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L'Unione informa |
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5 maggio 2010 - 21 Iyar 5770 |
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alef/tav |
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Adolfo Locci, rabbino capo di Padova |
“L’Eterno parlò a Moshè sul Monte Sinai...e la terra cesserà...”
(Levitico 28:1-2) Qual’è il motivo per cui la mitzwà della Shemittà
(anno sabbatico) è enunciata in questi termini? Tutta la Torà è stata
data sul Sinai, perché allora per questa mitzwà la Torà sottolinea il
fatto che è stata dettata sul Sinai? A queste domande sono state date
molte risposte. Rav Chydà (Rabbì Chayym Yoseph David Azulay 1724-1807)
spiega che la mitzwà della Shemittà ha per motivo fondamentale il
rafforzamento della fiducia in D-o. Colui che cessa per un anno di
lavorare, riversa le proprie necessità di sostentamento nella fiducia
che il Signore provvederà ai suoi bisogni. Se raggiungeremo un livello
così alto di fede e il sostentamento materiale non costituirà più il
nucleo centrale intorno al quale far ruotare la nostra vita, sarà
perché saremo riusciti a conformare veramente la nostra vita nella
pienezza della Torà scesa sul Sinai.
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Obama
invita Elie Wiesel a pranzo alla Casa Bianca, Hillary Clinton rivendica
al presidente democratico Harry Truman il merito di aver riconosciuto
Israele appena 11 minuti dopo la nascita, Robert Gates definisce unica
la partnership strategica con Gerusalemme, Jim Jones fa pubblico mea culpa
per una barzelletta sconveniente, David Axelrod fa incetta di inviti a
serate di gala delle maggiori organizzazioni ebraiche americane e Rahm
Emanuel va in tv ad assicurare che Washington non vorrà mai imporre
nulla a Israele in Medio Oriente. Dopo i giorni della crisi ora siamo
passati alla stagione del corteggiamento nell'approccio
dell'amministrazione Obama a Israele. Il motivo? Basta ascoltare Chuck
Schumer, senatore democratico di New York e alleato di ferro di Obama
al Congresso su Sanità pubblica e riforma finanziaria, quando ricorda:
"Da Oslo in poi ogni volta che Israele ha siglato accordi di pace con i
palestinesi lo ha fatto perché si sentiva garantita dall'alleanza di
ferro con l'America, se l'alleanza viene meno Israele non si sentirà
sicura quanto serve per l'accordo sullo status definitivo dei confini".
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Murizio Molinari,
giornalista |
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Qui Bologna – Dialogo, gli interventi all'Archiginnasio
Il rabbino capo di Bologna rav Alberto Sermoneta (nell'
immagine insieme al cardinal Carlo Caffarra, l'archimandrita Dionisos Papavassilou, lo sceicco Abdal
Wahid Pallavicini e l'imam Sergio Yahaia Yahe)
e il Presidente della Comunità ebraica di Bologna Guido Ottolenghi
hanno pronunciato i seguenti discorsi in occasione dell'incontro con
l'arcivescovo di Bologna monsignor Carlo Caffarra alla sala
dell'Archiginnasio della città emiliana. All'avvenimento erano presenti
fra gli altri il magnifico rettore dell'ateneo bolognese professor
Ivano Dionigi, la Presidente della Provincia di Bologna Beatrice
Draghetti, la vicepresidente della Regione Emilia Romagna Giuseppina
Muzzarelli, il professor Alberto Melloni della Fondazione per le
scienze religiose e molte autorità religiose, civili e militari.
(Il
testo integrale dei discorsi promunciati dal Rav Alberto Sermoneta dal
presidente della Comunità Ebraica di Bologna Guido Ottolenghi e di
monsignor Carlo Caffarra sono sul Portale dell'ebraismo italiano moked.it )
Qui Milano – La campagna entra nel vivo
La
campagna elettorale entra nel vivo. La pioggia non ha impedito agli
iscritti della Comunità ebraica di affollare l’aula magna della Scuola,
per assistere alla presentazione delle sette liste (nel complesso 56
persone), candidate alle elezioni comunitarie per il rinnovo del
Consiglio, che si terranno il prossimo 16 maggio. In un’atmosfera
effervescente, il dibattito politico si è intrecciato con il confronto
fra persone che si conoscono da anni, ma la pensano in maniera diversa
su temi che toccano tutti da vicino. Perciò si è parlato di problemi
concreti come la scuola, il bilancio, la casa di riposo, ma sono
ricorsi spesso anche termini come ideologia, visione della Comunità,
contrapposizione e collaborazione. A ciascuna delle liste sono
stati messi a disposizione dieci minuti, cronometrati con
inflessibilità dal segretario generale Alfonso Sassun. Ad aprire
il giro di esposizione dei programmi è stata la lista Per Israele, che
contiene il maggior numero di consiglieri uscenti (ma non il presidente
uscente Leone Soued, candidato con Tikwà ‘Speranza’, cui è spettato
invece il compito di chiudere le presentazioni). “La nostra lista
punta a trasmettere alle nuove generazioni un’identità ebraica forte –
ha esordito Sara Modena, candidata alla presidenza – Pensiamo che
questo sia il fondamento indispensabile per essere aperti verso
l’interno e verso l’esterno. Noi di Per Israele, che si presenta per il
terzo mandato consecutivo, desideriamo raccontare cosa abbiamo già
fatto, oltre a quello che vogliamo fare. Tutti mandiamo i nostri figli
alla Scuola ebraica perché ci crediamo, e viviamo la comunità
dall’interno giorno per giorno”. I candidati di Yes Oui Ken
scelgono invece di aprire la propria presentazione concentrandosi su
quello che per tanti è il problema più drammatico che deve affrontare
la Comunità di Milano, il deficit di bilancio, cresciuto
vertiginosamente negli ultimi anni. Il candidato presidente Roberto
Jarach ha proseguito poi parlando degli altri punti su cui è basato il
loro programma. “Siamo molto concentrati sulle esigenze dei nostri
ragazzi, come dimostra l’età di alcuni dei candidati, sulla socialità,
sulla scuola, su un’idea di Comunità maggiormente accogliente per
iscritti e non iscritti. Queste vogliono essere le nostre ricette ai
tanti problemi da affrontare”. “Quelli che vedete intorno a me
sono un gruppo di professionisti di tutti i campi, che hanno deciso di
aggregarsi sulla spinta della comune voglia di fare qualcosa per questa
Comunità – in questo modo Roberto Liscia ha introdotto la lista Yachad
(‘insieme’) – Il primo tema che ci ha portati a discutere è stata la
scuola, dove studiano o hanno studiato 26 tra i nostri figli e nipoti.
L’azzeramento del deficit è una priorità, ma questo non risolve il
bisogno di recuperare alcuni pilastri, valori come accoglienza,
integrazione, dialogo. Vogliamo impegnarci per il coordinamento tra le
varie anime della Comunità, lavorare per la cultura, per esempio
attraverso l’istituzione di un museo, e ottenere finanziamenti per la
scuola, come già molti altri istituti milanesi”. Proprio la
situazione di scuola e bilancio, i due temi in assoluto più discussi
durante la serata costituiscono il fondamento della lista Comunità e
scuola, tre componenti, con Guido Osimo come candidato presidente.
L’assunto su cui si basano le loro proposte è l’idea che questi due
istituti negli ultimi anni si siano danneggiati a vicenda. “A nostro
parere – spiega Osimo – è assolutamente necessario rendere la scuola e
la Comunità ebraica di Milano due enti autonomi, per quanto entrambi
fondamentali. In questo modo sarà più semplice raccogliere fondi
intorno a progetti concreti per l’uno o per l’altro. E per quanto
riguarda i fondi, proponiamo di sostituire le tasse comunitarie
con una quota di iscrizione, legata ai servizi di cui si può usufruire”. I
dieci minuti a disposizione di ogni lista non lasciano la possibilità
di parlare a tutti i candidati. Il solo per cui il problema non si pone
è Avram Hason, unico esponente della lista Chai (‘vita’). “Mi voglio
presentare davanti a voi per quello che sono – ha spiegato – Voglio
supportare tutte le idee che ritengo buone e mi considero parte di una
lista con 56 componenti. Ho delle posizioni nette, ma credo
profondamente nella mediazione e sono convinto ci sia bisogno di
entrambe le cose per risolvere i problemi della Comunità”. “Sappiamo
tutti che il debito ci mette in una situazione difficile, ma per noi il
grande male che ci affligge è un altro: la disaffezione – ha chiarito
il candidato presidente della lista Unità e Continuità Walker Alfonso
Meghnagi – Troppe persone si sentono lontane dalle Comunità, dobbiamo
coinvolgerle di nuovo. Questa lista è formata da quattro amici che
puntano sul cuore ebraico più che su qualsiasi altra cosa. Siamo
ottimisti e pensiamo di venire eletti e di fare tanto nei prossimi anni
per i giovani, per la scuola, per raccogliere fondi. Sarà necessario
che tutti coloro che entreranno in Consiglio però siano pronti a
guardarsi negli occhi, e mettere in dubbio le proprie certezze, per
ascoltare le certezze degli altri”. La lista Tikvà si è infine
presentata come lista di sintesi, che si propone di raccogliere le
istanze di una pluralità di esperienze e punti di vista dell’ebraismo
milanese. “Desidero tranquillizzare tutti a proposito della situazione
dei conti della Comunità – ha poi precisato il presidente uscente Leone
Soued- È vero, il deficit è aumentato, ma è aumentato anche il
patrimonio complessivo. Abbiamo una nuova casa di riposo, abbiamo
sostenuto tante famiglie in un momento difficile, continuando a erogare
ai nostri iscritti tutti i servizi. Le cifre vanno lette anche
considerando quello che in concreto è stato fatto. È stato fatto tanto,
ed è stato fatto bene”.
Rossella Tercatin
Qui Venezia - Il Consiglio verso il rinnovo
Un
Lag BaOmer all’insegna del dibattito acceso. In preparazione delle
elezioni comunitarie che si svolgeranno domenica 16 maggio è stata
organizzata nei locali della Comunità Ebraica di Venezia un’assemblea
degli iscritti per la presentazione dei candidati. Poche sorprese sono
previste da questa tornata elettorale con la presentazione di otto
candidati sui sette eleggibili in consiglio, un caso unico nella storia
della comunità ebraica lagunare che ha rischiato per la prima volta la
mancanza del numero minimo di candidature per il Consiglio. Una
situazione generata da conflitti apparentemente insanabili, che hanno
portato la Comunità Ebraica di Venezia verso una vera e propria
frattura. Durante la presentazione dei candidati si è svolta un’accesa
discussione su temi ricorrenti: dai personalismi che talvolta segnano
la vita comunitaria, al problema delle conversioni che contrappone una
componente più laica che chiede maggior elasticità a una più ortodossa
che non ha intenzione di cedere sui principi fissati dalla legge
ebraica. Il rabbino capo di Venezia Elia Richetti nel suo D’var Torah,
citando i Pirke Avot e Ben Azai, ha sottolineato l’importanza di non
disprezzare nessuna persona e di non rigettare nessuna argomentazione,
perché non c’è persona che non abbia il suo momento e non c’è
argomentazione che non abbia un suo luogo. La speranza espressa da
tutti è che l’elezione del nuovo Consiglio possa ristabilire un clima
di dialogo e collaborazione, che gli iscritti allontanatisi in questi
anni possano tornare a frequentare intensamente la comunità e ad
assumere nuovamente un ruolo attivo in essa. Per il futuro l’augurio è
che i giovani prendano coscienza dell’attuale situazione comunitaria. Nel
pomeriggio, quietati gli animi, sono iniziati i festeggiamenti per Lag
BaOmer con la lezione di rav Richetti sui tre Rabban Gamliel che si
sono avvicendati nella storia ebraica e la tradizionale grigliata in
giardino accompagnata da canti e balli. I candidati alle elezioni
del Consiglio della comunità ebraica di Venezia di quest’anno sono:
Corrado Calimani, Davide Calimani, Mario Gesuà Sive Salvadori, Amos
Luzzatto, Enrico Mariani, Claude Sciaky-Menaschè, Luciano Silva, Anna
Vera Sullam.
M.C.
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Unità e pluralità
Nel momento in cui tutta l’Italia si stringe festosamente intorno
al Rabbino Emerito di Roma Elio Toaff, in occasione del suo
novantacinquesimo compleanno, segnaliamo le interessanti considerazioni
svolte venerdì 30 aprile, presso l’Università di Bar Ilan – in una
lezione rivolta a un gruppo di studenti e docenti di diritto italiani,
in viaggio di studio in Israele – da Tsippy Levin Byron, poetessa
israeliana molto nota e apprezzata, in patria e all’estero, nonché
rabbina “secolare umanistica”, riguardo alle distinzioni tra le diverse
forme di osservanza religiosa ebraica nei diversi Paesi. Tanto in
Israele, quanto in Italia e negli Stati Uniti, ha osservato la Levin
Byron, si può assistere alla presenza di una larga maggioranza di ebrei
laici e secolarizzati (sganciati, nei comportamenti quotidiani, da una
rigida osservanza dei precetti mosaici, e pienamente integrati, nella
vita civile, accanto ai concittadini gentili), accanto a minoranze
(cospicue in Israele e negli Stati Uniti, molto meno in Italia) di
ebrei religiosi (impropriamente detti ‘ultraortodossi’), tendenti a
respingere molti aspetti della modernità e a condurre una vita
sostanzialmente separata dai non ebrei, distinguendosi da loro anche
nell’aspetto esteriore e nell’abbigliamento. A tale situazione
corrisponde, negli Stati Uniti, anche una molteplicità di rabbinati
(ortodosso, conservativo, ricostruzionista, riformato, secolare), con
differenze anche sostanziali sul piano del culto e delle indicazioni
etiche e comportamentali (p. es., in materia di diritti civili,
bioetica, interpretazione delle Scritture ecc.). In Israele, nonostante
la prevalenza numerica di ebrei non praticanti, una posizione dominante
è ancora assicurata al rabbinato ortodosso (sefardita e aschenazita)
dalla tutela dello status quo, risalente alla dominazione turca e poi
al mandato britannico, che fu decisa dai padri fondatori al momento
dell’indipendenza, ma le richieste di aperture e modifiche, con un
riconoscimento anche giuridico delle competenze delle altre componenti
rabbiniche, si fanno più frequenti, e incontrano nella società maggiore
accoglienza e attenzione. In Italia la situazione è diversa, in
quanto non figurano alternative al rito ortodosso, e ciò in quanto, ha
spiegato la Levin Byron, esso ha saputo sviluppare, nel nostro Paese,
una singolare capacità di “autoriforma” e di adattamento, tale da
eliminare sul nascere l’esigenza di scissioni e fratture. Il merito di
tale unità è, certamente, dell’insieme degli ebrei italiani, attraverso
le varie generazioni, ma, in particolar modo, delle loro guide
spirituali: prima fra tutte, nei decenni del dopoguerra, quella di
Toaff. E un ebraismo unito è certamente stato, per lui, un regalo di
compleanno particolarmente gradito.
Francesco Lucrezi, storico
L’Inquisizione “fabbrica” di marrani?
Penso
anch’io che Anna Foa abbia ragione a proporre un “caute” dinanzi
all’estensione del termine “marrano” alla nostra realtà contemporanea
(l'Unione informa di lunedi). Il fenomeno cinque-settecentesco può
avere introdotto alcune modalità odierne di rapportarsi alla
religiosità, ma la sua complessità non si esaurisce certo in quello che
noi oggi definiamo “marranesimo”. Per dimostrare quanto vasto e
articolato fosse il panorama del passato dovremmo per esempio poter
ritornare anche al “finto marrano” a colui, cioè, che dinanzi
all’Inquisizione dichiara di credere nella “Legge di Mosè”, non
credendoci affatto, ma nella speranza di abbreviare e di facilitare le
procedure processuali. Avremmo in questo caso ben altre e ben diverse
indicazioni su cui riflettere, non tanto alla luce del nostro ebraismo,
ma della nostra triste vita politica…
Myriam Silvera, storica |
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rassegna stampa |
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Mi
fa piacere, in un momento ancora una volta difficile per l’ebraismo
mondiale, aprire questa rassegna con gli auguri inviati da papa
Benedetto XVI a rav Elio Toaff; scritti di suo pugno, si chiudono con
la parola shalom, e le parole sono riportate dall’Osservatore Romano.
Ma oggi l’ebraismo europeo è agitato da una dura diatriba interna
innescata dal convegno organizzato da 3560 intellettuali ebrei a
Bruxelles sotto l’insegna di J Call. Per Sandro Viola, su Repubblica,
questi intellettuali si schierano contro la politica di Netanyahu in
favore di nuove costruzioni, ma, mi permetto di osservare,
l’articolista dimentica il numero ben maggiore di persone che stanno
firmando altri documenti in contrasto con questa posizione, ed in
appoggio alla posizione di Elie Wiesel. Viola parla erroneamente di
“costruzioni in Gerusalemme araba” dimenticando che i noti 1600 alloggi
sono in un quartiere che mai fu arabo, ma solo conquistato dalle truppe
della Giordania e poi rimasto sempre privo di presenza umana. Basta
tale conquista militare per definire quell’area “araba?” Per coerenza
si dovrebbe allora oggi definire quell’area “israeliana”, essendo stata
conquistata, successivamente, dagli israeliani. Non nasconde poi Viola
la propria soddisfazione per il deteriorarsi dei rapporti tra USA ed
Israele, al punto che, scrive, "Obama potrebbe non più difendere
l’alleato dalle condanne in sede ONU" (interessante a questo proposito
ricordare l’articolo scritto lunedì da Battista sul Corriere nel quale
analizza proprio il decadimento dell’immagine delle Nazioni Unite).
Infine, scrive Viola, USA ed America vogliono imporre il proprio piano
di pace ad Israele, e proclama: “se fossero capaci di ragionare quelli
che sono contro...ma nel frattempo ci si accorge della riapparizione di
un odioso, molto vasto, antisemitismo”. Sbaglia, Viola: questa
riapparizione dell’antisemitismo data da prima dell’arrivo al governo
di questi ministri incapaci di ragionare. E sbaglia nel voler
dimenticare che tutte le soluzioni imposte dagli occidentali, fin dagli
accordi di Londra tra ebrei ed arabi del 1919, senza eccezione alcuna,
non hanno fatto altro che portare lacrime e sangue. Parole ben diverse,
sullo stesso tema, e per me perfette, le scrive Giulio Meotti sul Foglio;
intervista la scrittrice Bat Ye’or ed altri intellettuali ed osserva
che J Call nulla dice a Palestinesi ed arabi su quanto si dovrebbe
chiedere loro. Sarebbe piuttosto un tentativo dell’Unione Europea di
darsi una ripulita rispetto alla politica antiisraeliana perseguita
negli anni, dietro alle pressioni della Conferenza Islamica; pressioni
esercitate con minacce, terrore e rappresaglie. Chiude Meotti scrivendo
che si sbrana Israele mentre l’Iran assume un seggio nella Commissione
sullo status della donna. “E’ questo il mondo cui aspirano gli
intellettuali di J Call?” Su Liberal
l’ex ambasciatore USA all’ONU John Bolton firma un articolo di severa
accusa alla politica “sorniona” di Obama, incapace di decidere sanzioni
all’Iran, mentre cerca di impedire azioni israeliane con la minaccia di
non sostituire le perdite subite in un eventuale attacco di Tsahal.
Israele rimarrebbe in tal modo gravemente indebolito. Ma dopo un Iran
nucleare, a parte il rischio di cessione di una simile arma a gruppi
terroristici, si assisterebbe alla corsa al nucleare da parte di Arabia
Saudita, Turchia ed Egitto; per Bolton un attacco israeliano, al
contrario, non sarebbe “né precipitoso né sproporzionale”. Da Ramallah
Buck Tobias firma, per il Financial Times,
un articolo nel quale si riportano le decisioni del governo di Fayyad
di considerare crimine penale quello commesso dai palestinesi per il
semplice fatto di lavorare negli insediamenti israeliani. Se anche
questa collaborazione tra arabi ed israeliani dovesse interrompersi
(come già fu per i lavoratori di Gaza che ogni giorno andavano a
lavorare in Israele) chi ne subirà le conseguenze sarà il “martoriato”
popolo palestinese che continua a farsi male con le proprie mani.
Israele potrà trovare altra manodopera, mentre i disoccupati
palestinesi, oggi considerati 200.000, saliranno ben oltre quei 200.001
come, con incomprensibile ironia, dichiara il ministro dell’economia di
Ramallah. In una breve del Giorno, Resto del Carlino, Nazione,
accanto alla notizia della probabile annessione alla zona controllata
dai palestinesi (la zona A? La breve non specifica) di un nuovo
territorio oggi governato da Israele, si parla di una moschea bruciata
nella notte. Immediate partono le accuse ai coloni, riprese pure
nell’usuale articolo pieno di dure accuse di Michele Giorgio sul Manifesto;
egli è sempre pronto a riportare le parole di affidabili testimoni
palestinesi. Perché, tuttavia, dimentica Giorgio di dire che
probabilmente la causa dell’incendio è da imputarsi ad un cortocircuito
durante i lavori di ristrutturazione in corso? Ma sarebbe comunque
difficile dare credito alle sue parole: oggi scrive, ad esempio, che il
presidente libanese Saad Hariri “non è amico della Siria”, dimenticando
gli incontri tra il premier libanese e Assad di pochi giorni or sono. Le Monde
pubblica un interessante articolo che riprende la dichiarazione di Abu
Mazen del 26 aprile che esclude la prossima nascita unilaterale di uno
stato palestinese, come preconizzato dal suo premier Fayyad; a
ricordare un lungo articolo, su questo argomento, di Tramballi sul Sole 24 Ore
di sabato scorso si osserva come certi giornalisti di casa nostra
scrivono parole a tema, del tutto estranee alla realtà dei fatti, nel
totale disprezzo dei loro lettori. Roberto Zanini su Avvenire
si lamenta che la persecuzione dei cristiani non faccia più notizia.
Cita tuttavia Pierluigi Battista che questa realtà (ma non è solo) l’ha
sempre gridata forte, citando la “prudenza con la quale la Chiesa si
deve muovere per non peggiorare la situazione di tanti cristiani”. Se
poche persone hanno manifestato in favore dei copti perseguitati (come
pochi sono quando si manifesta in favore degli studenti iraniani), non
sarà forse perché chi di solito scende in piazza è oggi in favore di
chi perseguita (in Iran come in Irak ed in tanti altri paesi
musulmani)? Repubblica
infine riprende, con non nascosto compiacimento, le accuse mosse in
sede ONU dall’Egitto ad Israele, “possessore di 200 testate atomiche”
di non voler firmare il trattato di non proliferazione; e questo è
avvenuto ieri nonostante i recenti colloqui di Sharm el Sheik tra
Netanyahu e Mubarak. Emanuel Segre Amar
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notizieflash |
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La
stampa siriana si scaglia contro Obama
Damasco, 5 mag - All'indomani
della decisione del presidente Barack Obama di rinnovare di un anno le
sanzioni economiche, decise nel 2004 dal suo predecessore George W.
Bush, con l'accusa rivolta alla Siria di sostenere organizzazioni
"terroristiche" e di minare la stabilità della regione, la stampa
governativa siriana si è stamani scagliata contro la Casa Bianca .
"Così facendo Obama sostiene apertamente le politiche aggressive
israeliane", recita l'editoriale di al Baath, organo dell'omonimo
partito al potere in Siria da quasi mezzo secolo. "L'annuncio del
rinnovo delle sanzioni, contrarie come è noto al diritto
internazionale, va contro la necessità del dialogo annunciata da Obama
sin dall'inizio della sua presidenza", prosegue il giornale, che
ribadisce che questa decisione "va contro gli sforzi di dialogo
compiuti da esponenti del Dipartimento di Stato americano con la
dirigenza siriana". Dopo cinque anni di gelo diplomatico, Washington ha
di recente aperto alla Siria, decidendo anche di nominare un nuovo
ambasciatore a Damasco, carica vacante dal 2005. "La minaccia americana
continua?", si chiede l'altro quotidiano ufficiale siriano al Thawra.
"E' davvero la Siria che minaccia la sicurezza nazionale degli Stati
Uniti?", prosegue il giornale, facendo riferimento alle motivazioni
espresse da Obama nel suo messaggio inviato al Congresso in occasione
del rinnovo delle sanzioni. "Gli Stati Uniti vogliono forse che la
Siria si dimentichi di esser vittima dell'occupazione (israeliana) e
dei ripetuti crimini commessi da Israele? E' la Siria che rappresenta
una minaccia alla sicurezza della regione?", s'interroga retoricamente
il quotidiano governativo siriano.
A Lia Levi il Premio Alghero Donna 2010 Il
Premio Alghero Donna 2010 (narrativa) è stato consegnato al
Teatro Civico di Alghero alla scrittrice Lia Levi per il suo romanzo
“La Sposa Gentile” edita da e/o. Per il settore poesia il premio è
andato a Gabriella Sica (“Le lacrime delle cose” (ed. Moretti &
Vitali) e per il giornalismo a Paola Saluzzi, conduttrice di Sky Tg 24.
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
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