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L'Unione informa
 
    12 maggio 2010 - 28 Iyar 5770  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
alef/tav    
  locci Adolfo
Locci,

rabbino capo
di Padova
La Parashà di Bemidbar inizia con l’ordine dato a Moshè di censire il popolo d’Israele. RaSH”Y spiega il motivo del censimento dei figli d’Israele: “per l’amore che il Signore nutre per loro, li conta ogni momento: quando uscirono dall’Egitto; quando peccarono con il vitello d’oro; quando il Signore ha fatto dimorare la Sua Presenza in mezzo a loro, il primo di Nissan fu eretto il Mishkan (Tabernacolo) e il primo di Iyar li censì”. Anche nella Haftarà di questa settimana si parla di “numeri”: e avverrà che il numero dei figli d’Israele sarà come la sabbia del mare che non si può misurare né contare (‘Oshea 2:1). Nel Talmud, molto spesso i maestri hanno usato i numeri non per il loro “valore matematico”, ma per esaltare dei concetti “esagerando” in misure, pesi o quantità, tuttavia, notano giustamente (TB Yomà 21b) che il verso del profeta ‘Oshea, inizia con il termine “numero” e si chiude con le parole “che non si può misurare né contare” e questo rappresenta, perlomeno, una stranezza linguistica. La risposta dei maestri per risolvere la possibile incongruenza è esemplare: il numero non si può misurare né contare quando si mette in pratica la volontà del Signore. E’ risaputo che il numero degli “ebrei” è decisamente inferiore rispetto a quello delle “genti” cosa che potrebbe anche giustificare “halakhicamente” il nostro bitul (annullamento) nella maggioranza, ma il profeta ‘Oshea ci insegna che il nostro è un numero shafillu baelef lo batel, che non può essere annullato. Ciò nonostante, come hanno insegnato i maestri nel Talmud, saremo equiparabili a quel numero “che non si misura e non si conta”, e quindi che non si annulla, solo quando la nostra identità sarà conformata a quella del “popolo prescelto” che osserva e studia la Torà. Credo che questo sia un buon auspicio, da rivolgere a tutte le nostre Comunità, nel giorno che celebra la riunificazione di Yerushalaim, Tibbanè Vetikonen Bimerà Beyamenu, Amen.
Per gli ebrei americani è difficile riconoscersi in un'unica sigla, figuriamoci se si tratta di un unico nome. Ma Fred Monosson è riuscito nell'impresa. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale aveva poco più di 50 anni. La sua passione erano le telecamere più avanzate. Ne acquistò una che girava filmini a colori. La pagò un costo stratosferico. Ce n'erano poche al mondo. La portò con sè durante un lungo viaggio in Palestina, come allora si chiamava Israele. Girò immagini su tutto e tutti: Gerusalemme occupata dagli inglesi, Ben Gurion durante la Guerra di Indipendenza, i balli della hora a dispetto del coprifuoco, le sinagoghe bruciate dagli arabi, i comandanti del Palmach che bevevano il caffè a Tel Aviv. Tutte immagini a colori. Le uniche di questo tipo sulla nascita dello Stato Ebraico: guardandole ci si sente nel 1948 come se fosse oggi.
Maurizio
Molinari,
giornalista
maurizio molinari  
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   Qui Londra - I fratelli Miliband vogliono un nuovo labour

david e Ed MilibandVacilla la leadership laburista dopo la sconfitta elettorale. Il primo ministro uscente Gordon Brown si è già dichiarato disposto a rassegnare le dimissioni dalla segreteria del partito.
In queste ore sta prendendo forma la coalizione del nuovo governo Cameron, primo tory a Downing Street da tredici anni a questa parte. Nel frattempo, sul versante labourista, già si pensa alla successione. In pole position David Miliband, il giovane ministro degli Esteri uscente che piace alla diplomazia internazionale. Assieme  lui il fratello minore Ed, ministro dell'ambiente nel governo Brown.
I due fratellini della sinistra inglese sono figli dell'immigrazione ebraica: la madre, Marion Kozak, ha natali polacchi mentre il padre Ralph Miliband è un intellettuale marxista proveniente dal Belgio. In più di un'occasione David Miliband, pur dichiarandosi ateo, ha sottolineato la rilevanza che le origini ebraiche hanno avuto nella formazione della sua identità, anche politica, poiché l'hanno reso più partecipe alle questioni delle minoranze.
Dopo gli studi economia, filosofia e politica a Oxford, David Miliband si butta in politica all'inizio degli anni Novanta ed entra nelle grazie dell'ex premier Tony Blair, fino a diventarne il pupillo e l'erede politico. All'uscita di scena di Blair, nel 2007, l'appena quarantenne Miliband rinuncia a contendere la segreteria del partito al veterano Brown, ma ora, “è arrivato il momento di farsi avanti”. Queste sono le indiscrezioni emerse dalla sua cerchia di amici e collaboratori. L'aplomb albionica e il galateo politico che lo contraddistinguono l'hanno reso irrintracciabile ai giornalisti inglesi: non rilascerà dichiarazioni fintanto che l'attuale leader non annuncerà ufficialmente le proprie dimissioni. Il silenzio stampa non ha impedito – anzi – a tutti i bookmakers del Regno Unito di indicarlo come il candidato largamente favorito.
Nonostante sia uno dei leader politici ebrei più influenti, nella sua carriera politica non mancano incidenti diplomatici con Israele. In più di un'occasione si è espresso a favore della creazione di uno stato nazionale palestinese come risoluzione del conflitto mediorientale, non ha esitato a chiedere il congelamento degli insediamenti nei territori. È stato oggetto di forti critiche soprattutto quando, nel dicembre 2009, ha annunciato le sue intenzioni di riallacciare i contatti con i vertici del movimento Hezbollah “col fine di persuaderli ad abbandonare la campagna di violenza contro Israele”. Si è però riabilitato anche agli occhi dei falchi di Gerusalemme grazie alla sollecitudine nel prendere le distanze dal mandato d'arresto emesso nei confronti dei dirigenti israeliani per crimini di guerra che aveva causato l'annullamento della visita di Tzipi Livni, capo del partito Kadima, in Inghilterra.
Il piccolo Miliband, Ed, titolare del neonato ministero per le energie e i cambiamenti climatici, sarà la principale spina nel fianco del fratello maggiore. Considerato “il più a sinistra dei Miliband”, Ed non ha ancora raggiunto la notorietà internazionale di David, ma in Inghilterra risulta essere molto amato. I giornali inglesi lo descrivono come un oratore pubblico più smaliziato e accattivante.
Gli altri probabili candidati alla leadership labourista sono il ministro della scuola Ed Balls, il ministro dell'interno Alan Johnson, l'ex sottosegretario di Downing street Jon Cruddas il capogruppo dei deputati labouristi alla Camera dei Comuni Harriet Harman.
Tuttavia, sia i grandi quotidiani sia i bookmakers danno per certo che la conquista della segreteria del Lobour Party si festeggerà a South Shields, un piccolo paese quasi al confine con la Scozia dove vive la famiglia Miliband.

Manuel Disegni




Qui Casale - Oyoyoy prende quota


festival OyOyOyGiornate intense a Casale Monferrato, centro del Festival di cultura ebraica Oyoyoy, arrivato quest'anno alla sua quinta edizione. Con la credibilità acquisita nel corso di questi anni il Festival è divenuto una delle manifestazioni più significative del territorio. La pensa così il sindaco del comune di Casale, Giorgio Demezzi, che si dice compiaciuto della “sinergia venutasi a creare tra la nostra città e la sua antica Comunità ebraica”, unite nello sforzo di costituire e promuovere, attraverso attività culturali di alto profilo, “un'indispensabile coscienza del proprio passato e della storia del proprio territorio”. È “grazie al successo conseguito dal Festival che quest'anno si è potuto attivare anche una stagione autunnale, pensata soprattutto a beneficio delle scuole e dei giovani”, spiegano gli organizzatori.
Nucleo centrale della quinta edizione di Oyoyoy sono le mostre dedicate a tre campioni dell'arte ebraica contemporanea: Marc Chagall, Emanuele Luzzati e Aldo Mondino. Ieri è stata la volta dell'inaugurazione de “Il mondo ebraico di Emanuele Luzzati”, esposizione di disegni, calcografie, serigrafie, incisioni e ceramiche del grande artista genovese allestita nella sala mostre della sinagoga di Casale. Ad introdurre l'esposizione, insieme alla vicepresidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Claudia De Benedetti, era presente anche il direttore del Museo Luzzati di Genova Sergio Noberini, il quale ha discusso insieme al professor Ugo Volli dell'arte figurativa ebraica e di Emanuele Luzzati. Il Museo Luzzati di Genova, aperto dal 2001 nel porto antico del capoluogo ligure, ha curato l'allestimento della mostra con l'appoggio della Fondazione Arte Storia e Cultura Ebraica a Casale Monferrato e nel Piemonte orientale. “Il filone ebraico – viene spiegato al variegato pubblico, soprattutto alla sua parte più giovane – è centrale nella produzione artistica di Luzzati”.
La giornata casalese prosegue all'interno della sinagoga – una delle più belle sinagoghe di tutta Europa, fiore all'occhiello dell'ebraismo piemontese e italiano – con la presentazione del nuovo romanzo dello storico e giornalista Massimo Lomonaco, La caccia di Salomon Klein. A fare gli onori di casa, insieme alla De Benedetti, è il padrone di casa, il vicepresidente della Comunità ebraica di Casale Elio Carmi, che si unisce al sindaco Demezzi nel sottolineare l'apporto ebraico al fermento culturale che la città di Casale sta vivendo. Ad introdurre il volume, insieme all'autore, l'attrice italo-etiope Caterina Deregibus Ayelè, la quale ne legge alcune pagine significative.

lomonaco libroLa caccia di Salomon Klein è un romanzo in cui s'intrecciano verità storiche e vicende e caratterizzazioni immaginarie: il protagonista è un ebreo tedesco appartenente alla categoria dei cosiddetti ebrei lontani, calati nella vita diasporica e distaccati dalla vita religiosa ebraica. L'avvento del nazismo lo costringe ad abbandonare l'amata Germania per trovare rifugio in Palestina. “Qui comincia l'immaginazione storica”, dichiara Lomonaco. Un distaccamento delle truppe del generale Rommel impegnate ad El Alamein penetra in Palestina (allora sotto il mandato britannico) per sondare il territorio, cercare alleanze con gli arabi e predisporre l'occupazione nazista di Gerusalemme. Le strutture del futuro Stato ebraico si mobilitano per bloccare sul nascere i piani delle SS, e il protagonista viene scelto personalmente da Ben Gurion per guidare un gruppo di combattenti del Palmach: la missione affidatagli è scovare e neutralizzare le camicie brune infiltrate in Palestina. Ha così inizio la caccia di Salomon Klein. “Il motivo per cui Salomon viene scelto – spiega l'autore – non è la sua esperienza militare (Klein aveva combattuto nelle Brigate Internazionali durante la Guerra di Spagna). Ben Gurion lo sceglie perché sa che Salomon ha un conto in sospeso con la sua Germania, la sua Vaterland, Patria, che lo ha ingiustamente escluso dal suo seno”. Ma il protagonista non è solo l'oggetto passivo di una scelta. “Salomon compie la sua decisione – continua Lomonaco – sceglie il popolo ebraico, sceglie la militanza sionista, sceglie di ritornare alle sue origini e di combattere quella Germania in cui, fino a pochi anni prima, si era sempre identificato”.
Aspetto rilevante della cultura ebraica locale è certamente quello gastronomico, non dimenticato dagli organizzatori: tipiche ricette giudico-monferrine vengono offerte al palato del pubblico con l'aperitivo kasher curato dallo chef Roberto Robotti, il quale si sofferma a discutere con i buongustai incuriositi e con le signore della comunità ebraica, depositarie di un'antico sapere culinario.
Terminato il pranzo il pubblico si divide: chi parte per altre destinazioni del Piemonte orientale ebraico, dove Oyoyoy ha organizzato altre iniziative (nella vicina Vercelli il presidente dell'Associazione medici ebrei Giorgio Mortara tiene una conferenza sul giuramento di Ippocrate nella tradizione ebraica); chi a visitare le sinagoghe di Moncalvo, Cherasco o Carmagnola, chi invece si ferma a Casale e, cartina alla mano, si reca al Castello Paleologo dove sono esposte le acqueforti di Marc Chagall.

M.D.

 
 
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  Appelli e controappelli

francesco lucrezi L’“Appello alla ragione”, promosso dal gruppo “JCall”, a cui ha aderito un considerevole numero di intellettuali ebrei francesi (fra cui Bernard Henry-Levy e Alain Finkelkraut), con l’invito al governo israeliano a impegnarsi in un’inversione di tendenza nelle contestata politica delle costruzioni – oggetto di severa critica da parte di un successivo “controappello” a sostegno del governo di Gerusalemme (“Con Israele, con la ragione”, promosso da Fiamma Nirenstein), a sua volta bersaglio di critiche, poi controcriticate ecc. ecc., in un’inarrestabile spirale polemica – appare, al di là delle specifiche argomentazioni e parole adoperate, tutte legittime e tutte opinabili, decisamente sbagliato, per tre distinte ragioni:
1) Il diritto di critica è non solo sacrosanto, ma anche salutare. Esso è esercitato costantemente, nei confronti delle scelte politiche di Israele, dagli stessi cittadini israeliani, e da chiunque abbia a cuore le sorti di quel Paese, e non si deve mai confondere la legittima critica con l’odio o la delegittimazione. Un ‘appello’, però, è qualcosa di diverso da, per esempio, un articolo di giornale, un discorso, un comizio, in quanto, per definizione, pretende non solo di descrivere la realtà, ma anche di incidere sulla stessa, invitando qualcuno a fare qualcosa. In presenza di un conflitto, un appello, per apparire ragionevole ed equilibrato, dovrebbe quindi rivolgersi a tutte le parti contrapposte, e non solo ad una di esse, a meno che non sia evidente che i torti siano solo ed esclusivamente da un lato. C’è qualcuno, dotato di un minimo di coscienza, che possa sostenere che nel conflitto medio-orientale i torti siano tutti e solo di Israele? E l’argomento secondo cui ognuno dovrebbe fare pressioni presso i propri amici, ebrei con ebrei e arabi con arabi, non regge, per l’assoluta mancanza di par condicio: chi ha mai visto un appello arabo o islamico, a favore del dialogo e contro la violenza, rivolto a Hamas, Hezbollah, Iran ecc.?
2) Uno dei problemi più pesanti che fanno ostacolo a qualsiasi spiraglio di soluzione è, da sempre, l’atteggiamento assolutamente vittimistico, revanscista e vendicativo radicato nel mondo islamico, per cui ogni idea di pace passa unicamente attraverso l’espiazione di colpe, vere o presunte, di Israele e dell’Occidente, senza mai un briciolo di autocritica riguardo alle politiche violente e aggressive praticate dai vicini di Israele. È evidente come un appello “di ebrei” teso a fare cambiare la politica israeliana non possa che ulteriormente rafforzare la – già solidissima, peraltro – convinzione che gli arabi debbano soltanto attendere riparazioni, scuse, pagamenti e quant’altro, senza, da parte, loro, impegnarsi neanche in un minimo gesto di buona volontà. E ciò, piaccia o non piaccia, non potrà che allontanare ulteriormente qualsiasi prospettiva di pace.
3) L’appello si rivolge essenzialmente a un pubblico europeo, proprio in un momento in cui l’Europa sembra nuovamente quantomeno fredda verso le ragioni di Israele, si va profilando un pericoloso isolamento diplomatico internazionale di Gerusaleme e aumentano, in modo allarmante, in tutto il Continente, i segnali di intolleranza e antisemitismo (si veda l’ingresso nel Parlamento europeo di partiti politici dichiaratamente xenofobi e neonazisti, o l’impressionante diffusione dei siti antiebraici su internet). In tale contesto, una pubblica sconfessione del governo di Israele, presentata come “critica degli ebrei europei allo Stato ebraico”, non potrà che rafforzare tutti gli argomenti dei nemici e ‘antipatizzanti’ di Israele, che vedranno in essa una sorta di “prova del nove” delle colpe dello Stato ebraico, criticato ‘perfino’ dagli ebrei. Eloquente prova di tale atteggiamento, per esempio, un inquietante articolo di Sandro Viola su Repubblica del 5 maggio, in cui si attende la risposta di Israele all’appello come la dimostrazione netta e incontestabile della disponibilità o meno dello Stato ebraico ad accettare un percorso di pace, e si esprime il sinistro timore che un mancato accoglimento delle ragioni degli appellanti possa “servire da alibi ad una torva, odiosa – ma vasta, molto vasta – riapparizione dell’antisemitismo”.

Francesco Lucrezi, storico
 
 
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Nelle ultime due settimane l’ebraismo europeo si è spaccato sul tema di ciò che Israele deve fare e non fare, accettare e non accettare; forse in Italia il grande pubblico ha partecipato meno che altrove al dibattito che è giunto fino al Parlamento Europeo per mano dei fondatori di J Call; ma ieri gli organizzatori di Raison Garder, dopo aver raccolto un numero doppio di firme in confronto e in opposizione a J Call, e aver trovato un valido alleato in Fiamma Nirenstein, hanno comunicato di voler lavorare ora per andare anch’essi a presentare il loro pensiero, in questo caso favorevole alle posizioni di Israele, al Parlamento Europeo. Intanto, nell’attesa degli eventi prossimi futuri, viviamo oggi un raro momento di tregua e di riflessione.
Marco Ventura sul Corriere firma un articolo che parla di Elena Kagan, vecchia amica ebrea di Obama, proposta dal presidente americano per l’elezione a Giudice della Corte Suprema; dopo le dimissioni dell’anziano Stevens sarà la prima volta che nessun protestante ricopre questa fondamentale carica. Un terzo dei giudici saranno ebrei (ben 3) e due terzi cattolici, e bene fa Ventura a ricordare che ci vollero 50 anni prima che venisse eletto il primo giudice cattolico, e 130 prima della nomina di un ebreo. Non conta, per Obama, la religione del singolo giudice, perché  questa rientra nella sfera privata, ma in un’America nata dichiaratamente protestante non si deve dimenticare la dichiarazione fatta recentemente da Obama, foriera di importanti sviluppi, secondo la quale “l’America non sarà più un paese cristiano”. Sul Wall Street Journal viene dato risalto all’opera di papa Benedetto XVI che, dopo aver di recente incontrato a Malta alcune vittime di abusi sessuali causati da uomini della Chiesa, ha ieri affermato che la Chiesa cattolica è responsabile degli scandali sessuali che vedono in prima fila anche importanti personaggi del clero. Rallegriamoci di tale posizione del papa, ma non dimentichiamo che, sul Giornale di ieri, in una breve, veniva riportato che padre Cantalamessa, che solo lo scorso 2 aprile aveva collegato questa questione con le antiche persecuzioni contro gli ebrei, è stato insignito del premio Paoline Comunicazione e cultura. E, parimenti, non dimentichiamo che, dopo l’omelia pasquale di padre Cantalamessa, alcuni vescovi, tra i quali quello di Grosseto, avevano fatto sull’argomento gravi dichiarazioni antisemite. Auguriamoci quindi che domani non si ripetano, all’interno della Chiesa, le stesse reazioni. Da Israele poche notizie; forse di interesse solo El Pais, che riporta la notizia dell’arresto di due arabi israeliani sospettati di spionaggio in favore di Hezbollah. Mentre lo Shin Bet parla di “elementi seri” raccolti contro i due, l’avvocato difensore parla di “sequestro” e dichiara di non sapere nulla del suo assistito. In un paese come Israele nel quale nulla si può dire contro la Corte di Giustizia che sempre, in modo indipendente, è pronta ad intervenire, anche contro il governo e le massime autorità, non dubito che i diritti di questi due arabi verranno tutelati a dovere. Ma viene anche da chiedersi come mai in Israele, e solo in questo paese, il semplice arresto di due comuni cittadini debba finire sui giornali internazionali. Gabriella Mecucci su Liberal presenta la prossima uscita, per i caratteri del Mulino, di 11 volumi aventi per titolo gli 11 Comandamenti; sono scritti ciascuno da un teologo (cristiano od ebreo) e da un laico; l’intenzione è quella di cogliere l’attualità delle Tavole, gli slittamenti di significato nel tempo ed il rapporto coi diritti e i doveri umani nella sfera laica. Ricorda la Mecucci le parole di Dostoevskij: se Dio non esiste tutto è permesso, e ci descrive con interessanti parole i primi tre volumi della collana in prossima uscita; dopo Io sono il Signore Dio tuo, non rubare ed onora tuo padre e tua madre. La collana sarà completata nel 2011, e si può prevedere un successo ancora maggiore di quello riportato dai 7 vizi capitali, recentemente pubblicati sempre dal Mulino. Di grande interesse culturale anche Maurizio Molinari su La Stampa che ricorda che di circa 6500 lingue parlate nel mondo (e 800 parlate nella sola New York), il 90% corre il rischio di estinzione. Tra queste vi è l’aramaico, il Bukhari, la lingua degli ebrei di Bukhara, e lo stesso yiddish. Curioso inoltre apprendere che il Mamuyu, lingua austroindonesiana, è oggi parlato solo più dal signor Husni Husain, ed il Viaski, di origine istriana, sopravvive quasi soltanto nella Grande Mela. Ho volutamente lasciato in ultima posizione l’articolo del Manifesto di Emanuele Giordana che contiene durissime accuse contro le armi che sarebbero usate dagli israeliani; osservatori italiani, svedesi e libanesi (casuale questo accostamento?) sono particolarmente attenti a quanto succede a Gaza per colpa degli israeliani; la professoressa Paola Manduca, dell’Università di Genova, è molto impegnata in queste accuse (se ne può facilmente trovare notizia su Google). Pochi giorni fa si apprendeva anche delle accuse mosse contro le gomme da masticare israeliane che causerebbero l’impotenza dei giovani palestinesi, e questo nuovo articolo sembra ispirarsi allo stesso filone. Non mi sorprende. Ho ascoltato tempo fa, in una sede messa a disposizione dalla Curia torinese ad alcuni “esperti”, tra i quali il professore Angelo D’Orsi dell’Università di Torino, che i soldati israeliani, nella guerra del '48, quando conquistavano dei villaggi arabi, mettevano i ragazzini fatti prigionieri nei forni. E poi non si deve parlare di antisemitismo. Mah.

Emanuel Segre Amar

 
 
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Brigate al-Qassam su Twitter, ONG israeliana protesta         Sderot, 12 mag -
Sbarcano su Twitter le Brigate al-Qassam, braccio armato di Hamas. A lanciare l'allarme, invocando il blocco dell'account (utenza)  è Jacob Shrybman, attivista e reporter del Centro per i media di Sderot, un'organizzazione no-profit che si occupa di giornalismo partecipativo nel sud di Israele. In 140 caratteri, secondo gli standard del sito di 'micro-blogging', il gestore delle Brigate Qassam, responsabili di numerosi attentati terroristici in Israele, pubblica in arabo e inglese notizie e aggiornamenti dal tono minaccioso. "Sono finiti i giorni in cui video anonimi arrivavano negli uffici di al-Jazeera per diffondere la propaganda dei terroristi", ha polemizzato Shryban sul portale statunitense Huffington Post. "Ora basta semplicemente seguirli su Twitter", ha osservato, criticando i responsabili del social network per la loro accondiscendenza. "Un atteggiamento - ha denunciato - che di fatto offre una delle piattaforme più popolari a un'organizzazione terroristica. Permettendole di spargere la sua propaganda e i suoi proclami d'odio".


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