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    26 maggio 2010 - 13 Sivan 5770  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
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  Adolfo Locci, rabbino capo di Padova Adolfo
Locci,
rabbino capo
di Padova
“E l’accozzaglia che era i mezzo al popolo ebbe dei desideri...e anche i figli d’Israele tornarono a piangere dissero: chi ci porterà da mangiare la carne? Ci ricordiamo del pesce che mangiavamo in Egitto gratuitamente...” (Numeri 11:4-5).
“Non posso più da solo portare (il peso) di questo popolo” (Numeri 11:14).
E’ lecito chiederci il perché, desiderando di mangiare la carne, il popolo si ricorda del pesce che mangiavano gratuitamente. Alcuni commentatori sostengono che ciò rappresenta, allegoricamente, il desiderio di volere tornare a una vita senza l’obbligo impegnativo delle mitzwoth (il pesce non ha molte regole per essere mangiato rispetto alla carne che necessita della shechità, bedikà, adacha, melichà, nikkur, attenzione alla mescolanza col latte e proibizione di essere mangiata in certi periodi). Quando Moshè si accorse che la tendenza del popolo era quella di cedere a quel desiderio, e che questa condizione forniva solo il pretesto per lamentarsi, decise di rassegnare le dimissioni. Il Signore, attraverso la scelta di settanta persone che gli servissero d’aiuto, vuol far capire invece che: 1. Le dimissioni sono respinte, in quanto la responsabilità della situazione non è completamente del capo; 2. Che, a volte, anche una guida come Moshè Rabbenu, a maggior ragione tutte le altre, ha bisogno del sostegno di qualcuno che possa colmare le immancabili lacune che si possono scoprire quando si deve gestire un’intera collettività. Gli aiutanti prescelti, si dovranno occupare di questi spazi vuoti - materiali e spirituali - che il popolo ricerca, con accuratezza minuziosa, per poi ritenere che la lamentela presentata sia giustificata, tanto da essere assunta come “grave motivo” per “revocare” la propria guida.  Non solo, senza delegittimare “il capo”,  dovranno saper collaborare per sradicare questa tendenza al desiderio disgregante, eterno problema, che si manifesta nel momento in cui desideriamo liberarci dai doveri comportamentali, che la Torà ci impone, in quanto “mamlekhet kohanim vegoy kadosh” (Esodo 19:6). 
Se il Congresso ratificherà la nomina di Elena Kagan, la Corte Suprema degli Stati Uniti sarà composta da tre giudici ebrei e sei cattolici. Senza includere alcun protestante ovvero un esponente della fede che segnò la nascita dell'America e che oggi accomuna, nelle sue varie denominazioni, la maggioranza degli abitanti. E' una novità che descrive l'identità dell'America tanto quanto l'elezione di un presidente nero.   Maurizio
Molinari,
giornalista
Maurizio Molinari  
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  Israele - I motivi di "Con Israele, con la Ragione"

Ho letto la lettera di Giorgio Gomel apparsa ieri su questo notiziario e avendo io stilato personalmente l’appello "Con Israele, con la Ragione" firmato da cinquemila persone, ci sono alcuni punti che mi sembra doveroso chiarire al lettore.
Innanzitutto stupisce il tono sferzante di Gomel verso chi non la pensa come lui. Pensando di leggere un’allusione al nostro appello quando parla di firme raccolte “sguaiatamente” mi domando cosa lo possa autorizzare a un pensiero così volgare. Ci sembra inoltre che il suo principale problema, come quello dei promotori di JCall, non sia quello di raggiungere la pace ma piuttosto di come appoggiare i movimenti che attaccano Israele. Ciò è legittimo, ma poiché a noi interessa soprattutto realizzare un percorso di pace e niente affatto sostenere questo o quel governo, non ci resta altro che spiegare una incontrovertibile verità storica, che, sola, può condurre alla soluzione di due stati due popoli.
E’ la verità della necessità di una presa di responsabilità da partre della leadership palestinese e del mondo arabo in generale. E’ dal novembre del 1947, quando l’ONU sancì la spartizione con la Risoluzione 181, che l’atteggiamento arabo è stato quello di un susseguirsi di sanguinosi "no" alla presenza di uno Stato ebraico nell’area mediorientale. Questa scelta, che negli anni si è sempre più dipinta dei colori dell’islamismo e della esaltazione del terrorismo suicida, è letteralmente esplosa in faccia a Isreale ogniqualvolta esso si sia affacciato alle più decise profferte territoriali, dal 48 al dopo guerra del 67, via via fino a Camp David nel 2000 e alle offerte di Annapolis nel 2007, quelle di Olmert. Israele ha dato segno di grande responsabilità nei vari sgomberi, non ha mai rifiutato di trattare il problema territoriale, ha lasciato il Sinai, il Libano, tutte le città palestinesi, Gaza…
E’ impossibile non vedere che ciò che manca non è la volontà di Israele di cedere territorio, ma quella del mondo arabo e palestinese di procedere sulla strada della pace accettando la richiesta di Netanyahu di accogliere l’esistenza di uno Stato del popolo ebraico. Impossibile non accorgersi che l’incitamento antiebraico, con l’esaltazione incessante del terrorismo, è il più grande ostacolo sulla strada della pace e che occorre richiedere ai palestinesi una presa di responsabilità che garantisca almeno in parte la sicurezza di Israele, straziata da tante morti innocenti.
E’ inoltre assurdo gravare Israele anche di responsabilità che non può affrontare, quella dell’intero processo di pace, in un momento di pericolo estremo per la sua stessa esistenza. Tutto questo è spiegato nel nostro appello che invito tutti a leggere e a firmare e che, insieme a quello analogo firmato da più di 10 mila persone promosso in Francia da Shmuel Trigano, sarà presentato il 12 luglio nel corso di un evento pubblico.

Fiamma Nirenstein
Vicepresidente della Commissione Esteri della Camera dei Deputati



Memoria - Esperienze a confronto

MemoriaA dieci anni dal primo Giorno della Memoria, cosa possiamo raccogliere dell’esperienza dei viaggi didattici nei Campi di concentramento? Di cosa è utile fare tesoro e cosa è invece necessario cambiare o ripensare?. E’ intervenuto un pubblico molto numeroso e attento, ieri, alla Casa della Memoria e della Storia a Roma, per l’appuntamento di riflessione e dibattito sui Viaggi della Memoria. L’incontro, moderato da Sira Fatucci, coordinatrice dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane per il Giorno della Memoria, e introdotto dal responsabile della Biblioteca della Casa della Memoria Stefano Gambari, ha visto intervenire l’assessore alla Cultura dell’UCEI Victor Magiar, il direttore del Museo della Shoah di Roma Marcello Pezzetti, Stefania Consenti, giornalista de Il Giorno e autrice del libro “Binario 21” (edizioni Paoline), il presidente della Fondazione Memoria della deportazione - ANED Aldo Pavia, la storica dell’Istituto romano per la storia d’Italia dal fascismo alla Resistenza Annabella Gioia. Durante l’incontro è stato proiettato un video su un viaggio della Memoria.
“Manca una storiografia dei Viaggi della Memoria”, ha detto Stefano Gambari introducendo. “Ma ritengo che l’esperienza sia sostanzialmente positiva. Non è paragonabile la consapevolezza e la conoscenza della Shoah che c’era nel dopoguerra o negli anni ’60, con quella che c’è oggi: segno che tale esperienza formativa, insieme al resto della didattica, funziona”.
“Spero che questo incontro sia solo il primo di una serie”, ha detto Sira Fatucci, introducendo l’intervento di Stefania Consenti. “E’ molto importante continuare la riflessione sui Viaggi, per capire quali obbiettivi sono stati raggiunti, e quali sono da raggiungere, e quel è la strada che dobbiamo intraprendere, pensando soprattutto ad un futuro privo di testimoni diretti”.
La Consenti ha concentrato il suo intervento sulla sua esperienza di “viaggiatrice della Memoria”, in veste di giornalista, estendendo la riflessione agli aspetti profondi ed emotivi, che coinvolgono le persone, cambiando radicalmente la loro sensibilità sul tema. “Attraverso l’esperienza di migliaia di giovani e professori, la memoria diventa una cosa viva, non relegata nel passato, ai libri di Storia”. La Consenti ha anche lanciato una proposta: “Perché non istituire un Osservatorio sui Viaggi?”.
Annabella Gioia ha incentrato il suo intervento sull’importanza dei Viaggi in quanto esperienza formativa invece che celebrativa. “Si è detto che gli studenti, quando tornano, sono diventati ‘testimoni’ - ha detto Gioia - Non sono d’accordo. Testimone è chi ha vissuto quella realtà. Nel nostro lavoro su queste tematiche dobbiamo guardarci da imprecisioni e giudizi o opinioni sommarie”.
Appassionato l’intervento di Marcello Pezzetti, che ha ripreso le opinioni di Annabella Gioia. “Non è vero che chi va ad Auschwitz è un testimone; e dobbiamo guardarci dai processi di identificazione, che non sono sani né utili. E’ importante non trasmettere inesattezza storiche ai ragazzi. Un giovane una volta ha detto: non sono un testimone, sono un ‘trasmettitore della Memoria’. Mi sembra una bella definizione”.
Aldo Pavia ha ripreso la tematica della dicotomia storia/esperienza emotiva. “Si può insegnare la Shoah? La visita nei campi dà stimoli emotivi. Ma la Storia, forse, è altro”.
Ha concluso il ciclo di interventi Victor Magiar, che ha parlato della propria esperienza dei Viaggi in modo molto coinvolgente. Nel suo giudizio positivo complessivo sull’esperienza formativa, Magiar ha poi ribadito il leit-motiv dell’incontro: “meglio una borsa di studio in più e una celebrazione in meno”.
Al termine dell’incontro sono intervenuti due ragazzi del Liceo Aristofane, che hanno partecipato a diversi progetti educativi sulla Memoria, oltre che a uno dei Viaggi.
La studentessa ha parlato dell’estrema importanza che ha avuto per lei il viaggio: “All’inizio ero anche infastidita dalle celebrazioni del 27 gennaio. Dopo il viaggio, ho cambiato completamente opinione”.
Molto interessante l’intervento dell’altro giovane: “Nonostante sia stato detto dai relatori che chi è andato non è un vero testimone, dirò una cosa fuori dal coro: io, dopo aver visto i campi di sterminio, mi sento un testimone”.

Marco Di Porto


Menachem Klein: “Credere nel compromesso”

Menachem KleinParlare con uno dei principali protagonisti del travagliato processo di pace israelo-palestinese non è occasione di tutti i giorni. Menachem Klein, professore di Scienze Politiche all’Università Bar Ilan e tra i firmatari degli accordi di Ginevra del 2003, lavora a stretto contatto con i leader mediorientali da molti anni. A Firenze come lettore del prestigioso European University Institute, è stato invitato dalla Comunità ebraica a tracciare una panoramica sugli ultimi sviluppi e sulle prospettive future nei rapporti diplomatici tra governo israeliano e palestinese.
Il suo bilancio sulla situazione attuale è molto negativo. “Sono passati 43 anni dalla Guerra dei sei giorni, 17 anni dagli accordi di Oslo, 10 anni dal summit di Camp David e sette dagli accordi di Ginevra. Ma non è ancora tempo di pace, ogni tentativo fatto per arrivare ad una soluzione positiva della controversa è fallito”. La colpa, secondo il professor Klein, è nella grave miopia e nello scarso potere coercitivo esercitato da entrambi gli schieramenti politici. “Manca una leadership forte”, ripete più volte nel corso della serata. Leadership debole che “non è in grado di contrastare in modo adeguato la radicalizzazione religiosa dei coloni e dei supporter di Hamas” e che “rischia di causare danni sempre maggiori”. Klein si sofferma sulla questione degli insediamenti dei coloni nella West Bank. “Da quando Israele ha firmato gli accordi di Oslo, il numero dei coloni è raddoppiato. È un grosso problema, anche perché è stato causato intenzionalmente”. "Gli insediamenti sono un progetto di rilevanza pubblica e non privata": ruota intorno a questo concetto gran parte del suo intervento, in cui insiste molto sul fatto che i vari partiti succedutisi al governo da Rabin in poi abbiano sempre avallato le iniziative dei coloni. “Anche quello di Ehud Olmert, che prometteva accordi generosi alla controparte palestinese e allo stesso tempo favoriva l’espansione degli insediamenti”. Per Klein c’è una sola possibilità per la fine delle ostilità: “Dobbiamo raggiungere un compromesso”. La gente è stanca, dice. “Non credo che gli israeliani possano ancora resistere a lungo combattendo per la propria sopravvivenza ogni giorno”. Utilizza una metafora per descrivere il problema: “Le colonie e tutte le altre questioni in sospeso sono un continuo e fastidioso mal di testa”. Israele ha tante motivazioni per l’atteggiamento (“talvolta aggressivo”) tenuto finora nei confronti dei palestinesi, spiega il professore. Ma resta un fatto, insiste, “ed è che lo stile di vita adottato dalla sua popolazione non è normale”. Il problema si dilata anche oltre i confini nazionali e diventa un nodo da sciogliere anche a livello internazionale. “I politici israeliani sono molto preoccupati di perdere il supporto del mondo liberal occidentale”, rivela Klein. Non solo estrema sinistra e estrema destra come antagonisti dello Stato ebraico: il partito dell’astio contro Israele guadagna crescenti consensi al centro. “È un trend che deve far riflettere i nostri governanti”. Ma nelle sue parole c’è spazio anche per un timido ottimismo. Una convinzione si è fatta largo negli anni: “Se nel passato ci siamo seduti ad un tavolo di pace, questo significa che un accordo è tecnicamente possibile”. Ripartire da Ginevra 2003, dunque. Trattative che non hanno portato alla pace ma che hanno messo a punto una tecnica negoziale valida e da riproporre in futuro: “Composizione dei team incaricati di negoziare, modalità di conduzione delle trattative, scelta delle tematiche da affrontare, individuazione degli eventuali punti di incontro e firme sui documenti apposte dalle due parti senza essere delegate a terzi”. Le premesse per sviluppi positivi ci sono, ribadisce. “Passare dalla teoria alla pratica dipende solo da noi”. Una mano la possono dare i numerosi intellettuali e uomini di cultura che Israele può mettere in campo.

Adam Smulevich

 
 
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  Tracciabilità e boicottaggi

"Territori Occupati", riferita ad Israele, è da tempo espressione obsoleta e direi altamente nostalgica. Infatti, anche a sottoscrivere il concetto, in realtà assai opinabile, ormai da anni si tratta di ben poca cosa visto che esistono i Territori dell'Autorità palestinese concessi a suo tempo da Israele.
Nel caso si potrebbe parlare di "territorio occupato" pensando alla dittatura integralista dei terroristi di Hamas! Comunque, dinanzi a questa realtà il boicottaggio del quale si legge in questi giorni, ad opera di realtà appartenenti a Conad e Coop (rivolto appunto ai prodotti venduti da Israele e originari dei "territori") appare ancor di più anacronistico e destinato, pur stanti i distinguo espressi in particolare da Coop, a portare solamente acqua al mulino della stantia tradizione estremista, in questo caso spesso di sinistra, antisraeliana "a prescindere".
Allergico, da buon liberale, ai boicottaggi economici che sanno di ipocrisia quando si vuole operare nel mercato, potrei invece apprezzare quanto dichiarato da Coop, ovvero che la decisione ostracista riguarderebbe solo quei prodotti (pare si parli dello 0,4 per cento dell'import da Israele!), originari dei "Territori", per carenza di tracciabilità, ovviamente sempre che ciò sia corretto: ovvero il cliente non capirebbe esattamente quale provenienza abbia il prodotto e non potrebbe quindi determinare pienamente e liberamente la propria scelta.
Dicevo che potrei capire se tale rigoroso metodo venisse applicato a tutto campo: quindi vorrei sapere se dell'uvetta turca proveniente magari dai territori curdi, se qualche prodotto spagnolo origina forse da quelli baschi o se, tanto per citare un altro esempio, del "made in China" o "PRC" che dir si voglia è invece di fonte tibetana.
Da ultimo ma certo non da meno, vorrei anche sapere se qualche prodotto importato, con lodevole intento benefico, dai Territori dell'Autorità palestinese sia "made in Gaza" e quindi contribuisca ad arricchire i terroristi di Hamas.
Insomma, "tracciabilità totale" per tutti e non solo per i soliti.

Gadi Polacco


La barba di Herzl

Francesco LucreziAlquanto in sordina, nel nostro Paese, è passato il centocinquantesimo anniversario (2 maggio) della nascita di Theodor Herzl. Eppure, se c’è un uomo di cui si possa dire, senza tema di smentita, che abbia “fatto la storia” (smentendo la pessimistica considerazione di Braudel, secondo cui l’uomo si illuderebbe di poter “fare la storia”, in quanto sarebbe sempre, al contrario, la storia a “fare gli uomini”), questi è sicuramente lui. E, l’ha fatta, diversamente da tutti i grandi condottieri e regnanti, di tutti i tempi (i vari Cesari e Napoleoni, per non dire Hitler, Stalin ecc.), con la sola forza della fede, del pensiero e della parola, senza mai ordinare che si compisse un solo atto di forza o che si versasse una sola stilla di sangue.
Come illustrato in un articolo di David Tarkover, apparso in un inserto speciale di Haaretz, pubblicato il 30 aprile, in occasione dell’anniversario, il padre del sionismo divenne una leggenda vivente già nel corso delle sua breve vita, diventando oggetto di uno straordinario culto della personalità, e la sua immagine fu riprodotta infinite volte, sugli oggetti più disparati (quadri, arazzi, tazze, tappeti, pacchetti di sigari, orologi, medaglie ecc.), come simbolo del nuovo ideale che infiammava gli animi degli ebrei di Europa, da Londra a Parigi, da Varsavia a Odessa a San Pietroburgo. Spesso tali ritratti non erano di altissima qualità, ma la loro esecuzione era facilitata dal fluente barbone di Herzl, la cui riproduzione non lasciava margini di dubbio sull’identità del personaggio effigiato, cosicché sovente gli artisti procedevano, semplicemente, col tratteggiare una grande barba nera, limitandosi a pochi lineamenti approssimativi per il resto del volto. Il ritratto di Herzl, così, divenne la più diffusa e riconoscibile icona del sionismo, la prima vera “bandiera di Israele”, mezzo secolo prima che Israele nascesse. Tanto che, nel 1900, in occasione di un ricevimento offerto a Londra da Sir Moses Montefiore, in occasione del quarto Congresso Sionista, un ufficiale inglese ebbe a dire: “La pubblicità del sionismo dipende completamente dalla bellezza del suo presidente. Se Herzl si tagliasse la barba, il sionismo finirebbe”.
Un’esagerazione, probabilmente. Ma è senz’altro vero che Herzl, oltre ad avere creato il sionismo e ad avere permesso - quarantaquattro anni dopo la sua morte - la nascita dello Stato di Israele, è stato fra i primi ad avere mostrato, nella storia moderna, non solo la forza della personalità, ma anche dell’immagine, al servizio di un’idea. Un’idea che (a differenza di tutte le altre che hanno animato il Novecento, spesso rivelatesi tragiche illusioni) conserva ancora intatto il suo fascino, la sua forza, la sua razionalità. Ringraziamo, a centocinquant’anni dalla sua nascita, il suo creatore. E anche, perché no, la sua barba.

Francesco Lucrezi, storico
 
 
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I boicottaggi? Hanno fatto grande Israele
Col boicottaggio Israele è abituato a convivere sin da prima della creazione dello Stato quando ancora al tempo del Mandato britannico, le merci degli ebrei di Palestina erano boicottate dalla Lega araba, fondata nel 1944. [...] Per quanto irritanti, queste forme di boicottaggio non solo non hanno avuto effetto ma hanno prodotto quello contrario, stimolando l'iniziativa di un piccolo paese che per motivi strategici ha fondato la sua politica sul principio della qualità contro quantità. [...]
R.A. Segre, il Giornale, 26 maggio 2010

“Stop ai prodotti dei coloni” il Pd filo-Israele attacca le coop
Il Partito democratico si schiera contro le cooperative rosse e definisce “inaccettabile” il boicottaggio dei prodotti israeliani da parte di Coop e Conad. Una condanna che insieme a quella del Pdl colpisce la scelta delle due grandi catene le quali per la verità negano di aver tolto dagli scaffali dei loro supermercati i prodotti di Agrexco, la società d'export controllata dal governo israeliano contro la quale è in corso una campagna mondiale per la mancanza di tracciabilità dei prodotti coltivati nei territori occupati. In una lettera aperta alle due cooperative i filoisraeliani del Pd guidati da Emanuele Fiano direttore nazionale di Sinistra per Israele si dicono «molto colpiti della notizia», perché un boicottaggio non fa altro che dare luogo a «strumentalizzazioni». […]
Alberto D'Argenio, la Repubblica, 26 maggio 2010 

 
 
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Roma: intitolata una strada a Giuseppe Tucci                                
“Scelta inopportuna e non sufficientemente meditata”
Roma, 26 mag -
Ai margini della presentazione del libro “Binario21”, il presidente del Museo della Shoah di Roma Leone Paserman e Victor Magiar, assessore alla Cultura e alla Memoria dell’UCEI, hanno dichiarato “inopportuna e non sufficientemente meditata la decisione di intitolare una strada a Giuseppe Tucci” auspicando quindi “un ripensamento da parte del Comune di Roma fino a che non verrà comprovata da prove scientifiche la dissociazione di Tucci dal regime fascista e dalle cosiddette Leggi Razziali”. Paserman e Magiar hanno voluto sottolineare che Tucci, nato nel 1894, ha speso la sua vita da adulto e da studioso dentro il regime fascista, e che nel 1938 (anno della promulgazione delle Leggi Razziali) accettò di far parte di una Commissione di studio sui problemi della razza istituita dall'Accademia d'Italia (di cui era membro). La storica Annalisa Capristo ha ricostruito la vicenda, dimostrando che altri membri dell'Accademia, interpellati, rifiutarono di farne parte.


Assisi: incontro interreligioso per la pace                                        
rav Elia Richetti fra i partecipanti
Città del Vaticano, 25 mag -
Anche il rabbino capo di Venezia e presidente dell'Assemblea rabbinica italiana rav Elia Richetti parteciperà alla prima giornata de "Le Piazze di Maggio: vie di pace", evento che si aprirà con un incontro interreligioso a cui parteciperanno, oltre al rav, il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso Elzir Izzedin, presidente dell'Ucoii (Unione delle Comunità e organizzazioni islamiche d'Italia) e Fra Paolo Fantaccini, ministro provinciale dei Frati minori di Toscana.


Per il romanzo “La Sposa Gentile”
A Lia Levi il Premio Alghero Donna 2010

L’8 maggio al Teatro Civico di Alghero è stato consegnato alla scrittrice Lia Levi il Premio Alghero Donna 2010 (narrativa) per il suo romanzo “La Sposa Gentile” edita da E/O. Per il settore poesia il premio è andato a Gabriella Sica “Le lacrime delle cose” (ed. Moretti & Vitali) e per il giornalismo a Paola Saluzzi, conduttrice di Sky Tg 24. 

 
 
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