poi dico, se volete salvare la comunità non
passi un giorno senza studiare. Ognuno si prenda carico di almeno
un’ora di studio al giorno. Rav,
se ci fossero due partiti, quelli che amano le feste di compleanno e
quelli che le attendono con insofferenza, a quale vorrebbe aderire? Sicuramente
al secondo. Ma egualmente sono felice che si festeggi il mio
compleanno, perché so che è il momento di un saluto sincero con la mia
gente, con tutti gli amici che ho amato tanto .
Guido Vitale, Pagine Ebraiche, maggio 2010
(nelle immagini i ritratti di Giorgio Albertini)
|
|
|
|
|
torna su |
pilpul |
|
|
|
|
I marrani, un'identità negata e incompleta
Nell’antica Sefarad si calcola che in un quarto di secolo, dal
1391 al 1415, la comunità ebraica perse almeno centomila membri. Nacque
la figura ibrida e complessa dei “marrani”. Il battesimo forzato si
rivelò una barriera insuperabile che segnò il destino dei marrani, li
separò dalla comunità, senza offrirgliene una nuova, li bandì in una
terra di nessuno, chiusi nel mezzo tra ebraismo e cristianesimo, li
destinò ad una tensione irrisolvibile, ad una scissione che li lacerò
prima ancora di ogni tortura. Così i marrani furono
improvvisamente l’“altro” rispetto ai cristiani, ma anche rispetto agli
ebrei. Sensi di colpa, rimorso e privazione, inadeguatezza,
non-appartenenza, estraneità, impossibilità di essere sé, li
accompagnarono nella loro storia secolare. Furono condannati ad una
identità negata e incompleta, ad un sé scisso e frammentato. Soffrirono
per un triplo esilio: come ebrei erano esiliati da Sion; come conversos
erano esclusi dalla vita ebraica; come giudaizzanti sopravvivevano in
un ambiente sempre più ostile, circondati da spagnoli in cerca di
“identità” autentica e purezza del sangue. Esiliati nell’esilio, si
considerarono ebrei potenziali per aspirazione, per il loro persistere
in un ebraismo sempre più privato di contenuti, un ebraismo per
sottrazione. Scherniti dai cristiani, perché non riconoscevano che il
messia era già venuto, non abbandonarono mai la “esperanza” nel loro
Messia, una speranza che cedeva spesso a una nostalgia verso un passato
immemoriale, ma che non si spense mai e restò, ancora nel Novecento,
una delle poche indelebili tracce del marranesimo. Un nuovo
capitolo dell’ebraismo italiano potrà essere scritto quando ai marrani
del sud verrà concesso il riscatto e il ritorno che hanno atteso.
Donatella Di Cesare, filosofa |
|
|
|
|
torna su |
rassegna stampa |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Terroristi fai-da-te ora sono la micaccia più pericolosa [...]
Ieri, l'allentato fallito in Times Square, che conferma un fatto
particolarmente allarmante. Game, Hasan. Ahmedzaye l'ultimo
attentatore, sono della serie "fai da te". Non sono parte integrante
del centro del network qaidista, sono dei simpatizzanti, con contatti
che spesso sfuggono agli inquirenti (e che vengono ricostruiti solo ex
post) e che colpiscono all'impazzata. Una tipologia di eversore attorno
a cui è difficifissimo stendere una rete, che è difflcilissimo isolare
se non a una condizione, che è proprio quella che manca: il controllo
sociale da parte delle loro comunità. Nessuna polizia al mondo può
riuscire a stendere dei sensori così capillari da poter cogliere la
maturazione della volontà omicida in personaggi opachi come questi. Ma
questa difficoltà potrebbe essere superata se solo il contesto in cui
maturano queste scelte eversive, fosse attento, vigile. Ma così non è.
Non perché le comunità di immigrati musulmani, in Europa, in Italia
come negli Usa (o in India) siano composte da simpatizzanti del
terrorismo (che vi sono, ma sono minoritari, a fronte di una netta
maggioranza di moderati), ma per una ragione più profonda e
inquietante. Perché l'insieme del mondo dell'Islam a 9 anni dall'11
settembre non ha ancora dato segno di una forte, assoluta, volontà di
contrastare la cultura jihadista che porta alla scelta terrorista.
Perché l'Islam contemporaneo - tranne poche, straordinarie, figure di
musulmani - non ha saputo o voluto creare l'anticorpo allo stragismo
che sta prendendo sempre più piede al suo interno.
Carlo Panella, Libero, 3 maggio 2010
A New York Ahmadinejad: proposte concrete sul nucleare Ahmadinejad
farà «proposte molto concrete» sugli armamenti atomici alla conferenza
dell'Onu sul Trattato di non Proliferazione Nucleare. Partito ieri
mattina da Teheran alla volta di New York perpartecipare al vertice sul
rinnovo del Trattato, il presidente iraniano, ha poi aggiunto che
l'Agenzia Internazionale per l'energia atomica ha fallito la propria
missione. «Non solo non vi è stato un disarmo nucleare-ha detto
Ahmadinejad -ma nuovi paesi hanno ottenuto l'arma atomica. Il
riferimento, ha sottolineato la Fars, è a paesi come India, Pakistan o
Israele. Lunedì le Nazioni unite accoglieranno 189 delegazioniper
l'apertura della conferenza sul Tnp. Gli Stati Uniti saranno
rappresentati dal segretario di stato Hillary Clinton.
Il Giornale, 3 maggio 2010
|
|
|
|
|
torna su |
notizieflash |
|
|
|
|
Rav
Toaff, una Fondazione, una mostra e un libro
Roma, 3 mag - Una
grande figura di ebreo italiano: così è definito il rav Elio Toaff
nella mostra in suo onore allestita al Museo ebraico della
Capitale e curata dalla direttrice del museo, Daniela Di Castro e da
Caterina Napoleone. La mostra, che è stata presentata in anteprima alla
stampa questa mattina e sarà inaugurata domani, propone documenti, foto
d'epoca, e testimonianze. Sempre questa mattina è stata presentata
anche La Fondazione che in occasione del novantacinquesimo compleanno
del Rav è stata intitolata proprio al capo rabbino emerito. A queste
iniziative si aggiungono un libro curato da Anna Foa, dal titolo 'Elio
Toaff. Un secolo di vita ebraica in Italia', e un documentario che
ripercorre i momenti più significativi del rabbinato romano di Toaff
(1951-2001), tra cui la visita di Papa Giovanni Paolo II al tempio di
Roma, curato anche fra gli altri dal figlio Daniel Toaff, vicedirettore
di Raiuno. "Un uomo così importante - ha detto il presidente della
Comunità ebraica romana, Riccardo Pacifici - che ha ancora molto da
dire agli italiani e al nostro paese". "E' stato un grande ebreo
italiano - ha aggiunto il presidente della Fondazione, Tedeschi -
il suo è stato un messaggio di tolleranza e di dialogo". "Intestare una
fondazione a mio padre - ha sottolineato lo storico Ariel Toaff, uno
dei figli del rabbino - è il più grande omaggio che potesse essergli
rivolto. Babbo, che ho visto mezz'ora fa, mi ha detto di essere
contentissimo".  |
|
|
|
|
|
torna su |
|
L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei
l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere
ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo
e-mail, scrivete a: desk@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”. |
|
|