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L'Unione informa |
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6 maggio 2010 - 22 Iyar 5770 |
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alef/tav |
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Alfonso Arbib, rabbino capo di Milano |
Nel
Talmùd, trattato Betzà 15b, si racconta che durante una lezione di Rav
Eliezer gli allievi cominciarono progressivamente a uscire fino a che
rimase solo un piccolo gruppo che però, a un certo punto, se ne andò.
Rav Eliezer, che aveva liquidato con alcune frasi ironiche gli studenti
che erano usciti per primi, trattò con grande durezza gli altri. Un
Maestro contemporaneo Rav Yacov Kanieski, si chiede il motivo di questo
comportamento, dopotutto quegli ultimi studenti avevano dimostrato un
attaccamento alla Torà superiore a tutti gli altri. Risponde dicendo
che proprio per questo motivo sono maggiormente responsabili. Sono
persone che capiscono l'importanza della Torà ma non riescono ad
arrivare fino in fondo, si fermano in mezzo al guado. Credo che questo
episodio dia un insegnamento importante. Noi abbiamo il privilegio di
aver ricevuto una tradizione culturale di straordinario valore, ma
abbiamo il dovere di testimoniare questo valore. Questo dovere è tanto
più grande quanto più siamo vicini a questa tradizione. Ed è importante
soprattutto in un'epoca come la nostra in cui la cultura ebraica sembra
assumere valori importanti solo quando corrisponde alla vulgata
culturale del momento. |
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Una
postilla ai margini dei festeggiamenti in occasione del 95° compleanno
di Rav Elio Toaff. Nel 1947, 63 anni fa, un anno prima
dell'indipendenza dello Stato d'Israele, si tenne a Gerusalemme un
simposio sul futuro dell'educazione ebraica. Negli atti del convegno,
pubblicati in ebraico dall'Università di Gerusalemme nel 1948, per il
grande Educatore che è stato Elio Toaff, è ben viva – allora come oggi
– la necessità di trasmettere il concetto fondante di Clal Israel – la
comunione di tutto il popolo d'Israele: "In Italia non c'è stato un
fenomeno di negazione organizzata [dell'ebraismo] com'è avvenuto in
altri paesi seguendo l'assimilazione. C'è un'enorme ignoranza; ma anche
se singoli o in molti si allontanano dalla Torà nella loro vita
privata, tutti continuano a riconoscere la Torà come la legge vigente e
unica della Comunità ebraica. Perciò non è emerso in Italia nessun
movimento di riforma religiosa; né si è radicata in Italia nessuna
linea separatista dal collettivo ebraico come l'Aguda. Anche i partiti
politici all'interno del movimento sionista non hanno trovato terreno
fertile; e il sionismo si è mantenuto unito, fortemente legato al
movimento di ritorno alla Torà di Israele seguendo il richiamo dei
rabbini e degli studiosi. Tutto ciò crea tre vantaggi
all'organizzazione dell'educazione [ebraica]: (1) È bene educare il
fanciullo in un quadro unificato, che include i due ideali dell'amore
di Sion e dell'osservanza delle mitzvòt; (2) L'organizzazione della
Comunita è unitaria – le comunità sono rimaste in mano ai rabbini per
tutto quanto riguarda l'Halachà e l'educazione. In ogni comunità esiste
solamente una scuola sotto la supervisione della Comunità, e il rabbino
è l'autorità in materia educativa; (3) Il contesto di tutte le
istituzioni – le scuole, le organizzazioni culturali, i campeggi
giovanili, ecc. – è rimasto assolutamente cascèr, nonostante vi sia
solo una minoranza di persone osservanti. Ciò facilita coloro che
ritornano all'ebraismo nel trovare la loro strada direttamente in un
ebraismo integrale. Un ebraismo integrale – senza inutili attributi
come "religioso" o "nazionale" – questo è lo slogan dell'ebraismo
italiano." |
Sergio Della Pergola,
Università Ebraica di Gerusalemme |
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Qui Torino - Odio e diffamazione, severa condanna
Sei mesi di reclusione e duemila euro di provvisionale in favore della
Comunità Ebraica di Torino. Questo il verdetto, in primo grado, del
Tribunale di Torino che ha riconosciuto colpevole del reato di
diffamazione a mezzo stampa l’editore Roberto Chiaromonte per la
pubblicazione de I Protocolli dei Savi Anziani di Sion di Segrey Nilus
– Versione italiana con appendice. “Siamo soddisfatti dell’esito della
sentenza” dichiara il presidente della comunità torinese, Tullio Levi
“e speriamo che questa condanna, in un clima di crescente
antisemitismo, in particolare sul web, possa essere un forte messaggio
deterrente per questo tipo di comportamenti o iniziative”. La
vicenda processuale a carico del Chiaromonte è iniziata nell’ottobre
2008. In prima istanza, la Comunità ebraica, assistita dall’avvocato
Davide Petrini, deposita, oltre all’atto di querela per diffamazione,
una denuncia per istigazione all’odio razziale. In particolare si
ipotizza il reato di propaganda di idee fondate sulla superiorità o
sull’odio razziale, per istigazione alla commissione di atti di
discriminazione per motivi razziali, etnici o religiosi. Qualche mese
dopo, nel maggio 2009, arriva la risposta del pubblico ministero,
ovvero la richiesta di archiviazione del caso. La decisione di lasciar
cadere le accuse desta evidente stupore ma la giustificazione appare
ancora più controversa. Secondo il pm, infatti, nonostante i valori che
la comunità intende tutelare siano degni “di ogni più attenta
considerazione”, “la condotta attribuibile all’indagato Chiaromonte –
si legge nella richiesta di archiviazione al gip - rientra nell’alveo
del diritto alla libera manifestazione del pensiero, tutelato dall’art.
21 della Costituzione”. L’editore, dunque, pubblicando I Protocolli dei
Savi Anziani di Sion ha esercitato un diritto costituzionale. Non vi è
reato perché non si riscontra concretamente l’istigazione al compimento
di atti di discriminazione razziale. Non solo. Argomentando la sua
decisione, il pubblico ministero spiega che la pubblicazione e le
considerazioni del Chiaromonte nella post-fazione e nella quarta di
copertina non integrano il delitto in questione perché l’opera si
caratterizza per il contenuto antisionista (critica ad un movimento
politico) e non antiebraico o antisemita. Immediata l’opposizione
da parte della comunità ebraica alla richiesta di archiviazione del
caso. Nell’istanza, l’avvocato Petrini sostiene che, oltre alla
sussistenza del reato, dietro un’apparente critica al sionismo,
nell’opera e nelle prefazioni vi sia una palese esaltazione della tesi
per cui i mali dell’attuale società andrebbero ricercati nel popolo
ebraico. “L’opera oggetto di denuncia - si legge nell’atto
d’opposizione - accredita esplicitamente l’idea che i Protocolli
costituiscano, in realtà una voce profetica, che troppo poco si è
voluta ascoltare nelle società occidentali, e proprio in questo senso
si concretizza la diffusione di idee fondate sulla superiorità o
sull'odio razziale o etnico, prevista e punita dalla legge del 1975”. L’opposizione
viene accolta dal gip ma il reato contestato è quello di diffamazione a
mezzo stampa, per il quale, peraltro, il nostro ordinamento applica
pene più severe rispetto al delitto di istigazione all’odio razziale. E
il 5 maggio arriva la sentenza: l’imputato è stato riconosciuto
colpevole e condannato a 6 mesi di reclusione, al pagamento delle spese
del procedimento, delle spese legali sostenute dalla controparte ed al
riconoscimento di una provvisionale di duemila euro in favore della
Comunità. Nonostante la soddisfazione il presidente Levi confida
“avrei voluto una condanna anche per l’istigazione all’odio razziale ma
intanto aspettiamo la motivazione della sentenza (il giudice si è dato
novanta giorni per depositarla) e vedremo se l’editore farà ricorso”.
Daniel Reichel
Qui Bolzano - Violata la Legge Mancino, condannati naziskin altoatesini
Diciassette
hanno patteggiato concordando pene variabili fra gli otto mesi e i due
anni, quattro sono stati assolti perché nel frattempo le vittime hanno
ritirato la querela nei loro confronti (ma solo dopo aver ottenuto un
risarcimento), uno verrà giudicato dal tribunale dei Minori perché
all’epoca dei fatti non aveva ancora compiuto diciotto anni. Questo il
bilancio dell’udienza preliminare che vedeva un gruppo di naziskin
altoatesini sotto processo per il reato di istigazione all'odio
razziale. Al gruppo si contestavano vari episodi di violenza (in
particolare pestaggi e intimidazioni) consumati ai danni di giovani
italiani e stranieri ritenuti “diversi” per motivi etnici, razziali e
sociali. I naziskin erano stati arrestati dopo che alcune
intercettazioni telefoniche ne avevano provato le responsabilità nei
fatti. Gli inquirenti, al termine di indagini che sono andate avanti
per mesi, hanno fatto luce su quel gruppo che per lungo tempo ha
seminato il panico nella zona del Meranese. Dai risultati delle
indagini è emerso come i naziskin si incontrassero regolarmente in una
casetta di legno situata nella zona boschiva di Saltusio (sulla cui
porta d'accesso faceva bella mostra la scritta 'ein Tirol'), dove
organizzavano cerimonie con falò e propaganda neonazista (rinvenute
svastiche, emblemi nazisti e un vasto campionario di amenità simili). I
naziskin, che in parte si sono mostrati pentiti, dal loro arresto fino
al giorno dell’udienza preliminare hanno frequentato una sorta di
“scuola di democrazia” finalizzata al loro recupero e reinserimento in
società: inclusa nel programma anche una visita al campo di Mauthausen. La
punizione inflitta ai giovani skinhead altoatesini è un momento
importante nella lotta al rigurgito neonazista che interessa in modo
drammatico quella parte del paese sempre più spesso terra di forti
tensioni ideologiche. Il giudice Walter Pelino di Bolzano, nel
comminare le condanne, ha applicato quanto previsto nella Legge Mancino
del 1993, la legge volta a sanzionare le condotte riconducibili alla
xenofobia e al razzismo proposta dall’allora ministro di area dc Nicola
Mancino. Giudicata da alcuni “incostituzionale e pericolosa” perché
rappresenterebbe “una limitazione della inalienabile libertà di
pensiero e di parola”, questa legge costituisce in realtà un solido
pilastro nella lotta alla discriminazione. Basta un esempio per
rendersene conto: quando nel 2006 Roberto Fiore, segretario nazionale
di Forza Nuova, chiese di allearsi con il centrodestra, pose come punto
essenziale di un eventuale accordo l’abrogazione della Legge Mancino.
Considerata la composizione dell’elettorato medio di Forza Nuova, non è
poi così difficile immaginare il motivo di questa richiesta.
Adam Smulevich
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Ripensare il Risorgimento
Ieri allo scoglio di Quarto il Presidente della Repubblica Napolitano
ha aperto i festeggiamenti per i 150 anni dell'unità d'Italia. Tra i
Mille di Garibaldi c'erano, come è noto, alcuni ebrei, in misura
decisamente superiore alla loro proporzione numerica in Italia. Ma
quando i Garibaldini arrivarono a Napoli la sede locale (unica in
Italia) del Banco Rothschild, intorno alla quale era rinata una piccola
comunità ebraica, chiuse i battenti per sempre per non avere a che fare
con dei sovversivi. La partecipazione ebraica al Risorgimento è stata
ampia e convinta, ma probabilmente non da tutti condivisa con lo stesso
entusiasmo. C'è stato poi un eccesso di retorica che è costato caro ai
tempi del fascismo con la spaccatura tra i diversi modi di sentirsi
italiani ed ebrei. Oggi immagino che la stragrande maggioranza degli
ebrei italiani consideri utile e opportuna la celebrazione dell'unità
d'Italia, come una festa che li riguarda direttamente. Per questo
sarebbe importante portare alle celebrazioni il contributo di un serio
dibattito storico sui modi di partecipazione ebraica al processo
unitario, con tutti i tormenti identitari che ha determinato. Secondo i
nostri mistici nel corpo di ognuno di noi abitano più anime: sono
cinque, per la Kabalà classica, molte di più secondo Moshè Chaym
Luzzatto. Almeno una di queste, probabilmente, parla italiano.
Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma
La grande nuvola
II
colloqui indiretti tra Israele e Palestina sono già una noia. Se ne
presagisce l'amara inutilità. L'ossequio al loro svolgimento è legato
al fatto di soddisfare il gusto etico-estetico di Obama, la sua idea
tenue, quasi fanciullesca, di una democrazia planetaria poggiata sul
carattere tenace degli uomini di buona volontà. E' questa la politica
estera della più grande potenza mondiale. Noia nella noia, la stampa
rovescia su Israele le solite accuse precostituite. La struttura
ricorda quella dei tormentoni del varietà, che sono in pratica i
ritornelli comici di uno spettacolo, quelli che danno il segnale quasi
meccanico della risata: il pubblico ride e vuol dire che, come un buon
motore, il tormentone funziona. Qui il tormentone sono i titoli dei
giornali. Le parole proclamano didascalicamente che gli ebrei hanno
torto; allora il pubblico dello spettacolo crede di avere delle idee, e
dice compiaciuto: Israele ha torto, e porca miseria, io penso. Perché i
giornali vellicano la vanità umana, inseguendola nei suoi atroci
scantinati. Prendiamo il caso del quartiere di Gerusalemme est di cui
parlano tutti i media perché Israele vuole costruirvi e perché alla
stampa serve sempre un buon tormentone su Israele. Nessuno, come
abbiamo detto in altre occasioni, conosce l'antica storia ebraica del
quartiere, ma tutti sono pronti a riconoscere la lesione procurata al
diritto palestinese. Attraverso il fantastico tormentone del quartiere
est tutti possono capire con facilità che Israele ha torto. Negli
uffici, molti giocano al ministro degli esteri e spiegano il M.O. ai
colleghi. Ci sono aziende in cui all'ora di pranzo l'80 per cento degli
impiegati aprono il pacchetto con il panino al tonno e maionese, e il
50 per cento di loro sono ministri degli esteri con delega su Israele e
il tonno e capperi. Poi il tormentone svanirà, qualcuno farà notare che
l'argomentazione del quartiere est di Gerusalemme era inconsistente.
Poco importa, i media faranno spalluccia. Diranno: è inutile
riparlarne. C'è invece un più grande tormento. L'immensa nuvola nera
che non se ne va dai cieli della Storia. L'antisemitismo.
Il Tizio della Sera
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rassegna stampa |
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Inizio
segnalando un'intervista nella rassegna di ieri che non è stata inclusa
nel commento e che mi sembra utile riportare, non perché l'intervistato
sia io stesso (anzi) ma perché è una delle pochissime voci nella stampa
italiana in polemica con il gruppo di pressione contro il governo
israeliano promosso da Cohn Bendit e compagni. L'intervista è firmata
das Anna Momigliano e si trova sul Riformista. Oggi è uscito anche un pezzo della redazione del Foglio,
in cui si dà ragione di un appello contro J Call promosso da Fiamma
Nirenstein e un'altra intervista di Anna Momigliano a Assaf Gavron (Il Riformista) Per
quanto riguarda il Medio Oriente, c'è stata una mozione dell'Onu per il
disarmo atomico della regione (non potendo o volendo fare nulla
sull'Iran, meglio prendersela con Israele) (Repubblica, Sole 24 Ore). Il governo israeliano ha accettato in linea di principio, ma solo dopo che si farà la pace (Avvenire). Obama ha ricevuto alla Casa Bianca Elie Wiesel, ma dell'evidente dissenso fra loro non è emerso nulla (Corriere). Il suo inviato Mitchell continua a premere per l'avvio di trattative "in cui nessuna delle due parti crede" (Le Figaro) e dove non si riesce a mettersi d'accordo neppure sull'ordine del giorno (Il Foglio). A Teheran, nel frattempo, c'è "uyna nuova olndata di arresti e di violenze" (Liberal) Su Avvenire,
troviamo un pezzo con pretese di inchiesta di Barbara Uglietti sulla
situazione di Gerusalemme che confonde le carte non si capisce se per
semplice pregiudizio religioso (i cattolici hanno sempre voluto una
Gerusalemme extranazionale) o programmaticamente, in maniera da dare
comunque torto a Israele. Per dar l'idea del pregiudizio, basta leggere
un paio di citazioni: "Gli insediamenti crescono e guai a chiamarli
insediamenti. Per gli israeliani sono quartieri . Quartieri di
Gerusalemme capitale, unica e indivisibile. E pazienza se la comunità
internazionale noi i la pensa allo stesso modo. [...] è sula base di
un'unità di misura tradizionale, il dunum [...] che da mille anni
Israele e Palestina lavorano per fare a pezzi la storia" (da mille
anni? Fare a pezzi la Storia? Mah...) Altri argomenti: Su Nova,
il magazine del Sole 24 ore, leggiamo un pezzo interessante di
Federico Ferrazza sugli sviluppi dell'intelligenza artificiale nella
ricerca tecnologica israeliana. Interessante sullo Herald Tribune
la giustificazione della proibizione del velo islamico proposta da Jean
Francois Copé, leader della maggioranza di destra all'Assemblea
nazionale, non in termini di simbolo religioso, ma per le sue
conseguenze sulla "solidarietà sociale" dei cittadini. Per chi vuol
divertirsi alla saggezza dells uova sinistra, consigliamo un pezzo di
Annalena di Giovanni su Terra,
in cui si spiega com'è cattiva l'amministrazione americana che se la
prende così tanto con i poveri siriani e iraniani, che sono così buoni.
Verdi o rossi che siano, l'attrazione delle dittature più sanguinose
sui militanti di sinistra è irresistibile e acritica, una vera e
propria passione.
Ugo Volli
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notizieflash |
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La nuova arma contro Israele si chiama M-600 Tel Aviv, 6 mag La
stampa israeliana ha oggi diffuso la notizia che la nuova minaccia da
parte degli Hezbollah libanesi nei confronti di Israele si chiama
M-600. Sono moderni missili con una gittata di 300 chilometri, di
fabbricazione siriana, forse sulla base di tecnologia iraniana.
Rispetto ai missili Scud-C - di cui nelle settimane scorse era stata
riferita in Israele e su alcuni mezzi di stampa arabi una fornitura da
parte della Siria a favore della milizia di Hassan Nasrallah - gli
esperti israeliani affermano che quella degli M-600 è una minaccia
molto superiore. Il quotidiano Israel ha-Yom precisa che dalla Siria
gli Hezbollah hanno già ricevuto centinaia di missili M-600. Si tratta
di missili che possono montare una testata di mezza tonnellata di
esplosivo. "Gli Scud-C - ha detto alla Knesset (parlamento) un
responsabile dell' intelligence - sono solo la punta di un iceberg
nelle forniture siriane agli Hezbollah". In teoria almeno,
potrebbero essere utilizzati anche per attacchi non convenzionali. Il
motivo principale di preoccupazione per i vertici militari israeliani,
aggiunge Haaretz, è la loro precisione che è ritenuta molto superiore a
quella degli Scud-C. In un attacco a sorpresa, dunque, i filo-iraniani
Hezbollah potrebbero colpire dal territorio libanese anche la sede del
ministero della difesa a Tel Aviv. Questi missili possono essere
sparati in rapida successione. Avvalendosi di combustile solido, i
preparativi di lancio sono relativamente ridotti: cosa che rende più
problematica la loro distruzione a terra da parte della aviazione
israeliana. Secondo gli esperti, anche se Israele dispone di un sistema
efficiente di missili anti-missile, nel caso di un attacco massiccio
non ci sarebbe la certezza di una "difesa ermetica" nelle retrovie
israeliane.
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
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indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
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Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
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