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L'Unione informa
 
    5 maggio 2010 - 21 Iyar 5770  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
alef/tav    
  adolfo locci Adolfo
Locci,

rabbino capo
di Padova
L’Eterno parlò a Moshè sul Monte Sinai...e la terra cesserà...” (Levitico 28:1-2) Qual’è il motivo per cui la mitzwà della Shemittà (anno sabbatico) è enunciata in questi termini? Tutta la Torà è stata data sul Sinai, perché allora per questa mitzwà la Torà sottolinea il fatto che è stata dettata sul Sinai? A queste domande sono state date molte risposte. Rav Chydà (Rabbì Chayym Yoseph David Azulay 1724-1807) spiega che la mitzwà della Shemittà ha per motivo  fondamentale il rafforzamento della fiducia in D-o. Colui che cessa per un anno di lavorare, riversa le proprie necessità di sostentamento nella fiducia che il Signore provvederà ai suoi bisogni. Se raggiungeremo un livello così alto di fede e il sostentamento materiale non costituirà più il nucleo centrale intorno al quale far ruotare la nostra vita, sarà perché saremo riusciti a conformare veramente la nostra vita nella pienezza della Torà scesa sul Sinai.
Obama invita Elie Wiesel a pranzo alla Casa Bianca, Hillary Clinton rivendica al presidente democratico Harry Truman il merito di aver riconosciuto Israele appena 11 minuti dopo la nascita, Robert Gates definisce unica la partnership strategica con Gerusalemme, Jim Jones fa pubblico mea culpa per una barzelletta sconveniente, David Axelrod fa incetta di inviti a serate di gala delle maggiori organizzazioni ebraiche americane e Rahm Emanuel va in tv ad assicurare che Washington non vorrà mai imporre nulla a Israele in Medio Oriente. Dopo i giorni della crisi ora siamo passati alla stagione del corteggiamento nell'approccio dell'amministrazione Obama a Israele. Il motivo? Basta ascoltare Chuck Schumer, senatore democratico di New York e alleato di ferro di Obama al Congresso su Sanità pubblica e riforma finanziaria, quando ricorda: "Da Oslo in poi ogni volta che Israele ha siglato accordi di pace con i palestinesi lo ha fatto perché si sentiva garantita dall'alleanza di ferro con l'America, se l'alleanza viene meno Israele non si sentirà sicura quanto serve per l'accordo sullo status definitivo dei confini".
Murizio
Molinari,

giornalista
maurizio molinari  
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  Qui Bologna – Dialogo, gli interventi all'Archiginnasio

caffarra sermonetaIl rabbino capo di Bologna rav Alberto Sermoneta
(
nell' immagine insieme al cardinal Carlo Caffarra, l'archimandrita Dionisos Papavassilou, lo sceicco Abdal Wahid Pallavicini e l'imam Sergio Yahaia Yahe) e il Presidente della Comunità ebraica di Bologna Guido Ottolenghi hanno pronunciato i seguenti discorsi in occasione dell'incontro con l'arcivescovo di Bologna monsignor Carlo Caffarra alla sala dell'Archiginnasio della città emiliana. All'avvenimento erano presenti fra gli altri il magnifico rettore dell'ateneo bolognese professor Ivano Dionigi, la Presidente della Provincia di Bologna Beatrice Draghetti, la vicepresidente della Regione Emilia Romagna Giuseppina Muzzarelli, il professor Alberto Melloni della Fondazione per le scienze religiose e molte autorità religiose, civili e militari.


(Il testo integrale dei discorsi promunciati dal Rav Alberto Sermoneta dal presidente della Comunità Ebraica di Bologna Guido Ottolenghi e di monsignor Carlo Caffarra sono sul Portale dell'ebraismo italiano moked.it )



Qui Milano – La campagna entra nel vivo

davar rossellaLa campagna elettorale entra nel vivo. La pioggia non ha impedito agli iscritti della Comunità ebraica di affollare l’aula magna della Scuola, per assistere alla presentazione delle sette liste (nel complesso 56 persone), candidate alle elezioni comunitarie per il rinnovo del Consiglio, che si terranno il prossimo 16 maggio. In un’atmosfera effervescente, il dibattito politico si è intrecciato con il confronto fra persone che si conoscono da anni, ma la pensano in maniera diversa su temi che toccano tutti da vicino. Perciò si è parlato di problemi concreti come la scuola, il bilancio, la casa di riposo, ma sono ricorsi spesso anche termini come ideologia, visione della Comunità, contrapposizione e collaborazione.
A ciascuna delle liste sono stati messi a disposizione dieci minuti, cronometrati con inflessibilità dal segretario generale Alfonso Sassun.
Ad aprire il giro di esposizione dei programmi è stata la lista Per Israele, che contiene il maggior numero di consiglieri uscenti (ma non il presidente uscente Leone Soued, candidato con Tikwà ‘Speranza’, cui è spettato invece il compito di chiudere le presentazioni).
“La nostra lista punta a trasmettere alle nuove generazioni un’identità ebraica forte – ha esordito Sara Modena, candidata alla presidenza – Pensiamo che questo sia il fondamento indispensabile per essere aperti verso l’interno e verso l’esterno. Noi di Per Israele, che si presenta per il terzo mandato consecutivo, desideriamo raccontare cosa abbiamo già fatto, oltre a quello che vogliamo fare. Tutti mandiamo i nostri figli alla Scuola ebraica perché ci crediamo, e viviamo la comunità dall’interno giorno per giorno”.
I candidati di Yes Oui Ken scelgono invece di aprire la propria presentazione concentrandosi su quello che per tanti è il problema più drammatico che deve affrontare la Comunità di Milano, il deficit di bilancio, cresciuto vertiginosamente negli ultimi anni. Il candidato presidente Roberto Jarach ha proseguito poi parlando degli altri punti su cui è basato il loro programma. “Siamo molto concentrati sulle esigenze dei nostri ragazzi, come dimostra l’età di alcuni dei candidati, sulla socialità, sulla scuola, su un’idea di Comunità maggiormente accogliente per iscritti e non iscritti. Queste vogliono essere le nostre ricette ai tanti problemi da affrontare”.
“Quelli che vedete intorno a me sono un gruppo di professionisti di tutti i campi, che hanno deciso di aggregarsi sulla spinta della comune voglia di fare qualcosa per questa Comunità – in questo modo Roberto Liscia ha introdotto la lista Yachad (‘insieme’) – Il primo tema che ci ha portati a discutere è stata la scuola, dove studiano o hanno studiato 26 tra i nostri figli e nipoti. L’azzeramento del deficit è una priorità, ma questo non risolve il bisogno di recuperare alcuni pilastri, valori come accoglienza, integrazione, dialogo. Vogliamo impegnarci per il coordinamento tra le varie anime della Comunità, lavorare per la cultura, per esempio attraverso l’istituzione di un museo, e ottenere finanziamenti per la scuola, come già molti altri istituti milanesi”.
Proprio la situazione di scuola e bilancio, i due temi in assoluto più discussi durante la serata costituiscono il fondamento della lista Comunità e scuola, tre componenti, con Guido Osimo come candidato presidente. L’assunto su cui si basano le loro proposte è l’idea che questi due istituti negli ultimi anni si siano danneggiati a vicenda. “A nostro parere – spiega Osimo – è assolutamente necessario rendere la scuola e la Comunità ebraica di Milano due enti autonomi, per quanto entrambi fondamentali. In questo modo sarà più semplice raccogliere fondi intorno a progetti concreti per l’uno o per l’altro. E per quanto riguarda i fondi, proponiamo di sostituire  le tasse comunitarie con una quota di iscrizione, legata ai servizi di cui si può usufruire”.
I dieci minuti a disposizione di ogni lista non lasciano la possibilità di parlare a tutti i candidati. Il solo per cui il problema non si pone è Avram Hason, unico esponente della lista Chai (‘vita’). “Mi voglio presentare davanti a voi per quello che sono – ha spiegato – Voglio supportare tutte le idee che ritengo buone e mi considero parte di una lista con 56 componenti. Ho delle posizioni nette, ma credo profondamente nella mediazione e sono convinto ci sia bisogno di entrambe le cose per risolvere i problemi della Comunità”.
“Sappiamo tutti che il debito ci mette in una situazione difficile, ma per noi il grande male che ci affligge è un altro: la disaffezione – ha chiarito il candidato presidente della lista Unità e Continuità Walker Alfonso Meghnagi – Troppe persone si sentono lontane dalle Comunità, dobbiamo coinvolgerle di nuovo. Questa lista è formata da quattro amici che puntano sul cuore ebraico più che su qualsiasi altra cosa. Siamo ottimisti e pensiamo di venire eletti e di fare tanto nei prossimi anni per i giovani, per la scuola, per raccogliere fondi. Sarà necessario che tutti coloro che entreranno in Consiglio però siano pronti a guardarsi negli occhi, e mettere in dubbio le proprie certezze, per ascoltare le certezze degli altri”.
La lista Tikvà si è infine presentata come lista di sintesi, che si propone di raccogliere le istanze di una pluralità di esperienze e punti di vista dell’ebraismo milanese. “Desidero tranquillizzare tutti a proposito della situazione dei conti della Comunità – ha poi precisato il presidente uscente Leone Soued- È vero, il deficit è aumentato, ma è aumentato anche il patrimonio complessivo. Abbiamo una nuova casa di riposo, abbiamo sostenuto tante famiglie in un momento difficile, continuando a erogare ai nostri iscritti tutti i servizi. Le cifre vanno lette anche considerando quello che in concreto è stato fatto. È stato fatto tanto, ed è stato fatto bene”.


Rossella Tercatin



Qui Venezia - Il Consiglio verso il rinnovo

consiglio veneziaUn Lag BaOmer all’insegna del dibattito acceso. In preparazione delle elezioni comunitarie che si svolgeranno domenica 16 maggio è stata organizzata nei locali della Comunità Ebraica di Venezia un’assemblea degli iscritti per la presentazione dei candidati. Poche sorprese sono previste da questa tornata elettorale con la presentazione di otto candidati sui sette eleggibili in consiglio, un caso unico nella storia della comunità ebraica lagunare che ha rischiato per la prima volta la mancanza del numero minimo di candidature per il Consiglio.
Una situazione generata da conflitti apparentemente insanabili, che hanno portato la Comunità Ebraica di Venezia verso una vera e propria frattura. Durante la presentazione dei candidati si è svolta un’accesa discussione su temi ricorrenti: dai personalismi che talvolta segnano la vita comunitaria, al problema delle conversioni che contrappone una componente più laica che chiede maggior elasticità a una più ortodossa che non ha intenzione di cedere sui principi fissati dalla legge ebraica. Il rabbino capo di Venezia Elia Richetti nel suo D’var Torah, citando i Pirke Avot e Ben Azai, ha sottolineato l’importanza di non disprezzare nessuna persona e di non rigettare nessuna argomentazione, perché non c’è persona che non abbia il suo momento e non c’è argomentazione che non abbia un suo luogo.
La speranza espressa da tutti è che l’elezione del nuovo Consiglio possa ristabilire un clima di dialogo e collaborazione, che gli iscritti allontanatisi in questi anni possano tornare a frequentare intensamente la comunità e ad assumere nuovamente un ruolo attivo in essa. Per il futuro l’augurio è che i giovani prendano coscienza dell’attuale situazione comunitaria.
Nel pomeriggio, quietati gli animi, sono iniziati i festeggiamenti per Lag BaOmer con la lezione di rav Richetti sui tre Rabban Gamliel che si sono avvicendati nella storia ebraica e la tradizionale grigliata in giardino accompagnata da canti e balli.
I candidati alle elezioni del Consiglio della comunità ebraica di Venezia di quest’anno sono: Corrado Calimani, Davide Calimani, Mario Gesuà Sive Salvadori, Amos Luzzatto, Enrico Mariani, Claude Sciaky-Menaschè, Luciano Silva, Anna Vera Sullam.

M.C.

 
 
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  francesco lucreziUnità e pluralità

Nel momento in cui tutta l’Italia si stringe festosamente intorno al Rabbino Emerito di Roma Elio Toaff, in occasione del suo novantacinquesimo compleanno, segnaliamo le interessanti considerazioni svolte venerdì 30 aprile, presso l’Università di Bar Ilan – in una lezione rivolta a un gruppo di studenti e docenti di diritto italiani, in viaggio di studio in Israele – da Tsippy Levin Byron, poetessa israeliana molto nota e apprezzata, in patria e all’estero, nonché rabbina “secolare umanistica”, riguardo alle distinzioni tra le diverse forme di osservanza religiosa ebraica nei diversi Paesi.
Tanto in Israele, quanto in Italia e negli Stati Uniti, ha osservato la Levin Byron, si può assistere alla presenza di una larga maggioranza di ebrei laici e secolarizzati (sganciati, nei comportamenti quotidiani, da una rigida osservanza dei precetti mosaici, e pienamente integrati, nella vita civile, accanto ai concittadini gentili), accanto a minoranze (cospicue in Israele e negli Stati Uniti, molto meno in Italia) di ebrei religiosi (impropriamente detti ‘ultraortodossi’), tendenti a respingere molti aspetti della modernità e a condurre una vita sostanzialmente separata dai non ebrei, distinguendosi da loro anche nell’aspetto esteriore e nell’abbigliamento.
A tale situazione corrisponde, negli Stati Uniti, anche una molteplicità di rabbinati (ortodosso, conservativo, ricostruzionista, riformato, secolare), con differenze anche sostanziali sul piano del culto e delle indicazioni etiche e comportamentali (p. es., in materia di diritti civili, bioetica, interpretazione delle Scritture ecc.). In Israele, nonostante la prevalenza numerica di ebrei non praticanti, una posizione dominante è ancora assicurata al rabbinato ortodosso (sefardita e aschenazita) dalla tutela dello status quo, risalente alla dominazione turca e poi al mandato britannico, che fu decisa dai padri fondatori al momento dell’indipendenza, ma le richieste di aperture e modifiche, con un riconoscimento anche giuridico delle competenze delle altre componenti rabbiniche, si fanno più frequenti, e incontrano nella società maggiore accoglienza e attenzione.
In Italia la situazione è diversa, in quanto non figurano alternative al rito ortodosso, e ciò in quanto, ha spiegato la Levin Byron, esso ha saputo sviluppare, nel nostro Paese, una singolare capacità di “autoriforma” e di adattamento, tale da eliminare sul nascere l’esigenza di scissioni e fratture. Il merito di tale unità è, certamente, dell’insieme degli ebrei italiani, attraverso le varie generazioni, ma, in particolar modo, delle loro guide spirituali: prima fra tutte, nei decenni del dopoguerra, quella di Toaff. E un ebraismo unito è certamente stato, per lui, un regalo di compleanno particolarmente gradito.

Francesco Lucrezi, storico



myriam silvera L’Inquisizione “fabbrica” di marrani?


Penso anch’io che Anna Foa abbia ragione a proporre un “caute” dinanzi all’estensione del termine “marrano” alla nostra realtà contemporanea (l'Unione informa di lunedi). Il fenomeno cinque-settecentesco può avere introdotto alcune modalità odierne di rapportarsi alla religiosità, ma la sua complessità non si esaurisce certo in quello che noi oggi definiamo “marranesimo”. Per dimostrare quanto vasto e articolato fosse il panorama del passato dovremmo per esempio poter ritornare anche al “finto marrano” a colui, cioè, che dinanzi all’Inquisizione dichiara di credere nella “Legge di Mosè”, non credendoci affatto, ma nella speranza di abbreviare e di facilitare le procedure processuali. Avremmo in questo caso ben altre e ben diverse indicazioni su cui riflettere, non tanto alla luce del nostro ebraismo, ma della nostra triste vita politica…

Myriam Silvera, storica
 
 
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rassegna stampa    
 
 
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Mi fa piacere, in un momento ancora una volta difficile per l’ebraismo mondiale, aprire questa rassegna con gli auguri inviati da papa Benedetto XVI a rav Elio Toaff; scritti di suo pugno, si chiudono con la parola shalom, e le parole sono riportate dall’Osservatore Romano. Ma oggi l’ebraismo europeo è agitato da una dura diatriba interna innescata dal convegno organizzato da 3560 intellettuali ebrei a Bruxelles sotto l’insegna di J Call. Per Sandro Viola, su Repubblica, questi intellettuali si schierano contro la politica di Netanyahu in favore di nuove costruzioni, ma, mi permetto di osservare, l’articolista dimentica il numero ben maggiore di persone che stanno firmando altri documenti in contrasto con questa posizione, ed in appoggio alla posizione di Elie Wiesel. Viola parla erroneamente di “costruzioni in Gerusalemme araba” dimenticando che i noti 1600 alloggi sono in un quartiere che mai fu arabo, ma solo conquistato dalle truppe della Giordania e poi rimasto sempre privo di presenza umana. Basta tale conquista militare per definire quell’area “araba?” Per coerenza si dovrebbe allora oggi definire quell’area “israeliana”, essendo stata conquistata, successivamente, dagli israeliani. Non nasconde poi Viola la propria soddisfazione per il deteriorarsi dei rapporti tra USA ed Israele, al punto che, scrive, "Obama potrebbe non più difendere l’alleato dalle condanne in sede ONU" (interessante a questo proposito ricordare l’articolo scritto lunedì da Battista sul Corriere nel quale analizza proprio il decadimento dell’immagine delle Nazioni Unite). Infine, scrive Viola, USA ed America vogliono imporre il proprio piano di pace ad Israele, e proclama: “se fossero capaci di ragionare quelli che sono contro...ma nel frattempo ci si accorge della riapparizione di un odioso, molto vasto, antisemitismo”. Sbaglia, Viola: questa riapparizione dell’antisemitismo data da prima dell’arrivo al governo di questi ministri incapaci di ragionare. E sbaglia nel voler dimenticare che tutte le soluzioni imposte dagli occidentali, fin dagli accordi di Londra tra ebrei ed arabi del 1919, senza eccezione alcuna, non hanno fatto altro che portare lacrime e sangue. Parole ben diverse, sullo stesso tema, e per me perfette, le scrive Giulio Meotti sul Foglio; intervista la scrittrice Bat Ye’or ed altri intellettuali ed osserva che J Call nulla dice a Palestinesi ed arabi su quanto si dovrebbe chiedere loro. Sarebbe piuttosto un tentativo dell’Unione Europea di darsi una ripulita rispetto alla politica antiisraeliana perseguita negli anni, dietro alle pressioni della Conferenza Islamica; pressioni esercitate con minacce, terrore e rappresaglie. Chiude Meotti scrivendo che si sbrana Israele mentre l’Iran assume un seggio nella Commissione sullo status della donna. “E’ questo il mondo cui aspirano gli intellettuali di J Call?” Su Liberal l’ex ambasciatore USA all’ONU John Bolton firma un articolo di severa accusa alla politica “sorniona” di Obama, incapace di decidere sanzioni all’Iran, mentre cerca di impedire azioni israeliane con la minaccia di non sostituire le perdite subite in un eventuale attacco di Tsahal. Israele rimarrebbe in tal modo gravemente indebolito. Ma dopo un Iran nucleare, a parte il rischio di cessione di una simile arma a gruppi terroristici, si assisterebbe alla corsa al nucleare da parte di Arabia Saudita, Turchia ed Egitto; per Bolton un attacco israeliano, al contrario, non sarebbe “né precipitoso né sproporzionale”. Da Ramallah Buck Tobias firma, per il Financial Times, un articolo nel quale si riportano le decisioni del governo di Fayyad di considerare crimine penale quello commesso dai palestinesi per il semplice fatto di lavorare negli insediamenti israeliani. Se anche questa collaborazione tra arabi ed israeliani dovesse interrompersi (come già fu per i lavoratori di Gaza che ogni giorno andavano a lavorare in Israele) chi ne subirà le conseguenze sarà il “martoriato” popolo palestinese che continua a farsi male con le proprie mani. Israele potrà trovare altra manodopera, mentre i disoccupati palestinesi, oggi considerati 200.000, saliranno ben oltre quei 200.001 come, con incomprensibile ironia, dichiara il ministro dell’economia di Ramallah. In una breve del Giorno, Resto del Carlino, Nazione, accanto alla notizia della probabile annessione alla zona controllata dai palestinesi (la zona A? La breve non specifica) di un nuovo territorio oggi governato da Israele, si parla di una moschea bruciata nella notte. Immediate partono le accuse ai coloni, riprese pure nell’usuale articolo pieno di dure accuse di Michele Giorgio sul Manifesto; egli è sempre pronto a riportare le parole di affidabili testimoni palestinesi. Perché, tuttavia, dimentica Giorgio di dire che probabilmente la causa dell’incendio è da imputarsi ad un cortocircuito durante i lavori di ristrutturazione in corso? Ma sarebbe comunque difficile dare credito alle sue parole: oggi scrive, ad esempio, che il presidente libanese Saad Hariri “non è amico della Siria”, dimenticando gli incontri tra il premier libanese e Assad di pochi giorni or sono. Le Monde pubblica un interessante articolo che riprende la dichiarazione di Abu Mazen del 26 aprile che esclude la prossima nascita unilaterale di uno stato palestinese, come preconizzato dal suo premier Fayyad; a ricordare un lungo articolo, su questo argomento, di Tramballi sul Sole 24 Ore di sabato scorso si osserva come certi giornalisti di casa nostra scrivono parole a tema, del tutto estranee alla realtà dei fatti, nel totale disprezzo dei loro lettori. Roberto Zanini su Avvenire si lamenta che la persecuzione dei cristiani non faccia più notizia. Cita tuttavia Pierluigi Battista che questa realtà (ma non è solo) l’ha sempre gridata forte, citando la “prudenza con la quale la Chiesa si deve muovere per non peggiorare la situazione di tanti cristiani”. Se poche persone hanno manifestato in favore dei copti perseguitati (come pochi sono quando si manifesta in favore degli studenti iraniani), non sarà forse perché chi di solito scende in piazza è oggi in favore di chi perseguita (in Iran come in Irak ed in tanti altri paesi musulmani)? Repubblica infine riprende, con non nascosto compiacimento, le accuse mosse in sede ONU dall’Egitto ad Israele, “possessore di 200 testate atomiche” di non voler firmare il trattato di non proliferazione; e questo è avvenuto ieri nonostante i recenti colloqui di Sharm el Sheik tra Netanyahu e Mubarak.

Emanuel Segre Amar

 
 
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notizieflash    
 
 
La stampa siriana si scaglia contro Obama                                      
Damasco, 5 mag -
All'indomani della decisione del presidente Barack Obama di rinnovare di un anno le sanzioni economiche, decise nel 2004 dal suo predecessore George W. Bush, con l'accusa rivolta alla Siria di sostenere organizzazioni "terroristiche" e di minare la stabilità della regione, la stampa governativa siriana si è stamani scagliata contro la Casa Bianca . "Così facendo Obama sostiene apertamente le politiche aggressive israeliane", recita l'editoriale di al Baath, organo dell'omonimo partito al potere in Siria da quasi mezzo secolo. "L'annuncio del rinnovo delle sanzioni, contrarie come è noto al diritto internazionale, va contro la necessità del dialogo annunciata da Obama sin dall'inizio della sua presidenza", prosegue il giornale, che ribadisce che questa decisione "va contro gli sforzi di dialogo compiuti da esponenti del Dipartimento di Stato americano con la dirigenza siriana". Dopo cinque anni di gelo diplomatico, Washington ha di recente aperto alla Siria, decidendo anche di nominare un nuovo ambasciatore a Damasco, carica vacante dal 2005. "La minaccia americana continua?", si chiede l'altro quotidiano ufficiale siriano al Thawra. "E' davvero la Siria che minaccia la sicurezza nazionale degli Stati Uniti?", prosegue il giornale, facendo riferimento alle motivazioni espresse da Obama nel suo messaggio inviato al Congresso in occasione del rinnovo delle sanzioni. "Gli Stati Uniti vogliono forse che la Siria si dimentichi di esser vittima dell'occupazione (israeliana) e dei ripetuti crimini commessi da Israele? E' la Siria che rappresenta una minaccia alla sicurezza della regione?", s'interroga retoricamente il quotidiano governativo siriano.


A Lia Levi il Premio Alghero Donna 2010
Il Premio Alghero Donna 2010 (narrativa) è stato consegnato  al Teatro Civico di Alghero alla scrittrice Lia Levi per il suo romanzo “La Sposa Gentile” edita da e/o. Per il settore poesia il premio è andato a Gabriella Sica (“Le lacrime delle cose” (ed. Moretti & Vitali) e per il giornalismo a Paola Saluzzi, conduttrice di Sky Tg 24.


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