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L'Unione informa
 
    25 maggio 2010 - 12 Sivan 5770  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
alef/tav    
  roberto della rocca Roberto 
Della Rocca,

rabbino 
In questi ultimi anni la domanda di apprendimento della lingua ebraica è notevolmente cresciuta.  Manca tuttavia un centro di coordinamento sia per le strutture educative che per l’insegnamento agli adulti. Sarebbe auspicabile la creazione di un centro di lingua ebraica che partendo da un progetto limitato possa poi svilupparsi nel tempo e diventare un vero punto di riferimento per  le istituzioni e per i singoli. Sulla scia di quanto si fa in molte comunità ebraiche nel mondo e come primo passo, si potrebbero  incrementare anche qui in Italia dei “chughè dovrè ivrìt”, circoli di conversazione in ebraico, con lo scopo di approfondire le capacità dell’uso della lingua ebraica che permetta, da un lato, un maggior contatto con Israele, compresa la lettura di riviste e giornali, e dall’altro, un'acquisizione di quello  strumento indispensabile per accedere ai testi antichi e moderni della nostra cultura.
Una mente in pace non è una mente senza pensieri, ma una mente che ha fatto pace con i pensieri.  (Joseph Goldstein)
Matilde
Passa,

giornalista
matilde passa  
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  "Vita artificiale? E se anche fosse"

DNAVenerdì scorso è stata annunciata su tutti i media, con grande enfasi e clamore, la “creazione di vita artificiale”, con titoli che parlavano di una “nuova era” per la scienza e di scienziati che “giocano a essere Dio”. Ma come stanno veramente le cose e quali sono, se ci sono, le implicazioni etiche e specificamente ebraiche?
Descriviamo prima brevemente il risultato ottenuto da Craig Venter, l’eclettico ricercatore che alcuni anni fa ha completato la decifrazione della sequenza del DNA umano. Il gruppo di Venter ha sintetizzato (o meglio, fatto sintetizzare da ditte specializzate) 1000 frammenti di DNA, ciascuno lungo 1080 nucleotidi (i nucleotidi sono le “lettere” del DNA), con una sequenza corrispondente al DNA del cromosoma di un certo tipo di micoplasma (un piccolissimo batterio, chiamiamolo “tipo A”). I ricercatori hanno poi legato insieme i diversi frammenti sintetici, l’uno dopo l’altro e nel giusto ordine, e per ottenere ciò li hanno introdotti in un altro microrganismo (il lievito di birra). Alla fine, dopo vari inciampi di percorso, hanno inserito il cromosoma batterico così prodotto in un’altra specie di micoplasma (tipo B), da cui prima avevano tolto il DNA originario. Venter e collaboratori hanno potuto dimostrare che il micoplasma B, replicandosi, produce un micoplasma di tipo A, quello cui corrisponde il DNA artificiale. Per accertarsi che il DNA prodotto nel micoplasma di tipo B è quello derivato dal tipo A, sintetico, il gruppo di Venter ha inserito nel DNA artificiale alcune sequenze di “lettere” riconoscibili, che indicano (in codice) un indirizzo e-mail, i nomi dei collaboratori, alcune citazioni famose ecc.
L'impresa tecnologica di Venter è senz’altro notevole, ma non c’è un salto qualitativo rispetto a quanto già noto. In ogni laboratorio di biologia molecolare del mondo si produce DNA sintetico per poi introdurlo in microrganismi e studiarne l’espressione. La novità sta nel fatto che invece di sintetizzare frammenti di DNA lunghi qualche centinaio di nucleotidi, Venter e collaboratori hanno sintetizzato un intero cromosoma lungo un milione di nucleotidi (che poi non è moltissimo, noi umani ne abbiamo più di 3 miliardi). Inoltre, di artificiale (ossia, prodotto in laboratorio da una macchina) c’è solo il DNA di partenza (le istruzioni genetiche, il “software”), ma per assemblarlo e farlo funzionare sono state necessarie cellule naturali (il lievito e il micoplasma, che possiamo definire come “hardware”). Riuscire a ricreare tutto in laboratorio, sia il software che l’hardware, e far sì che siano compatibili l’uno con l’altro, appare ben al di là delle possibilità attuali. Per rendere l’idea, è come quando si tenta di caricare la nuova versione di un programma su un computer vecchio di qualche anno: spesso non funziona, perché la macchina non capisce il linguaggio del nuovo software. L'evoluzione naturale ha impiegato 3.5 miliardi di anni per far funzionare le cellule che vivono oggi sulla terra: magari l'uomo ci metterà un po’ meno, ma certo non è affatto facile.
La ricerca di Venter pone problemi etici, in particolare dal punto di vista ebraico? L’approccio della tradizione ebraica alla ricerca scientifica è sicuramente positivo e fin dall’antichità numerosi rabbini si sono occupati di scienze naturali e di medicina. L’Uomo è considerato un “partner” di Dio nella creazione del mondo, nel senso che egli ha il dovere di collaborare con Dio nella conservazione e nello sviluppo del mondo e della civiltà. La ricerca scientifica e lo sviluppo tecnologico non sono mai visti come qualcosa da contrastare, bensì da incoraggiare, soprattutto quando ciò può produrre dei benefici per l’umanità, per la cura di malattie e in generale per la comprensione delle leggi che governano l’universo e la vita. La Torà afferma che l’Uomo fu posto nel giardino dell’Eden per “lavorarlo e custodirlo” (Genesi 2: 15). Uno dei significati di queste parole è che abbiamo il diritto-dovere di coltivare la terra e di civilizzarla (“lavorarla”); d’altra parte, la Terra va anche preservata (“custodita”) e non condotta alla distruzione. Dire quindi che l’uomo non deve “giocare a essere Dio” è improprio: primo, perché i ricercatori manipolano l’esistente, non creano dal nulla; secondo, perché l’uomo ha il dovere di “darsi da fare”. D’altra parte, non ogni intervento nella natura è permesso. La sperimentazione non può ledere i fondamentali diritti dell’uomo. Un organismo semi-sintetico come quello di Venter non potrebbe certo essere utilizzato sull’uomo, se non secondo le procedure già in atto per i farmaci sperimentali e le terapie innovative. Anzi, maggiori precauzioni e cautele dovrebbero essere prese, date le incognite che ogni nuova ricerca può avere. Inoltre, se sussiste un rischio per l’umanità e per l’ambiente, la ricerca va senz’altro regolamentata. Un uso improprio è in effetti possibile. Ma del resto, questo rischio esiste anche con ricerche che riguardano organismi del tutto naturali (si ricordi il caso di alcuni anni fa quando si temevano attacchi terroristici con il batterio dell’antrace, o carbonchio). Non è quindi una questione ideologica; il punto è invece valutare bene l’eventuale pericolosità, e nel caso regolamentare la ricerca prevenendo la possibilità di una diffusione incontrollata delle cellule “sintetiche” nell’ambiente, sia involontaria che intenzionale. Precauzioni in tal senso sono state effettivamente prese dal gruppo di Venter.

Gianfranco Di Segni
Collegio Rabbinico Italiano, Istituto di Biologia Cellulare - CNR

 
 
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  Pericoli e provvedimenti

Tobia Zevi Non servirebbero molti commenti. Alcuni giorni fa le forze dell’ordine hanno organizzato un blitz nei locali frequentati dagli aderenti al gruppo “Militia”, poche decine di persone che si ispirano esplicitamente al nazismo e all’antisemitismo. Tra le intercettazioni telefoniche connesse all’indagine ce ne sono di veramente agghiaccianti. Il leader del movimento lascia intendere di voler attaccare il presidente della Comunità Ebraica di Roma, Riccardo Pacifici - al quale esprimo solidarietà - già costretto a vivere sotto scorta. Le parole sembrano costituire una minaccia esplicita, e leggere quelle frasi provoca un brivido, poiché se ne coglie la ferocia, l’insensatezza, ma anche la disperazione.
A ben vedere è proprio questo l’aspetto decisivo della questione, insieme tranquillizzante e spaventoso: queste frange di delinquenti sono effettivamente ridotte a una marginalità politica non solo nella destra istituzionale, ma persino, direi, in quella estrema (sebbene non manchino ammiccamenti riprovevoli a tutti i livelli). Nel caso di Militia si ha a che fare con non più di alcune decine di persone. Ma è proprio l’irrilevanza politica che deve renderci accorti: queste persone hanno poco o nulla da perdere, e possono provocare danni anche molto seri.
Infine, per la cronaca, vale la pena notare altri due aspetti: se fosse in vigore il ddl sulle intercettazioni in questi giorni all’esame del Parlamento, quest’inchiesta non sarebbe mai giunta al termine. Il numero di giorni consentito per intercettare, infatti, non sarebbe bastato. Il secondo elemento è che, al momento, tutti gli inquisiti sono a piede libero: sebbene penso che ci si debba generalmente rallegrare in presenza di misure cautelari ridotte, mi pare che in questa occasione lo iato tra il pericolo e il provvedimento sia davvero un po’ troppo dilatato.

Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas



Israele - I motivi di JCall

Ragione, ragionevolezza.  Amos Oz, nelle sue Lezioni all’Università di Tubinga contro il fanatismo di qualche anno fa, elogiava il compromesso e la moderazione, come antidoti contro il fanatismo che è all’opposto unilaterale, estremo, negatore delle opinioni dell’altro. Questo è il motivo ispiratore di un appello – detto JCALL -, fratello di Jstreet, un importante movimento d’opinione e di pressione animato da ebrei americani in sostegno di una soluzione di pace fra Israele e i palestinesi.
L’appello è stato redatto da diversi gruppi ebraici europei, in sintonia con i movimenti che in Israele sostengono l’esigenza di un negoziato con i palestinesi  in vista di una soluzione basata sul principio di “due Stati per due popoli.” In Italia se ne è fatto promotore il Gruppo Martin Buber-Ebrei per la Pace, che da anni propugna queste idee.  L’appello,  presentato  il 3 maggio scorso al Parlamento europeo, è stato sottoscritto  a oggi da  oltre seimila ebrei in Francia, Belgio, Svizzera, Italia, Olanda, Svezia, Gran Bretagna, Germania, ecc. 
Quali i contenuti e i propositi di JCALL? Perché chiedo, a nome dei promotori, agli ebrei italiani di aderirvi e di appoggiare le iniziative concrete che stiamo organizzando?
Intanto non è una petizione come tante altre rivolta a raccogliere banalmente adesioni, rincorrendo firme, illustri o meno, come altri sguaiatamente tendono a fare. Vuole essere, invece, un momento di aggregazione intorno ad alcuni principi fondamentali sulla base dei quali dare corpo a un movimento ebraico europeo che faccia da contrappeso alle istituzioni e organizzazioni ebraiche che appoggiano acriticamente il governo di Israele e che possa così interagire in Europa con gruppi  e movimenti che in Israele e negli Stati Uniti operano con gli stessi intenti. Questo aspetto è stato colto con chiarezza dalla stampa in Israele, come in diversi paesi europei. E’ un qualcosa di nuovo, dal punto di vista organizzativo: per le particolarità dell’Europa, le diversità nazionali, la frammentazione dell’ebraismo europeo, la sua stessa debolezza, non vi era nulla simile prima della fondazione di JCALL, anche se le idee ispiratrici, cioè il sostegno al dialogo di pace fra israeliani e palestinesi al fine di giungere ad un accordo basato sulla formula di “due Stati per due popoli”, con confini riconosciuti, Gerusalemme capitale dei due Stati, e Israele e Palestina in rapporti di buon vicinato in un Medio Oriente pacificato, risalgono a  battaglie condotte da molti anni.
Nella posizione di JCALL è molto esplicito ed importante – io ritengo, dal punto di vista etico-politico – il rivendicare con forza il diritto/dovere di ebrei della Diaspora di criticare i governi  di Israele per la dissennata espansione degli  insediamenti ebraici e la mancanza di una strategia coerente volta a porre fine all’occupazione e a giungere ad una soluzione negoziata di pace, che spartisca quella terra – Eretz Israel o Palestina -  contesa fra due popoli con pari diritti nazionali  e consenta a Israele di sopravvivere in futuro come Stato democratico degli ebrei.

Giorgio Gomel



Davar Acher - Il dito e la luna

ugo volliUn mio pezzetto, pubblicato domenica su queste pagine, è stato severamente stroncato da un'illustre collaboratrice di questo stesso sito. Come autore sono un po' triste, perché credevo di aver usato in abbondanza e esplicitamente la ben nota figura retorica dell'ironia; ma sono stato preso in castagna e rimproverato proprio dove cercavo di essere paradossale. D'altro canto, se un'illustre cattedratica di filosofia del linguaggio non capisce la mia ironia, dev'essere imperfetta l'ironia, non certo cattiva lettrice la cattedratica. Accetto dunque l'umiliazione e prometto da ora in poi di essere serissimo e di non trarre più in inganno i lettori con la mia scrittura irregolare, oltre che "irritantemente vittimistica", "viscerale", "imprudente", "inappropriata" e "senza riflessione", "chiassosa e appariscente"; per dirla in una parola "sconsiderata". Chiedo scusa alla chiarissima professoressa se mi sono dimenticato qualche altro suo gentile complimento. E naturalmente come articolista prometto di non farlo più. Essere irritanti è male. Niente più vittimismo, niente più chiasso e apparenza. Solo severa riflessione, "ogni giorno una piccola cosa per Israele" come i boy scout. Se ci ricasco, se ricomincio a irritare i benpensanti, l'illustre cattedratica farà bene a mettermi dietro la lavagna col berretto dell'asino.
Come ebreo però, mi resta un dubbio. Nel momento in cui Sua Eccellenza il Presidente della Repubblica Islamica dell'Iran (che nomino senza alcuna vittimistica e sguaiata ironia, anzi con la timorosa meraviglia dell'ebreo educato di fronte ai potenti minacciosi), si trova ormai a un passo dalla bomba atomica, senza che nessuno lo fermi, e dichiara la distruzione di Israele (non solo dei miei cugini, lo ammetto) primo obiettivo del suo distinto regime, è più importante cercare di attirare l'attenzione di tutti su questo trascurabile dettaglio, magari con qualche concitazione; o bisogna invece parlarne invece solo un po' e a voce bassa, non troppo di frequente, per carità, e con le buone maniere del caso, in modo da non fare brutta figura con i vicini? Mentre avanzano i boicottaggi (anche in Italia! Alla Coop sotto casa!), le minacce, gli incendi alle sinagoghe, le violazioni dei cimiteri eccetera eccetera, la buona educazione vuole che ce ne stiamo tutti zitti? Facendo  finta di non vedere? Articolando dei pensieri gentili "per spiegare anche a chi non lo sa (o non lo vuol sapere) quanto sia fondamentale per il mondo" Israele, cioè parlando d'altro? Se una guerra, il cielo non voglia, investisse di nuovo Israele, o ci fosse un'azione concertata della comunità internazionale per violare la sua sovranità, mostreremmo un'elegante distacco per far capire ad amici e colleghi che noi non siamo affatto viscerali, siamo gente per bene e non estremisti? Sorrideremmo benevoli mentre bruciano la bandiera col Maghen David? Proclameremmo senza posa il nostro amore all'idea di Israele, o a quell'Israele ideale che non c'è, badando però a non sporcarci le mani con quelle cose così poco filosofiche ed eleganti che sono il governo di Israele, il suo Stato, la sua gente, il suo esercito? Continueremmo a discettare sulla nostra tradizione culturale e sulle nostre speranze messianiche, a celebrare la memoria della Shoà (ma non troppo, meglio non esagerare), a studiare i registri delle antiche comunità e ad affaticarci sul pensiero dei cabbalisti, ma eviteremmo il compito banale di occuparci della guerra di propaganda di oggi che prepara la guerra degli eserciti e dei missili made in Iran?
Secondo quel famoso proverbio cinese, se un dito indica la luna (o la Bomba) è importante guardare la luna (o la Bomba), o piuttosto considerare se il gesto dell'indicare col dito non sia intollerabilmente maleducato secondo le norme del bon ton piccolo borghese?

Ugo Volli
 
 
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La cricca delle coop che boicotta Israele
È uscito da poco un libro che spiace non sia stato ancora tradotto in italiano: si chiama The Israeli Test e l'autore, George Gilder, sofisticato economista che gode di fama internazionale, spiega che il mondo deve a Israele in termini di scienza dell'agricoltura, medicina, software, una prodigiosa, inverosimile quantità di gratitudine. Il mondo sarebbe molto peggiore senza l'aiuto di questo piccolo Paese impegnato nella sua quotidiana lotta di sopravvivenza. C'è chi lo capisce, ed ha così superato  l'Israeli test. Ma molti di più invece, poiché ottusi dall'ideologia, non sono in (...)
(...) grado di superare l'esame: è il caso delle Coop, il consorzio nazionale delle cooperative di consumatori, e della Conad che piamente hanno ieri piegato la fronte sotto le pressioni di un gruppo di Ong e associazioni varie che hanno chiesto loro di boicottare i prodotti israeliani agricoli importati dalla società Agrexco, perché lo 0,4% di questi prodotti, non contrassegnato col marchio dei lebbrosi come nei sogni delle Ong, potrebbe invece provenire dai Territori della Giudea e della Samaria.Questo ha reso agli occhi dei fanatici delle Coop e della Conad indispensabile gettare giù dagli storici scaffali delle Coop tutti quanti i prodotti israeliani. Non ha importanza, come vorremmo che dicesse ad alta voce ai suoi amici delle cooperative rosse Bersani, che per coltivare quella frutta e quella verdure da sessant'anni gli israeliani, tutti gli israeliani, si sono spaccati la schiena senza risparmio, che hanno insegnato a tutto il mondo come irrigare a goccia, dare lezioni su come far fiorire di prodotti indispensabili persino il deserto.[...]

Fiamma Nirenstein, Il Giornale, 25 maggio 2010




Se la Coop bandisce le merci di Israele
[...]L'ennesimo boicottaggio delle arance, dei fiori e delle verdure israeliane è merito della rete equo-solidale e dei cattolici per la pace di Pax Christi. Il fatto assurdo e grave della vicenda è che un colosso della distribuzione, della cultura cooperativa, della sinistra e del solidarismo all'italiana abbracci quest'agenda razzista e intollerante. A pagarla cara saranno i tanti operai palestinesi che hanno più volte espresso il proprio disappunto per il boicottaggio. Vista la storia degli attacchi contro Israele, la natura ferocemente repressiva di altri paesi in medio oriente mai chiamati a rispondere di come e dove producono le loro merci, boicottare i prodotti d'Israele denota una cecità morale per la quale è difficile trovare una spiegazione diversa dall'antisemitismo.[...]

Il Foglio, 25 maggio 2010




Furio Colombo «ipocrita non parlare di boicottaggio»
«Il linguaggio usato dalla Coop e dalla Conad è ipocrita e mi ricorda certe scuse che venivano presentate dalla Germania nazista per giustificare la discriminazione degli ebrei». Al senatore Furio Colombo non è piaciuta la decisione dei due supermercati di togliere dagli scaffali i prodotti con il marchio Agrexco.
Perché parla di ipocrisia?
 
«Loro sostengono che i prodotti vengono rimossi perché manca la tracciabilità sulle etichette. Abbiano il coraggio di parlare apertamente di boicottaggio. Abbiamo mai chiesto alla Cina, per esempio, di dirci quali prodotti vengono dal Tibet o dallo Xinjiang dove vive la minoranza uigura? Quindi devo dedurne che la tracciabilità è solo una scusa, questa è una campagna contro Israele per ragioni che riguardano la politica di Israele».

Il Corriere della Sera, 25 maggio 2010



Coop e Conad bandiscono la frutta made in Israele
[...]Già, la Coop, proprio quelli che si credevano dei Robin ood anche quando volevano possedere una banca, mentre non erano altro che degli Sceriffi di Nottinghamn, travestiti da benefattori del popolo. la Coop che torna sulle scene, insieme alla sua affiliata Conad, quella che con somma arroganza ci dice dagli schermi televisivi che 'la Coop sei tu', questa volta non più in lotta con il grande capitale finanziario per farne per parte ma per boicottare l'economia di Israele, escludendo dai propri scaffali tutti i prodotti alimentari che arrivano da quel paese. Lo fanno per rispondere all'appello internazionale al boicottaggio anti-apartheid, lo chiamano così gli odiatori della democrazia israeliana, visto che quello accademico è clamorosamente fallito nel nostro paese, ci provano ora con pompelmi, datteri, pomodori, frutta fresca, esotica e secca, e ogni altro prodotto che in questi anni si è conquistato il favore dei consumatori grazie alla qualità del marchio made in Israel . Non ci stupiamo che la catena che ha aderito sia la Coop, ci saremmo meravigliati del contrario.[...]

Angelo Pezzana, Libero, 25 maggio 2010

 
 
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notizieflash    
 
 
Vaticano e Israele passi avanti verso l'accordo economico        
Città del Vaticano, 24 mag -
La commissione bilaterale permanente di lavoro tra la Santa Sede e lo Stato di Israele che si è incontrata il 20 maggio scorso tornerà a riunirsi il prossimo 14 giugno e il giorno dopo avrà luogo la sessione plenaria in Vaticano. A darne  notizia un bollettino diffuso dalla sala stampa vaticana. La commissione bilaterale permanente tra i due Stati è impegnata dal 1993 - anno della firma dell' 'Accordo fondamentale', lo strumento con cui i due Stati hanno stabilito relazioni diplomatiche - in un confronto volto a "continuare i negoziati" relativi agli aspetti economico-finanziari di tale Accordo. "I colloqui si sono svolti una atmosfera costruttiva - informa la nota diffusa dalla sala stampa - e hanno segnato un progresso verso l'accordo che si deve raggiungere". 
 
 
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