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L'Unione informa
 
    23 maggio 2010 - 10 Sivan 5770  

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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
alef/tav    
  benedetto carucci viterbi Benedetto Carucci Viterbi,
rabbino
L'angelo della storia, dice Walter Benjamin commentando un quadro di Paul Klee, ha il viso rivolto al passato. Vi vede una sola grande catastrofe. Vorrebbe fermarsi per intervenire, ma una tempesta lo spinge verso il futuro, a cui volge le spalle. Immagine ribaltata rispetto a quella corrente, che vuole il futuro di fronte a noi. Come d'altra parte ci ha suggerito venerdì - con una vena pessimistica - rav Colombo.
Non so se “il cielo si sia improvvisamente oscurato”, se sia scomparsa qualsiasi ipotesi di futuro e rimanga, a garantire di una qualche certezza, solo la contemplazione e la memoria del passato. Non è improprio sottolineare come spesso il passato che ci ricordiamo e che raccontiamo non sia ciò che era, bensì sia la ricostruzione funzionale che, nel presente, ci facciamo per poterci garantire un futuro. Ovviamente ognuno si ricostruisce il suo che propone come quello di tutti. Non è un’ipotesi consolante, perché noi non viviamo in un’epoca indifferente rispetto alla memoria. Infatti, nell’epoca dell’impero mediatico, dove la cosa più frequente è la continua messa al margine delle voci critiche, lo scenario complessivo in cui siamo calati è quello magistralmente descritto da Orwell in “1984” laddove scrive “Chi controlla il passato, controlla il futuro, chi controlla il presente controlla il futuro”. Per questo inviterei tutti noi ad avere una dimensione rispettosa ma critica del passato, compreso il proprio, e dunque anche il mio che scrivo, per portarcelo, senza miti e senza nostalgie, verso un futuro in cui tutti, dal più dotato al più modesto, abbiano a riconoscersi e, auspicabilmente, a ritrovarsi.
David
Bidussa,

storico sociale delle idee
david bidussa  
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  Qui Firenze - Un albero per Bartali, la prima testimonianza
 
Gino BartaliArriva da una fiorentina residente dal 1974 in Israele la prima testimonianza utile per far sì che piantare un albero nel giardino dello Yad Vashem in onore di Gino Bartali non sia più una mera utopia ma una possibilità concreta. Un albero in quel luogo simbolo della Shoah e di chi si oppose al Male sarebbe, a detta di molti, il giusto riconoscimento per il grande corridore che negli anni della furia nazifascista partecipò a una complessa operazione di salvataggio coordinata dalla Delasem che portò in salvo circa 800 ebrei. Una storia che è venuta fuori nella sua interezza (o quasi) solo dopo la morte di Bartali. Perché sebbene toscano loquace, Ginettaccio fu un eroe silenzioso: parlare dei suoi straordinari meriti extra ciclistici non era il suo sport preferito.
“Non ci si fa belli sulle disgrazie altrui”. Con questa frase liquidava quanti, giornalisti o curiosi, gli chiedevano insistentemente di quelle numerose sgambate tra Firenze e Assisi, dove consegnava alle suore del convento di San Quirico documenti da falsificare, che grazie a sapienti tipografi sarebbero divenuti un prezioso lasciapassare per gli ebrei ospitati tra quelle mura. Li teneva nascosti nella canna, sotto il sellino e nelle impugnature del manubrio. Con tutti gli incredibili pericoli che ciò comportava. Una perquisizione da parte del nemico e con ogni probabilità il suo destino sarebbe stato un appuntamento davanti al plotone di esecuzione. Ma Bartali aveva un alibi inattaccabile (e infatti la sua bici non fu mai smontata): il motivo delle sue frequenti pedalate tra Toscana e Umbria era solo una questione agonistica, un faticoso allenamento per le grandi corse a tappe che sarebbero riprese una volta cessate le ostilità.
La signora Giulia Donati, madre del giornalista Aldo Baquis, è tornata a scavare nei ricordi di quegli anni drammatici. A lei e al figlio è recentemente giunta voce della mobilitazione lanciata negli scorsi mesi su iniziativa di Sara Funaro (di cui il giornale dell'ebraismo italiano Pagine Ebraiche ha dato notizia nel numero di aprile) e finalizzata a rendere omaggio al ciclista che di grande non aveva solo lo slancio, ma anche il cuore. Così ha deciso di parlare, dando un nome a tutti coloro che si prodigarono per salvare lei e i suoi cari dalle grinfie dei nazifascisti e da quelle dei delatori che infestavano le strade di Firenze. Tra le persone citate, per l’appunto, Gino Bartali. Lo ha fatto in un documento che nei prossimi giorni verrà tradotto in ebraico e consegnato ai funzionari dello Yad Vashem incaricati di dare il via alla procedura di attribuzione dello status di Giusto tra le nazioni ai meritevoli di tale appellativo. Nel documento, la signora Donati ripercorre le tappe che portarono la sua famiglia a scappare dalla città natia per riparare a Viareggio e dintorni, dove due anziane sorelle (“all’epoca sulla settantina”, si legge nella testimonianza) si presero cura della loro sorte. In un primo momento la famiglia Donati fu ospitata in un appartamento in via Zara. Poi Isabella Pacini e Settilia Crocini, questi i nomi delle due sorelle, cercarono un alloggio al Secco, frazione del comune di Lido Camaiore. Là vi trovarono una persona fidata che diede in affitto la sua abitazione. Isabella e Settilia, nonostante i mille pericoli, non fecero mai mancare il loro aiuto e tutti i giorni portavano da mangiare a Giulia e ai suoi cari. Fino a quando la linea ferroviaria tirrenica venne bombardata, episodio che le costrinse a trasferirsi anch’esse al Secco. E fu proprio in quei travagliati momenti che fece capolino l’inconfondibile profilo di Gino Bartali, che non percorreva solo la tratta Firenze - Assisi ma anche strade e polverosi sentieri del Lucchese e del Pisano. Il corridore di Ponte a Ema aveva con sé documenti falsi da consegnare ai Donati, nuove identità che avrebbero consentito loro di trovare più facilmente la fuga. Ma al momento della consegna dei documenti ci fu una clamorosa incomprensione. Settilia non capì chi fosse e cosa volesse quel ciclista che aveva bussato con insistenza alla porta. Tanto che lo rimandò indietro. Solo parlandone in seguito con la sorella, avrebbe scoperto il perché della sua presenza al Secco. Decisero di tenersi quella storia per sè: questa vicenda, forse per non creare ulteriori apprensioni alla famiglia Donati, sarebbe stata raccontata loro solo dopo la liberazione. Adesso, dopo tanti anni in cui non è stata divulgata, è finalmente patrimonio di tutti. Probabilmente non basterà ancora per piantare un albero allo Yad Vashem, ma la speranza di molti è che possa rappresentare solo la prima di una serie di testimonianze che riescano a far tributare il meritato riconoscimento ad un grande protagonista del Ventesimo secolo.

Adam Smulevich


“Leggi del '38 e cultura del razzismo, storia, memoria, rimozione”

sorgente di vita“Leggi del 1938 e cultura del razzismo, storia, memoria, rimozione”, lo studio a cura di Anna Foa, docente di storia moderna presso la prima Università di Roma, Isabella Iannuzzi collaboratrice del Dipartimento di Storia moderna e contemporanea dell’ateneo romano e Marina Beer docente di letteratura italiana della Sapienza (edito da Viella) è stato presentato alla Biblioteca “Angelo Monteverdi” della facoltà di Lettere “ La Sapienza”.
All’origine di questo volume, il quale si compone di una serie di contributi da parte di studiosi appartenenti ad ambiti disciplinari diversi, c’è un convegno svoltosi il 26 gennaio 2009 presso la facoltà di lettere e filosofia della Sapienza in occasione della Giornata della Memoria. Il filo conduttore che collega i diversi saggi riguarda l’analisi della diffusione del razzismo nell’Italia degli anni trenta e i vuoti di memoria dell’elaborazione italiana di questa pagina dolorosa della storia. Le leggi del 1938 ritrovano la loro matrice in una cultura della razza che affonda le proprie radici già nella seconda metà dell’Ottocento. Una cultura che dunque si è alimentata con il passare degli anni, una cultura che si basa su un presupposto scientificamente falso, quello dell’esistenza delle razze e che impone l’idea della supremazia di alcuni popoli su altri, un germe che ha attaccato e si è appropriato del pensiero e che ha trovato forma ed espressione in una molteplicità di livelli, nella letteratura, nella sociologia, nell’arte e nelle scienze biologiche e naturali. Un fiume in piena difficile da arginare.
Anche se oggi la condanna del razzismo è comunemente accettata, la diffusione dell’ idea che l’umanità si divida in razze e che il colore della pelle o l’appartenenza a una identità religiosa determini l’esistenza di “diversi” rappresenta ancora un ostacolo da dover superare. L’importanza della pubblicazione di questo volume si annida proprio nell’avere una funzione didattica nelle scuole e nelle università al fine di sradicare considerazioni errate che potrebbero prendere vita tra le nuove generazioni.
“Il libro esamina i temi centrali e caratterizzanti di questa pagina vergognosa della storia” afferma lo storico Giovanni Sabbatucci il quale ha aperto la presentazione del volume ed ha continuato il suo intervento mettendo in rilievo proprio come “il tratto comune di questi studi, non solo del libro in questione ma più in generale, sia l’enfasi posta sul carattere traumatico delle leggi, le quali hanno rappresentato una rottura nella storia italiana e nella vita delle vittime”.
Contro le interpretazioni che tentano di dare letture banalizzanti è necessario secondo lo storico prendere coscienza della gravità di queste leggi le quali “furono un trauma non solo in quanto infamia morale e premessa per lo sterminio ma anche in quanto mostruosità giuridica”.
Sabbatucci riflette poi sulla genesi delle leggi del 1938 analizzando se esse rappresentino una svolta rispetto al prima o se siano il risultato della precedente storia del fascismo, uno sviluppo di premesse già contenute.
“E' difficile prendere una posizione netta” afferma lo studioso “esse furono una svolta ma non del tutto repentina e imprevedibile poichè vanno anticipate già agli anni della guerra in Etiopia, le leggi non sono comunque la logica conseguenza della precedente storia fascista”.
Molti stereotipi erano comunque già presenti nella società italiana. Sabbatucci cita alcune pagine degli scritti giovanili di De Gasperi nei quali “si trovano giudizi che oggi ci farebbero vergognare” afferma lo storico il quale rivolge poi la sua attenzione alla assenza di reazioni contro tali leggi anche nel mondo antifascista riconducibile a una “carenza di ciò che è lo stato di diritto, l’assenza di reazioni era il frutto di una specie di assuefazione allo strazio dei diritti della persona”. Sabatucci conclude il suo intervento lasciando la parola a Tommaso dell’Era non prima però di aver sottolineato come la lettura del volume in questione sia di assoluta importanza e come questo “offra materiale per profonde riflessioni”.
Tommaso Dell’Era, storico dell’Università della Tuscia, ha poi sottolineato e riconosciuto “il valore di operazione culturale che questo volume rappresenta”. Oltre ad offrire un’analisi molto ampia degli avvenimenti del 1938 il testo è permeato da un elemento che, dice Dell’Era “percorre tutti i saggi ed è il tema della frattura e della continuità”. L’intervento dello storico dell’università viterbese si concentra proprio su una attenta e profonda analisi di alcuni dei saggi presenti nel volume come ad esempio quello di Elisabetta Mondello, professore associato di Letteratura italiana contemporanea alla Sapienza, intitolato “Tre, cinque, dieci volte mamme, dal sessismo del primo Novecento alla procreazione della razza italica”.
“E’ un libro importante che affronta il tema e allarga l’orizzonte del discorso alla cultura del ‘900. Pone sul tavolo una serie di riflessioni amplissime” queste le parole di Francesca Bernardini Napolitano, dell’Università “La Sapienza”, nell’aprire il suo intervento.
La studiosa pone l’accento sulle radici lontane dell’antisemitismo e del razzismo le quali iniziano poi ad acquistare sempre più spessore già verso la fine del 1920. “Il danno operato dall’antisemitismo per la cultura italiana è drammatico” continua la professoressa la quale sottolinea come le leggi razziali abbiano voluto cancellare tutto ciò che era l’ identità ebraica e come la loro applicazione “fu un lavoro di una capillarità impressionante”.
Nel suo intervento la studiosa sottolinea come non ci sia un’unica ragione nella genesi dell’antisemitismo ma come questo sia dovuto al convergere di una molteplicità di cause come “l’imperialismo, il nazionalismo il quale porta ad una ridefinizione del concetto di razza e di identità italiana”.
La mancanza di una reazione forte da parte della popolazione e l’assenza di un coro di proteste contro queste leggi rappresenta un ulteriore punto di riflessione su cui soffermarsi anche se non sono mancate figure che esplicitamente hanno preso le distanze dal moto persecutorio antiebraico “Massimo Bontempelli, fascista, fin dal 1934 iniziò a prendere le distanze dal Regime, quando nel 1938 gli offrirono la cattedra di Momigliano lui la rifiutò” e ancora spiega la studiosa “anche Giuseppe Ungaretti quando rientrò in Italia dal Brasile protestò pubblicamente contro le leggi razziali”. Una miniera di informazioni si può poi ricavare dalla lettura de “Il Corriere dei Piccoli” anche se in esso “non si trovano interventi antisemiti ma piuttosto un razzismo legato all’Africa” aggiunge la studiosa la quale invita a prendere visione di alcuni contenuti della letteratura per l’infanzia del periodo fascista.
Alla conclusione della presentazione prende vita un dibattito a cui partecipano i curatori, gli autori del volume e alcuni studenti presenti all’evento. Anna Foa prende la parola ringraziando i relatori. La storica si sofferma su alcune delle tematiche affrontate durante il dibattito come il rapporto tra antisemitismo e chiesa parlando della figura di Padre Gemelli e l’analisi delle radici delle leggi razziste italiane affermando di essere convinta “della differenza tra l’opera di persecuzione attiva come quella del ’38 e il clima antisemita che monta” sottolineando come “questo clima antiebraico abbia anche impedito delle reazioni”.
Una riflessione contenuta nella parte conclusiva della introduzione al volume ci ricorda che “le sopravvivenze della cultura della razza sono ancora fra noi, basta navigare in Internet per accorgersi quanto lo siano […] la nozione di umanità, inclusiva di tutte le forme della specie umana, è una nozione che appare tardi nella storia, e si diffonde in modo limitato e intermittente. Una conquista precaria, da tener ben stretta, e da imparare a riconoscere da capo ogni volta, nel confronto tra noi e gli altri".

Valentina Della Seta


Sorgente di vita torna a parlare dell'ora di religione nelle scuole

sorgente di vita L’ora di religione cattolica nella scuola pubblica è il tema di apertura della puntata di Sorgente di vita di domenica 23 maggio: se ne torna a parlare alla fine dell’anno scolastico dopo una  sentenza del Consiglio di Stato: il punto sul  ruolo degli insegnanti, sull’offerta delle materie alternative, sulle discriminazioni tra gli studenti. Una lunga lotta per l’uguaglianza e per la laicità della scuola che si gioca sulla testa dei giovani, nell’indifferenza generale.
Segue un breve servizio sull’impresa di Salvatore Cimmino, portatore di handicap che ha attraversato a nuoto il Lago di Tiberiade: una  simbolica traversata da una sponda all’altra per un mondo senza barriere e senza frontiere e le soluzioni per aiutare i diversamente abili sperimentate al Centro robotico del Technion di Haifa. 
In un  altro servizio si entra in una scuola di restauro in un antico eremo sulle colline di Botticino vicino a Brescia: qui gli studenti imparano tecniche e metodologie per la conservazione di  pitture, affreschi, statue lignee e terrecotte e nel laboratorio dei tessuti antichi riprendono forma e colore gli arredi tessili provenienti dalla sinagoga e dal museo ebraico di Livorno.
Infine due gruppi musicali intrecciano le proprie esperienze in un concerto a Verona: dalle melodie del mondo yiddish della “Klezmerata fiorentina” alle sonorità mediterranee di un ensemble marocchino.
Sorgente di vita va in onda domenica 23 maggio alle ore 1,20 circa su Raidue.
La puntata verrà replicata lunedì 24 maggio alla stessa ora e lunedì 31 maggio alle 9,30 del mattino. 
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  Davar Acher - Provocazioni

ugo volliC'è un pazzo criminale dalle parti di Teheran che vuole la bomba atomica per ammazzare i miei parenti, i parenti dei miei parenti e molti altri che stanno in  Israele. Ci sono un sacco di matti in giro che profanano le tombe dei miei cugini, dei cugini dei miei cugini e di molti altri, in Germania, in Francia, in Polonia, in Grecia. Ci sono dei dementi a Roma che parlano di ammazzare il mio amico Riccardo Pacifici. Criminali bruciano le sinagoghe, come quella di Creta e di Worms, dove mi fermerei volentieri a pregare. Quelle italiane le lasciano stare, per il momento, solo perché protette da della polizia, metal detector, bravi ragazzi che fanno la sicurezza. In Australia e in Scozia, in Norvegia e naturalmente nei paesi arabi, seri manager e scapestrati attivisti dei diritti umani boicottano le merci prodotte grazie al lavoro di gente come me, proprio perché è come me, sempre in quel paese che il pazzo criminale vuol cancellare dalla carta geografica. Cercano di far chiudere le banche che vi lavorano, spesso riescono a ottenere che cantanti e attori non vadano a far spettacolo lì. Le riviste scientifiche e i congressi non accettano i contributi dell'università dove sono andato a lavorare gratuitamente le ultime estate, e neanche delle altre università consorelle. Umberto Eco spiega che non è d'accordo col boicottaggio, ma solo perché molti universitari dissentono dalle politiche del governo. E io che vi consento, merito dunque di essere boicottato per questo? Sarei curioso di sentirlo dire proprio da Eco, con cui ho lavorato per tanti anni. Se non come ebreo, come sionista merito dunque il boicottaggio? Non mi pubblicherebbe sulla sua rivista, perché in Israele avrei votato per Netanyahu? O si era espresso male? Tutti matti, tutti incapaci di parlare con chiarezza? Solo equivoci? No. Un gruppetto di autodefiniti intellettuali che sarebbero in fondo anche loro miei cugini, ma quando gli scappa distingue fra il proprio spirito illuminato e il popolo bue nazionalista e tribalista, mi spiega che questa faccenda è tutta colpa mia (non solo mia, naturalmente, ma anche mia), che devo tornare alla ragione e fare quel che un governo straniero mi dice di fare per il mio bene, cioè arrendermi. Il pericolo non viene tanto dal di fuori, mi spiegano gli illuminati, quello principale sono io e chi la pensa come me, perché siamo colonialisti e pensiamo che Gerusalemme sia un luogo ebraico. Tutta colpa mia se mi boicottano, mi bruciano le sinagoghe, mi profanano le tombe. E anche se quel pazzo dalle parti di Teheran (e i suoi amici a Damasco, Beirut, Gazah, Ramallah, Tripoli eccetera eccetera) aspettano solo di leggere il necrologio collettivo di quelli come me. Se io fossi più buono, se non facessi muri ma ponti, se mi ritirassi dietro la linea verde, se non facessi resistenza quando cercano di farmi fuori, se non mi divincolassi... se non la prendessi come un fatto personale... Va bene, capisco, accetto di suicidarmi come vogliono gli illuminati. Ma se poi viene fuori che anche la mia tomba è una provocazione?.

Ugo Volli 

 
 
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«Pagine Ebraiche» anche per i giovanissimi
«”Pagine Ebraiche” anche per i piccoli; David è il titolo provvisorio, già si sta lavorando al numero zero, che potrebbe essere pronto a fine agosto, in tempo per uscire prima dell'inizio dell'arino scolastico 2010 2011. Avrà un piede nella fantasia e un piede e nell'informazione» spiega a “L'Osservatore Romano” Guido Vitale, direttore del mensile dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, parlando della nuova pubblicazione che sarà allegata al periodico nato nell'ottobre scorso. […]
L'Osservatore Romano, 23 maggio 2010

Gli estremisti di Militia legati alle frange degli ultrà
[…] I magistrati hanno individuato anche contatti tra Milita, «organizzazione di stampo nazional rivoluzionario», e le fasce più estreme della tifoseria laziale legate da sempre agli ambienti "neri". Indagini ancora in corso. Ed è questo uno dei punti sui quali la procura sta cercando di fare chiarezza. I magistrati vogliono stabilire, tra l'altro, quanto in alto puntasse l'organizzazione e quali legami avesse con gli ambienti dell'eversione di estrema destra, Non a caso la massima attenzione è rivolta a quelle intercettazioni nelle quali emergono i nomi dell'estremismo degli anni buii. E' il 29 marzo quando Schiavulli viene contattato telefonicamente da due amici che si trovano al concerto della “Compagnia dell'anello”, gruppo storico della destra più nera. L'informazione è chiara «Ci sono tutti i personaggi storici dell'ambiente... Stefano Delle Chiaie, Francesco Bianco e Luigi Aronica». Ma l'organizzazione avrebbe messo in atto anche una campagna contro il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, Schiavulli è ritenuto l'autore di uno striscione piazzato in via Salaria: un metro e trenta di lunghezza per sei metri: «Alemanno con l'Anpi (associazione nazionale partigiani ndr) il più infame di tutti quanti» E adesso Militia avverte il sindaco e promette di diffondere «al momento giusto» un dossier pesantissimo sul suo passato politico. «Alemanno non faccia lo stupido - ha detto Schiavulli in conferenza stampa, riportando le parole di Boccacci - se tiro fuori delle cose su di lui, come sindaco dura solo un'altra mezz'ora».
Valentina Errante, il Messaggero, 23 maggio 2010

Israeliani e palestinesi devono trattare da soli,
l'inviato Usa si faccia da parte

George Mitchell, l'inviato di Obama in Medio Oriente, è tornato a benedire la ripresa dei colloqui indiretti, ma tante buone intenzioni non hanno ancora partorito l'inizio. Dopo essersi incontrato con Abu Mazen si è visto con Bibi Netanyahu, mentre il negoziatore palestinese Saeb Erekat dichiara di essere ottimista. Ma le sue previsioni che dai colloqui sponsorizzati dalla Casa Bianca esca qualcosa di concreto è ancora solo una speranza, anche perché invece di affrontare i temi fondamentali del futuro accordo, la sicurezza e i confini, la parte palestinese continua a reclamare da Israele il blocco delle costruzioni a Gerusalemme Est, una richiesta impossibile da esaudire, nemmeno inserita peraltro da Obama fra quelle concordate con Netanyahu. Se Israele la accettasse, abdicherebbe di fatto alla sovranità sulla capitale. I palestinesi se ne rendono ovviamente conto, e proprio per questo continuano a presentarla, soddisfatti di poter così addossare a Israele l'eventuale fallimento della ripresa dei negoziati. «La verità è che i palestinesi non accetteranno mai l'ebraicità del nostro Stato», hanno dichiarato giorni fa Silvatì Shalom, vice primo ministro e Benny Begin, ministro senza portafoglio ma dal nome che conta molto di più di una poltrona prestigiosa. «Abu Mazen non può accettare oggi quello che Arafat ha sempre rifiutato», aggiunge Shalom, il che spiega le ragioni per cui Israele considera come unica soluzione al conflitto il dialogo a due. Solo così il mondo capirà da che parte staranno le responsabilità di un eventuale fallimento delle trattative. [...]
Angelo Pezzana, Libero, 23 maggio 2010

 
 
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Israele: al via la più estesa esercitazione della storia del Paese
Tel Aviv, 23 mag -
E' stata definita la più estesa esercitazione di carattere difensivo della storia di Israele, ha avuto inizio oggi, e mira a mettere alla prova i sistemi di protezione civile nella eventualità di un massiccio attacco missilistico, anche non convenzionale, da uno o più fronti nemici. Nel tentativo di impedire malintesi, Israele ha illustrato le modalità dell'esercitazione agli addetti militari di vari Paesi ai quali ha chiesto di aggiornare gli Stati vicini. Ciò nonostante gli Hezbollah libanesi hanno annunciato ieri la mobilitazione dei loro miliziani, per far fronte a possibili situazioni di emergenza. Fra le simulazioni previste figurano attacchi a tappeto contro le retrovie israeliane come quelli condotti dagli Hezbollah nell'estate del 2006, quando oltre 4000 razzi Katyuscia esplosero nel Nord di Israele, e come quelli del 2008-2009 quando i miliziani di Hamas lanciarono contro il Neghev centinaia di razzi Grad e Qassam.



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