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L'Unione informa
 
    27 maggio 2010 - 14 Sivan 5770  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
alef/tav    
  rav arbib Alfonso
Arbib,

rabbino capo
di Milano
L'accensione dei lumi della Menorà di cui si parla all'inizio della parashà di Beha'alotekhà è considerata da alcuni commentatori una metafora dell'educazione. La Menorà deve essere accesa in modo che la fiamma possa poi ardere autonomamente. Alcuni spiegano che il fine dell'educazione deve essere l'autonomia di chi viene educato mentre l'educatore deve limitarsi a fornirgli gli strumenti culturali. Mentre la prima parte di questa affermazione è sicuramente corretta, la seconda è perlomeno discutibile. Le norme per l'accensione della Menorà prevedono infatti che chi la accende debba salire su un gradino per poter guardare bene ciò che sta accadendo e continuare ad alimentare la fiamma finché non sia sicuro dell'accensione del lume. Se manteniamo la metafora educativa questo vuol dire che per poter educare bisogna conoscere bene chi viene educato e impegnarsi a fondo per accendere la fiamma. L'obiettivo è sicuramente costruire una personalità autonoma e non una clone dell'educatore ma per poterlo fare serve un grande impegno, molta fatica e un progetto educativo chiaro.  
Fino all'età di 62 anni mi sono rifiutato di visitare la Germania. Ho fatto di tutto per evitare di acquistare prodotti tedeschi. Posso ben dire, nel mio piccolo, di avere boicottato la Germania. Poi mi sono convinto che le condizioni storiche e culturali che giustificavano quelle scelte, anche per l'avvicendamento delle generazioni, erano cambiate. Ho visitato Berlino e non ho problemi a guidare un'autovettura prodotta in un altro paese su una piattaforma concepita in Germania. Il boicottaggio di un prodotto è un fatto legittimo quando riflette la scelta personale di un consumatore. Lo è meno quando segue la scelta politica delle organizzazioni di distribuzione, anche se velata attraverso fumosi comunicati stampa. Il boicottaggio oggi va anche capito per quello che è realmente: se un particolare frutto di pompelmo è stato colto in Cisgiordania, il seme è stato elaborato nei laboratori della facoltà di Agricoltura a Rehovot, ben al di qua della linea verde, il lavoro di sterro lo ha fatto un operaio palestinese, l'autocarro per il trasporto dei frutti magari lo ha prodotto l'IVECO, e la benzina è stata acquistata in Egitto. Ciò che è stato realmente boicottato è un certo albero, e tutti coloro che vi hanno lavorato attorno. Rammentiamo ai boicottatori che nel 2008 Israele ha esportato in Italia per 1.669 milioni di dollari, ma ha importato per 2.554 milioni, con un eccedente a favore dell'Italia di 885 milioni. Per avere i mezzi per comperare bisogna anche poter vendere.
Sergio
Della Pergola,

Università Ebraica di Gerusalemme
sergio della pergola  
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Invece di firmare appelli, studiamoci l’ebraico


davar1Ancora una volta si è ripresentata la scena di sempre. Qualcuno lancia un testo da firmare, altri lanciano contrappelli. Poi parte una discussione infinita. Ci sono buone ragioni che stanno in tutti i testi, sia quello promosso da Alain Finkielkraut e più noto come JCall, sia quello promosso da Pierre André Taguieff e Shmuel Trigano, nonché la versione italiana di quest’ultimo proposto da Fiamma Nirenstein, Giuliano Ferrara, Paolo Mieli. Il rischio della scomparsa di Israele, della minaccia nucleare che lo sovrasta, è reale. Il rischio di una classe politica inadeguata, quello di una situazione bloccata, sono altrettanto reali, E’ anche reale il fatto che la Diaspora deve assumere la propria responsabilità. Dunque perché non firmo? Perché il compito della Diaspora non è quello di darevoti a qualcuno, bensì quello di misurare con gravità le proprie lacune e carenze e di comprendere come “dare una mano” per essere consapevolmente e responsabilmente nella storia. Il rischio della scomparsa di Israele rende manifesto un fatto: ciò che è messo in dubbio è la capacità degli ebrei della Diaspora di produrre cultura ebraica e lo è perché oggi Israele è non solo la realtà che produce cultura ebraica, ma che la produce attraverso uno strumento che è universalistico, ovvero una lingua ebraica viva. Pensare di essere dei soggetti attivi e non solo dei supporter significa far parte del club di coloro che la usano e con quello strumento, creano qualcosa. O almeno, più modestamente, ci provano. Prima di dire di quale parte politica si è supporter, occorre dare una risposta a questa questione. Non si è più a fianco di Israele se si fa il tifo per Netanyahu, per Tzipi Livni o per l’area della pace. Gli uomini e le donne passano. Ma la macchina culturale non può decomporsi. La Diaspora non esce d’obbligo se dice con chi sta, bensì se diventa parte attiva, anche parziale, di un processo di produzione culturale. Questo aspetto è tanto più vero se si considera un fatto, apparentemente paradossale: senza Israele l’ebraismo religioso forse può sopravvivere, quello laico no. Per questa ragione è fondamentale che una parte consistente del mondo ebraico acquisisca uno strumento per studiare, riflettere, sapere. Uno strumento che non serva “per fare qualcosa”, ma per raggiungere la consapevolezza e crearsi un’opinione sulle proprie decisioni intorno all’identità. Prima ancora di essere uno strumento per un sapere libresco, la conoscenza dell’ebraico è una chance per riflettere sulla propria identità e per decidere chi si sia: in autonomia, responsabilmente, con cognizione di causa. Ciò detto entriamo nella questione. La storia ebraica è una storia di centri produttivi che nel tempo ed in luoghi diversi hanno disegnato la fisionomia di ciò che oggi chiamiamo la “cultura ebraica”. In ogni fase storica c’è stato un centro che ha ereditato il patrimonio culturale (o almeno una parte) o lo ha “riscritto”, incrementato e sviluppato. Un centro pensato per molte realtà diffuse per una rete che non era solo unidirezionale, dal centro verso le lontane periferie.
 In forma disomogenea, squilibrata, incerta anche le periferie contribuivano a pensare e a produrre sapere che quel centro riadattava, metabolizzava, accoglieva o marginalizzava. La storia ebraica, intesa come storia della produzione culturale, è l’atlante storico dei luoghi che nel tempo hanno prodotto in forma discreta - con salti, vuoti, differenze - ciò che con molta approssimazione noi chiamiamo “cultura ebraica”. Nella dispersione quei luoghi sono stati collocati in più punti e in tempi diversi. Un rapido elenco ne include vari: Babilonia, Alessandria d’Egitto, Cordova, Alsazia, Italia, Polonia, Stati Uniti, Israele. In mezzo ci sono molti luoghi che rappresentano nodi problematici in cui si sono consumate vicende singolari che hanno lacerato e riscritto le identità di un tempo: Amsterdam, Berlino, Istanbul, Chicago, Livorno, Padova. Accanto c’è tutta la questione dei marrani, una vicenda che è culturale e non solo l’indagine sull’albero genealogico. Ogni volta il centro successivo era in grado di ereditare la funzione di nucleo produttivo perché la lentezza del processo di distruzione e di dispersione consentiva passaggi di saperi, di testi, di gruppi umani. In breve la continuità era consentita e garantita da un sistema di rete. Dunque, una diaspora che si ponga il problema di come scongiurare la minaccia all’esistenza deve avere anche consapevolezza di partecipare a una produzione culturale. Per questo non si tratta di “fare il tifo” per qualcuno, ma cercare di dotarsi degli strumenti per essere una voce in qualcosa. Questo significa impegnarsi sul piano della produzione culturale, investendo risorse ed energie anche sul piano della conservazione dei beni culturali (che significa digitalizzazione, riproduzione). Il futuro ebraico esisterà solo se ci saranno uomini e donne in grado di produrlo e di leggere e capire ciò che rimarrà, ma anche se da qualche parte si crea un deposito di testi, documenti, di beni culturali che non “andranno in fumo”. Beni leggibili da una collettività pluralista, interculturale e non solo multiculturale. Riflettere sulla condizione ebraica di domani, agire per garantire la continuità non è solo conseguente a una scelta di schieramento politico. Non sostengo, né ritengo, che la dimensione politica sia inessenziale. Ma la concentrazione di tutte le energie solo su quella scelta ha significato, soprattutto per le Diaspore, non riflettere né impegnarsi su altri campi, non meno essenziali. Questi non sono solo altrettanto rilevanti, ma decisivi, se il tema che ci riguarda e ci coinvolge è quello relativo al futuro culturale e a una possibile condizione di produttori e non solo di consumatori.

David Bidussa, storico sociale delle idee, Pagine Ebraiche, giugno 2010



Qui Firenze - Nuovi elementi sul coraggio di Bartali
 

bartaliNel decennale della sua morte, gli organizzatori del Giro di Italia 2010 gli hanno dedicato la tappa paesaggisticamente più bella della competizione in rosa: da Carrara a Montalcino, passando per le strade bianche, polverosi sterrati che fanno pensare ad un ciclismo di altri tempi. Come sfondo di lusso, negli ultimi 40 chilometri del percorso, file di maestosi cipressi che, con la loro solennità ed eleganza, rendevano omaggio anch’essi ad uno dei più grandi campioni mai visti sui pedali: Gino Bartali, l’uomo che con la sua vittoria al Tour de France del 1948 salvò l’Italia dalla guerra civile, oppure Gino Bartali, l’eroe silenzioso che decise di opporsi al regime nazifascista mettendosi dalla parte dei perseguitati e tenendosi quella storia tutta per sé (o quasi) fino alla morte. 
Gli alberi dello Yad Vashem sono meno caratteristici di quelli della campagna toscana. Ma i loro rami e le loro foglie rendono il giusto onore a chi scelse il Bene quando abbracciare il Male era decisamente più facile. Tanti i nomi di salvatori italiani nel giardino dei Giusti: a breve un albero potrebbe essere dedicato anche al fuoriclasse di Ponte a Ema. Già, perché Giulia Donati, 88enne ebrea fiorentina residente a Tel Aviv dal 1974, nei giorni scorsi ha aperto il rubinetto dei ricordi e ha fatto il suo nome tra coloro che si prodigarono per strapparla alle grinfie dei persecutori. Ulteriore conferma di quello che molti già sapevano: Bartali era una staffetta della rete clandestina della Delasem e nascondeva nella bicicletta documenti di ebrei da falsificare o già falsificati, preziosi lasciapassare per la speranza di un futuro migliore. Uno di questi documenti era per Giulia, che nel 1943 si era rifugiata insieme ai familiari in una casa nei pressi di Lido di Camaiore.
La notizia che è arrivata una testimonianza per Bartali si è rapidamente diffusa a Firenze e dintorni. Se ne parla al bar, nelle case, nelle stanze della Comunità Ebraica e verosimilmente se ne parla anche ai piani alti della politica: Matteo Renzi, giovane sindaco del capoluogo toscano, non ha mai fatto mistero della sua ammirazione per Ginettaccio e ne ha più volte ricordato i meriti extrasportivi di ciclista per la Giustizia e per la Libertà (l’ultima volta in occasione della cerimonia ufficiale che ha consegnato agli ebrei e alla cittadinanza una sinagoga finalmente restaurata e illuminata). È pertanto probabile che nelle prossime ore arrivi un suo commento a mezzo stampa. Nel frattempo Andrea Bartali, figlio del grande Gino, esterna al telefono la sua felicità: “Mi sembra che l’iniziativa partita negli scorsi mesi per piantare un albero in onore di mio padre abbia avuto un impulso molto forte da quando Pagine Ebraiche ne ha parlato in aprile. La prima testimonianza, infatti, è arrivata proprio grazie al vostro giornale. Speriamo che ne arrivino presto anche altre”.
Divulgata in anteprima da Unione Informa, la newsletter quotidiana UCEI (Unione Comunità Ebraiche Italiane), la notizia che la signora Donati ha fatto il nome di Ginettaccio è stata lanciata dall’agenzia di stampa Ansa nel pomeriggio di domenica e ripresa da alcune tra le più importanti testate locali. Il possibile conferimento dello status di Giusto tra le Nazioni a Bartali ha avuto ampio risalto sulle pagine di Nazione, Repubblica Firenze e Corriere Fiorentino (con lancio in prima pagina). Per poi oltrepassare i confini cittadini e ottenere visibilità su tutto il territorio italiano. Sia Corriere dello Sport che City, quotidiano leader nella free press, hanno riportato il lancio Ansa. E il tam tam mediatico che ne è nato è stato tale da raggiungere anche il piccolo schermo: Studio Aperto, il telegiornale di Italia 1 seguito ogni giorno da svariati milioni di telespettatori, ha dedicato un lungo servizio agli ultimi sviluppi che vedono lo storico rivale di Fausto Coppi ogni giorno più vicino ad ottenere il massimo riconoscimento dello Stato di Israele. Intanto, mentre la notizia passa di bocca in bocca, alcune voci fanno pensare che a breve ci saranno ulteriori novità positive. A presto con gli aggiornamenti.

Adam Smulevich




Qui Milano -  Insegnanti e genitori a confronto

davar2L’eco della campagna elettorale per le elezioni della Comunità ebraica di Milano, dove i problemi della scuola hanno tenuto banco come questione fondamentale, non si è ancora spento, e si torna a parlare dell’argomento. Il tema è molto sentito perché la percezione diffusa è che il futuro della Comunità non possa prescindere da quello dei suoi ragazzi, che passa necessariamente dalla scuola ebraica. O meglio, nel caso milanese, dalle scuole, tre, quella della Comunità, la scuola chabad del Merkos e la Yosef Tehillot, fondata ormai più di dieci anni fa dalla kehillah libanese.
La signora Miriam Hason ha organizzato l’incontro “L’importanza delle relazioni tra studenti, docenti e genitori” per trattare un punto fondamentale per il buon funzionamento di qualsiasi scuola, ma prima ancora di qualsiasi missione educativa. “Un tema che penso debba stare particolarmente a cuore a questa Comunità e a tutti i genitori, perché sia possibile aiutare i nostri figli a sviluppare i loro talenti nel modo migliore” ha spiegato la signora Hason introducendo la serata e i relatori. Così la direttrice della Scuola Merkos Rivka Hazan, il direttore della Yosef Tehillot Davide Cohenca e rav Roberto Colombo, preside delle medie della Scuola della Comunità hanno parlato della loro visione educativa, insieme a Maddalena Rossi, responsabile del servizio tutor e orientamento del liceo classico Cesare Beccaria.
“I bambini sono come i lumi della menorah – così Rivka Hazan ha illustrato il filo conduttore del suo lavoro da insegnante - Noi dobbiamo impegnarci per accenderli, con amore ed entusiasmo, ma anche prepararli, perché arriverà il momento in cui dovranno essere capaci di ardere da soli”.
Sulla collaborazione fra insegnanti e genitori si è concentrato Davide Cohenca, che ha spiegato quanto sia essenziale che famiglie e scuola lavorino in armonia per trasmettere un’educazione forte e serena. “È indispensabile conoscere i propri figli e i propri alunni, perché infondere sapienza è importante, ma non sufficiente, se si desidera che i bambini ricevano una formazione completa”.
Così è emersa come fondamentale la capacità di ascoltare ciò che i ragazzi hanno da dire, sottolineata anche da Maddalena Rossi “Grazie al mio lavoro parlo con centinaia di giovani ogni anno – ha raccontato – Non è affatto vero che gli studenti di oggi siano apatici o peggiori di quelli del passato, però sentono di essere bloccati da qualcosa. Per superare questo problema genitori e insegnanti devono sapersi sintonizzare sulla loro stessa lunghezza d’onda”.
L’intervento di rav Colombo ha invece messo in campo un ordine diverso di problemi, oltre a raccontare la sua esperienza di insegnante ed educatore. Problemi particolarmente attuali nella vita comunitaria milanese, la qualità dell’insegnamento delle materie ebraiche nella scuola della Comunità e il rapporto con gli altri due istituti.
“Molti guardano con nostalgia al passato della nostra scuola, quando non c’erano insegnanti specializzati per le materie ebraiche e a Purim si interrompevano le lezioni giusto il tempo di leggere velocemente la Meghillat Esther, ma io rivendico i progressi che abbiamo fatto negli ultimi anni, perché siamo cresciuti tanto e oggi diamo una preparazione ebraica di qualità – ha tenuto a precisare rav Colombo. “Personalmente poi ritengo una sconfitta la non collaborazione tra le nostre tre scuole, la mancanza di occasioni di incontro e confronto tra noi insegnanti, ma soprattutto tra i nostri ragazzi, perché la frantumazione è il rischio peggiore che una comunità ebraica possa correre”.
Il pubblico ha dimostrato di avere questo problema particolarmente a cuore, e sono stati molti ad auspicare un confronto sul tema tra le tre scuole, che nella serata di ieri non c’è stato, in una apposita occasione nel prossimo futuro.

Rossella Tercatin 
 
 
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  Donazioni samaritane

rav di segni C'è uno strano destino nei nomi. L'altro giorno è stata diffusa la notizia che il Consiglio Superiore di Sanità, accettando un parere del Comitato Nazionale per la Bioetica, ha dato parere favorevole alle "donazioni samaritane". Intendento con questa definizione le donazioni di un rene fatte da viventi a favore di destinatari sconosciuti, come puro gesto di solidarietà umana. Fino ad ora erano consentite le donazioni a favore di un destinatorio conosciuto e biologicamente affine come un parente. La stranezza, che deriva dal vocabolario anglosassone, è la definizione "samaritana". La fonte è una nota parabola evangelica sulla vittima di un'aggressione che chiede aiuto ai  passanti; prima un Kohen, poi un Lewi rifiutano l'aiuto; finalmente arriva un Samaritano che si prende cura amorevole del ferito. I Samaritani (Kutim) erano una popolazione con una religione affine a quella biblica ebraica, che si trovavano in continuo conflitto con gli ebrei. La parabola serve a sottolineare come la solidarietà umana non deve conoscere barriere etniche. Ma la sua formulazione, o l'uso che ne è stato fatto nella predicazione successiva, contiene un nucleo antigiudaico, perché dopo aver dimostrato che nè Kohen né Lewì sono solidali, invece di considerare il terzo gruppo ebraico possibile, cioè l'Israel, si passa al "nemico" cioè al Samaritano, che dà agli ebrei una lezione di stile. Finchè si tratta di una polemica interna tra ebrei, passi. Ma il narrato si presta alla dimostrazione che gli ebrei non sono capaci di gesti solidali. Di qui il paradosso: nel linguaggio comune, specialmente anglosassone, samaritano è sinonimo di generosità disinteressata, ma dietro alla parola c'è il retropensiero che loro sì, ma voi no.

Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma


Stefano
 
tizio della seraIl 9 ottobre 1982 credo di aver sentito l’esplosione che si ripercuoteva sotto i tetti di Trastevere.  Di quei tempi, era normale un’esplosione. Le persone continuavano a guardarsi, sospese come in una cartolina con la scritta: “Roma, attentato”. Abituarsi faceva sopravvivere in un universo completamente illegale. Uno camminava a via della Scala, sentiva gridare ed era uno scippo; faceva una passeggiata in centro, un boato, ed era saltata in aria una sede del Movimento Sociale. Nella tarda mattinata, qualcuno sotto le finestre disse concitato che c’era stata “una bomba”, e dopo nell’aria è passata la parola “sinagoga” - non la sentivo da anni.  A sentirla, e poi a sentire anche “bomba”, i miei piedi si mettono a correre. Per le scale, per piazza de’ Renzi. Ricostruisco il percorso, a piazza Trilussa c'è uno che dice "era un bambino di due anni". Passo il ponte Garibaldi, oggi non c'è quello che chiede mille lire alle auto. A via Arenula ammutolita, la gente si affaccia sul Ghetto senza entrare. Davanti alla sinagoga c’è folla. Sopra le teste, una bandiera d’Israele. Poi c’è l’inferriata, e sullo strazio i mazzi dei fiori. La gente è in silenzio, una voce grida: “Assassini”. C'è un donna in vestaglia che piange. Arriva una macchina, scende Pannella. 
 Il pomeriggio Roma è vuota come se si vergognasse a farsi vedere. Mi avvicino alla mia edicola. Il giornalaio mi dirà qualche parola bella, è un vecchio compagno. Gli chiedo se ha saputo di stamani, del bambino. Con la testa indico i palazzi, oltre i quali c’è il Ghetto. Lui fa spalluccia sotto la giacca di pelle nera e senza scomporsi rilascia la sua opinione.
- So’ tappetari.
 
Il Tizio della Sera
 
 
 
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La cronaca nazionale della nostra rassegna è ancora dominata dalla questione miserabile del boicottaggio imposto da Conad e soprattutto Coop ai prodotti dell'agricoltura israeliana, giustamente definite "razziste" da una persona tutt'altro che estremista come il ministro degli esteri Frattini (Il Mattino, Maria Elena Vincenzi su Repubblica). Le giustificazioni di Conad e Coop sono contraddittorie e un po' ridicole. Conad dice che non è successo niente, è solo finita ad aprile la stagione dei pompelmi (ma allora perché hanno annunciato la sospensione, perché non hanno mai smentito il comunicato trionfante sul sito dei boicottatori?). Coop continua a parlare di insufficiente tracciabilità, ma allora come fa a dire di aver "sospeso" solo la vendita di prodotti dell'agricoltura in Giudea e Samaria? Se ne conosce lì'origine i prodotti sono tracciabili e sta a lei ovviamente scriverlo sulle etichette; se non li conosce, perché ha deciso la "sospensione"? Vogliono forse, come dice al Foglio Shimon Alchasov direttore di Agrexco, l'impresa semipubblica israeliana che cura la commercializzazione dell'agrialimentare israeliano, che "mettiamo una stella gialla sui nostri pompelmi"? Questi sono evidentemente i danni di un'organizzazione che non è puramente commerciale ma politicizzata e ricattabile dalle punte più militanti del suo schieramento, anche se vi sono stati esponenti del PD che hanno aderito alla interrogazione parlamentare bipartisan promossa da Fiamma Nirenstein. Forse i commercianti comunisti ammetteranno di aver fatto un errore, fra l'altro proibito dalla legge italiana. Certo bisognerà che prima o poi qualcuno sciolga l'anomalia di una grande impresa di distribuzione controllata da un partito.
Per quanto riguarda la politica mediorientale, si accumulano i rischi di guerra con Hezbullah e Siria (lo raccontano un pezzo assai sbilanciato come quello di Virginia Di Marco sul Riformista e uno un po' più equilibrato come quello di Andrea Brenta su Italia Oggi), Netanyahu è stato convocato di nuovo a un colloqui con Obama (Il Giornale, La Stampa); Israele si prepara a fermare la provocazione di una flottiglia di navi di appoggio a Hamas che dalla Turchia sono dirette a Gaza (Charles Levinsohn sul Wall Street Journal, Ana Carbajosa sul Pais); l'Iran polemizza coi suoi fornitori russi che hanno deciso, a quanto pare, di allinearsi con l'America per nuove sanzioni contro il regime degli ajatollah (Liberal). Se si vuol capire un po' di più la posizione israeliana in questo difficile momento, è molto utile leggere l'intervista di Netanyahu a Le Figaro. Se qualcuno infine ha bisogno di un attimo di relax, consiglio la lettura dell'intervista su Donna Moderna a Mona Siddiqui, la teologa islamica assai di moda oggi negli ambienti cattolici progressisti, in cui si spiega che non è vero che le donne sono oppresse dall'Islam, che si tratta solo di "tradizioni" (guarda un po' dominanti in tutto il mondo islamico) e che le donne saudite per esempio sono contentissime del loro stato e il fatto per esempio di non poter guidare la macchina è un problema solo per chi identifica la libertà con la libertà di movimento come facciamo (erroneamente?) noi in occidente, che i "guardiani" che secondo la legge locale "custodiscono" le donne sono "cavalier serventi" e altre amenità del genere in perfetto stile Tariq Ramadan al femminile.

Ugo Volli

 
 
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Boicottaggio - I supermercati Coop e Conad precisano:
"Nessuna volontà di discriminare Israele"
Roma, 27 mag -
coop"Sui nostri scaffali trovate i prodotti israeliani: sono accanto ai nostri valori di qualità, rispetto e volontà di non discriminare". Così il comunicato pubblicitario a pagamento diffuso oggi nei maggiori quotidiani nazionali con il quale la Coop (analogamente alla Conad) si affretta a smentire la notizia del boicottaggio dei prodotti israeliani diffusa in questi giorni. Sull'argomento era intervenuta l'onorevole Fiamma Nirenstein che aveva presentato un'interrogazione parlamentare in sintonia con un ampio schieramento politico bipartisan. Un appello era fra l'altro stato lanciato al Premio Nobel Rita Levi Montalcini in quanto beneficiaria, con la sua Fondazione, di sovvenzioni delle Coop e all'attrice Luciana Litizzetto perché "volto" delle pubblicità dei supermercati. Sull'argomento è intervenuto anche Cesare Pambianchi, presidente di Confcommercio Roma, che ha organizzato un incontro fra l'ambasciatore di Israele a Roma, Gideon Meir e i vertici della Conad per un chiarimento sullo "spiacevole equivoco", che dovrebbe avvenire nei prossimi giorni.

 
 
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