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L'Unione informa |
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23 maggio 2010 - 10 Sivan 5770 |
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alef/tav |
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Benedetto Carucci Viterbi, rabbino |
L'angelo
della storia, dice Walter Benjamin commentando un quadro di Paul Klee,
ha il viso rivolto al passato. Vi vede una sola grande catastrofe.
Vorrebbe fermarsi per intervenire, ma una tempesta lo spinge verso il
futuro, a cui volge le spalle. Immagine ribaltata rispetto a quella
corrente, che vuole il futuro di fronte a noi. Come d'altra parte ci ha
suggerito venerdì - con una vena pessimistica - rav Colombo.
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Non
so se “il cielo si sia improvvisamente oscurato”, se sia scomparsa
qualsiasi ipotesi di futuro e rimanga, a garantire di una qualche
certezza, solo la contemplazione e la memoria del passato. Non è
improprio sottolineare come spesso il passato che ci ricordiamo e che
raccontiamo non sia ciò che era, bensì sia la ricostruzione funzionale
che, nel presente, ci facciamo per poterci garantire un futuro.
Ovviamente ognuno si ricostruisce il suo che propone come quello di
tutti. Non è un’ipotesi consolante, perché noi non viviamo in un’epoca
indifferente rispetto alla memoria. Infatti, nell’epoca dell’impero
mediatico, dove la cosa più frequente è la continua messa al margine
delle voci critiche, lo scenario complessivo in cui siamo calati è
quello magistralmente descritto da Orwell in “1984” laddove scrive “Chi
controlla il passato, controlla il futuro, chi controlla il presente
controlla il futuro”. Per questo inviterei tutti noi ad avere una
dimensione rispettosa ma critica del passato, compreso il proprio, e
dunque anche il mio che scrivo, per portarcelo, senza miti e senza
nostalgie, verso un futuro in cui tutti, dal più dotato al più modesto,
abbiano a riconoscersi e, auspicabilmente, a ritrovarsi.
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David Bidussa,
storico sociale delle idee |
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Qui Firenze - Un albero per Bartali, la prima testimonianza
Arriva
da una fiorentina residente dal 1974 in Israele la prima testimonianza
utile per far sì che piantare un albero nel giardino dello Yad Vashem
in onore di Gino Bartali non sia più una mera utopia ma una possibilità
concreta. Un albero in quel luogo simbolo della Shoah e di chi si
oppose al Male sarebbe, a detta di molti, il giusto riconoscimento per
il grande corridore che negli anni della furia nazifascista partecipò a
una complessa operazione di salvataggio coordinata dalla Delasem che
portò in salvo circa 800 ebrei. Una storia che è venuta fuori nella sua
interezza (o quasi) solo dopo la morte di Bartali. Perché sebbene
toscano loquace, Ginettaccio fu un eroe silenzioso: parlare dei suoi
straordinari meriti extra ciclistici non era il suo sport preferito.
“Non ci si fa belli sulle disgrazie altrui”. Con questa frase liquidava
quanti, giornalisti o curiosi, gli chiedevano insistentemente di quelle
numerose sgambate tra Firenze e Assisi, dove consegnava alle suore del
convento di San Quirico documenti da falsificare, che grazie a sapienti
tipografi sarebbero divenuti un prezioso lasciapassare per gli ebrei
ospitati tra quelle mura. Li teneva nascosti nella canna, sotto il
sellino e nelle impugnature del manubrio. Con tutti gli incredibili
pericoli che ciò comportava. Una perquisizione da parte del nemico e
con ogni probabilità il suo destino sarebbe stato un appuntamento
davanti al plotone di esecuzione. Ma Bartali aveva un alibi
inattaccabile (e infatti la sua bici non fu mai smontata): il motivo
delle sue frequenti pedalate tra Toscana e Umbria era solo una
questione agonistica, un faticoso allenamento per le grandi corse a
tappe che sarebbero riprese una volta cessate le ostilità.
La signora Giulia Donati, madre del giornalista Aldo Baquis, è tornata
a scavare nei ricordi di quegli anni drammatici. A lei e al figlio è
recentemente giunta voce della mobilitazione lanciata negli scorsi mesi
su iniziativa di Sara Funaro (di cui il giornale dell'ebraismo italiano
Pagine Ebraiche ha dato notizia nel numero di aprile) e finalizzata a
rendere omaggio al ciclista che di grande non aveva solo lo slancio, ma
anche il cuore. Così ha deciso di parlare, dando un nome a tutti coloro
che si prodigarono per salvare lei e i suoi cari dalle grinfie dei
nazifascisti e da quelle dei delatori che infestavano le strade di
Firenze. Tra le persone citate, per l’appunto, Gino Bartali. Lo ha
fatto in un documento che nei prossimi giorni verrà tradotto in ebraico
e consegnato ai funzionari dello Yad Vashem incaricati di dare il via
alla procedura di attribuzione dello status di Giusto tra le nazioni ai
meritevoli di tale appellativo. Nel documento, la signora Donati
ripercorre le tappe che portarono la sua famiglia a scappare dalla
città natia per riparare a Viareggio e dintorni, dove due anziane
sorelle (“all’epoca sulla settantina”, si legge nella testimonianza) si
presero cura della loro sorte. In un primo momento la famiglia Donati
fu ospitata in un appartamento in via Zara. Poi Isabella Pacini e
Settilia Crocini, questi i nomi delle due sorelle, cercarono un
alloggio al Secco, frazione del comune di Lido Camaiore. Là vi
trovarono una persona fidata che diede in affitto la sua abitazione.
Isabella e Settilia, nonostante i mille pericoli, non fecero mai
mancare il loro aiuto e tutti i giorni portavano da mangiare a Giulia e
ai suoi cari. Fino a quando la linea ferroviaria tirrenica venne
bombardata, episodio che le costrinse a trasferirsi anch’esse al Secco.
E fu proprio in quei travagliati momenti che fece capolino
l’inconfondibile profilo di Gino Bartali, che non percorreva solo la
tratta Firenze - Assisi ma anche strade e polverosi sentieri del
Lucchese e del Pisano. Il corridore di Ponte a Ema aveva con sé
documenti falsi da consegnare ai Donati, nuove identità che avrebbero
consentito loro di trovare più facilmente la fuga. Ma al momento della
consegna dei documenti ci fu una clamorosa incomprensione. Settilia non
capì chi fosse e cosa volesse quel ciclista che aveva bussato con
insistenza alla porta. Tanto che lo rimandò indietro. Solo parlandone
in seguito con la sorella, avrebbe scoperto il perché della sua
presenza al Secco. Decisero di tenersi quella storia per sè: questa
vicenda, forse per non creare ulteriori apprensioni alla famiglia
Donati, sarebbe stata raccontata loro solo dopo la liberazione. Adesso,
dopo tanti anni in cui non è stata divulgata, è finalmente patrimonio
di tutti. Probabilmente non basterà ancora per piantare un albero allo
Yad Vashem, ma la speranza di molti è che possa rappresentare solo la
prima di una serie di testimonianze che riescano a far tributare il
meritato riconoscimento ad un grande protagonista del Ventesimo secolo.
Adam Smulevich
“Leggi del '38 e cultura del razzismo, storia, memoria, rimozione”
“Leggi
del 1938 e cultura del razzismo, storia, memoria, rimozione”, lo studio
a cura di Anna Foa, docente di storia moderna presso la prima
Università di Roma, Isabella Iannuzzi collaboratrice del Dipartimento
di Storia moderna e contemporanea dell’ateneo romano e Marina Beer
docente di letteratura italiana della Sapienza (edito da Viella) è
stato presentato alla Biblioteca “Angelo Monteverdi” della facoltà di
Lettere “ La Sapienza”.
All’origine di questo volume, il quale si compone di una serie di
contributi da parte di studiosi appartenenti ad ambiti disciplinari
diversi, c’è un convegno svoltosi il 26 gennaio 2009 presso la facoltà
di lettere e filosofia della Sapienza in occasione della Giornata della
Memoria. Il filo conduttore che collega i diversi saggi riguarda
l’analisi della diffusione del razzismo nell’Italia degli anni trenta e
i vuoti di memoria dell’elaborazione italiana di questa pagina dolorosa
della storia. Le leggi del 1938 ritrovano la loro matrice in una
cultura della razza che affonda le proprie radici già nella seconda
metà dell’Ottocento. Una cultura che dunque si è alimentata con il
passare degli anni, una cultura che si basa su un presupposto
scientificamente falso, quello dell’esistenza delle razze e che impone
l’idea della supremazia di alcuni popoli su altri, un germe che ha
attaccato e si è appropriato del pensiero e che ha trovato forma ed
espressione in una molteplicità di livelli, nella letteratura, nella
sociologia, nell’arte e nelle scienze biologiche e naturali. Un fiume
in piena difficile da arginare.
Anche se oggi la condanna del razzismo è comunemente accettata, la
diffusione dell’ idea che l’umanità si divida in razze e che il colore
della pelle o l’appartenenza a una identità religiosa determini
l’esistenza di “diversi” rappresenta ancora un ostacolo da dover
superare. L’importanza della pubblicazione di questo volume si annida
proprio nell’avere una funzione didattica nelle scuole e nelle
università al fine di sradicare considerazioni errate che potrebbero
prendere vita tra le nuove generazioni.
“Il libro esamina i temi centrali e caratterizzanti di questa pagina
vergognosa della storia” afferma lo storico Giovanni Sabbatucci il
quale ha aperto la presentazione del volume ed ha continuato il suo
intervento mettendo in rilievo proprio come “il tratto comune di questi
studi, non solo del libro in questione ma più in generale, sia l’enfasi
posta sul carattere traumatico delle leggi, le quali hanno
rappresentato una rottura nella storia italiana e nella vita delle
vittime”.
Contro le interpretazioni che tentano di dare letture banalizzanti è
necessario secondo lo storico prendere coscienza della gravità di
queste leggi le quali “furono un trauma non solo in quanto infamia
morale e premessa per lo sterminio ma anche in quanto mostruosità
giuridica”.
Sabbatucci riflette poi sulla genesi delle leggi del 1938 analizzando
se esse rappresentino una svolta rispetto al prima o se siano il
risultato della precedente storia del fascismo, uno sviluppo di
premesse già contenute.
“E' difficile prendere una posizione netta” afferma lo studioso “esse
furono una svolta ma non del tutto repentina e imprevedibile poichè
vanno anticipate già agli anni della guerra in Etiopia, le leggi non
sono comunque la logica conseguenza della precedente storia fascista”.
Molti stereotipi erano comunque già presenti nella società italiana.
Sabbatucci cita alcune pagine degli scritti giovanili di De Gasperi nei
quali “si trovano giudizi che oggi ci farebbero vergognare” afferma lo
storico il quale rivolge poi la sua attenzione alla assenza di reazioni
contro tali leggi anche nel mondo antifascista riconducibile a una
“carenza di ciò che è lo stato di diritto, l’assenza di reazioni era il
frutto di una specie di assuefazione allo strazio dei diritti della
persona”. Sabatucci conclude il suo intervento lasciando la parola a
Tommaso dell’Era non prima però di aver sottolineato come la lettura
del volume in questione sia di assoluta importanza e come questo “offra
materiale per profonde riflessioni”.
Tommaso Dell’Era, storico dell’Università della Tuscia, ha poi
sottolineato e riconosciuto “il valore di operazione culturale che
questo volume rappresenta”. Oltre ad offrire un’analisi molto ampia
degli avvenimenti del 1938 il testo è permeato da un elemento che, dice
Dell’Era “percorre tutti i saggi ed è il tema della frattura e della
continuità”. L’intervento dello storico dell’università viterbese si
concentra proprio su una attenta e profonda analisi di alcuni dei saggi
presenti nel volume come ad esempio quello di Elisabetta Mondello,
professore associato di Letteratura italiana contemporanea alla
Sapienza, intitolato “Tre, cinque, dieci volte mamme, dal sessismo del
primo Novecento alla procreazione della razza italica”.
“E’ un libro importante che affronta il tema e allarga l’orizzonte del
discorso alla cultura del ‘900. Pone sul tavolo una serie di
riflessioni amplissime” queste le parole di Francesca Bernardini
Napolitano, dell’Università “La Sapienza”, nell’aprire il suo
intervento.
La studiosa pone l’accento sulle radici lontane dell’antisemitismo e
del razzismo le quali iniziano poi ad acquistare sempre più spessore
già verso la fine del 1920. “Il danno operato dall’antisemitismo per la
cultura italiana è drammatico” continua la professoressa la quale
sottolinea come le leggi razziali abbiano voluto cancellare tutto ciò
che era l’ identità ebraica e come la loro applicazione “fu un lavoro
di una capillarità impressionante”.
Nel suo intervento la studiosa sottolinea come non ci sia un’unica
ragione nella genesi dell’antisemitismo ma come questo sia dovuto al
convergere di una molteplicità di cause come “l’imperialismo, il
nazionalismo il quale porta ad una ridefinizione del concetto di razza
e di identità italiana”.
La mancanza di una reazione forte da parte della popolazione e
l’assenza di un coro di proteste contro queste leggi rappresenta un
ulteriore punto di riflessione su cui soffermarsi anche se non sono
mancate figure che esplicitamente hanno preso le distanze dal moto
persecutorio antiebraico “Massimo Bontempelli, fascista, fin dal 1934
iniziò a prendere le distanze dal Regime, quando nel 1938 gli offrirono
la cattedra di Momigliano lui la rifiutò” e ancora spiega la studiosa
“anche Giuseppe Ungaretti quando rientrò in Italia dal Brasile protestò
pubblicamente contro le leggi razziali”. Una miniera di informazioni si
può poi ricavare dalla lettura de “Il Corriere dei Piccoli” anche se in
esso “non si trovano interventi antisemiti ma piuttosto un razzismo
legato all’Africa” aggiunge la studiosa la quale invita a prendere
visione di alcuni contenuti della letteratura per l’infanzia del
periodo fascista.
Alla conclusione della presentazione prende vita un dibattito a cui
partecipano i curatori, gli autori del volume e alcuni studenti
presenti all’evento. Anna Foa prende la parola ringraziando i relatori.
La storica si sofferma su alcune delle tematiche affrontate durante il
dibattito come il rapporto tra antisemitismo e chiesa parlando della
figura di Padre Gemelli e l’analisi delle radici delle leggi razziste
italiane affermando di essere convinta “della differenza tra l’opera di
persecuzione attiva come quella del ’38 e il clima antisemita che
monta” sottolineando come “questo clima antiebraico abbia anche
impedito delle reazioni”.
Una riflessione contenuta nella parte conclusiva della introduzione al
volume ci ricorda che “le sopravvivenze della cultura della razza sono
ancora fra noi, basta navigare in Internet per accorgersi quanto lo
siano […] la nozione di umanità, inclusiva di tutte le forme della
specie umana, è una nozione che appare tardi nella storia, e si
diffonde in modo limitato e intermittente. Una conquista precaria, da
tener ben stretta, e da imparare a riconoscere da capo ogni volta, nel
confronto tra noi e gli altri".
Valentina Della Seta
Sorgente di vita torna a parlare dell'ora di religione nelle scuole
L’ora di religione cattolica nella scuola pubblica è il tema di
apertura della puntata di Sorgente di vita di domenica 23 maggio: se ne
torna a parlare alla fine dell’anno scolastico dopo una sentenza
del Consiglio di Stato: il punto sul ruolo degli insegnanti,
sull’offerta delle materie alternative, sulle discriminazioni tra gli
studenti. Una lunga lotta per l’uguaglianza e per la laicità della
scuola che si gioca sulla testa dei giovani, nell’indifferenza
generale.
Segue un breve servizio sull’impresa di Salvatore Cimmino, portatore di
handicap che ha attraversato a nuoto il Lago di Tiberiade: una
simbolica traversata da una sponda all’altra per un mondo senza
barriere e senza frontiere e le soluzioni per aiutare i diversamente
abili sperimentate al Centro robotico del Technion di Haifa.
In un altro servizio si entra in una scuola di restauro in un
antico eremo sulle colline di Botticino vicino a Brescia: qui gli
studenti imparano tecniche e metodologie per la conservazione di
pitture, affreschi, statue lignee e terrecotte e nel laboratorio dei
tessuti antichi riprendono forma e colore gli arredi tessili
provenienti dalla sinagoga e dal museo ebraico di Livorno.
Infine due gruppi musicali intrecciano le proprie esperienze in un
concerto a Verona: dalle melodie del mondo yiddish della “Klezmerata
fiorentina” alle sonorità mediterranee di un ensemble marocchino.
Sorgente di vita va in onda domenica 23 maggio alle ore 1,20 circa su Raidue.
La puntata verrà replicata lunedì 24 maggio alla stessa ora e lunedì 31 maggio alle 9,30 del mattino. I servizi di Sogente di via sono anche online.
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Davar Acher - Provocazioni
C'è
un pazzo criminale dalle parti di Teheran che vuole la bomba atomica
per ammazzare i miei parenti, i parenti dei miei parenti e molti
altri che stanno in Israele. Ci sono un sacco di matti in giro
che profanano le tombe dei miei cugini, dei cugini dei miei cugini e di
molti altri, in Germania, in Francia, in Polonia, in Grecia. Ci sono
dei dementi a Roma che parlano di ammazzare il mio amico Riccardo
Pacifici. Criminali bruciano le sinagoghe, come quella di Creta e di
Worms, dove mi fermerei volentieri a pregare. Quelle italiane le
lasciano stare, per il momento, solo perché protette da della polizia,
metal detector, bravi ragazzi che fanno la sicurezza. In Australia e in
Scozia, in Norvegia e naturalmente nei paesi arabi, seri manager e
scapestrati attivisti dei diritti umani boicottano le merci prodotte
grazie al lavoro di gente come me, proprio perché è come me, sempre in
quel paese che il pazzo criminale vuol cancellare dalla carta
geografica. Cercano di far chiudere le banche che vi lavorano, spesso
riescono a ottenere che cantanti e attori non vadano a far spettacolo
lì. Le riviste scientifiche e i congressi non accettano i contributi
dell'università dove sono andato a lavorare gratuitamente le ultime
estate, e neanche delle altre università consorelle. Umberto Eco spiega
che non è d'accordo col boicottaggio, ma solo perché molti universitari
dissentono dalle politiche del governo. E io che vi consento, merito
dunque di essere boicottato per questo? Sarei curioso di sentirlo dire
proprio da Eco, con cui ho lavorato per tanti anni. Se non come ebreo,
come sionista merito dunque il boicottaggio? Non mi pubblicherebbe
sulla sua rivista, perché in Israele avrei votato per Netanyahu? O si
era espresso male? Tutti matti, tutti incapaci di parlare con
chiarezza? Solo equivoci? No. Un gruppetto di autodefiniti
intellettuali che sarebbero in fondo anche loro miei cugini, ma quando
gli scappa distingue fra il proprio spirito illuminato e il popolo bue
nazionalista e tribalista, mi spiega che questa faccenda è tutta colpa
mia (non solo mia, naturalmente, ma anche mia), che devo tornare alla
ragione e fare quel che un governo straniero mi dice di fare per il mio
bene, cioè arrendermi. Il pericolo non viene tanto dal di fuori, mi
spiegano gli illuminati, quello principale sono io e chi la pensa come
me, perché siamo colonialisti e pensiamo che Gerusalemme sia un luogo
ebraico. Tutta colpa mia se mi boicottano, mi bruciano le sinagoghe, mi
profanano le tombe. E anche se quel pazzo dalle parti di Teheran (e i
suoi amici a Damasco, Beirut, Gazah, Ramallah, Tripoli eccetera
eccetera) aspettano solo di leggere il necrologio collettivo di quelli
come me. Se io fossi più buono, se non facessi muri ma ponti, se mi
ritirassi dietro la linea verde, se non facessi resistenza quando
cercano di farmi fuori, se non mi divincolassi... se non la prendessi
come un fatto personale... Va bene, capisco, accetto di suicidarmi come
vogliono gli illuminati. Ma se poi viene fuori che anche la mia tomba è
una provocazione?.
Ugo Volli
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rassegna stampa |
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«Pagine Ebraiche» anche per i giovanissimi
«”Pagine Ebraiche” anche per i piccoli; David è il titolo provvisorio,
già si sta lavorando al numero zero, che potrebbe essere pronto a fine
agosto, in tempo per uscire prima dell'inizio dell'arino scolastico
2010 2011. Avrà un piede nella fantasia e un piede e nell'informazione»
spiega a “L'Osservatore Romano” Guido Vitale, direttore del mensile
dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, parlando della nuova
pubblicazione che sarà allegata al periodico nato nell'ottobre scorso.
[…]
L'Osservatore Romano, 23 maggio 2010
Gli estremisti di Militia legati alle frange degli ultrà
[…] I magistrati hanno individuato anche contatti tra Milita,
«organizzazione di stampo nazional rivoluzionario», e le fasce più
estreme della tifoseria laziale legate da sempre agli ambienti "neri".
Indagini ancora in corso. Ed è questo uno dei punti sui quali la
procura sta cercando di fare chiarezza. I magistrati vogliono
stabilire, tra l'altro, quanto in alto puntasse l'organizzazione e
quali legami avesse con gli ambienti dell'eversione di estrema destra,
Non a caso la massima attenzione è rivolta a quelle intercettazioni
nelle quali emergono i nomi dell'estremismo degli anni buii. E' il 29
marzo quando Schiavulli viene contattato telefonicamente da due amici
che si trovano al concerto della “Compagnia dell'anello”, gruppo
storico della destra più nera. L'informazione è chiara «Ci sono tutti i
personaggi storici dell'ambiente... Stefano Delle Chiaie, Francesco
Bianco e Luigi Aronica». Ma l'organizzazione avrebbe messo in atto
anche una campagna contro il sindaco di Roma, Gianni Alemanno,
Schiavulli è ritenuto l'autore di uno striscione piazzato in via
Salaria: un metro e trenta di lunghezza per sei metri: «Alemanno con
l'Anpi (associazione nazionale partigiani ndr) il più infame di tutti
quanti» E adesso Militia avverte il sindaco e promette di diffondere
«al momento giusto» un dossier pesantissimo sul suo passato politico.
«Alemanno non faccia lo stupido - ha detto Schiavulli in conferenza
stampa, riportando le parole di Boccacci - se tiro fuori delle cose su
di lui, come sindaco dura solo un'altra mezz'ora».
Valentina Errante, il Messaggero, 23 maggio 2010
Israeliani e palestinesi devono trattare da soli,
l'inviato Usa si faccia da parte
George Mitchell, l'inviato di Obama in Medio Oriente, è tornato a
benedire la ripresa dei colloqui indiretti, ma tante buone intenzioni
non hanno ancora partorito l'inizio. Dopo essersi incontrato con Abu
Mazen si è visto con Bibi Netanyahu, mentre il negoziatore palestinese
Saeb Erekat dichiara di essere ottimista. Ma le
sue previsioni che dai colloqui sponsorizzati dalla Casa Bianca esca
qualcosa di concreto è ancora solo una speranza, anche perché invece di
affrontare i temi fondamentali del futuro accordo, la sicurezza e i
confini, la parte palestinese continua a reclamare da Israele il blocco
delle costruzioni a Gerusalemme Est, una richiesta impossibile da
esaudire, nemmeno inserita peraltro da Obama fra quelle concordate con
Netanyahu. Se Israele la accettasse, abdicherebbe di fatto alla
sovranità sulla capitale. I palestinesi se ne rendono ovviamente conto,
e proprio per questo continuano a presentarla, soddisfatti di poter
così addossare a Israele l'eventuale fallimento della ripresa dei
negoziati. «La verità è che i palestinesi non accetteranno mai
l'ebraicità del nostro Stato», hanno dichiarato giorni fa Silvatì
Shalom, vice primo ministro e Benny Begin, ministro senza portafoglio
ma dal nome che conta molto di più di una poltrona prestigiosa. «Abu
Mazen non può accettare oggi quello che Arafat ha sempre rifiutato»,
aggiunge Shalom, il che spiega le ragioni per cui Israele considera
come unica soluzione al conflitto il dialogo a due. Solo così il mondo
capirà da che parte staranno le responsabilità di un eventuale
fallimento delle trattative. [...]
Angelo Pezzana, Libero, 23 maggio 2010
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Israele: al via la più estesa esercitazione della storia del Paese
Tel Aviv, 23 mag -
E'
stata definita la più estesa esercitazione di carattere difensivo della
storia di Israele, ha avuto inizio oggi, e mira a mettere alla prova i
sistemi di protezione civile nella eventualità di un massiccio attacco
missilistico, anche non convenzionale, da uno o più fronti nemici. Nel
tentativo di impedire malintesi, Israele ha illustrato le modalità
dell'esercitazione agli addetti militari di vari Paesi ai quali ha
chiesto di aggiornare gli Stati vicini. Ciò nonostante gli Hezbollah
libanesi hanno annunciato ieri la mobilitazione dei loro miliziani, per
far fronte a possibili situazioni di emergenza. Fra le simulazioni
previste figurano attacchi a tappeto contro le retrovie israeliane come
quelli condotti dagli Hezbollah nell'estate del 2006, quando oltre 4000
razzi Katyuscia esplosero nel Nord di Israele, e come quelli del
2008-2009 quando i miliziani di Hamas lanciarono contro il Neghev
centinaia di razzi Grad e Qassam.
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
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