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L'Unione informa |
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12 maggio 2010 - 28 Iyar 5770 |
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alef/tav |
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Adolfo Locci, rabbino capo di Padova |
La
Parashà di Bemidbar inizia con l’ordine dato a Moshè di censire il
popolo d’Israele. RaSH”Y spiega il motivo del censimento dei figli
d’Israele: “per l’amore che il
Signore nutre per loro, li conta ogni momento: quando uscirono
dall’Egitto; quando peccarono con il vitello d’oro; quando il Signore
ha fatto dimorare la Sua Presenza in mezzo a loro, il primo di Nissan
fu eretto il Mishkan (Tabernacolo) e il primo di Iyar li censì”.
Anche nella Haftarà di questa settimana si parla di “numeri”: e avverrà
che il numero dei figli d’Israele sarà come la sabbia del mare che non
si può misurare né contare (‘Oshea 2:1). Nel Talmud, molto spesso i
maestri hanno usato i numeri non per il loro “valore matematico”, ma
per esaltare dei concetti “esagerando” in misure, pesi o quantità,
tuttavia, notano giustamente (TB Yomà 21b) che il verso del profeta
‘Oshea, inizia con il termine “numero” e si chiude con le parole “che
non si può misurare né contare” e questo rappresenta, perlomeno, una
stranezza linguistica. La risposta dei maestri per risolvere la
possibile incongruenza è esemplare: il numero non si può misurare né
contare quando si mette in pratica la volontà del Signore. E’ risaputo
che il numero degli “ebrei” è decisamente inferiore rispetto a quello
delle “genti” cosa che potrebbe anche giustificare “halakhicamente” il
nostro bitul (annullamento) nella maggioranza, ma il profeta ‘Oshea ci insegna che il nostro è un numero shafillu baelef lo batel,
che non può essere annullato. Ciò nonostante, come hanno insegnato i
maestri nel Talmud, saremo equiparabili a quel numero “che non si
misura e non si conta”, e quindi che non si annulla, solo quando la
nostra identità sarà conformata a quella del “popolo prescelto” che
osserva e studia la Torà. Credo che questo sia un buon auspicio, da
rivolgere a tutte le nostre Comunità, nel giorno che celebra la
riunificazione di Yerushalaim, Tibbanè Vetikonen Bimerà Beyamenu, Amen. |
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Per
gli ebrei americani è difficile riconoscersi in un'unica sigla,
figuriamoci se si tratta di un unico nome. Ma Fred Monosson è riuscito
nell'impresa. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale aveva poco più di
50 anni. La sua passione erano le telecamere più avanzate. Ne acquistò
una che girava filmini a colori. La pagò un costo stratosferico. Ce
n'erano poche al mondo. La portò con sè durante un lungo viaggio in
Palestina, come allora si chiamava Israele. Girò immagini su tutto e
tutti: Gerusalemme occupata dagli inglesi, Ben Gurion durante la Guerra
di Indipendenza, i balli della hora a dispetto del coprifuoco, le
sinagoghe bruciate dagli arabi, i comandanti del Palmach che bevevano
il caffè a Tel Aviv. Tutte immagini a colori. Le uniche di questo tipo
sulla nascita dello Stato Ebraico: guardandole ci si sente nel 1948
come se fosse oggi.
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Maurizio Molinari, giornalista |
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Qui Londra - I fratelli Miliband vogliono un nuovo labour
Vacilla
la leadership laburista dopo la sconfitta elettorale. Il primo ministro
uscente Gordon Brown si è già dichiarato disposto a rassegnare le
dimissioni dalla segreteria del partito. In queste ore sta
prendendo forma la coalizione del nuovo governo Cameron, primo tory a
Downing Street da tredici anni a questa parte. Nel frattempo, sul
versante labourista, già si pensa alla successione. In pole position
David Miliband, il giovane ministro degli Esteri uscente che piace alla
diplomazia internazionale. Assieme lui il fratello minore Ed,
ministro dell'ambiente nel governo Brown. I due fratellini della
sinistra inglese sono figli dell'immigrazione ebraica: la madre, Marion
Kozak, ha natali polacchi mentre il padre Ralph Miliband è un
intellettuale marxista proveniente dal Belgio. In più di un'occasione
David Miliband, pur dichiarandosi ateo, ha sottolineato la rilevanza
che le origini ebraiche hanno avuto nella formazione della sua
identità, anche politica, poiché l'hanno reso più partecipe alle
questioni delle minoranze. Dopo gli studi economia, filosofia e
politica a Oxford, David Miliband si butta in politica all'inizio degli
anni Novanta ed entra nelle grazie dell'ex premier Tony Blair, fino a
diventarne il pupillo e l'erede politico. All'uscita di scena di Blair,
nel 2007, l'appena quarantenne Miliband rinuncia a contendere la
segreteria del partito al veterano Brown, ma ora, “è arrivato il
momento di farsi avanti”. Queste sono le indiscrezioni emerse dalla sua
cerchia di amici e collaboratori. L'aplomb albionica e il galateo
politico che lo contraddistinguono l'hanno reso irrintracciabile ai
giornalisti inglesi: non rilascerà dichiarazioni fintanto che l'attuale
leader non annuncerà ufficialmente le proprie dimissioni. Il silenzio
stampa non ha impedito – anzi – a tutti i bookmakers del Regno Unito di
indicarlo come il candidato largamente favorito. Nonostante sia
uno dei leader politici ebrei più influenti, nella sua carriera
politica non mancano incidenti diplomatici con Israele. In più di
un'occasione si è espresso a favore della creazione di uno stato
nazionale palestinese come risoluzione del conflitto mediorientale, non
ha esitato a chiedere il congelamento degli insediamenti nei territori.
È stato oggetto di forti critiche soprattutto quando, nel dicembre
2009, ha annunciato le sue intenzioni di riallacciare i contatti con i
vertici del movimento Hezbollah “col fine di persuaderli ad abbandonare
la campagna di violenza contro Israele”. Si è però riabilitato anche
agli occhi dei falchi di Gerusalemme grazie alla sollecitudine nel
prendere le distanze dal mandato d'arresto emesso nei confronti dei
dirigenti israeliani per crimini di guerra che aveva causato
l'annullamento della visita di Tzipi Livni, capo del partito Kadima, in
Inghilterra. Il piccolo Miliband, Ed, titolare del neonato
ministero per le energie e i cambiamenti climatici, sarà la principale
spina nel fianco del fratello maggiore. Considerato “il più a sinistra
dei Miliband”, Ed non ha ancora raggiunto la notorietà internazionale
di David, ma in Inghilterra risulta essere molto amato. I giornali
inglesi lo descrivono come un oratore pubblico più smaliziato e
accattivante. Gli altri probabili candidati alla leadership
labourista sono il ministro della scuola Ed Balls, il ministro
dell'interno Alan Johnson, l'ex sottosegretario di Downing street Jon
Cruddas il capogruppo dei deputati labouristi alla Camera dei Comuni
Harriet Harman. Tuttavia, sia i grandi quotidiani sia i bookmakers
danno per certo che la conquista della segreteria del Lobour Party si
festeggerà a South Shields, un piccolo paese quasi al confine con la
Scozia dove vive la famiglia Miliband.
Manuel Disegni
Qui Casale - Oyoyoy prende quota
Giornate
intense a Casale Monferrato, centro del Festival di cultura ebraica
Oyoyoy, arrivato quest'anno alla sua quinta edizione. Con la
credibilità acquisita nel corso di questi anni il Festival è divenuto
una delle manifestazioni più significative del territorio. La pensa
così il sindaco del comune di Casale, Giorgio Demezzi, che si dice
compiaciuto della “sinergia venutasi a creare tra la nostra città e la
sua antica Comunità ebraica”, unite nello sforzo di costituire e
promuovere, attraverso attività culturali di alto profilo,
“un'indispensabile coscienza del proprio passato e della storia del
proprio territorio”. È “grazie al successo conseguito dal Festival che
quest'anno si è potuto attivare anche una stagione autunnale, pensata
soprattutto a beneficio delle scuole e dei giovani”, spiegano gli
organizzatori. Nucleo centrale della quinta edizione di Oyoyoy
sono le mostre dedicate a tre campioni dell'arte ebraica contemporanea:
Marc Chagall, Emanuele Luzzati e Aldo Mondino. Ieri è stata la volta
dell'inaugurazione de “Il mondo ebraico di Emanuele Luzzati”,
esposizione di disegni, calcografie, serigrafie, incisioni e ceramiche
del grande artista genovese allestita nella sala mostre della sinagoga
di Casale. Ad introdurre l'esposizione, insieme alla vicepresidente
dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Claudia De Benedetti, era
presente anche il direttore del Museo Luzzati di Genova Sergio
Noberini, il quale ha discusso insieme al professor Ugo Volli dell'arte
figurativa ebraica e di Emanuele Luzzati. Il Museo Luzzati di Genova,
aperto dal 2001 nel porto antico del capoluogo ligure, ha curato
l'allestimento della mostra con l'appoggio della Fondazione Arte Storia
e Cultura Ebraica a Casale Monferrato e nel Piemonte orientale. “Il
filone ebraico – viene spiegato al variegato pubblico, soprattutto alla
sua parte più giovane – è centrale nella produzione artistica di
Luzzati”. La
giornata casalese prosegue all'interno della sinagoga – una delle più
belle sinagoghe di tutta Europa, fiore all'occhiello dell'ebraismo
piemontese e italiano – con la presentazione del nuovo romanzo dello
storico e giornalista Massimo Lomonaco, La caccia di Salomon Klein. A
fare gli onori di casa, insieme alla De Benedetti, è il padrone di
casa, il vicepresidente della Comunità ebraica di Casale Elio Carmi,
che si unisce al sindaco Demezzi nel sottolineare l'apporto ebraico al
fermento culturale che la città di Casale sta vivendo. Ad introdurre il
volume, insieme all'autore, l'attrice italo-etiope Caterina Deregibus
Ayelè, la quale ne legge alcune pagine significative.
La
caccia di Salomon Klein è un romanzo in cui s'intrecciano verità
storiche e vicende e caratterizzazioni immaginarie: il protagonista è
un ebreo tedesco appartenente alla categoria dei cosiddetti ebrei
lontani, calati nella vita diasporica e distaccati dalla vita religiosa
ebraica. L'avvento del nazismo lo costringe ad abbandonare l'amata
Germania per trovare rifugio in Palestina. “Qui comincia
l'immaginazione storica”, dichiara Lomonaco. Un distaccamento delle
truppe del generale Rommel impegnate ad El Alamein penetra in Palestina
(allora sotto il mandato britannico) per sondare il territorio, cercare
alleanze con gli arabi e predisporre l'occupazione nazista di
Gerusalemme. Le strutture del futuro Stato ebraico si mobilitano per
bloccare sul nascere i piani delle SS, e il protagonista viene scelto
personalmente da Ben Gurion per guidare un gruppo di combattenti del
Palmach: la missione affidatagli è scovare e neutralizzare le camicie
brune infiltrate in Palestina. Ha così inizio la caccia di Salomon
Klein. “Il motivo per cui Salomon viene scelto – spiega l'autore – non
è la sua esperienza militare (Klein aveva combattuto nelle Brigate
Internazionali durante la Guerra di Spagna). Ben Gurion lo sceglie
perché sa che Salomon ha un conto in sospeso con la sua Germania, la
sua Vaterland, Patria, che lo ha ingiustamente escluso dal suo seno”.
Ma il protagonista non è solo l'oggetto passivo di una scelta. “Salomon
compie la sua decisione – continua Lomonaco – sceglie il popolo
ebraico, sceglie la militanza sionista, sceglie di ritornare alle sue
origini e di combattere quella Germania in cui, fino a pochi anni
prima, si era sempre identificato”. Aspetto rilevante della
cultura ebraica locale è certamente quello gastronomico, non
dimenticato dagli organizzatori: tipiche ricette giudico-monferrine
vengono offerte al palato del pubblico con l'aperitivo kasher curato
dallo chef Roberto Robotti, il quale si sofferma a discutere con i
buongustai incuriositi e con le signore della comunità ebraica,
depositarie di un'antico sapere culinario. Terminato il pranzo il
pubblico si divide: chi parte per altre destinazioni del Piemonte
orientale ebraico, dove Oyoyoy ha organizzato altre iniziative (nella
vicina Vercelli il presidente dell'Associazione medici ebrei Giorgio
Mortara tiene una conferenza sul giuramento di Ippocrate nella
tradizione ebraica); chi a visitare le sinagoghe di Moncalvo, Cherasco
o Carmagnola, chi invece si ferma a Casale e, cartina alla mano, si
reca al Castello Paleologo dove sono esposte le acqueforti di Marc
Chagall.
M.D.
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Appelli e controappelli
L’“Appello alla ragione”, promosso dal gruppo “JCall”, a cui ha aderito
un considerevole numero di intellettuali ebrei francesi (fra cui
Bernard Henry-Levy e Alain Finkelkraut), con l’invito al governo
israeliano a impegnarsi in un’inversione di tendenza nelle contestata
politica delle costruzioni – oggetto di severa critica da parte di un
successivo “controappello” a sostegno del governo di Gerusalemme (“Con
Israele, con la ragione”, promosso da Fiamma Nirenstein), a sua volta
bersaglio di critiche, poi controcriticate ecc. ecc., in
un’inarrestabile spirale polemica – appare, al di là delle specifiche
argomentazioni e parole adoperate, tutte legittime e tutte opinabili,
decisamente sbagliato, per tre distinte ragioni: 1) Il
diritto di critica è non solo sacrosanto, ma anche salutare. Esso è
esercitato costantemente, nei confronti delle scelte politiche di
Israele, dagli stessi cittadini israeliani, e da chiunque abbia a cuore
le sorti di quel Paese, e non si deve mai confondere la legittima
critica con l’odio o la delegittimazione. Un ‘appello’, però, è
qualcosa di diverso da, per esempio, un articolo di giornale, un
discorso, un comizio, in quanto, per definizione, pretende non solo di
descrivere la realtà, ma anche di incidere sulla stessa, invitando
qualcuno a fare qualcosa. In presenza di un conflitto, un appello, per
apparire ragionevole ed equilibrato, dovrebbe quindi rivolgersi a tutte
le parti contrapposte, e non solo ad una di esse, a meno che non sia
evidente che i torti siano solo ed esclusivamente da un lato. C’è
qualcuno, dotato di un minimo di coscienza, che possa sostenere che nel
conflitto medio-orientale i torti siano tutti e solo di Israele? E
l’argomento secondo cui ognuno dovrebbe fare pressioni presso i propri
amici, ebrei con ebrei e arabi con arabi, non regge, per l’assoluta
mancanza di par condicio: chi ha mai visto un appello arabo o islamico,
a favore del dialogo e contro la violenza, rivolto a Hamas, Hezbollah,
Iran ecc.? 2) Uno dei problemi più pesanti che fanno ostacolo
a qualsiasi spiraglio di soluzione è, da sempre, l’atteggiamento
assolutamente vittimistico, revanscista e vendicativo radicato nel
mondo islamico, per cui ogni idea di pace passa unicamente attraverso
l’espiazione di colpe, vere o presunte, di Israele e dell’Occidente,
senza mai un briciolo di autocritica riguardo alle politiche violente e
aggressive praticate dai vicini di Israele. È evidente come un appello
“di ebrei” teso a fare cambiare la politica israeliana non possa che
ulteriormente rafforzare la – già solidissima, peraltro – convinzione
che gli arabi debbano soltanto attendere riparazioni, scuse, pagamenti
e quant’altro, senza, da parte, loro, impegnarsi neanche in un minimo
gesto di buona volontà. E ciò, piaccia o non piaccia, non potrà che
allontanare ulteriormente qualsiasi prospettiva di pace. 3) L’appello
si rivolge essenzialmente a un pubblico europeo, proprio in un momento
in cui l’Europa sembra nuovamente quantomeno fredda verso le ragioni di
Israele, si va profilando un pericoloso isolamento diplomatico
internazionale di Gerusaleme e aumentano, in modo allarmante, in tutto
il Continente, i segnali di intolleranza e antisemitismo (si veda
l’ingresso nel Parlamento europeo di partiti politici dichiaratamente
xenofobi e neonazisti, o l’impressionante diffusione dei siti
antiebraici su internet). In tale contesto, una pubblica sconfessione
del governo di Israele, presentata come “critica degli ebrei europei
allo Stato ebraico”, non potrà che rafforzare tutti gli argomenti dei
nemici e ‘antipatizzanti’ di Israele, che vedranno in essa una sorta di
“prova del nove” delle colpe dello Stato ebraico, criticato ‘perfino’
dagli ebrei. Eloquente prova di tale atteggiamento, per esempio, un
inquietante articolo di Sandro Viola su Repubblica del 5 maggio, in cui
si attende la risposta di Israele all’appello come la dimostrazione
netta e incontestabile della disponibilità o meno dello Stato ebraico
ad accettare un percorso di pace, e si esprime il sinistro timore che
un mancato accoglimento delle ragioni degli appellanti possa “servire
da alibi ad una torva, odiosa – ma vasta, molto vasta – riapparizione
dell’antisemitismo”.
Francesco Lucrezi, storico |
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rassegna stampa |
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Nelle
ultime due settimane l’ebraismo europeo si è spaccato sul tema di ciò
che Israele deve fare e non fare, accettare e non accettare; forse in
Italia il grande pubblico ha partecipato meno che altrove al dibattito
che è giunto fino al Parlamento Europeo per mano dei fondatori di J
Call; ma ieri gli organizzatori di Raison Garder, dopo aver raccolto un
numero doppio di firme in confronto e in opposizione a J Call, e aver
trovato un valido alleato in Fiamma Nirenstein, hanno comunicato di
voler lavorare ora per andare anch’essi a presentare il loro pensiero,
in questo caso favorevole alle posizioni di Israele, al Parlamento
Europeo. Intanto, nell’attesa degli eventi prossimi futuri, viviamo
oggi un raro momento di tregua e di riflessione. Marco Ventura sul Corriere
firma un articolo che parla di Elena Kagan, vecchia amica ebrea di
Obama, proposta dal presidente americano per l’elezione a Giudice della
Corte Suprema; dopo le dimissioni dell’anziano Stevens sarà la prima
volta che nessun protestante ricopre questa fondamentale carica. Un
terzo dei giudici saranno ebrei (ben 3) e due terzi cattolici, e bene
fa Ventura a ricordare che ci vollero 50 anni prima che venisse eletto
il primo giudice cattolico, e 130 prima della nomina di un ebreo. Non
conta, per Obama, la religione del singolo giudice, perché questa
rientra nella sfera privata, ma in un’America nata dichiaratamente
protestante non si deve dimenticare la dichiarazione fatta recentemente
da Obama, foriera di importanti sviluppi, secondo la quale “l’America
non sarà più un paese cristiano”. Sul Wall Street Journal
viene dato risalto all’opera di papa Benedetto XVI che, dopo aver di
recente incontrato a Malta alcune vittime di abusi sessuali causati da
uomini della Chiesa, ha ieri affermato che la Chiesa cattolica è
responsabile degli scandali sessuali che vedono in prima fila anche
importanti personaggi del clero. Rallegriamoci di tale posizione del
papa, ma non dimentichiamo che, sul Giornale di
ieri, in una breve, veniva riportato che padre Cantalamessa, che solo
lo scorso 2 aprile aveva collegato questa questione con le antiche
persecuzioni contro gli ebrei, è stato insignito del premio Paoline
Comunicazione e cultura. E, parimenti, non dimentichiamo che, dopo
l’omelia pasquale di padre Cantalamessa, alcuni vescovi, tra i quali
quello di Grosseto, avevano fatto sull’argomento gravi dichiarazioni
antisemite. Auguriamoci quindi che domani non si ripetano, all’interno
della Chiesa, le stesse reazioni. Da Israele poche notizie; forse di
interesse solo El Pais,
che riporta la notizia dell’arresto di due arabi israeliani sospettati
di spionaggio in favore di Hezbollah. Mentre lo Shin Bet parla di
“elementi seri” raccolti contro i due, l’avvocato difensore parla di
“sequestro” e dichiara di non sapere nulla del suo assistito. In un
paese come Israele nel quale nulla si può dire contro la Corte di
Giustizia che sempre, in modo indipendente, è pronta ad intervenire,
anche contro il governo e le massime autorità, non dubito che i diritti
di questi due arabi verranno tutelati a dovere. Ma viene anche da
chiedersi come mai in Israele, e solo in questo paese, il semplice
arresto di due comuni cittadini debba finire sui giornali
internazionali. Gabriella Mecucci su Liberal
presenta la prossima uscita, per i caratteri del Mulino, di 11 volumi
aventi per titolo gli 11 Comandamenti; sono scritti ciascuno da un
teologo (cristiano od ebreo) e da un laico; l’intenzione è quella di
cogliere l’attualità delle Tavole, gli slittamenti di significato nel
tempo ed il rapporto coi diritti e i doveri umani nella sfera laica.
Ricorda la Mecucci le parole di Dostoevskij: se Dio non esiste tutto è
permesso, e ci descrive con interessanti parole i primi tre volumi
della collana in prossima uscita; dopo Io sono il Signore Dio tuo, non rubare ed onora tuo padre e tua madre.
La collana sarà completata nel 2011, e si può prevedere un successo
ancora maggiore di quello riportato dai 7 vizi capitali, recentemente
pubblicati sempre dal Mulino. Di grande interesse culturale anche
Maurizio Molinari su La Stampa che
ricorda che di circa 6500 lingue parlate nel mondo (e 800 parlate nella
sola New York), il 90% corre il rischio di estinzione. Tra queste vi è
l’aramaico, il Bukhari, la lingua degli ebrei di Bukhara, e lo stesso
yiddish. Curioso inoltre apprendere che il Mamuyu, lingua
austroindonesiana, è oggi parlato solo più dal signor Husni Husain, ed
il Viaski, di origine istriana, sopravvive quasi soltanto nella Grande
Mela. Ho volutamente lasciato in ultima posizione l’articolo del Manifesto
di Emanuele Giordana che contiene durissime accuse contro le armi che
sarebbero usate dagli israeliani; osservatori italiani, svedesi e
libanesi (casuale questo accostamento?) sono particolarmente attenti a
quanto succede a Gaza per colpa degli israeliani; la professoressa
Paola Manduca, dell’Università di Genova, è molto impegnata in queste
accuse (se ne può facilmente trovare notizia su Google). Pochi giorni
fa si apprendeva anche delle accuse mosse contro le gomme da masticare
israeliane che causerebbero l’impotenza dei giovani palestinesi, e
questo nuovo articolo sembra ispirarsi allo stesso filone. Non mi
sorprende. Ho ascoltato tempo fa, in una sede messa a disposizione
dalla Curia torinese ad alcuni “esperti”, tra i quali il professore
Angelo D’Orsi dell’Università di Torino, che i soldati israeliani,
nella guerra del '48, quando conquistavano dei villaggi arabi,
mettevano i ragazzini fatti prigionieri nei forni. E poi non si deve
parlare di antisemitismo. Mah.
Emanuel Segre Amar |
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notizieflash |
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Brigate al-Qassam su Twitter, ONG israeliana protesta Sderot, 12 mag - Sbarcano
su Twitter le Brigate al-Qassam, braccio armato di Hamas. A lanciare
l'allarme, invocando il blocco dell'account (utenza) è Jacob
Shrybman, attivista e reporter del Centro per i media di Sderot,
un'organizzazione no-profit che si occupa di giornalismo partecipativo
nel sud di Israele. In 140 caratteri, secondo gli standard del sito di
'micro-blogging', il gestore delle Brigate Qassam, responsabili di
numerosi attentati terroristici in Israele, pubblica in arabo e inglese
notizie e aggiornamenti dal tono minaccioso. "Sono finiti i giorni in
cui video anonimi arrivavano negli uffici di al-Jazeera per diffondere
la propaganda dei terroristi", ha polemizzato Shryban sul portale
statunitense Huffington Post. "Ora basta semplicemente seguirli su
Twitter", ha osservato, criticando i responsabili del social network
per la loro accondiscendenza. "Un atteggiamento - ha denunciato - che
di fatto offre una delle piattaforme più popolari a un'organizzazione
terroristica. Permettendole di spargere la sua propaganda e i suoi
proclami d'odio".
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
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