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    10 maggio 2010 - 26 Iyar 5770  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
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  Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma Riccardo
Di Segni,

rabbino capo
di Roma
Ieri ho celebrato un matrimonio nel Tempio Maggiore di Roma. Non ci sarebbe nulla di strano o di notevole in questa notizia. Ma ciò che è degno di attenzione è il fatto che, prima di ieri, l'ultimo matrimonio celebrato a Roma risale al 25 Ottobre del 2009. Sono cioè passati più di sei mesi senza un matrimonio nella maggiore comunità ebraica d'Italia. Le altre comunità non stanno meglio di Roma. E' il segno di una silenziosa rivoluzione sociale che non può non allarmare. 
Sto leggendo la storia degli ebrei di Cherasco. Una storia organizzata e scritta in modo esemplare, sebbene modestamente contrabbandata dal suo autore, Bruno Taricco, come una raccolta di documenti per la storia degli ebrei di Cherasco. Essa è inoltre corredata di una calda prefazione di Alberto Cavaglion e delle straordinarie genealogie di Marco Luzzati (Zamorani, 2010). Gli ebrei sono a Cherasco, vi apprendiamo, dal 1547. Non erano spagnoli, ma provenzali, contrariamente all'intramontabile vulgata che vorrebbe che tutti gli ebrei piemontesi fossero venuti dalla Spagna dopo il 1492. La loro è una storia di forte radicamento, di rapporti intensi con la città, nonostante la creazione nel Settecento del ghetto, di fervida partecipazione dopo il 1848 alle vicende nazionali, fino all'aggregazione, nel 1930, alla comunità di Torino. Lo sguardo dell'autore, attento a seguire rigorosamente la documentazione, ci permette qua e là di andare oltre, di cogliere un problema più ampio, un riferimento al mondo più vasto, che trasforma la vicenda degli ebrei di Cherasco in una microstoria del mondo ebraico se non italiano, certo piemontese. Il che, data l'importanza degli ebrei piemontesi, rende questa lettura ancora più ricca e significativa.   Anna Foa,
storica
Anna Foa, storica  
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  Qui Milano - Come cambia l'antisemitismo

antisemitismoCome cambia l’antisemitismo? Quali sono le forme in cui oggi si manifesta? E soprattutto, con quale approccio occorre contrastarlo?
A cercare di dare una risposta a queste domande è stato un convegno organizzato da Comunità Ebraica di Milano, Fondazione Centro di documentazione contemporanea, Associazione Hans Jonas e Associazione Italia Israele.
Dopo il saluto del presidente della Comunità Leone Soued, ha introdotto gli interventi David Meghnagi dell’Università di Roma Tre. Il professor Meghnagi ha suggerito di analizzare il fenomeno dell’antisemitismo sotto diversi aspetti, le sue forme classiche, le nuove derive e in particolare le sue manifestazioni nel web e infine il rapporto fra Israele e le Nazioni Unite. “Israele è l’unico Stato al mondo nato per volontà dell’Onu, eppure è quello che riceve il maggior numero di condanne in assoluto – ha sottolineato – Non ha diritto a far parte di una organizzazione regionale, né che venga il suo turno a sedere nel Consiglio di sicurezza. Lo Stato degli ebrei è diventato l’ebreo degli Stati”.
Adriana Goldstaub e Betti Guetta, dell’Osservatorio del pregiudizio antiebraico del Cdec sono invece entrate nei dettagli della situazione del nostro paese.
La dottoressa Goldstaub ha parlato delle forme e dei veicoli di diffusione dei pregiudizi antiebraici, in particolare i movimenti di estrema destra ed estrema sinistra, alcuni ambienti cattolici integralisti, vicini al movimento lefebvriano, e il fondamentalismo islamico. Betti Guetta ha evidenziato che, sebbene in Italia il numero di episodi di antisemitismo sia molto minore che negli altri stati europei, esiste una preoccupante tendenza di legittimazione sociale dell’antisemitismo che, dopo la Shoah, sembrava scomparsa per sempre. “Grazie a Internet trovare materiale antisemita e negazionista è diventato semplice – ha chiarito - Queste idee, che spesso appaiono rivestiste da un’autorità pseudo scientifica circolano liberamente e vengono assorbite da molta gente, specie fra i giovani. Così si crea nella percezione di tanti una sorta di diritto a essere antisemiti, anche perché la conoscenza di persone di religione ebraica, e sull’ebraismo in generale, è scarsa”.
In questo modo è più facile dare vita a manifestazioni come le due conferenze dell’Onu contro il razzismo di Durban I e Durban II nel 2001 e 2009, dove due incontri per parlare di diritti umani sono diventati il palcoscenico contro Israele, per Stati che questi diritti li calpestano quotidianamente.
A raccontare la sua esperienza in queste conferenze e in particolare in quella del 2009 a Ginevra è stato Hillel Neuer direttore esecutivo della Un Watch, organizzazione che si occupa di vigilare dell’aderenza dell’Onu alle sue stesse Carte fondamentali. Neuer ha ricordato il successo dell’iniziativa che l’Un Watch ha promosso in parallelo in quei giorni, il Geneva Summit for Human Rights, Tolerance and Democracy, in cui sono intervenuti dissidenti di tanti paesi in cui i diritti umani sono costantemente violati, oltre che figure di rilievo del panorama culturale e politico mondiale, chiudendo con una speranza “I giorni di Ginevra hanno dimostrato che se siamo uniti, intelligenti e ben organizzati, possiamo davvero fare la differenza”.

Rossella Tercatin


Qui Casale - Grandi immagini del Novecento


casaleOltre cento acqueforti del pittore Marc Chagall costituiscono La Bibbia del pittore di Vitbesk, un'esposizione curata dalla gallerista Silvia Guastalla per il festival OyOyOy attualmente in corso a Casale Monferrato. Si tratta di un'imponente serie di illustrazioni commissionate a Chagall dal mercante d'arte parigino Ambroise Vollard, realizzate nel corso degli anni trenta dopo il viaggio del pittore in Palestina, nei luoghi biblici. Le scene illustrate sono fedeli al testo del Tanach, ma arricchite da reminiscenze folkloristiche della vita religiosa degli ebrei dell'Europa orientale. Il percorso parte dalla Genesi, dalla creazione del mondo, per arrivare, attraverso lo sviluppo della narrazione biblica, ad episodi biblici che riflettono le vicende contemporanee del popolo ebraico in Europa: siamo alla fine degli anni trenta e Chagall, sconvolto dall'orrore nazista, rappresenta in toni più cupi le sofferenze del popolo ebraico, dalla schiavitù egiziana alle Lamentazioni del profeta Geremia. A Aldo Mondino, artista torinese morto nel 2005 è dedicata un'altra esposizione del festival. Si tratta di un pittore legato a queste terre: vi trovò la sua seconda casa, e proprio qui, nel Monferrato, ebbe luogo il suo avvicinamento all'ebraismo. Il pezzo forte dell'esposizione è L'orologio di Aldo, un paradossale meccanismo antiorario il cui quadrante è una stella di Davide: si tratta di una serigrafia su plexiglass dal significato filosofico irriverente, destabilizzante. Mondino è stato un grande viaggiatore, “vicino – nel ritratto che ne fa Elio Carmi nella discussione con Volli – all'immagine dell'ebreo errante”, dell'ebreo sempre in cerca della terra promessa: la continua indagine, infinita aspirazione conoscitiva, irrequietezza esistenziale.  “Il tema del viaggio, o meglio, del vagabondaggio, è una categoria importantissima per la comprensione della cultura ebraica”, spiega il semiologo Ugo Volli durante una conferenza tenuta all'interno della sinagoga con il vicepresidente della Comunità di Casale Monferrato Elio Carmi e con il direttore del Museo Luzzati di Genova Sergio Noberini (nell'immagine in alto insieme alla vicepresidente Ucei Claudia De Benedetti), probabilmente il momento più apprezzato della giornata da parte dei visitatori giunti a Casale. “Dal comandamento di Dio ad Abramo, lekh lekhà, vattene, vai via dalla casa paterna – spiega Volli – ai quarant'anni di peregrinazioni nel deserto dopo l'Esodo dall'Egitto, che sono il momento di formazione del popolo, fino ai numerosi esili, costante della storia ebraica”. È un motivo molto ricorrente, anche nell'arte ebraica più recente, spiega Volli. “Il popolo d'Israele ha una connaturata vocazione per la deterritorializzazione, per l'abbattimento dei confini”.  Il tema centrale della discussione è il divieto, enunciato dal primo dei Dieci comandamenti, di farsi immagini. “Se nella civiltà occidentale c'è il primato dell'immagine, in quella ebraica prevale la scrittura, la narrazione”. Il precetto biblico, argomenta Volli, “non è altro che la consapevolezza del potere seduttivo delle immagini”, raggiunta dagli ebrei ben prima dell'invenzione della televisione. “Il Dio degli ebrei – continua Volli – non si vede, come le statuette pagane che Abramo distrugge nella bottega paterna; si ascolta”. “Il divino rimane qualcosa di puro e astratto, non oggettivabile: è questa la misura adottata tremila anni fa contro l'idolatria, contro la personificazione delle forze naturali”.  Lele Luzzati – si chiede Carmi – che fa un uso così forte della figura, che posto può avere nella cultura ebraica? “È il tipico artista ebreo novecentesco”, spiega Volli, saltabeccando fra linguistica, teologia e storia dell'arte: “Il suo gesto artistico non è una creazione né una riproduzione – sostiene – si tratta di una creatività più moderna, fatta di manipolazione e combinazione piuttosto che di creazione ex nihilo”. Inoltre, continua il semiologo, “l'immagine di Luzzati è decostruita: non riporta fedelmente, come l'arte, per esempio, di Tiziano; bensì offre suggestioni e si presta ad interpretazioni”. “Quest'approccio all'immagine – sostiene il professore – è una caratteristica tipicamente moderna e tipicamente ebraica: Hitler diceva che tutta l'arte del novecento era corrotta perché molto legata ad influenze di matrice giudaica. In un certo senso ci aveva visto giusto”. 

Manuel Disegni 

 
 
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  donatella di cesareLa ferita del Sud

Sono cominciati i festeggiamenti per l’unità d’Italia. Tra le dolorose separazioni che restano c’è, per l’ebraismo italiano, quella tra il centro e il nord, da un canto, e il vuoto che dall’altro si apre a sud di Napoli. Questa linea di demarcazione viene ormai considerata con una certa ovvietà, una rinuncia condiscendente e accomodante. Il sud, quello degli ebrei espulsi nel 1511, o degli ebrei rimasti e convertiti, dei marrani, sembra un po’ consegnato al suo destino. Non diversamente da quanto ha fatto e fa la politica “nazionale”.  D’altronde, se il capitolo dei marrani si chiuderebbe tra il Cinquecento e il Seicento, perché occuparcene? E poi i colpevoli sono loro. Torna infatti, e viene ripetuta, l’accusa antica rivolta ai marrani: quella dell’ipocrisia e della finzione. La loro “dualità” peserebbe insomma ancora. Per non parlare poi del fatto che si tratterebbe di quantità irrisorie.  Eppure basterebbe pensare al caso della Calabria. Non solo alla grande tradizione qabbalistica, a Chaim Vitale calabrese. Ma a tutto quello che è rimasto dopo. In un libretto di poche pagine, intitolato “Gocce” (Giuntina 2009), Nocera ha raccolto alcune testimonianze. Spicca quella su Benedetto Musolino, il “sionista calabrese”, protagonista del Risorgimento italiano ma anche rivoluzionario europeo, che nel 1851 scrisse: “Gerusalemme ed il Popolo Ebreo. Progetto da rassegnarsi al Governo di Sua Maestà Britannica” in cui auspicava – ben prima di Herzl – la fondazione di uno Stato ebraico e la rinascita della lingua ebraica.  Certo, ormai è tardi. Mentre subito dopo la Shoà i primi rabbini tedeschi si precipitavano a Mallorca per salvare quello che restava dei marrani (e lì oggi fiorisce una comunità), l’Italia meridionale si svuotava con la grande emigrazione. Sono rimasti nei paesi sulle colline – da Caulonia a Gerace, da Siderno a Grotteria – i quartieri chiamati “judeca”. Pietre di sinagoghe distrutte o inglobate in chiese o altri edifici, ma anche e soprattutto scintille ebraiche in quei discendenti di marrani, e marrani a loro volta – più consapevolmente di quanto non si creda.  Chissà che questa data, un anniversario che richiama paradossalmente l’altro, l’unità nazionale che rinvia al gherush che divise il meridione dagli ebrei, non sia l’inizio di una nuova presenza ebraica nel sud.  

Donatella Di Cesare, filosofa      
 
 
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Palestina-Israele I colloqui indiretti partono in salita
Dopo un anno e mezzo di gelo profondo, il processo di pace israelo-palestinese si è rimesso faticosamente in moto, ieri, quando il negoziatore palestinese Saeb Erekat ha annunciato l'inizio dei «proximity talks»: ossia di quattro mesi di nuove spole fra Gerusalemme e Ramallah dell'infaticabile George Mitchell, l'inviato personale di Barack Obama per il Medio Oriente. Da Washington la prima reazione è stata di grande soddisfazione, accompagnata da un monito severo a israeliani e palestinesi affinché ora più che mai si astengano dal compiere alcuna mossa che possa pregiudicare la fiducia reciproca. Dal premier Benyamin Netanyahu gli Stati Uniti si attendono un congelamento (almeno tacito) dei progetti edili ebraici a Gerusalemme Est. Dal presidente palestinese Abu Mazen, che metta a tacere quanti nei Territori esaltano la lotta armata contro Israele, per esempio dedicando strade o tornei a noti attentatori.[...]

Aldo Baquis, La Stampa, 10 maggio 2010

Jenin e Gilboa, dove la pace è già realtà
Giorni di speranza per i piu ottimisti, attesa per un ennesimo riaccendersi del conflitto per i pessimisti e tante aspettative per tutti gli altri. Facile essere cinici in questi giorni, e proprio per questo ancor più interessante diventa una visita tra la palestinese Jenin, un tempo considerata "la capitale dei kamikaze" , e la zona della Gilboa, in Israele. Due sindaci, l'uno discepolo di Arafat, l'altro di Rabin, due cittadine, una popolazione di 70.000 abitanti in tutto, 30.000 a Jenin, il resto in Israele e una collaborazione economica tra i due centri. Il risultato è quello di una economia che fiorisce, isareliani e palestinesi che commerciano e il confine aperto (caso unico) per quasi tutta la giornata. Nelle strade di Jenin le pattuglie della polizia palestinese mantengono l'ordine, la criminalità è praticamente azzerata, e i leader dell'Anp stanno progettando una zona industriale che potrebbe dar lavoro a 15.000 palestinesi. Alla base del miracolo economico due uomini che, anche se per strade diverse, sono arrivati alla stessa conclusione: una economia fiorente puo rendere amici persino palestinesi e israeliani. Dany Atar, storico sindaco della regione Gilboa, era tra i rampolli di Rabin, uno degli ultimi veri rappresentatnti dell sinistra israeliana. A Jenin il motore pulsante dell'operazione è il governatore Qadoura Mussa, membro del Consiglio rivoluzionario di al-Fatah. Nel suo passato dodici anni di reclusione nelle carceri israeliane. [...]

Mara Vigevani, Il Secolo XIX, 10 maggio 2010

 
 
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notizieflash    
 
 
Ashton soddisfazione per il progredire dei colloqui di pace        Bruxelles, 10 mag -
Catherine Ashton, l'Alto rappresentante della politica estera della Ue,  ha espresso la propria soddisfazione per l'andamento dei colloqui indiretti tra Israele e i palestinesi e ha promesso che la Ue farà quanto possibile per aiutare i negoziati di pace. "Sono felice che i colloqui indiretti sembrano avanzare", ha detto a margine del consiglio esteri della Ue. La Ashton ha voluto anche attribuire "tutto il suo sostegno" all'inviato speciale Usa, George Mitchell che gioca il ruolo di mediatore tra israeliani e palestinesi. "Noi faremo tutto ciò che possiamo per aiutarlo", ha ribadito la Ashton. "Siamo su una buona strada", ha aggiunto.

OCSE: ammesse Israele Estonia e Slovenia
Parigi, 10 mag -
Fonti diplomatiche informano che è stata 'formalmente convalidata' questa mattina a Parigi, sede dell'Organizzazione, l'adesione di Israele, dell'Estonia e della Slovenia all'Ocse (Organizzazione di cooperazione e sviluppo economico), che riunisce gli stati più progrediti.
 
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