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L'Unione informa |
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7 maggio 2010 - 23 Iyar 5770 |
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alef/tav |
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Roberto Colombo, rabbino |
Ricordati di ciò che ti ha fatto Amalek … mentre tu eri stanco e sfinito, privo del timore di D-o.
Spiegava Rav Barùkh di Meziboz (1757- 1811): “Quando a un ebreo inizia
a mancare entusiasmo ed è colto spesso da stanchezza è segno che inizia
a far difetto anche il suo timor di D-o”. Sinceramente, questo commento
mi mette un po’ in crisi.
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Ma
i bambini leggono più di un tempo? Sì e no
risponderebbero gli esperti del settore, in base alle statistiche, alle
rilevazioni di mercato delle case editrici, ai pareri dei librai. Sì,
perché la consuetudine alla lettura da parte dei piccoli è
indubbiamente cresciuta, così come la loro capacità di
destreggiarsi nello scegliere libri tra gli scaffali delle biblioteche
o delle librerie. I meriti di tale incremento si possono ascrivere alle
innumerevoli iniziative proposte da associazioni, autori,
editori,scuole, istituzioni e all’insostituibile contributo delle
famiglie. No, perché il fenomeno riguarda una fetta
ancora limitata di bambini. Ma, in termini analoghi, anche se
meno accentuati, il problema si pone anche in altri Paesi. La
creatività di chi ama la lettura cerca comunque di avvicinare
anche quella maggioranza di piccoli che preferiscono le immagini e
i suoni dei video al piacere del libro. Recentemente in una grande
scuola californiana il direttore, esasperato della povertà lessicale
dei suoi allievi e dalle accorate proteste dei suoi insegnanti,
ha donato a ciascun bambino una valigetta contenente venti libri
da leggere nel corso dell’anno scolastico. I lettori dopo poco tempo
avevano già terminato il loro compito e hanno iniziato a scambiarseli e
a discutere animatamente sui volumi preferiti. Il gioco ha contagiato
ben presto tutti gli alunni. Chi non leggeva era tagliato fuori dai
linguaggi, dai giochi, dall’immaginario comune. Se quegli allievi
saranno dei lettori anche da adulti non ci è dato saperlo ma
nell’ambito educativo lo sappiamo, si semina e per raccogliere i
frutti è necessario aspettare. |
Sonia Brunetti Luzzati,
pedagogista |
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Rav Toaff 95 - Il professore e la sua ombra
“Professore, oggi passo un po’ in ritardo,
prima delle quattro non ce la faccio”. Mette la testa dentro solo un
attimo, poi sparisce. La sua pizza la conosce tutta Roma. E tanti
assieme a un taglio di pizza hanno assaggiato una dose di quella pepata
saggezza quotidiana che è capace di dispensare lungo la giornata. La
sua passione per la vita, la sua curiosità per gli studi e il suo
rispetto per i Maestri sono noti. Ma è sempre una sorpresa vedere
Cinzia (molti la chiamano ‘Zi Fenizia) affacciarsi alla porta
dell’anziano Rav e rassicurarlo amorevolmente. La sua visita è
quotidiana e nonostante il Rav Toaff sia circondato dai familiari e
dagli assistenti, la sua compagnia sembra ormai divenuta una presenza
irrinunciabile per tutti. Quando arriva lei è sempre un turbine di
energia che attraversa le stanze. Una raffica di idee, di parole, di
fatti e di commenti. E’ la vita degli ebrei di Roma, che talvolta non
fila via ordinata, che a volte rischia di sollevare un poco di
confusione, ma che sempre è partecipazione e slancio. E’ l’esistenza di
chi si prende la vita a cuore e non conosce l’indifferenza. Così Cinzia
è accanto al Rav quando c’è da muoversi, quando c’è da affrontare il
tempio e la fatica dell’impatto con una comunità grande, magmatica e
spesso indocile. E’ la sua compagnia nei tanti momenti quotidiani. Il
Rav è la sua missione quotidiana da compiere. In silenzio e senza
vanterie. E rav Toaff la attende sempre con un sorriso. Invita la gente
a imitare il suo esempio (“Se volete fare qualcosa di utile, cercatevi
un vecchio, tiratelo fuori dalla sua solitudine. Portatelo a fare due
passi”). Si lascia guidare dalla sua energia e si lascia raccontare la
vita di Roma vista con i suoi occhi. Molti la vedono andare e venire
amorevolmente. E il Rav sa che lei è l’unica donna autorizzata, se ce
ne fosse il bisogno, a passare dalla parte degli uomini e riportarlo a
casa. “Dal Professore - racconta Cinzia - c’è sempre da imparare. Per
questo voglio essere assieme ai figli il suo bastone della vecchiaia”.
gv
(Pagine Ebraiche maggio 2010, nell'immagine un ritratto di Giorgio Albertini)
La delazione, una Torino grigia e insidiosa
“È
un grande onore che giunge assolutamente inaspettato”. Sono le parole
con cui lo scrittore Roberto Cazzola commenta la notizia che La delazione,
sua ultima fatica pubblicata dalla casa editrice ticinese Casagrande
nella collana Scrittori, ha vinto il Mondello 2010. Il prestigioso
concorso letterario palermitano, che nel passato ha visto tra i suoi
vincitori cinque premi Nobel, è il riconoscimento ufficiale al valore
di un romanzo (“in parte autobiografico e in parte frutto di ricerche
archivistiche”) che parla con linguaggio penetrante di trasmissione
della memoria tra diverse generazioni e di un grande amore distrutto
dalle tragiche circostanze belliche. Un amore che ha come unica colpa
quello di essere nato in tempi avversi in cui scorrazzavano
miseria umana e delatori, che per poche lire o per un capriccio erano
capaci di condannare degli innocenti ai campi di sterminio nazisti. E
il cuore di Alfredo Dervilles, dirigente di industria torinese, batteva
per la persona sbagliata: la bella Selma Lavan, interprete ebrea di
origine viennese rifugiatasi a Torino con la vana speranza di sfuggire
alle persecuzioni razziali. Speranza andata in frantumi perché Luigia,
giovane vicina di casa seduttrice e abituale frequentatrice di
camerati, denuncerà quella relazione proibita alle autorità fasciste.
Fine dell’idillio amoroso: lui viene rinchiuso in carcere (anche se ci
resterà solo per pochi giorni) e lei prende un treno con destinazione
finale Bergen Belsen. Ne uscirà viva ma senza più certezze, neanche in
campo affettivo. Eppure Alfredo non si dimenticherà mai di Selma,
tormentato dal rimorso di non aver saputo proteggere quella ragazza a
cui voleva un gran bene e che credeva morta in un lager. Per ritrovare
(in parte) la serenità perduta dovrà attendere che la nipote Valeria ne
raccolga le ultime memorie in punto di morte e trovi una risposta a
molti punti interrogativi e a molte angosce mai totalmente approfondite. Il
libro ci porta in una Torino grigia e insidiosa (ricostruita con
dovizia di particolari), dove il pericolo si nasconde dietro ad ogni
angolo: molti caddero nelle trappole preparate dai fascisti e dai loro
volenterosi collaboratori. “Uomini e donne sfortunati che non bisogna
dimenticare”, spiega Cazzola. Ecco perché dopo aver analizzato migliaia
di atti e documenti processuali che definisce “sconvolgenti” e dopo
aver messo ordine tra le molteplici reminiscenze del suo vissuto
familiare, ha deciso di scrivere questo volume con lo scopo di farne
“un piccolo cenotafio”. La delazione diventa dunque un piccolo
monumento alla Memoria in cui stringersi attorno alla figura di Selma
vuol essere un modo per ricordare tutti coloro che persero la libertà e
spesso la vita a causa di una ideologia malata e contagiosa. Il testo
ruota intorno ad un tema di fondo: la stupidità del male. La stupidità
delle persone in cui si conciliano intelligenza e noncuranza per le
conseguenze delle proprie azioni. Sembra il ritratto di Luigia, che
appena diciassettenne condanna a morte un grande amore e la vitalità di
una ragazza innamorata. Ma la domanda che ronza nella testa del lettore
come una costante (“cosa ha spinto Luigia Zonga a denunciare i suoi
vicini?”) resta senza una risposta. Un altro interrogativo, nel
frattempo, si fa largo: “Ai giorni nostri siamo vaccinati alla denuncia
oppure ci sono le sirene per una nuova delazione?”. Cazzola vede
ripresentarsi oggi quel rischio “nell'invito rivolto da
alcune forze politiche a scuole e ospedali perché denuncino gli
stranieri senza documenti in regola” e spiega di aver scritto
questo libro anche per invitare “a non voltare la testa da altre parti”
quando intorno a noi tragedie e lutti funestano la vita di tante
persone. E indica i “disperati del mare” che sbarcano sulle nostre
coste come esempio di moderne vittime di indifferenza.
Adam Smulevich
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Gli amici, nemici di Israele
Fa
sempre impressione osservare come sia facile, quando si discute di
vicende mediorientali, approdare a posizioni di pensiero radicali e, di
conseguenza, manichee. Settimane fa alcuni intellettuali ebrei
europei, noti sostenitori delle “ragioni” di Israele, hanno scritto un
appello, denominato “Appello alla Ragione”, che aveva il duplice
obiettivo di sostenere Israele e di incoraggiare la ricerca di un
compromesso con i palestinesi. L’appello proposto dal nascente
gruppo ebraico-europeo JCall, sostenuto da autorevoli studiosi
israeliani (Zeev Sternhell, Elie Barnavi, Avi Primor…) ha raccolto
migliaia di firme fra i quali mi limito a citare Alain Finkelkraut e
Bernard-Henri Levy. L’incipit era molto chiaro: “Ancora una volta
l’esistenza di Israele è in pericolo. Il pericolo non proviene soltanto
dalla minaccia di nemici esterni, ma dall’occupazione e dalla continua
espansione delle colonie” … e poi ancora si affermava che questa
espansione sarebbe “un errore morale e politico che alimenta, inoltre,
un processo di crescente, intollerabile delegittimazione di Israele in
quanto stato”. Tesi questa già sostenuta da diversi governi, come quello statunitense o quello italiano. Per
nostra fortuna siamo in democrazia e così alcuni politici ed
intellettuali, ebrei e non, hanno pensato di scrivere un contrappello
(ma solo contro JCall), denominato “Con Israele, con la Ragione ”,
appello che mi ha totalmente sconcertato. L’incipit di questo
secondo appello è infatti assai eloquente: “L’aggressione a Israele dei
firmatari del documento Jcall” … un’affermazione questa, oltre che
incredibile e piuttosto aggressiva, votata immediatamente alla
“delegittimazione dell ' altro”. Infatti prosegue la frase “E’
addirittura incredibile che personaggi intelligenti e colti come Alain
Finkelkraut e Bernard-Henri Levy, invece di occuparsi dell’Iran …
bamboleggino con l’idea che Benjamin Netanyahu sia il vero ostacolo…” . Ovviamente
si può non condividere l’appello di JCall, ma trovo incredibile,
offensivo e pericoloso, che il contrappello invece di essere sul merito
delle vicende mediorientali sia un insulto ed una messa all’indice di
persone ed anche (siamo sinceri) una distorsione delle tesi altrui. Cosa
dicono gli “intelligenti e colti” Alain Finkelkraut e Bernard-Henri
Levy ? Semplicemente che l’espansione delle colonie è un errore morale
e politico che, peraltro, alimenta la delegittimazione di Israele come
stato. Spieghino i sostenitori del secondo appello “Con Israele,
con la Ragione “ perché l’espansione delle colonie non sarebbe un
problema. Spieghino soprattutto perché si può bollare come una
“aggressione a Israele” sostenere che l’espansione delle colonie sia
una problema per la sicurezza di Israele. Per decenni emotività e
semplificazioni hanno generato, sia in campo ebraico che in quello
arabo, una reale impossibilità a ragionare, cioè a trovare delle
posizioni politiche che portino ad un compromesso, appunto, ragionevole. Questo
trionfo dell’emotività e della semplificazione ha generato in primo
luogo uno spirito fazioso che, storicamente, ha sempre colpito i
“ragionevoli” di casa propria, accusati di tradire o svendere il
proprio popolo: questo il fenomeno carsico che ha portato
all’assassinio di Sadat e di Rabin. Tutti sappiamo che portare la
pace in Medio Oriente è opera assai difficile, e certo non esistono
scorciatoie o formule magiche ne tantomeno ci riusciranno appelli e
contrappelli. L’unica salvezza per Israele è la pace: la pace è un
compromesso, necessariamente ragionevole. La situazione di guerra
prolungata è una minaccia reale per l’esistenza del piccolissimo
Israele circondato da nemici totali e totalitari (da Hamas all’Iran di
Ahmadinejad) e i nemici esterni quindi non mancano. Ma il pericolo
non è solo la forza distruttiva del nemico esterno ma anche la propria
debolezza: la minaccia può essere quindi interna e la mancanza del
rispetto delle idee altrui e delle persone è una grande debolezza, una
grande minaccia. Allora hanno ragione Finkelkraut e Levy: ancora
una volta l’esistenza di Israele è in pericolo, e il pericolo non è
solo esterno.
Victor Magiar, Europa, 7 maggio 2010
Primo Levi, letteratura senza storia?
Primo
Levi è entrato nel canone della letteratura italiana? Secondo la bozza
delle indicazioni nazionali per il sistema dei licei si direbbe di sì,
in quanto lo scrittore torinese risulta tra gli autori che “in ogni
caso si dovranno affrontare.” Già che ci siamo, però, diamo un’occhiata
anche ai programmi di storia, in cui si passa da “la resistenza, la
lotta di liberazione, la Costituzione della Repubblica italiana; ideali
e realizzazioni della democrazia” a “la shoah e gli altri genocidi del
Ventesimo secolo; la Seconda Guerra Mondiale; la guerra fredda: il
confronto ideologico tra democrazia e comunismo”. Le differenze tra la
vecchia e la nuova formulazione sono numerose e piuttosto evidenti, ma
la cosa che balza immediatamente agli occhi è la totale assenza
dell’Italia. Cosa succedeva nel nostro paese durante la Seconda Guerra
Mondiale? Sembra che per evitare discussioni tra “guerra di
liberazione” e ”guerra civile” si sia deciso di eliminare il problema
alla radice togliendo qualunque riferimento al nostro paese. Non mi era
stato facile scegliere la via della montagna… leggeranno gli allievi
nelle prime righe di Se questo è un uomo.
“Perché Primo Levi era salito in montagna?” si domanderanno. Era andato
a fare un’escursione o era andato a sciare? Davvero una scelta non
facile.
Anna Segre, insegnante
Comix - Tamir Shefer
Nel
1999 esce sul mercato una antologia molto strana Comix 2000, pubblicata
dalla Association, che raccoglie in 2000 pagine storie senza testi.
Molti autori francesi, ma anche provenienti da tutto il mondo, compresa
ovviamente Israele grazie a poche pagine, ma significative, di Tamir
Shefer. Nato
negli Stati Uniti, San Francisco, nel 1963, si trasferisce nel 1970 con
la famiglia in Israele. Dopo il servizio militare, prende il Bachelor
of Arts in Industrial Design from Bezalel e successivamente inizia la
sua carriera di illustratore e fumettista. Ora vive a Jaffa con la
moglie e le figlie (nell'immagine il Tara Building di Tel Aviv). La
sua produzione è particolarmente vasta e riguarda sia copertine di
riviste, murales, scenografie teatrali, installazioni, fumetti, oggetti
di design come piatti e chiavette usb. Il suo stile è caratterizzato da
un forte legame con la pop-art statunitense di Keith Haring, tanto per
citare il più famoso. La linea di Shefer è più ricca di elementi, meno
sintetica e con un taglio profondamente narrativo, ma sempre con derive
astrattiste. Alcuni sue copertine richiamano Picasso, altre sono
cariche di ironia e forse un colpo di critica a certi modelli sociali e
di identità. Alcune copertine di riviste di informatica giocano sulle
paranoie dei nerd per esempio.
Un
aspetto decisamente specifico di Tamir Shefer è la produzione didattica
che grazie al suo stile assume un carattere scansonato e solare. Usa
colori sempre molti vivi, mentre quando opera con il bianco e nero,
mantiene la lezione della pop-art di disegnare con precisione i confini
dei due estremi cromatici per definire le forme. Un
Pasover Hagadà assume toni leggeri, allegri, tutto è colorato compreso
il testo e le cornici delle pagine. Anche questo è uno stile di Shamir
che è frutto della cultura dei graffiti, non esiste una gabbia grafica,
tutto è disegnabile, tutto è illustrabile. Forte spinta grafica. Forte
espressività creativa e dinamica, cromatica. Queste sono le parole che
possono raccontare Tamir Shefer. Le sue opere possono essere osservate sul sito http://www.tamirshefer.com
Andrea Grilli
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«Aux
armes les enfants»? La scena continentale ebraica sembra essersi
repentinamente animata dal momento che alla comparsa di un appello,
«Call for reason» (ovvero, «appello alla ragione») – reperibile all’url
www.jcall.eu -, sottoscritto da alcune migliaia di firmatari, a partire
da importanti esponenti della cultura ebraica francese, è corrisposto
un vero e proprio contro-appello, «Con Israele, con la ragione»,
promosso da un non meno significativo numero di esponenti del mondo
ebraico, del quale si può leggere il testo presso il sito
www.informazionecorretta.com. L’intera vicenda è ricostruita questa
mattina da Antonio Cairoti per il Corriere della Sera.
Le posizioni che animano i due gruppi di firmatari, vivacemente
contrapposte, già raccontate da alcuni articoli nei giorni scorsi, tra
i quali segnaliamo ancora l’intervista di Anna Momigliano a Ugo Volli
su il Riformista di mercoledì scorso, e il resoconto di Umberto De Giovannangeli su l’Unità di martedì, trovano oggi inoltre spazio nelle considerazioni di Victor Magiar per Europa e in quelle di Angelo Pezzana su Libero.
L’oggetto di fondo del contendere è l’atteggiamento assunto e sostenuto
dall’attuale governo israeliano. I suoi critici, che hanno firmato il
primo documento, affermano che «ancora una volta l’esistenza di Israele
è in pericolo. Il pericolo non proviene solo dalla minaccia di nemici
esterni, ma dall’occupazione e dalla continua espansione delle colonie
in Cisgiordania e nei quartieri arabi di Gerusalemme Est, un errore
morale e politico che alimenta, inoltre, un processo di crescente,
intollerabile delegittimazione di Israele in quanto Stato». Parole
secche, ad onore del vero, che stabiliscono una correlazione forte,
immediata, tra la persistenza del rifiuto arabo e la condotta
dell’esecutivo israeliano, indicando una sorta di neanche troppo
implicita reciprocità tra i due atteggiamenti. Il tutto a volere dire
che la mancata soluzione del confronto con i palestinesi sembra
dipendere sempre più spesso da un incauto atteggiamento per parte delle
autorità di Gerusalemme, le quali sarebbero proclivi al mantenimento di
uno status quo destinato, sul lungo periodo, a risultare rovinoso per
il paese. Questa lettura è nettamente rifiutata da quanti si
riconoscono invece nell’altro documento, che esordisce parlandone nei
termini di una «aggressione a Israele». L’argomentazione, in questo
caso, ruota intorno alla perduranza delle politiche di delegittimazione
del mondo arabo nei confronti dello Stato ebraico, riconducendo
qualsiasi futura negoziazione non a un problema di concessioni
unilaterali – in sé ritenute perdenti - bensì ad una «rivoluzione
culturale» che dovrebbe accompagnare ogni passo in divenire, affinché
questo possa condurre effettivamente ad una pace non estemporanea ma
concreta e duratura. Quello che viene denunciato, così come ribadisce
con toni accesi anche Franco Marta su l’Avanti,
è poi il fatto che l’«appello alla ragione» avrebbe a vero obiettivo
quello di «destrutturare» l’attuale coalizione di governo in Israele.
Cosa, quest’ultima, plausibile nella misura in cui gli estensori e i
firmatari sono per buona parte oppositori delle politiche della destra
israeliana, alla quale contestano l’inerzialità come tratto peculiare e
la dipendenza dal potere di ricatto delle componenti più radicali della
variegata maggioranza di governo. Se caso dell’ «appello alla ragione»
l’iniziativa si è originata perlopiù in Francia, ambendo tuttavia a
rivolgersi a tutto il mondo diasporico (e avendo a referente diretto J
Street, gruppo di pressione ebraico nato negli Stati Uniti nell’aprile
del 2008), nel caso del secondo appello l’origine è italiana, essendo
anch’esso però vocato da subito a rivolgersi in media res ad una
pluralità di interlocutori, senza limiti di confine. A ben guardare (o
meglio, leggere) in realtà i due appelli, contrapposti poiché originati
dalla polarizzazione delle posizioni antitetiche che raccolgono, sono
come una sorta di segnavia nella dura discussione, da molto tempo
aperta, sui rapporti tra Israele e la diaspora, così come segnala Anna
Momigliano su il Riformista.
Non si tratta certo di una questione di opposte tifoserie; semmai ci
troviamo dinanzi a una contrapposizione tra chi contesta a Netanyahu
una sostanziale “impoliticità”, ovvero la scarsa o nulla disposizione a
fare dei passi verso la soluzione negoziale (ed è il caso di chi si
riconosce nelle parole di J Call) e chi, invece, confuta ai critici
dell’attuale governo una “antistoricità”, intesa come incomprensione
della situazione strutturale dentro la quale il leader del Likud deve
muoversi. Dietro questo quadro, c’è però anche il ruolo
dell’Amministrazione Obama, che va cercando da tempo quei segni di
discontinuità che le occorrono per meglio affrontare una politica
mediorientale dentro la quale, fino ad oggi, ha rivelato di non sapere
come muoversi. L’intera matassa della vicenda, al di là dell’ovvia
autonomia intellettuale e politica degli estensori e dei firmatari
degli appelli, si dipana all’ombra delle sollecitazioni provenienti da
Washington, alla ricerca di una fisionomia propria che fino ad oggi le
ha fatto molto difetto. A dare fuoco alle polveri dei mortai, per così
dire, era infatti stato già nel mese scorso Elie Wiesel quando,
intervenendo con l’autorevolezza che gli è propria, nel merito delle
prese di posizione dell’Amministrazione statunitense sulla politica
edilizia gerosolimitana, si era prodigato in una difesa delle scelte
operate dall’attuale governo d’Israele. Alcuni intellettuali israeliani
avevano quindi replicato allo scrittore con una dura lettera, nella
quale non solo contestavano l’atteggiamento assunto dall’esecutivo
Netanyahu nei confronti dei Territori palestinesi, ma avevano
direttamente attaccato Wiesel, confutando il merito delle sue
affermazioni, attribuite ad una concezione idealistica di Gerusalemme e
a una sostanziale sottovalutazione della posta in gioco nel conflitto
israelo-palestinese. A fare da quell’involontario carteggio sono quindi
seguiti gli sviluppi che conosciamo, ai quali, per gradito obbligo di
cronaca, va aggiunto che all’appello nato nel nostro paese per penna
soprattutto di Fiamma Nirenstein, si associa, nei contenuti, un altro
documento, promosso da Pierre-André Taguieff e da Shmuel Trigano,
studiosi di vaglia, nel quale si denuncia la posizione degli estensori
dell’«appello alla ragione» come contraddittoria poiché avulsa dalla
valutazione critica delle effettive forze in campo, del quadro di
pressioni in atto e, soprattutto, perché in buona sostanza proclive
essa stessa a ciò che dice di intendere combattere, ovverosia la
delegittimazione d’Israele. L’impressione che si ha è che i due
documenti parlino due lingue diverse, avendo ad oggetto non solo idee
politiche differenti sul problema del rapporto con i palestinesi ma
anche e soprattutto concezioni distinte sia sul merito di Israele,
della sua interna natura democratica ed ebraica, che riguardo
all’identificazione tra ebrei diasporici e israeliani. Si tratta di
questioni capitali, che attraversano, non da oggi, la discussione nelle
Comunità di tutto il mondo. Per questo è assai improbabile che si possa
mai pervenire ad un qualche punto di sintesi, poiché sotto l’urgenza
della polemica politica si ripropone il problema, mai risolto in campo
ebraico, dell’esistenza come sopravvivenza.
Claudio Vercelli
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notizieflash |
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Visita in Israele del presidente della Provincia Nicola Zingaretti Roma, 6 mag - Il presidente della Provincia di Roma Nicola Zingaretti e una sua
delelgazione raggiungeranno domenica prossima Tel Aviv per visitare
alcune innovative infrastrutture per l'ambiente e per lo smaltimento
rifiuti e il riciclaggio. Uno scambio culturale che - come spiega
una nota della Provincia - l'Amministrazione di palazzo Valentini ha
voluto impostare accogliendo l'invito di alcune aziende leader del
settore. La delegazione, composta oltre che dal presidente Zingaretti,
dall'assessore provinciale alle Politiche del Territorio e Tutela
dell'Ambiente, Michele Civita e da Vittorio Pavoncello, presidente
della federazione italiana Maccabi, visiterà alcuni stabilimenti
all'avanguardia per il riciclaggio rifiuti e nell'ottimizzazione delle
risorse idriche e incontrerà personalità politiche israeliane "di
primissimo piano, oltre che imprenditori di aziende leader nel mondo
nell'utilizzo di energie alternative". "Abbiamo accolto con favore
l'invito che queste aziende ci hanno rivolto - spiega Zingaretti -
Partiamo sempre dall'idea di base che confrontarci con altre realtà e
studiare, da vicino, i percorsi già intrapresi da altri sia il modo
migliore per migliorarci e per poter mutuare anche in Italia esperienze
rivelatesi positive. L'Amministrazione provinciale ha investito per lo
sviluppo sostenibile oltre 500 milioni di euro: il piano 'Provincia di
Kyoto' è sicuramente la dimostrazione di questo interesse, si tratta
infatti di un progetto strategico voluto per promuovere e realizzare
iniziative nel segno della crescita sostenibile e della tutela
ambientale". "Con questo viaggio - conclude Zingaretti - abbiamo
deciso di ampliare il nostro bagaglio culturale e nel contempo
stringere nuovi rapporti con quelle aziende che in Israele lavorano con
passione e che hanno raggiunto risultati di assoluto riguardo". La
delegazione di palazzo Valentini farà ritorno nella Capitale martedì 11
maggio.
Secondo Maariv possibile un accordo Israele Siria Tel Aviv, 7 mag - Il
quotidiano israeliano Maariv sostiene oggi che i vertici militari
israeliani, e in primo luogo il servizio di intelligence, stanno
facendo opera di persuasione sui dirigenti politici affinché puntino
con determinazione a un accordo di pace con la Siria. Riferendo in
termini generali il contenuto di un intervento tenuto nei giorni scorsi
alla Knesset (il parlamento israeliano) da un responsabile
dell'intelligence, il giornale precisa che nelle valutazioni israeliane
l' 'asse radicale' composto da Iran-Siria-Hezbollah-Hamas sembra avere
gradualmente il sopravvento fra i vicini di Israele, mentre il
contrapposto 'asse moderato' composto da Egitto-Giordania-Anp-Arabia
Saudita appare ora sulla difensiva. Ad aggravare la situazione agli
occhi di Israele vi è il graduale avvicinamento della Turchia all'
'asse radicale'. Per invertire questa tendenza è di importanza
prioritaria - scrive Maariv, basandosi su valutazioni attribuite all'
intelligence - puntare a un accordo con la Siria che potrebbe invertire
quella tendenza regionale. Ma in assenza di un accordo con Damasco,
avverte adesso l'intelligence, crescerebbe notevolmente il rischio di
un nuovo conflitto. Un accordo di 'pace fredda' fra Siria ed Israele,
basato su un ritiro dalle alture del Golan e accompagnato da generosi
aiuti economici statunitensi al regime di Bashar Assad è possibile,
stima il giornale. Ma per il momento fra i dirigenti politici
israeliani, sempre secondo Maariv, non è stata presa una decisione
strategica.
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
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