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L'Unione informa |
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11 maggio 2010 - 27 Iyar 5770 |
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alef/tav |
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Roberto Della Rocca, rabbino |
Stasera
e domani, ventottesimo giorno del mese di Iyar, viene festeggiata la
riunificazione di Gerusalemme dopo la guerra dei sei giorni del 1967.
Il Salmo 122 recita: “…Yerushalaim è edificata come una città che è
stata unita insieme…” , come fosse una città costruita, anche in tempi
diversi, in modo uniforme e armonico. Se per i mistici questo passo si
riferisce al collegamento tra la Gerusalemme terrestre a quella
celeste, per il Talmùd significa che Yerushalaim (lett. città
della compiutezza, della pace) è un luogo aggregante e che rende
tutti amici. E’ significativo che il 28 di Iyar sia anche il giorno in
cui, secondo una tradizione, è stato perpetrato l'attacco proditorio di
Amalèk al neonato popolo ebraico all'indomani della sua uscita
dall'Egitto. Un giorno, nella numerazione ebraica 28 è indicato con la
parola כח che significa forza, in cui contrapponiamo alla disgregazione
rappresentata da Amalèk, l’aspirazione alla compiutezza e all’armonia
rappresentate da Yerushalaim.
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La rivelazione è l'improvviso riconoscimento di una realtà non percepita in rapporto con l'infinito. |
Vittorio Dan Segre, pensionato |
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Qui Washington - Dalla West End Synagogue alla Corte Suprema Obama chiama il primo Ricostruzionista al più alto incarico
Si
erano conosciuti all’inizio degli anni Novanta, quando entrambi
insegnavano all’Università di Chicago. Erano giovani di belle speranze,
da allora di strada ne hanno fatta. E molta: lui è diventato il
presidente della più grande potenza mondiale, lei è stata scelta dal
suo vecchio collega per far parte della Corte Suprema statunitense,
l’organo giudiziario più importante di quella superpotenza. Barack
Obama non ha avuto dubbi: al posto del novantenne giudice John Paul
Stevens, che ha lasciato il posto per ragioni anagrafiche, ha voluto la
cinquantenne Elena Kagan, ebrea ed ex preside della scuola di legge di
Harvard. Quarta donna ad approdare alla Corte Suprema, l’inquilino
della Casa Bianca ha spiegato di averla scelta “per la sua
indipendenza, integrità e passione per il diritto”. La signora Kagan,
nelle parole di mister Yes We Can, è adatta al compito perché “uno
spirito libero” e perché “capace di cercare un terreno comune”. Ebrea
impegnata nel movimento ricostruzionista (la quarta forza della
variegata realtà ebraica americana), iscritta con la sua famiglia nella
West End Synagogue di Manhattan, catalizzatrice di consensi e moderata
(anche se col cuore a sinistra), la sua è una figura bipartisan e
centrista, scelta per non innescare tensioni con l’ala repubblicana.
Per Elena Kagan si tratta dell’ennesima promozione di una carriera
costantemente in ascesa. Assistente universitaria, avvocato, docente di
legge, preside ad Harvard, Sollicitor General (Avvocato generale del
governo degli Stati Uniti) e per finire l’approdo alla Corte Suprema:
in pochi anni questa testarda e combattiva donna figlia di una buona
famiglia dell’Upper West Side di Manhattan e dalle solide radici
ebraiche ha davvero bruciato la tappe. Sconfitta la rivela più
accreditata, sempre una donna: la liberal Diane Wood, collega della
Kagan alla Corte federale di Chicago. Adesso la palla passa al Senato,
che ne dovrà ratificare la nomina, se possibile prima dell’estate.
Ottimistica la previsione di Patrick Lehay, presidente della
Commissione Giustizia: “La ratifica dovrebbe arrivare entro agosto”.
Molto probabile che si tratti di una semplice formalità, perché la
schiacciante maggioranza di senatori democratici (59 contro 41
repubblicani) può farle dormire sonni abbastanza tranquilli. Anche se
non tutti i democrats sembrano intenzionati ad appoggiarla.
Nel
mirino alcune sue posizioni considerate troppo conservatrici, ad
esempio sulla questione della detenzione a tempo indeterminato dei
sospetti terroristi e sulla pena di morte (“non ho obiezioni morali”,
ha fatto sapere). Avverse alla destra, invece, le sue battaglie in
difesa dei diritti degli omosessuali. Tanto che alcuni militanti del
Tea Party stanno facendo circolare la voce, ripresa da alcuni media,
che la Kagan sia una lesbica non dichiarata (le viene contestato, tra
le altre cose, di non essersi mai sposata). Ma lei sembra non curarsi
dei gossip. E, visibilmente emozionata, ha fatto sapere di essere
“onorata e commossa” per la decisione presa da Obama. Anche perché il
presidente, in una sala stampa gremita da centinaia di telecamere e
giornalisti, l’ha definita “una cara amica”. Poi, con un accenno di
lacrime agli occhi, la neogiudice ha detto di provare “un velo di
tristezza” perché i suoi genitori non erano più in vita per assistere a
quel momento. Nata a New York da padre avvocato e madre
insegnante, nel 1981 si laurea a pieni voti a Princeton con una tesi
sui movimenti socialisti presenti nella Grande Mela ad inizio secolo.
Dopo Princeton, è la volta di Oxford ed Harvard (sempre con lode).
Prime esperienze lavorative negli studi legali e nelle facoltà. E,
negli anni della presidenza di Bill Clinton, la nomina alla Corte
d'appello. Ma ci resta per un periodo breve: nel giro di pochi mesi
torna a lavorare a tempo pieno negli ambienti accademici e diventa la
prima donna preside ad Harvard. Fino al gennaio 2009, quando Obama la
vuole di nuovo dalle parti di Washington. La sua nomina a
Sollicitor General suscita non poche perplessità e critiche, perché la
Kagan ha alle spalle frequentazioni piuttosto scarse nelle aule dei
tribunali. Ma il Senato la conferma con un plebiscito di voti: 61
favorevoli e 31 contrari. Anche in questo caso si tratta di una
primizia: mai una donna aveva ricoperto, fino ad allora, quel
prestigioso incarico. Incarico che diventa il preambolo per il
passaggio alla Corte Suprema, notizia che era nell’aria da settimane e
che ha trovato un riscontro definitivo solo nella mattinata di
ieri. Adam Smulevich
Il prestigiatore di Dio
Ha
appena preso parola il professor Ariel Toaff e immediatamente ringrazia
suo padre, rav Elio Toaff, rabbino emerito della Comunità di
Roma, che pochi giorni fa ha festeggiato 95 anni con una grande festa
in occasione della presentazione della Fondazione a lui dedicata. E
sottolinea una continuità di pensiero: “Mio padre mi ha ispirato”, dice
lo storico, “mi ha dato la possibilità di cercare un ebraismo aperto
verso l’esterno che non si piangeva addosso, che portava un contributo
alla scienza e non aveva paura di se stesso e del rapporto con gli
altri”. Rav Toaff poco prima si era si seduto fra il pubblico,
nonostante la giornata di pioggia, raccogliendo un caloroso applauso,
nonché numerosi gesti di affetto che testimoniamo quanto sia amato
anche al di fuori della Comunità. L’occasione è la presentazione
di "Il prestigiatore di Dio. Avventure e miracoli di un alchimista
ebreo nelle corti del Rinascimento" (Rizzoli editore), il nuovo libro
di Ariel Toaff, storico e scrittore, docente in Israele all’università
Bar Ilan. Un intervento che ha visto la partecipazione dei giornalisti
Fabio Isman, del Messaggero e Martino Cervo di Libero, ieri alla
libreria La Feltrinelli alla Galleria Colonna di Roma.
La
storia raccontata da Toaff attraversa il sedicesimo secolo, l’epoca dei
ghetti, parlando degli ebrei chiamati a dare lustro ai principi, che
avevano il privilegio di poter vivere senza costrizioni frequentando le
case reali. Situazioni singolari, certo, ma allo stesso tempo
indicative e comuni, che si contrapponevano a quelle della massa
oppressa, che non avendo nulla da offrire ai principi era rinchiusa nei
ghetti e privata di ogni dignità, costretta com’era a subire prediche
forzate e limitazioni d’ogni sorta nei mestieri e nello stesso
vestiario. Secondo Toaff l’immagine storica degli ebrei nel cinquecento
non deve esser schiacciata nei ghetti ma valutata in un doppio binario,
che vede da un lato gli intellettuali ebrei privilegiati dai principi e
dall’altro la massa, ritenuta inutile e perseguitata. Il mondo che
racconta Toaff è quindi quello di intellettuali, inventori, medici e
alchimisti ebrei che danno il proprio contributo a principi e regnanti
e si confrontano quotidianamente con loro. Un mondo romanzesco e
affascinante, oltre che lontano dagli schemi cui siamo abituati, fatto
di invenzioni,magie, alchimie e fughe rocambolesche. Protagonisti
principali della nuova fatica di Toaff: Magino Gabrielli inventore e
maestro setaiolo, “console “ degli ebrei levantini, incaricato dai
medici di contribuire alla nascita della comunità di Livorno (città di
origine della famiglia Toaff) attirandovi gli ebrei levantini per
favorire lo sviluppo commerciale della città. E Abramo Colorni,
mantovano, inventore, meccanico, prestigiatore di Dio, una figura a
cavallo fra Leonardo da Vinci e un mago Houdini ante litteram. Chiamato
nella Praga di Rodolfo Secondo,allora centro di sperimentazione
scientifica e di sviluppo culturale, perché maestro di “escapologia”,
in modo di favorire la fuga dalle prigioni polacche del fratello del
regnante. Capace di sbalordire la corte reale con le sue invenzioni, e
giochi di prestigio, è lui il prestigiatore di Dio cui l’autore si
riferisce nel titolo. Per Toaff quindi la storiografia ebraica ha
avuto il torto di privilegiare personaggi idonei alla visione
dell’ebreo perseguitato mentre ne esistevano altri fuori dagli schemi,
ma comunque ebrei fieri di essere tali, ed è di questi che ci racconta
nel suo libro.
Daniele Ascarelli
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Accadde a Novara
Accadde
a Novara. La settimana scorsa una donna viene multata di 500 euro
perché indossa il burqa, il velo integrale islamico, che rende
«difficoltosa la sua immediata riconoscibilità suscitando
disorientamento, situazione di insicurezza e disagio con chiaro
potenziale pregiudizio della tranquilla e pacifica convivenza». La
vicenda scatena la solita querelle sul velo islamico e sulla decisione
del sindaco di proibire questo indumento. I vigili si comportano molto
civilmente e, volendo procedere al riconoscimento della signora,
accettano di chiamare una collega donna per svolgere le operazioni di
rito. Ciò che sconvolge è il seguito. Il marito afferma
candidamente quanto segue: «La multa la pagherò, anche se i soldi sono
tanti. Peccato, però, per mia moglie, che esce solo una volta alla
settimana per andare in Moschea, e che da oggi dovrà rimanere sempre a
casa». Una dichiarazione agghiacciante, fatta quasi con rassegnazione,
che apre uno squarcio terribile sulla condizione di molte donne
immigrate, del tutto escluse da un percorso di integrazione culturale,
linguistica, sociale. Torniamo alla polemica sul velo. Siamo tutti
d’accordo che il burqa, rispetto ad altri tipi di velatura islamica
(per esempio quello che copre la capigliatura), sia contrario alle
norme sull’ordine pubblico e anche alla nostra sensibilità verso i
diritti delle donne. Ma la vicenda di Varese ci spiega qualcos’altro.
Fare proclami tonitruanti ed emanare ordinanze da sceriffi sul velo
aiuta probabilmente a raccogliere qualche voto in più, ma non serve a
nulla rispetto alla vera sfida: mettere insieme delle politiche che,
definendo e promuovendo uguali diritti e doveri, siano in grado di
garantire i primi (cittadinanza, lavoro, casa, cure, servizi pubblici e
sociali…) e punire il mancato rispetto dei secondi.
Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas |
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Elena, una secchiona dal pensiero libero La
foto, scattata 33 anni fa, ritrae un gruppo di allieve di uno dei pi pi
selettivi licei pubblici newyorkesi alla vigilia del diploma. La
ragazza al centro indossa una lunga toga nera. Sorriso solare, im
martelletto da giudice tra le mani. Pronta a ricorrere all'uno e
all'altro. Questa è Elena Kagan, una vera figlia dell'Upper West Side
di Manhattan, il quartiere a ovest di Central Park tradizionalmente più
intellettuale, più ebraico e pi competitivo di New York Li e così è
cresciuta. Suo padre era un avvocato, sua madre un'insegnante. A lei
non bastava seguire le orme di uno dei due genitori ha seguito quelle
di entrambi ed è stata avvocato e insegnante. Ora si appresta a
indossare la toga più pesante d'America, quella di giudice della Cotte
Suprema. Sin da piccola, come è costume nelle famiglie dell'Upper West
Side, Elena è stata educata a pensare con la propria testa e a credere
in se stessa. A 13 anni, in occasione del suo bat mìzvah, la cerimonia
della religione ebraica in cui le ragazze celebrano il raggiungimento
della maturità, non esitò a mettere in discussione il programma
studiato dal rabbino, chiedendo e ottenendo dei cambiamenti. Negli armi
70, mentre i suoi coetanei passavano il sabato sera nelle discoteche,
lei lo trascorreva nelle sale del Metropolitan Museum. [...]
Claudio Gatti, Il Sole 24 Ore, 11 maggio 2010
Scelta centrista all'Alta Corte [...]Questa
volta Obama ha anche scelto un candidato a sua immagine e somiglianza.
Certo, la Kagan è una donna bianca e di religione ebraica ma come il
presidente è un'intellettuale. Non è mai stata-giudice, e dunque si
conferma, come nel caso di Obama, che l'esperienza per un incarico non
è tutto. E' giovane ha appena 50 anni. Proviene da Harvard, dove ha
studiato e «dove è stata la prima donna preside della facoltà» ha
sottolineato Obama anche lui studente di Harvard.[...]
Mario Platero, Il Sole 24 Ore, 11 maggio 2010
La vendetta dello Stato islamico dell'Iraq Quest'anno
in Iraq non c'era ancora stata una giornata così violenta come quella
di ieri. Venti attacchi ben coordinati, cento morti. E' sufficiente il
racconto del massacro di Hilla per capire che si tratta della vendetta
degli uomini dello Stato islamico dell'Iraq lo pseudo partito armato
che si vanta di rappresentare gli interessi, e i metodi ultraviolenti,
di al Qaida nel paese mediorientale. Parla per loro la tecnica usata
anche ieri, elaborata e poi affinata in sette anni di stragi contro i
civili. Due attentatori suicidi con autobomba hanno atteso nel
parcheggio di una fabbrica di tessili che i lavoratori sciamassero
fuori dai cancelli all'ora di pranzo per farsi saltare in aria. Si
trattava di un bersaglio non militare, la cui unica attrattiva era di
essere indifeso e affollato. [...]
Il Foglio, 11 maggio 2010 |
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notizieflash |
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Addio allo scacchista ungherese Andor Lilienthal Budapest, 10 mag - E'
morto sabato scorso a Budapest all'età di 99 anni, lo scacchista
ungherese Andor Lilienthal, decano dei Grandi maestri e protagonista di
memorabili vittorie contro i più grandi campioni del XX secolo. Ad
annunciarlo oggi la Hca, la Federazione scacchistica
ungherese. Considerato una vera e propria leggenda della
scacchiera, Lilienthal era nato a Mosca in una famiglia di ebrei
ungheresi. Tornò in patria all'età di due anni ma rimase sempre molto
legato alla Russia, partecipando a numerosi campionati sovietici con
ottimi risultati. Per l'Ungheria prese parte a tre edizioni delle
Olimpiadi, realizzando un 75% complessivo che gli diede due medaglie
d'oro individuali. Nel 1950 venne proclamato grande maestro dalla FIDE,
la Federazione internazionale. Era amico dell'americano Bobby
Fischer, l'estroso ex campione del mondo, che quando era a Budapest non
mancava di fargli visita. E' sempre stato molto attivo. Fino a pochi
anni fa, guidava ancora l'auto, fumava e scriveva di scacchi per vari
giornali. Con lui è venuto a mancare l'ultimo giocatore vivente ad aver
partecipato ai più grandi tornei dell'anteguerra, come quelli di Mosca
del 1935 e del 1936.
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
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