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L'Unione informa
 
    7 maggio 2010 - 23 Iyar 5770  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
alef/tav    
  roberto colombo Roberto Colombo,
rabbino
Ricordati di ciò che ti ha fatto Amalek … mentre tu eri stanco e sfinito, privo del timore di D-o. Spiegava Rav Barùkh di Meziboz (1757- 1811): “Quando a un ebreo inizia a mancare entusiasmo ed è colto spesso da stanchezza è segno che inizia a far difetto anche il suo timor di D-o”. Sinceramente, questo commento mi mette un po’ in crisi.
Ma i  bambini  leggono più di un tempo?  Sì e no risponderebbero gli esperti del settore, in base alle statistiche, alle rilevazioni di mercato delle case editrici, ai pareri dei librai. Sì, perché la consuetudine alla lettura da parte dei piccoli è indubbiamente cresciuta, così come  la loro capacità  di destreggiarsi nello scegliere libri tra gli scaffali delle biblioteche o delle librerie. I meriti di tale incremento si possono ascrivere alle innumerevoli iniziative proposte da associazioni, autori, editori,scuole, istituzioni e all’insostituibile contributo delle famiglie. No, perché  il fenomeno riguarda una fetta  ancora  limitata di bambini. Ma, in termini analoghi, anche se meno accentuati, il problema si pone anche in altri Paesi. La creatività di chi ama la lettura cerca comunque di avvicinare anche quella maggioranza di piccoli che preferiscono le immagini e i suoni dei video al piacere del libro. Recentemente in una grande scuola californiana il direttore, esasperato della povertà lessicale dei suoi allievi e dalle accorate proteste dei suoi insegnanti, ha  donato a ciascun bambino una valigetta contenente venti libri da leggere nel corso dell’anno scolastico. I lettori dopo poco tempo avevano già terminato il loro compito e hanno iniziato a scambiarseli e a discutere animatamente sui volumi preferiti. Il gioco ha contagiato ben presto tutti gli alunni. Chi non leggeva era tagliato fuori dai linguaggi, dai giochi, dall’immaginario comune. Se quegli allievi saranno dei lettori anche da adulti non ci è dato saperlo ma nell’ambito educativo lo sappiamo, si semina e per raccogliere i frutti è necessario aspettare.   Sonia
Brunetti Luzzati,

pedagogista
sonia brunetti luzzati  
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Rav Toaff 95 - Il professore e la sua ombra

disegno albertini“Professore, oggi passo un po’ in ritardo, prima delle quattro non ce la faccio”. Mette la testa dentro solo un attimo, poi sparisce. La sua pizza la conosce tutta Roma. E tanti assieme a un taglio di pizza hanno assaggiato una dose di quella pepata saggezza quotidiana che è capace di dispensare lungo la giornata. La sua passione per la vita, la sua curiosità per gli studi e il suo rispetto per i Maestri sono noti. Ma è sempre una sorpresa vedere Cinzia (molti la chiamano ‘Zi Fenizia) affacciarsi alla porta dell’anziano Rav e rassicurarlo amorevolmente. La sua visita è quotidiana e nonostante il Rav Toaff sia circondato dai familiari e dagli assistenti, la sua compagnia sembra ormai divenuta una presenza irrinunciabile per tutti. Quando arriva lei è sempre un turbine di energia che attraversa le stanze. Una raffica di idee, di parole, di fatti e di commenti. E’ la vita degli ebrei di Roma, che talvolta non fila via ordinata, che a volte rischia di sollevare un poco di confusione, ma che sempre è partecipazione e slancio. E’ l’esistenza di chi si prende la vita a cuore e non conosce l’indifferenza. Così Cinzia è accanto al Rav quando c’è da muoversi, quando c’è da affrontare il tempio e la fatica dell’impatto con una comunità grande, magmatica e spesso indocile. E’ la sua compagnia nei tanti momenti quotidiani. Il Rav è la sua missione quotidiana da compiere. In silenzio e senza vanterie. E rav Toaff la attende sempre con un sorriso. Invita la gente a imitare il suo esempio (“Se volete fare qualcosa di utile, cercatevi un vecchio, tiratelo fuori dalla sua solitudine. Portatelo a fare due passi”). Si lascia guidare dalla sua energia e si lascia raccontare la vita di Roma vista con i suoi occhi. Molti la vedono andare e venire amorevolmente. E il Rav sa che lei è l’unica donna autorizzata, se ce ne fosse il bisogno, a passare dalla parte degli uomini e riportarlo a casa. “Dal Professore - racconta Cinzia - c’è sempre da imparare. Per questo voglio essere assieme ai figli il suo bastone della vecchiaia”.

gv

(Pagine Ebraiche maggio 2010, nell'immagine un ritratto di Giorgio Albertini)



La delazione, una Torino grigia e insidiosa


la delazione“È un grande onore che giunge assolutamente inaspettato”. Sono le parole con cui lo scrittore Roberto Cazzola commenta la notizia che La delazione, sua ultima fatica pubblicata dalla casa editrice ticinese Casagrande nella collana Scrittori, ha vinto il Mondello 2010. Il prestigioso concorso letterario palermitano, che nel passato ha visto tra i suoi vincitori cinque premi Nobel, è il riconoscimento ufficiale al valore di un romanzo (“in parte autobiografico e in parte frutto di ricerche archivistiche”) che parla con linguaggio penetrante di trasmissione della memoria tra diverse generazioni e di un grande amore distrutto dalle tragiche circostanze belliche. Un amore che ha come unica colpa quello di essere nato in tempi avversi  in cui scorrazzavano miseria umana e delatori, che per poche lire o per un capriccio erano capaci di condannare degli innocenti ai campi di sterminio nazisti. E il cuore di Alfredo Dervilles, dirigente di industria torinese, batteva per la persona sbagliata: la bella Selma Lavan, interprete ebrea di origine viennese rifugiatasi a Torino con la vana speranza di sfuggire alle persecuzioni razziali. Speranza andata in frantumi perché Luigia, giovane vicina di casa seduttrice e abituale frequentatrice di camerati, denuncerà quella relazione proibita alle autorità fasciste. Fine dell’idillio amoroso: lui viene rinchiuso in carcere (anche se ci resterà solo per pochi giorni) e lei prende un treno con destinazione finale Bergen Belsen. Ne uscirà viva ma senza più certezze, neanche in campo affettivo. Eppure Alfredo non si dimenticherà mai di Selma, tormentato dal rimorso di non aver saputo proteggere quella ragazza a cui voleva un gran bene e che credeva morta in un lager. Per ritrovare (in parte) la serenità perduta dovrà attendere che la nipote Valeria ne raccolga le ultime memorie in punto di morte e trovi una risposta a molti punti interrogativi e a molte angosce mai totalmente approfondite.
Il libro ci porta in una Torino grigia e insidiosa (ricostruita con dovizia di particolari), dove il pericolo si nasconde dietro ad ogni angolo: molti caddero nelle trappole preparate dai fascisti e dai loro volenterosi collaboratori. “Uomini e donne sfortunati che non bisogna dimenticare”, spiega Cazzola. Ecco perché dopo aver analizzato migliaia di atti e documenti processuali che definisce “sconvolgenti” e dopo aver messo ordine tra le molteplici reminiscenze del suo vissuto familiare, ha deciso di scrivere questo volume con lo scopo di farne “un piccolo cenotafio”. La delazione diventa dunque un piccolo monumento alla Memoria in cui stringersi attorno alla figura di Selma vuol essere un modo per ricordare tutti coloro che persero la libertà e spesso la vita a causa di una ideologia malata e contagiosa. Il testo ruota intorno ad un tema di fondo: la stupidità del male. La stupidità delle persone in cui si conciliano intelligenza e noncuranza per le conseguenze delle proprie azioni. Sembra il ritratto di Luigia, che appena diciassettenne condanna a morte un grande amore e la vitalità di una ragazza innamorata. Ma la domanda che ronza nella testa del lettore come una costante (“cosa ha spinto Luigia Zonga a denunciare i suoi vicini?”) resta senza una risposta. Un altro interrogativo, nel frattempo, si fa largo: “Ai giorni nostri siamo vaccinati alla denuncia oppure ci sono le sirene per una nuova delazione?”. Cazzola vede ripresentarsi oggi quel rischio “nell'invito rivolto da alcune forze politiche a scuole e ospedali perché denuncino gli stranieri senza documenti in regola” e spiega di aver scritto questo libro anche per invitare “a non voltare la testa da altre parti” quando intorno a noi tragedie e lutti funestano la vita di tante persone. E indica i “disperati del mare” che sbarcano sulle nostre coste come esempio di moderne vittime di indifferenza.

Adam Smulevich

 
 
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  magiarGli amici, nemici di Israele

Fa sempre impressione osservare come sia facile, quando si discute di vicende mediorientali, approdare a posizioni di pensiero radicali e, di conseguenza, manichee.
Settimane fa alcuni intellettuali ebrei europei, noti sostenitori delle “ragioni” di Israele, hanno scritto un appello, denominato “Appello alla Ragione”, che aveva il duplice obiettivo di sostenere Israele e di incoraggiare la ricerca di un compromesso con i palestinesi.
L’appello proposto dal nascente gruppo ebraico-europeo JCall, sostenuto da autorevoli studiosi israeliani (Zeev Sternhell, Elie Barnavi, Avi Primor…) ha raccolto migliaia di firme fra i quali mi limito a citare Alain Finkelkraut e Bernard-Henri Levy.
L’incipit era molto chiaro: “Ancora una volta l’esistenza di Israele è in pericolo. Il pericolo non proviene soltanto dalla minaccia di nemici esterni, ma dall’occupazione e dalla continua espansione delle colonie” … e poi ancora si affermava che questa espansione sarebbe “un errore morale e politico che alimenta, inoltre, un processo di crescente, intollerabile delegittimazione di Israele in quanto stato”.
Tesi questa già sostenuta da diversi governi, come quello statunitense o quello italiano.
Per nostra fortuna siamo in democrazia e così alcuni politici ed intellettuali, ebrei e non, hanno pensato di scrivere un contrappello (ma solo contro JCall), denominato “Con Israele, con la Ragione ”, appello che mi ha totalmente sconcertato.
L’incipit di questo secondo appello è infatti assai eloquente: “L’aggressione a Israele dei firmatari del documento Jcall” … un’affermazione questa, oltre che incredibile e piuttosto aggressiva, votata immediatamente alla “delegittimazione dell ' altro”. Infatti prosegue la frase “E’ addirittura incredibile che personaggi intelligenti e colti come Alain Finkelkraut e Bernard-Henri Levy, invece di occuparsi dell’Iran … bamboleggino con l’idea che Benjamin Netanyahu sia il vero ostacolo…” .
Ovviamente si può non condividere l’appello di JCall, ma trovo incredibile, offensivo e pericoloso, che il contrappello invece di essere sul merito delle vicende mediorientali sia un insulto ed una messa all’indice di persone ed anche (siamo sinceri) una distorsione delle tesi altrui.
Cosa dicono gli “intelligenti e colti” Alain Finkelkraut e Bernard-Henri Levy ? Semplicemente che l’espansione delle colonie è un errore morale e politico che, peraltro, alimenta la delegittimazione di Israele come stato.
Spieghino i sostenitori del secondo appello “Con Israele, con la Ragione “ perché l’espansione delle colonie non sarebbe un problema.
Spieghino soprattutto perché si può bollare come una “aggressione a Israele” sostenere che l’espansione delle colonie sia una problema per la sicurezza di Israele.
Per decenni emotività e semplificazioni hanno generato, sia in campo ebraico che in quello arabo, una reale impossibilità a ragionare, cioè a trovare delle posizioni politiche che portino ad un compromesso, appunto, ragionevole.
Questo trionfo dell’emotività e della semplificazione ha generato in primo luogo uno spirito fazioso che, storicamente, ha sempre colpito i “ragionevoli” di casa propria, accusati di tradire o svendere il proprio popolo: questo il fenomeno carsico che ha portato all’assassinio di Sadat e di Rabin.
Tutti sappiamo che portare la pace in Medio Oriente è opera assai difficile, e certo non esistono scorciatoie o formule magiche ne tantomeno ci riusciranno appelli e contrappelli. L’unica salvezza per Israele è la pace: la pace è un compromesso, necessariamente ragionevole.
La situazione di guerra prolungata è una minaccia reale per l’esistenza del piccolissimo Israele circondato da nemici totali e totalitari (da Hamas all’Iran di Ahmadinejad) e i nemici esterni quindi non mancano.
Ma il pericolo non è solo la forza distruttiva del nemico esterno ma anche la propria debolezza: la minaccia può essere quindi interna e la mancanza del rispetto delle idee altrui e delle persone è una grande debolezza, una grande minaccia.
Allora hanno ragione Finkelkraut e Levy: ancora una volta l’esistenza di Israele è in pericolo, e il pericolo non è solo esterno.

Victor Magiar, Europa, 7 maggio 2010


Primo Levi, letteratura senza storia?

anna segrePrimo Levi è entrato nel canone della letteratura italiana? Secondo la bozza delle indicazioni nazionali per il sistema dei licei si direbbe di sì, in quanto lo scrittore torinese risulta tra gli autori che “in ogni caso si dovranno affrontare.” Già che ci siamo, però, diamo un’occhiata anche ai programmi di storia, in cui si passa da “la resistenza, la lotta di liberazione, la Costituzione della Repubblica italiana; ideali e realizzazioni della democrazia” a “la shoah e gli altri genocidi del Ventesimo secolo; la Seconda Guerra Mondiale; la guerra fredda: il confronto ideologico tra democrazia e comunismo”. Le differenze tra la vecchia e la nuova formulazione sono numerose e piuttosto evidenti, ma la cosa che balza immediatamente agli occhi è la totale assenza dell’Italia. Cosa succedeva nel nostro paese durante la Seconda Guerra Mondiale? Sembra che per evitare discussioni tra “guerra di liberazione” e ”guerra civile” si sia deciso di eliminare il problema alla radice togliendo qualunque riferimento al nostro paese. Non mi era stato facile scegliere la via della montagna… leggeranno gli allievi nelle prime righe di Se questo è un uomo. “Perché Primo Levi era salito in montagna?” si domanderanno. Era andato a fare un’escursione o era andato a sciare? Davvero una scelta non facile.

Anna Segre, insegnante




Comix - Tamir Shefer

Tara BuildingNel 1999 esce sul mercato una antologia molto strana Comix 2000, pubblicata dalla Association, che raccoglie in 2000 pagine storie senza testi. Molti autori francesi, ma anche provenienti da tutto il mondo, compresa ovviamente Israele grazie a poche pagine, ma significative, di Tamir Shefer.
Nato negli Stati Uniti, San Francisco, nel 1963, si trasferisce nel 1970 con la famiglia in Israele. Dopo il servizio militare, prende il Bachelor of Arts in Industrial Design from Bezalel e successivamente inizia la sua carriera di illustratore e fumettista. Ora vive a Jaffa con la moglie e le figlie (nell'immagine il Tara Building di Tel Aviv).
La sua produzione è particolarmente vasta e riguarda sia copertine di riviste, murales, scenografie teatrali, installazioni, fumetti, oggetti di design come piatti e chiavette usb. Il suo stile è caratterizzato da un forte legame con la pop-art statunitense di Keith Haring, tanto per citare il più famoso. La linea di Shefer è più ricca di elementi, meno sintetica e con un taglio profondamente narrativo, ma sempre con derive astrattiste. Alcuni sue copertine richiamano Picasso, altre sono cariche di ironia e forse un colpo di critica a certi modelli sociali e di identità. Alcune copertine di riviste di informatica giocano sulle paranoie dei nerd per esempio.

Tamir SheferUn aspetto decisamente specifico di Tamir Shefer è la produzione didattica che grazie al suo stile assume un carattere scansonato e solare. Usa colori sempre molti vivi, mentre quando opera con il bianco e nero, mantiene la lezione della pop-art di disegnare con precisione i confini dei due estremi cromatici per definire le forme.
Un Pasover Hagadà assume toni leggeri, allegri, tutto è colorato compreso il testo e le cornici delle pagine. Anche questo è uno stile di Shamir che è frutto della cultura dei graffiti, non esiste una gabbia grafica, tutto è disegnabile, tutto è illustrabile. Forte spinta grafica. Forte espressività creativa e dinamica, cromatica. Queste sono le parole che possono raccontare Tamir Shefer.
Le sue opere possono essere osservate sul sito http://www.tamirshefer.com

Andrea Grilli


 
 
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«Aux armes les enfants»? La scena continentale ebraica sembra essersi repentinamente animata dal momento che alla comparsa di un appello, «Call for reason» (ovvero, «appello alla ragione») – reperibile all’url www.jcall.eu -, sottoscritto da alcune migliaia di firmatari, a partire da importanti esponenti della cultura ebraica francese, è corrisposto un vero e proprio contro-appello, «Con Israele, con la ragione», promosso da un non meno significativo numero di esponenti del mondo ebraico, del quale si può leggere il testo presso il sito www.informazionecorretta.com. L’intera vicenda è ricostruita questa mattina da Antonio Cairoti per il Corriere della Sera. Le posizioni che animano i due gruppi di firmatari, vivacemente contrapposte, già raccontate da alcuni articoli nei giorni scorsi, tra i quali segnaliamo ancora l’intervista di Anna Momigliano a Ugo Volli su il Riformista di mercoledì scorso, e il resoconto di Umberto De Giovannangeli su l’Unità di martedì, trovano oggi inoltre spazio nelle considerazioni di Victor Magiar per Europa e in quelle di Angelo Pezzana su Libero. L’oggetto di fondo del contendere è l’atteggiamento assunto e sostenuto dall’attuale governo israeliano. I suoi critici, che hanno firmato il primo documento, affermano che «ancora una volta l’esistenza di Israele è in pericolo. Il pericolo non proviene solo dalla minaccia di nemici esterni, ma dall’occupazione e dalla continua espansione delle colonie in Cisgiordania e nei quartieri arabi di Gerusalemme Est, un errore morale e politico che alimenta, inoltre, un processo di crescente, intollerabile delegittimazione di Israele in quanto Stato». Parole secche, ad onore del vero, che stabiliscono una correlazione forte, immediata, tra la persistenza del rifiuto arabo e la condotta dell’esecutivo israeliano, indicando una sorta di neanche troppo implicita reciprocità tra i due atteggiamenti. Il tutto a volere dire che la mancata soluzione del confronto con i palestinesi sembra dipendere sempre più spesso da un incauto atteggiamento per parte delle autorità di Gerusalemme, le quali sarebbero proclivi al mantenimento di uno status quo destinato, sul lungo periodo, a risultare rovinoso per il paese. Questa lettura è nettamente rifiutata da quanti si riconoscono invece nell’altro documento, che esordisce parlandone nei termini di una «aggressione a Israele». L’argomentazione, in questo caso, ruota intorno alla perduranza delle politiche di delegittimazione del mondo arabo nei confronti dello Stato ebraico, riconducendo qualsiasi futura negoziazione non a un problema di concessioni unilaterali – in sé ritenute perdenti - bensì ad una «rivoluzione culturale» che dovrebbe accompagnare ogni passo in divenire, affinché questo possa condurre effettivamente ad una pace non estemporanea ma concreta e duratura. Quello che viene denunciato, così come ribadisce con toni accesi anche Franco Marta su l’Avanti, è poi il fatto che l’«appello alla ragione» avrebbe a vero obiettivo quello di «destrutturare» l’attuale coalizione di governo in Israele. Cosa, quest’ultima, plausibile nella misura in cui gli estensori e i firmatari sono per buona parte oppositori delle politiche della destra israeliana, alla quale contestano l’inerzialità come tratto peculiare e la dipendenza dal potere di ricatto delle componenti più radicali della variegata maggioranza di governo. Se caso dell’ «appello alla ragione» l’iniziativa si è originata perlopiù in Francia, ambendo tuttavia a rivolgersi a tutto il mondo diasporico (e avendo a referente diretto J Street, gruppo di pressione ebraico nato negli Stati Uniti nell’aprile del 2008), nel caso del secondo appello l’origine è italiana, essendo anch’esso però vocato da subito a rivolgersi in media res ad una pluralità di interlocutori, senza limiti di confine. A ben guardare (o meglio, leggere) in realtà i due appelli, contrapposti poiché originati dalla polarizzazione delle posizioni antitetiche che raccolgono, sono come una sorta di segnavia nella dura discussione, da molto tempo aperta, sui rapporti tra Israele e la diaspora, così come segnala Anna Momigliano su il Riformista. Non si tratta certo di una questione di opposte tifoserie; semmai ci troviamo dinanzi a una contrapposizione tra chi contesta a Netanyahu una sostanziale “impoliticità”, ovvero la scarsa o nulla disposizione a fare dei passi verso la soluzione negoziale (ed è il caso di chi si riconosce nelle parole di J Call) e chi, invece, confuta ai critici dell’attuale governo una “antistoricità”, intesa come incomprensione della situazione strutturale dentro la quale il leader del Likud deve muoversi. Dietro questo quadro, c’è però anche il ruolo dell’Amministrazione Obama, che va cercando da tempo quei segni di discontinuità che le occorrono per meglio affrontare una politica mediorientale dentro la quale, fino ad oggi, ha rivelato di non sapere come muoversi. L’intera matassa della vicenda, al di là dell’ovvia autonomia intellettuale e politica degli estensori e dei firmatari degli appelli, si dipana all’ombra delle sollecitazioni provenienti da Washington, alla ricerca di una fisionomia propria che fino ad oggi le ha fatto molto difetto. A dare fuoco alle polveri dei mortai, per così dire, era infatti stato già nel mese scorso Elie Wiesel quando, intervenendo con l’autorevolezza che gli è propria, nel merito delle prese di posizione dell’Amministrazione statunitense sulla politica edilizia gerosolimitana, si era prodigato in una difesa delle scelte operate dall’attuale governo d’Israele. Alcuni intellettuali israeliani avevano quindi replicato allo scrittore con una dura lettera, nella quale non solo contestavano l’atteggiamento assunto dall’esecutivo Netanyahu nei confronti dei Territori palestinesi, ma avevano direttamente attaccato Wiesel, confutando il merito delle sue affermazioni, attribuite ad una concezione idealistica di Gerusalemme e a una sostanziale sottovalutazione della posta in gioco nel conflitto israelo-palestinese. A fare da quell’involontario carteggio sono quindi seguiti gli sviluppi che conosciamo, ai quali, per gradito obbligo di cronaca, va aggiunto che all’appello nato nel nostro paese per penna soprattutto di Fiamma Nirenstein, si associa, nei contenuti, un altro documento, promosso da Pierre-André Taguieff e da Shmuel Trigano, studiosi di vaglia, nel quale si denuncia la posizione degli estensori dell’«appello alla ragione» come contraddittoria poiché avulsa dalla valutazione critica delle effettive forze in campo, del quadro di pressioni in atto e, soprattutto, perché in buona sostanza proclive essa stessa a ciò che dice di intendere combattere, ovverosia la delegittimazione d’Israele. L’impressione che si ha è che i due documenti parlino due lingue diverse, avendo ad oggetto non solo idee politiche differenti sul problema del rapporto con i palestinesi ma anche e soprattutto concezioni distinte sia sul merito di Israele, della sua interna natura democratica ed ebraica, che riguardo all’identificazione tra ebrei diasporici e israeliani. Si tratta di questioni capitali, che attraversano, non da oggi, la discussione nelle Comunità di tutto il mondo. Per questo è assai improbabile che si possa mai pervenire ad un qualche punto di sintesi, poiché sotto l’urgenza della polemica politica si ripropone il problema, mai risolto in campo ebraico, dell’esistenza come sopravvivenza.

 Claudio Vercelli

 
 
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Visita in Israele del presidente della Provincia Nicola Zingaretti
Roma, 6 mag -
Il presidente della Provincia di Roma Nicola Zingaretti e una sua delelgazione raggiungeranno domenica prossima Tel Aviv per visitare alcune innovative infrastrutture per l'ambiente e per lo smaltimento rifiuti e il riciclaggio.    Uno scambio culturale che - come spiega una nota della Provincia - l'Amministrazione di palazzo Valentini ha voluto impostare accogliendo l'invito di alcune aziende leader del settore. La delegazione, composta oltre che dal presidente Zingaretti, dall'assessore provinciale alle Politiche del Territorio e Tutela dell'Ambiente, Michele Civita e da Vittorio Pavoncello, presidente della federazione italiana Maccabi, visiterà alcuni stabilimenti all'avanguardia per il riciclaggio rifiuti e nell'ottimizzazione delle risorse idriche e incontrerà personalità politiche israeliane "di primissimo piano, oltre che  imprenditori di aziende leader nel mondo  nell'utilizzo di energie alternative".  "Abbiamo accolto con favore l'invito che queste aziende ci hanno rivolto - spiega  Zingaretti - Partiamo sempre dall'idea di base che confrontarci con altre realtà e studiare, da vicino, i percorsi già intrapresi da altri sia il modo migliore per migliorarci e per poter mutuare anche in Italia esperienze rivelatesi positive. L'Amministrazione provinciale ha investito per lo sviluppo sostenibile oltre 500 milioni di euro: il piano 'Provincia di Kyoto' è sicuramente la dimostrazione di questo interesse, si tratta infatti di un progetto strategico voluto per promuovere e realizzare iniziative nel segno della crescita sostenibile e della tutela ambientale". "Con questo viaggio - conclude Zingaretti -  abbiamo deciso di ampliare il nostro bagaglio culturale e nel contempo stringere nuovi rapporti con quelle aziende che in Israele lavorano con passione e che hanno raggiunto risultati di assoluto riguardo". La delegazione di palazzo Valentini farà ritorno nella Capitale martedì 11 maggio.

Secondo Maariv possibile un accordo Israele Siria
Tel Aviv, 7 mag -
Il quotidiano israeliano Maariv sostiene oggi che i vertici militari israeliani, e in primo luogo il servizio di intelligence, stanno facendo opera di persuasione sui dirigenti politici affinché puntino con determinazione a un accordo di pace con la Siria. Riferendo in termini generali il contenuto di un intervento tenuto nei giorni scorsi alla Knesset (il parlamento israeliano) da un responsabile dell'intelligence, il giornale precisa che nelle valutazioni israeliane l' 'asse radicale' composto da Iran-Siria-Hezbollah-Hamas sembra avere gradualmente il sopravvento fra i vicini di Israele, mentre il contrapposto 'asse moderato' composto da Egitto-Giordania-Anp-Arabia Saudita appare ora sulla difensiva. Ad aggravare la situazione agli occhi di Israele vi è il graduale avvicinamento della Turchia all' 'asse radicale'. Per invertire questa tendenza è di importanza prioritaria - scrive Maariv, basandosi su valutazioni attribuite all' intelligence - puntare a un accordo con la Siria che potrebbe invertire quella tendenza regionale. Ma in assenza di un accordo con Damasco, avverte adesso l'intelligence, crescerebbe notevolmente il rischio di un nuovo conflitto. Un accordo di 'pace fredda' fra Siria ed Israele, basato su un ritiro dalle alture del Golan e accompagnato da generosi aiuti economici statunitensi al regime di Bashar Assad è possibile, stima il giornale. Ma per il momento fra i dirigenti politici israeliani, sempre secondo Maariv, non è stata presa una decisione strategica.

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