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L'Unione informa |
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28 maggio 2010 - 15 Sivan 5770 |
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alef/tav |
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Roberto Colombo, rabbino |
Rabbì
Yoseph Caro apre lo Shulchàn ‘Arùkh con le parole: "Quando uno si
sveglia, deve essere forte come un leone ed alzarsi". R’ Moshè Isserles
aggiunge: "E quando va a dormire sappia di fronte a chi ci si
corica". “Per Isserles non è possibile alzarsi come un leone se si
dorme prima come un cavallo”. (Rabbì Meir di Parmishlan). Ci sono
persone che dopo aver dormito per anni a un certo punto si svegliano
convinti di essere leoni ed elargire teorie e strategie per il futuro
dell’ebraismo. |
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Quattro
i nodi da affrontare nei problemi di un sistema scolastico: la
valutazione, il curricolo, la formazione degli insegnanti e il sostegno
della comunità. A detta degli esperti le combinazioni che escludono un
solo fattore tra quelli segnalati portano a soluzioni perdenti e
inefficaci. Una semplice domanda rivolta a tutti coloro che hanno a
cuore l'educazione ebraica e il futuro delle nostre scuole: da
quale iniziamo? |
Sonia Brunetti Luzzati,
pedagogista |
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Qui Gerusalemme - "Angeli e Demoni" miti e credenze in mostra
La
credenza che il mondo sia abitato da forze invisibili o da esseri
sovrannaturali, come spiriti, angeli e demoni, è comune, sebbene in
forme diverse, alla maggior parte delle tradizioni e delle religioni
conosciute. Che tali entità poi siano capaci di trasmettere le
conoscenze e di fornire gli strumenti per influenzare gli eventi e
dominare i fenomeni fisici, è un elemento che per secoli ha tormentato
e allo stesso tempo attratto l’umanità intera e che non ha risparmiato
neppure la tradizione ebraica. La nuova mostra inaugurata di
recente al Bible Lands Museum di Gerusalemme e intitolata “Angeli &
Demoni: La magia ebraica attraverso i secoli” sottolinea per l’appunto
quanto alcuni elementi di superstizione fossero estremamente radicati
nella tradizione del popolo ebraico. L’esposizione esamina le origini e
lo sviluppo della magia nell’ebraismo, dal periodo del primo tempio
fino ai giorni nostri con un focus sui principali manufatti
riconducibili a pratiche occulte: da pendenti contro il malocchio a
pergamene di benedizione per la casa, ad amuleti di protezione per i
bimbi appena nati. Questi amuleti in particolare, richiamano
alla curiosa leggenda di Lilith riportata ampiamente da fonti
midrashiche e talmudiche. Secondo una delle versioni Lilith, prima
moglie di Adamo e creata dalla terra insieme al primo uomo, non volendo
rinunciare alla propria eguaglianza, decise di fuggire dal giardino
dell’Eden. In seguito Lilith si accoppio con Asmodai e altri demoni che
incontrò oltre il Mar Rosso, generando un’infinta schiera di demoni.
Adamo chiese però all’Onnipotente di riportare indietro Lilith, così
tre angeli, Sanwy, Sansanwy, Smnglf, vennero inviati alla ricerca della
fuggitiva. Quando i tre angeli trovarono Lilith, le ingiunsero di
tornare pena la morte dei figli che lei aveva generato con i demoni.
Lilith li supplicò allora di non farlo, promettendo che non
avrebbe toccato i discendenti di Adamo ed Eva, se solo si fossero
pronunciati i nomi dei tre angeli. In una sezione apposita della
mostra debitamente nascosta da un telo nero, sono esposti invece
gli oggetti proibiti legati alle pratiche oscure e alla magia
manipolativa: ricette di pozioni, maledizioni e feticci vari. Elementi
che, sebbene si richiamino nella loro simbologia alla mistica ebraica,
rappresentano in realtà un coacervo di tradizioni neoplatoniche,
gnostiche, ermetiche, astrologiche, alchimistiche in cui la componente
cabalistica è praticamente nulla. Si prenda ad esempio re
Salomone e le relative speculazioni esoteriche circolanti intorno alla
sua persona. La tradizione medioevale attribuisce a Salomone,
considerato un mago e un esorcista, tutta una serie di testi di magia
rituale che nulla hanno a che fare con la dottrina mistica ebraica: dal
Testamento di Salomone, in cui si narra come il re abbia esercitato il
suo potere magico sui demoni per costringerli a costruire il Tempio di
Gerusalemme alla Clavicula Salomonis, un vero e proprio grimorio in cui
vengono descritte nei particolari le procedure e i rituali di
evocazione e coercizione dei demoni. In realtà la legge ebraica è
molto chiara in merito. Nel Deuteronomio troviamo infatti la
proibizione ad esercitare le arti magiche: “Non si dovrà trovare in
mezzo a te chi farà passare suo figlio o sua figlia attraverso il
fuoco, né chi farà sortilegi o chi farà l’indovino, il mago o lo
stregone, l’incantatore o il necromante…” Ma il confine tra
religione e superstizione risulta essere tutt’ora estremamente labile.
Alcune credenze sono infatti ancora oggi molto diffuse nella società
israeliana moderna, anche tra gli ebrei che si ritengono più
secolarizzati. Dai tipici amuleti a forma di mano contro il malocchio,
i Hamsa, ai celeberrimi fili rossi di Rachel reclamizzati come
braccialetti protettivi, ma che risultano essere solamente un’ottima
invenzione commerciale che trova scarsi o dubbi riferimenti nei
principali testi Kabbalistici.
Michael Calimani
Qui Roma - Lectio magistralis di Steven Katz La resistenza ebraica durante l'occupazione nazista
E'
esistita una resistenza ebraica nei ghetti durante l'occupazione
nazista? Gli ebrei dell'epoca accettarono il proprio destino
passivamente o tentarono qualche forma di ribellione? E perché non
interpretarono correttamente i segnali di pericolo che già prima del
1941-42 provenivano da ogni parte d'Europa? Interrogativi drammatici ai
quali ha cercato di dare una risposta il professor Steven Katz
direttore del Wiesel Center della Boston University e autore di
numerose pubblicazioni sull'argomento, ospite dell'Ateneo Roma Tre per
tre mesi nell'ambito delle attività del Dipartimento di Scienze
dell'Educazione e del Master internazionale di II livello in Didattica
della Shoah tenendo alcuni incontri sul pensiero religioso ebraico di
fronte alla tragedia della Shoah. A moderare la lectio
magistralis che si è svolta ieri nella sala del Consiglio della Terza
Università il professor David Meghnagi direttore del Master “Il tema
della resistenza ebraica è particolarmente complesso. Gli ebrei nei
ghetti dovettero fronteggiare una situazione di isolamento unica e
incomparabile. - Ha detto Meghnagi introducendo l'intervento del
professor Katz - Erano isolati dal mondo, dimenticati dagli alleati che
avevano altre priorità e non volevano che la guerra fosse vista come
una "guerra ebraica" guardati con ostilità dalla maggioranza della
popolazione in Polonia, Lituania, Romania e Ucraina, privi di copertura
e di luoghi dove potersi nascondere, esposti a rappresaglie feroci e
indiscriminate contro l'intera popolazione in caso di fuga di qualcuno,
senza cibo, in condizione di sovraffollamento. In queste
condizioni l'unica forma di resistenza possibile era una
resistenza spirituale e fisica”. “L'errore da evitare quando si
descrive la tragedia della Shoah – ha concluso Meghnagi lasciando la
parola al professor Katz - è di proiettare la conoscenza che ne abbiano
oggi con la consapevolezza che ne potevano avere coloro che l'hanno
subita, gli esiti con le premesse, le fasi finali con quelle iniziali,
dimenticando che si trattò di un processo avvenuto per fasi. Ed è
da qui che parte l'analisi del professor Katz. Gli ebrei dell'epoca non
ebbero assolutamente la percezione di trovarsi in un pericolo maggiore
di quello che avevano dovuto affrontare nel corso dei secoli, avevano
vissuto 2000 anni di persecuzioni e considerarono il momento che
stavano vivendo come una ripetizione del passato, l'unica cosa da fare
quindi era quella di aspettare, guadagnare tempo perché prima o poi
sarebbe passata e questo è il primo, ma comprensibile grande errore di
valutazione che essi commisero. Il secondo errore consiste nell'essersi
considerati schiavi del Regime nazista e questo non era rispondente
alla realtà dei fatti perché lo schiavo serve per il lavoro mentre
nella mente di Hitler c'era lo sterminio totale, accettarono quindi fra
le altre cose di essere rastrellati dalle proprie case e rinchiusi,
come nel caso del Ghetto di Varsavia, in cinquecentomila in un area che
avrebbe potuto contenere cinquantamila persone, in condizioni igieniche
disastrose, dividendo la propria dimora con persone sconosciute. Nel
Ghetto di Varsavia gli ebrei privati di tutto, morivano per fame,
freddo, malattia, mancanza di assistenza medica. Fuggire, emigrare,
significava morte sicura di tutta la famiglia che era rimasta. Eppure
una resistenza ebraica ci fu, oltre alla tragica ed eroica vicenda
degli ebrei del ghetto di Varsavia che resistettero dal 19 aprile al 16
maggio 1943, ci furono tentativi di resistenza anche nei campi di
sterminio di Treblinka di Sobibor e anche di Auschwitz dove alcune
donne prigioniere sottrassero esplosivo da una fabbrica di armi e
fecero esplodere parte del forno crematorio IV. I prigionieri tentarono
la fuga ma poco dopo furono uccisi tutti e 250. Ma la resistenza
ebraica ebraica vera e propria non fu combattuta con le armi e non era
una resistenza organizzata, l'unica resistenza possibile era la
resistenza spirituale e la resistenza fisica. Laddove i nazisti
tentavano di annientarli, togliendo loro ogni dignità, gli ebrei
riaffermarono la propria identità: nel Ghetto di Varsavia si continuava
a mangiare kasher, a fare scuola ai bambini, a pregare, a suonare, la
stampa ebraica forniva la propria versione della guerra e attraverso
l'attività di Oneg Shabbat, un'associazione che in quegli anni creò e
custodì l'archivio del Ghetto fu documentato tutto quello che avvenne.
Purtroppo di questi preziosi documenti solo due blocchi sono stati
trovati, tutto il resto è andato perduto. Lucilla Efrati
Qui Firenze - Cento giovani per il Maccabi Day
L’appuntamento
è per domenica mattina alle ore 10.30 alla Virgin Active di Rovezzano,
paradiso fitness e centro sportivo che rappresenta la meta quotidiana
di migliaia di fiorentini desiderosi di scaricare su un tapis roulant o
in piscina le tensioni accumulate al lavoro. Nelle prossime ore circa
130 ragazzi dagli 8 ai 14 anni, provenienti da varie Comunità ebraiche
italiane, raggiungeranno il capoluogo toscano per il Maccabi Day, una
giornata di giochi e gare organizzata dalla Federazione Italiana
Maccabi in collaborazione con l’Ufficio Giovani Nazionale (Ugn) UCEI,
il Dipartimento Educativo dell’Assessorato ai Giovani della Comunità
ebraica di Roma e la Comunità ebraica di Firenze. Giochi senza
frontiere 2010, questo il sottotitolo alla manifestazione che si ispira
(non solo nel nome e nel formato ma anche nel logo) al popolare
programma andato in onda sul piccolo schermo fino al 1999, è pensato
per varie tipologie di partecipanti, di gusti e abilità differenti. Gli
sport previsti per il GSF kasher vanno dal calcetto al mini basket,
passando per mini volley, corsa sulla distanza dei 50 metri e tiro alla
fune. In programma anche due curiose fusioni tra discipline agonistiche
molto differenti nelle dinamiche: basket/tennis e calcio/tennis. Le
squadre in lizza saranno miste. Come omaggio per tutti i partecipanti
una maglietta e un cappellino in ricordo della giornata. Mauro Di
Castro, tra gli organizzatori del Maccabi Day e assessore alle attività
socio-culturali della Comunità ebraica di Firenze, spiega: “Questa
iniziativa vuol essere solo la prima di tante che portino Firenze ad
essere il centro delle attività degli enti e dei movimenti ebraici
giovanili italiani”.
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La trappola della memoria
Ti ricorderai che fosti schiavo in Egitto, e osserverai e metterai in pratica queste leggi (Devarim 16,2). Il
precetto di ricordare, qui come in altri punti della Torà, non è fine a
se stesso, ma è legato a un impegno concreto per il presente e per il
futuro (osservare e fare). La tradizione ebraica sembra quasi diffidare
della storia in sé, per il puro gusto di ricostruire il passato. In
effetti ciascuno di noi seleziona e interpreta i fatti a modo suo e
fatica ad accettare che la stessa vicenda possa essere raccontata
diversamente. A volte nella nostra vita quotidiana, e nelle nostre
comunità, si passa troppo tempo a discutere su come, perché e per colpa
di chi si siano creati determinati problemi; questo non solo è poco
utile, ma non aiuta il confronto, perché difficilmente ciascuno si
staccherà dalla propria memoria personale. Mi sembra più facile
riconoscere le ragioni altrui quando si discute del presente e del
futuro, si confrontano le diverse visioni e opinioni, si analizzano le
soluzioni possibili per ogni problema e si cerca una mediazione che
soddisfi il maggior numero possibile di persone. La memoria condivisa
in alcuni casi non dovrebbe essere il punto di partenza, ma forse
potrebbe essere quello di arrivo. Anna Segre, insegnante Anche
Anna Segre, insegnante
Comix - La guerra di Kubert
Joe
Kubert è tornato. Con l’uscita del nuovo sceneggiato “Pacific” già si
parla di storiografica filmata e si attribuisce a Tom Hanks e Spielberg
un ruolo di nuovi storiografi che attraverso la pellicola raccontano un
periodo eroico, forse uno dei pochi, della storia statunitense. In
realtà non possiamo dimenticare tutti quei film, primo fra tutti “Il
giorno più lungo” dove il D-Day è raccontato con una discreta
precisione aneddotica. Il fumetto ha sempre giocato una partita
strana e doppie facce: se da un parte la guerra ha stimolato diverse
serie come Supereroica in Italia, ha anche favorito la produzione di
autori come Hugo Pratt o Toppi, che nel realizzare i loro fumetti hanno
sempre prestato molta attenzione alla documentazione storica. Negli Stati Uniti Harvey Kurtzman scrisse storie veramente brevi, ma ben documentate sulla rivista Frontline Combat della EC Comics. Un
altro autore che a macchia di leopardo ha prodotto fumetti storici è
Joe Kubert che proprio in queste settimane è tornato nelle librerie
statunitense con una nuova graphic novel “Dong Xoai: Vietnam 1965”.
È
il racconto della scontro tra le forze del Viet Cong da una parte e
americani e vietnamiti del sud dall’altra, tra il 10 e l’11 giugno del
1965, risoltasi con una vittoria tattica delle forze Viet Cong. Kubert ha ormai alle spalle diversi lavori dedicati alla storia americana e non, oltre a opere come “Fax da Sarajevo” e “Yossel: April 19, 1943 (2003)”. Si
sa che la guerra del Vietnam è rimasta la grande ferita collettiva
della società statunitense, così come l’11 settembre e le due
successive guerre, che hanno “frullato” gli americani lasciandoli in
uno stato perenne e continuo di guerra. Ma le ferite sono sempre anche
personali e collegate alla vita di ogni persona. La generazione di
Kubert non può dimenticare o cancellare il Vietnam così come arrivando
a età matura non si può che cercare di riepilogare, affrontare,
riflettere sulla propria Storia. Kubert compirà 84 anni il 18
settembre del 2010 e va sottolineato che sembra proprio che non voglia,
per fortuna, andare in pensione, ma anzi dritto sulla retta via della
creatività, disegna ancora. A breve riceverà il Milton Caniff Lifetime Achievement assegnato dalla National Cartoonists Society.
Andrea Grilli
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Proviamo
a mettere insieme, come se fossero pedine di una medesima scacchiera
(ma non necessariamente dello stesso gioco), l’insieme degli elementi
che abbiamo a disposizione, per stabilire se c’è una qualche coerenza
tra fatti - o se è possibile inferire qualcosa dal raffronto tra di
essi -, apparentemente molto diversi tra loro. Il primo rimando è
quello alla cronaca spicciola, quella che passa tra le pieghe della
quotidianità, il cui punto di forza è non solo l’essere il soggetto di
storie apparentemente secondarie, ma il ripetersi con preoccupante
costanza. Ancora una volta il movimento estremista Militia ha lasciato
la sua firma, “recapitando” alla collettività due striscioni
provocatori, esposti su un cavalcavia della tangenziale est di Roma. Il
prevedibile contenuto sono scritte contro il sindaco della città Gianni
Alemanno e il Presidente della Comunità ebraica Riccardo Pacifici
nonché espressioni nostalgiche sull’inimitabile e imperituro «stile di
vita» fascista. Ne fanno una cronaca stringata, ma sufficiente, Laura
Bogliolo sul Messaggerov e Giulia Bertagnolio su E Polis Roma, mentre sia la Repubblica, nelle pagine romane, che il Giornale
rimandano con brevi francobolli al fatto. Che è in sé del tutto
secondario se non fosse la punta più delirante di un iceberg dentro il
quale molte altre cose, tra di loro anche molto diverse, si tengono e
trattengono. L’apologia del fascismo, peraltro mai venuta meno in
quelle consistenti nicchie ideologiche e culturali che dal 1945 hanno
continuato a riannodarsi a esso, trova oggi un’insperata opportunità di
attualizzazione in una serie di circostanze che sdoganano le passioni
trascorse, non tanto per rivalutarne un qualche improbabile trascorso
politico, di impossibile riedizione, quanto per riproporne la
dirompente carica simbolica, parte ineludibile della seduttività che i
regimi totalitari hanno da sempre esercitato sulle grandi collettività.
Non è un caso se il dispotismo moderno, quello esercitato su una massa
di individui in qualche modo consenzienti, abbia trovato nei momenti di
più intensa crisi economica il suo momento maggiormente fertile,
riuscendo a incanalare le passioni e i risentimenti attraverso un
linguaggio semplice, al limite del primitivismo, camuffato da amabile
razionalizzazione dell’esistente. A esso si legava la promessa di un
orizzonte migliore, fatto di conquiste e di glorie, nel nome di una
identità uniforme, che si doveva imporre su tutti e a qualsiasi costo.
Vanno allora riletti in chiave critica tutta una serie di eventi, tra
di loro peraltro non connessi, ovvero non risultanti come il prodotto
di una unica volontà, che tuttavia ci raccontano un po’ dello spirito
del tempo corrente, all’insegna di una carica ambigua di fondo. Su Libero
viene pubblicata, con un breve distico introduttivo della redazione, la
lettera che Emanuele Fiano ha inviato al direttore della testata,
polemizzando sul modo in cui viene offerta alla fruizione dei lettori
una raccolta di discorsi di Benito Mussolini. Poiché, ed è la tesi
dell’estensore dell’epistola, se parlare del fascismo nulla ha a che
fare con la sua apologia, il lasciarlo parlare, senza alcuna
contestualizzazione, è una impresa altamente pericolosa. Un po’ come
maneggiare delle sostanze esplosive, capaci di combinarsi da sé e di
produrre effetti ingestibili. La forza dei regimi totalitari sta, tra
le altre cose, nel loro offrirsi come “spontanea” manifestazione di un
“comune sentire”, quello più strettamente pulsionale. Si tratta del
nocciolo della loro identità populista, che è parsa il più delle volte
verosimile e condivisibile a molti dei contemporanei. Mussolini lo
sapeva bene quando, parlando senza alcuno filtro (che avrebbe
altrimenti innescato un qualche processo critico tra gli astanti), si
riferiva alla sua capacità di interpretare, con la sua proverbiale
verve oratoriale, l’«inconscio degli italiani», solleticandone i
desideri inconfessabili e le passioni irrealizzabili. Il fascismo fu
anche questo, un perverso sogno di grandezza, che si alimentava del
senso di angustia di molti tra quanti, per molto tempo, lo
“ascoltarono” con diligente identificazione, per poi rendersi conto,
troppo tardi, che ne avrebbero subito dolorosamente le conseguenze dei
suoi velenosi e mefitici frutti. In questo quadro, dove peraltro si
inserisce anche l’accostamento operato - di sua sponte - dal Presidente
del Consiglio, tra i vincoli del suo dicastero e quelli ai quali
avrebbe soggiaciuto a suo tempo Benito Mussolini, vanno quindi
sottoposte a un riflessione meno frettolosa due altre notizie coeve ma
di segno esattamente opposto. Da una parte Fabio Perugia, su il Tempo,
ci racconta del varo in sede capitolina del primo teatro dedicato ad
Anna Frank. Nel testo dell’articolo è ribadito il sostegno diretto dei
Isabella Rauti, moglie del sindaco di Roma Alemanno e consigliera
regionale. All’attenzione (e all’identificazione) che una parte del
mondo politico offre, con evidente sincerità, alle tragiche vicende e
alle infinite sofferenze dell’ebraismo continentale nel corso del
secondo conflitto mondiale, fa da contrappunto l’insofferenza che
traspare nel trattare temi non solo congruenti ma direttamente connessi
a quei fatti, che ne contestualizzano semmai i loro contenuti,
rendendoli comprensibili agli osservatori di oggi offrendoci una ratio
non solo umana ma anche politica e culturale del loro accadere. Ci
riferiamo in particolare a quanto Alessandro Portelli, storico sociale
di vaglia, grande conoscitore della Roma dell’occupazione nazista,
narra su il Manifesto
quando racconta della difficile situazione finanziaria in cui si trova
il Museo della Liberazione di via Tasso. C’è come un gioco di
contrappesi, da certuni rivendicato anche brutalmente come diritto ad
una storia di parte, ovvero ad una ricostruzione del passato funzionale
alle divisioni del presente, da altri mitigato nel giudizio
sull’inesorabile trascorrere delle sensibilità, e sulla loro
intercambiabilità morale ed etica, per il quale una cosa - prima o poi
- escluderebbe l’altra. Poiché - ed è quello che molti pensano, anche
se sono ben poco disponibili a riconoscerlo - la narrazione del passato
è sempre partigiana e certe ricordi se appartengono ad una parte non
possono essere i propri. Si tratta di una vera e propria lottizzazione
della storia che è funzionale al suo uso strumentale e selettivo,
secondo una logica che travolge non tanto il discorso storiografico
(fin qui poco male, insomma) quanto la capacità di riflessione sul
presente. Cristallizzandola dentro categorie mentali asfittiche che,
proprio nel nome dell’avversione alla ideologia, la rivalutano come
nuova forma di alienazione culturale. Il fascismo, come perdurante
«stile di vita», si alimenta anche di questa polarizzazione, che riduce
la complessità dell’esistente a una serie prevedibile di condotte,
atteggiamenti e identità. E per avere un riscontro di buon senso sul
piano delle riflessioni che andiamo facendo si legga la sempre puntuale
«bustina» di Umberto Eco, anche questa settimana pubblicata da l’Espresso,
dove l’autore risponde sagacemente alle affermazioni di Gianni Vattimo
sul merito del boicottaggio nei confronti di Israele. Di boicottaggi
parlano poi questa mattina anche Dimitri Buffa su l’Opinione e Flavia Fiorentino su il Corriere della Sera.
Ripetendo quanto già aveva fatto ieri su altre testate, la Coop,
nell’occhio del ciclone, pubblica oggi la sua presa di posizione per il
tramite delle pagine del Sole 24 Ore. Mentre uno sguardo sulla dimensione internazionale ci è offerta da Gigi Riva sulla pagine de l’Espresso,
dove ci si sofferma sull’evoluzione geopolitica della Turchia. Insomma,
in quest’ultimo caso ancora di una scacchiera si tratta, ma qui il
gioco, che c’è per davvero, rivelando un disegno piuttosto netto, pare
destinato ad avere degli effetti molto netti e, forse, anche a breve. Claudio Vercelli |
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Parigi:
vertice Ocse, l'adesione d'Israele
e i colloqui fra Berlusconi e Netanyahu Parigi, 27 mag - "Ci
fa molto piace che Israele si unisca ai paesi dell'Ocse. Già io come
altri paesi europei l'abbiamo invitato a entrare in Europa perché è
vicina a noi per cultura e tradizione", così il premier Silvio
Berlusconi ha accolto l'adesione dello Stato israeliano
all'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico. Assieme
ad Israele, in occasione dell'annuale vertice interministeriale Ocse,
quest'anno presieduto dall'Italia, si è registrata l'adesione di
Estonia e Slovenia. Il vertice riunisce i ministri dell'area economica
di 40 Paesi, che rappresentano l'80 per cento circa dell'economia
mondiale. A margine del vertice Silvio Berlusconi ha incontrato il
premier Netanyahu e a quanto si apprende i due "hanno avuto uno scambio
di idee sulla situazione internazionale, in particolare sul processo di
pace in Medio Oriente e sull'Iran". I due hanno anche "approfondito
temi di cooperazione economica bilaterale, che erano già stati avviati
durante la visita di Berlusconi a Gerusalemme". "I toni dell'incontro
con Netanyahu - hanno concluso le fonti - sono stati molto cordiali". |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
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