se non visualizzi correttamente questo messaggio, fai  click qui  
 
  logo  
L'Unione informa
 
    30 maggio 2010 - 17 Sivan 5770  
alef/tav   davar   pilpul   rassegna stampa   notizieflash  
 
Moked - il portale dell´ebraismo italiano
alef/tav    
  benedetto carucci Benedetto Carucci Viterbi,
rabbino
Mosé, in un momento di sconforto, fa notare a Dio di non essere in grado di accudire compiutamente il popolo perché non lo ha concepito né partorito. Rivolgendosi a Lui, utilizza il pronome di genere femminile. Grande uso, come si vede, di metafore legate alla femminilità: un'indicazione di qualità necessarie alla leadership?
Intorno a “Il mondo scomparso” di Roman Vishniac – l’opera fotografica che mostra il mondo dello schtetl polacco alla vigilia della sua eclissi -  si è accesa una discussione negli Stati Uniti perché una ricercatrice che sta lavorando sul suo archivio fotografico ha scoperto un alto tasso di manipolazione nelle foto e nel montaggio di quel volume. E’ probabile che ciò sia avvenuto. Ma questo in un certo modo fa parte del gioco e in ogni caso non dice della partita che si gioca nell’incontro tra Vishniac e quel mondo. Una partita che riguarda anche la nostra condizione culturale. “Un mondo scomparso”, prima ancora che la disperazione, documenta la miseria della realtà quotidiana del mondo ebraico dell’Est Europa. E comunica questa condizione perché l’occhio di Vishniac, era consapevole di tre cose:  quel mondo sarebbe scomparso; ciò stava avvenendo in silenzio; non c’era modo di salvare, se non fisicamente – almeno culturalmente -  quel mondo che stava registrando nele sue foto. Ma questo aspetto si perde perché ciò che è prevalso dopo è uno sguardo in cui non c’è né la storia, né le persone vere e concrete. E' prevalso lo “sguardo nostalgico” fondato sull’oblio della vita vera e causato dal lutto della scomparsa delle vite che abitavano quel mondo. Con quelle vite vere sono scomparse molte altre cose: la violenza interna, le lacerazioni, la miseria, i conflitti interni sociali e culturali, insieme all’antisemitismo che stazionava alle porte dello schtetl. La vita vera, quella che c’è in quelle foto, dice tutto questo. Ma la prevalenza dello “sguardo nostalgico” ha fatto sì che noi ora guardiamo quel mondo solo come un’icona o lo pensiamo in una versione disneyana, tanto patetica quanto falsa. David
Bidussa,

storico sociale delle idee
david bidussa  
  torna su
davar    
 
  Bassani inedito: ricordi di un ebreo ferrarese

giorgio bassani Non mi ricordo quante volte, presentandomi a miei interlocutori israeliani o no, menzionando la mia città natale, mi sono sentito rispondere:"Ferrara? Dov'è?". "Avete letto il "Giardino dei Finzi-Contini"? "Certo", mi sono sentito rispondere "adesso ti abbiamo localizzato". Riandando con la memoria al mio rapporto con il grande narratore, mi sento coinvolto in una combinazione di ricordi e di fantischerie, per lo più derivate da letture delle opere bassaniane, molteplici e ripensate nell'arco di decenni. Io ebreo ferrarese d.o.c., nato a metà degli anni Trenta, sono parte integrante del "Romanzo di Ferrara". I miei ricordi risalgono ai giorni delle mie due prime classi delle elementari alla scuola ebraica di via Vignatagliata, nell'attesa del termine della lezione del professor Bassani, insegnante di mia sorella, ginnasiale, per essere riaccompagnato da lei a casa. Piccolo bimbo, in un cantuccio, rivedevo il regista della "Regina in berlina" di Sergio Tofano, la "Commedia" per antonomasia, che aveva dominato tutta una stagione del nostro mondo, parentesi di serenità alla vigilia della bufera. Suo padre era stato il mio mohel e le nostre rispettive famiglie erano legate da quei vincoli caratterizzanti la Comunità e la società cittadina ad un tempo. Riportandomi a sogni ad occhi aperti mi sono raffigurato, a volte, tra i banchi di Schola Italiana, nelle file retrostanti ai Finzi-Contini, magari, a Pesach, sovrapponendo una reminiscenza letteraria alle immagini di una inveterata memoria. Non ho mai "digerito" la ricerca, ormai pluriennale, dell'identificazione dei personaggi dell'opus bassaniano. Le grandi creazioni delle letterature fondono elementi biografici degli autori con la loro originalità creativa. Ho letto libri e articoli al proposito e sono giunto alla conclusione che restringere la narrativa di Bassani al pettegolezzo la si riduce ad un livello, direi, quasi giornalistico, mettendo in secondo piano il valore estetico e messaggi che i migliori critici hanno evidenziato. A me preme, pour cause, esaminare l'aspetto che ha più interessato il mondo ebraico. E' Bassani uno scrittore ebreo o il Cantore della Città estense, i cui cittadini "israeliti", sono stati, nel bene e nella tragedia, parte indissolubile? In poche parole, possiamo coinvolgere lo scrittore e il poeta, nella problematica dei "Prigionieri della Speranza" di Hughes, che classifica tra gli ebrei narratori come Svevo e Moravia, sviscerando, nelle loro opere, un intrinseco quid ebraico, di "ebrei senza saperlo" per dirla come Alberto Cavaglion? Il problema, a mio giudizio, è un altro. Bassani, esplicitamente, ci rappresenta un certo ebraismo, o meglio, la condizione ebraica delle comunità italiane in una determinata congiuntura storica, e nella loro specificità a confronto di altre diaspore. I personaggi del "Romanzo di Ferrara" sono i rappresentanti di una collettività che non si è mai estraniata dal mondo circostante, anche nei tempi del ghetto, la cui emancipazione è stata, quasi, senza scosse, in un inserimento organico nella vita, nella cultura dell'Italia unitaria fino allo scossone drammatico delle leggi razziste, fino al baratro del biennio '43-'45. Bassani è la testimonianza letteraria di questi ebrei che a poco a poco avevano ridotto il loro retaggio a residui di una tradizione avita, pur confrontandosi con la maggioranza in rapporti esistenziali non sempre positivi.  I nomi incisi nella "Lapide in Via Mazzini", sulla facciata della secolare Casa della Comunità ferrarese, è il perenne memento di una frattura sanguinosa le cui conseguenze si sono perpetuate al presente. Il compito della nostra generazione è di trasmettere al di fuori i contenuti della Civiltà di Israele, arricchendo il mondo non ebraico di tesori spirituali e culturali spesso sconosciuti o travisati anche da noi stessi. Quando rivisito il Cimitero di Via delle Vigne rivedo solitario il piccolo cippo tombale di Bassani, nell'antico "orto degli ebrei" da lui tante volte rievocato, rifletto sulla catena delle generazioni passate e future, sulle mie radici di 'italki', di italo-israeliano, piccolissima tessera nel grande mosaico di Israel.
 
Reuven Ravenna


Qui Firenze - Cento speranze al Maccabi Day
 

maccabidayÈ in corso di svolgimento il Maccabi Day, la giornata di giochi e gare (si va dal calcetto al volley, passando per il tiro alla fune, la corsa e tante altre discipline sportive) organizzata da Federazione Italiana Maccabi in collaborazione con l’Ufficio Giovani Nazionale (Ugn) dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, il Dipartimento Educativo dell’Assessorato ai Giovani della Comunità Ebraica di Roma e la Comunità Ebraica di Firenze. In occasione del Maccabi Day sono affluiti nel capoluogo toscano oltre cento ragazzi e ragazze provenienti da numerose Comunità ebraiche italiane. Folta la rappresentanza di giovani ebrei romani, nutrito anche il gruppo di milanesi, bolognesi, livornesi e fiorentini. Le gare, a cui partecipano squadre miste composte da ragazzi di diverse Comunità, andranno avanti fino a metà pomeriggio.

a.s.

 
 
  torna su
pilpul    
 
  Davar Acher - Il rivelatore del sarcasmo

ugo volliLe università in Israele sono fra le migliori al mondo e i giornali israeliani riportano spesso i successi della loro ricerca tecnologica e scientifica. Qualche giorno fa è uscito un articolo del genere sul Jerusalem Post su una ricerca del dipartimento di Computer Science della Hebrew University che avrebbe perfezionato un "rivelatore di sarcasmo", un risultato piuttosto strano allo sguardo di un semiotico, ma a quanto pare  capace di rivelare automaticamente questo effetto linguistico nei testi di diverse lingue con buoni risultati statistici. Conosco più di una persona a cui questo dispositivo sarebbe notevolmente utile, ma non è su questo che verte oggi la mia riflessione. Mi sembra interessante che fra i molti effetti di senso cui si potevano dedicare, gli informatici israeliani abbiano scelto non la "captatio benevolentiae" o la persuasione o la sineddoche o lo straniamento o l'ossimoro, ma proprio l'ironia, anzi la sua forma più aggressiva che è il sarcasmo.
Che esista una profonda solidarietà fra cultura ebraica e ironia, una vera e propria aria di famiglia che impone agli ebrei quasi come una seconda natura di essere ironici e autoironici, è una vecchia osservazione, che si trova per esempio nel bellissimo libro di Freud sul Witz o "motto di spirito", come si è cercato di tradurlo in italiano. Freud vede molto bene il carattere aggressivo e trasgressivo dell'ironia e spiega l'abitudine tutta ebraica di applicarla non solo agli altri ma anche a se stessi con la necessità di proteggersi preventivamente dalle aggressioni altrui, assumendole in forma mimetica. Un modo di agire che in certi casi sconfina in quell'altro fenomeno tutto ebraico ma molto meno raccomandabile che è l'odio di sé, ma che spesso è, in fondo, una derisione di chi ci deride, una forma di autodifesa. Bergson (un altro intellettuale di origine ebraica) parla del riso come reazione alla degradazione di una persona in una cosa e sottolinea che per ridere bisogna da un lato sospendere l'empatia, il sentimento di vicinanza per l'uomo-cosa di cui si ride, ma dall'altro instaurare la solidarietà dei propri simili in opposizione a ciò che è deriso – e magari è più potente della piccola comunità ridente creata dalla battuta. Forse per questa ragione gli ebrei non sono certamente il solo popolo oggetto di barzellette e battute sgradevoli (lo sono i belgi, gli scozzesi, i genovesi ecc.); ma certamente il solo ad essere anche grandi inventori di sarcasmo su di sé e sugli altri: proprio perché hanno spesso sperimentato la perdita dell'empatia altrui e la trasformazione forzata in cose moleste e rovesciano questa disagevole esperienza in motti di spirito. Riderne è un modo per esorcizzare se non l'aggressione fisica, almeno quella simbolica.
Senza approfondire queste dinamiche, ci si può chiedere dove nasca nella storia dell'ebraismo questa nostra passione per il riso. Nella Torah il riso ritorna con insistenza intorno alla nascita di Itzhak (Bereshit 17,17-19; 18,12-15; 21,6-9) anche per via dell'assonanza etimologica con il verbo ietzahek, ridere. Ma si tratta di un riso amaro, intrecciato com'è alla vicenda di Ishmael e soprattutto al futuro destino della "legatura" o sacrificio di Itzhak, della cecità, del conflitto fra i figli. La vita del patriarca nominato secondo il riso sarà tutt'altro che allegra: anche questo può essere letta una forma di implicito sarcasmo. Più probabilmente il prototipo dell'ironia ebraica viene invece dalle clamorose forme di protesta e dunque di comunicazione dei profeti, che sposano prostitute, portano addosso gioghi da buoi, vanno in giro nudi, danno nomi assurdi ai loro figli, insomma fanno un sacco di cose indecorose per attirare l'attenzione del popolo ebraico sugli errori e sui pericoli che corre. Sono "scherzi" serissimi, in cui si mette in gioco la vita. Forse ancora la nostra ironia trae esempio dal piacere intellettuale per la disputa e la falsa ingenuità di certe bizzarre affermazioni talmudiche che spesso appaiono così strane, prese alla lettera, sulla bocca di intellettuali raffinati com'erano i nostri saggi, da evidenziare una straordinaria passione per il paradosso come metodo dialettico. Difficile dire.
Una ricostruzione della storia e delle forme del riso (della sua pratica, non solo della sua enunciazione) nel pensiero ebraico, è ancora tutta da scrivere. In mancanza di una teoria, ci resta la pratica, sempre più necessaria al popolo ebraico quanto più esso è di nuovo oggi considerato senza empatia dal mondo e talvolta anche da certi suoi serissimi figli benpensanti sotto la forma abusiva di uno Stato o di un Governo come una "cosa" strana e sbagliata, anzi un ostacolo, che si oppone ai magnifici destini e progressivi del mondo verso la pace e la multiculturalità. Talvolta ne escono pensieri bizzarri (o interessati), che ci suggeriscono nel suicidio collettivo la sola forma di salvezza possibile. Col detector della Hebrew University, possiamo sperare, sarà più facile capirlo per tutti.

Ugo Volli
 
 
  torna su
rassegna stampa    
 
 
leggi la rassegna
 
 

«Non siamo antisemiti»
Riteniamo inaccettabile l'accusa di razzismo e antisemitismo di cui siamo stati oggetto in questi ultimi giorni, in quanto del tutto priva di fondamento e perché ben altri sono i principi che da sempre ispirano il nostro operato: mutualità, solidarietà e democrazia, che all'evidenza contrastano con ogni forma di discriminazione. Per tale ragione abbiamo respinto con fermezza le affermazioni del ministro degli Esteri Franco Frattini, denunciando la totale infondatezza delle notizie diffuse, e fissato un incontro con la Comunità Ebraica di Roma per illustrare la verità dei fatti. I nostri scambi commerciali con aziende israeliane non si sono mai interrotti, registrando, dall'inizio dell'anno, un significativo incremento rispetto agli anni precedenti. Mai è stata attuata la sospensione della vendita di prodotti israeliani nei punti di vendita della nostra rete commerciale. Prendiamo atto con rammarico delle affermazioni riportate nell'articolo comparso sull'edizione romana del Corriere della Sera, che sono l'inevitabile conseguenza di una campagna di disinformazione priva di riscontro oggettivo, strumentale e guidata da finalità non chiare. Consideriamo inaccettabile che il nome di Conad sia accostato a termini quali antisemitismo razzismo ed auspichiamo che la stampa verifichi con scrupolo i fatti prima di fare da megafono a tesi lesive del buon nome di una realtà che vede ogni giorno impegnati tremila imprenditori assodati e 35 mila addetti al servizio di milioni di famiglie in tutto il territorio del nostro Paese.

Camillo De Berardinis Amministratore delegato Conad, Corrire della Sera Roma, 30 maggio 2010


Conad e comunità ebraica lunedì il chiarimento
Lunedi prossimo ci sarà un incontro tra i dirigenti della Conad con l'ambasciatore di Israele a Roma, Gideon Meir e il presidente della Comunità Ebraica di Roma, Riccardo Pacifici, per un chiarimento definitivo sulla vicenda del presunto boicottaggio della vendita di prodotti ortofrutticoli provenienti da Israele in alcune catene distributive, tra cui Conad. L'amministratore delegato di Conad Camillo De Berardinis ha scritto una lettera allo stesso Pacifici, affermando che «Conad non ha mai assunto né mai assumerà, posizioni di boicottaggio nei confronti delle merci provenienti da lsraele» e ribadendo che «nessun punto di vendita della rete ha adottato misure di restrizione su alcun prodotto proveniente da Israele». «Ci troviamo di fronte conclude De Berardinis ad una campagna strumentale e guidata da finalità non chiare».[...]

Repubblica Roma, 29 maggio 2010


Fine di un boicottaggio mascherato
Nell'Italia che gioca e minimizza con le parole, un boicottaggio prende le forme di un'aggrovigliata questione di «tracciabilità», e una campagna mirata all'ostracismo politico ed economico di uno Stato diventa un banale problema di etichetta, un diverbio a distanza sui prodotti a denominazione di origine controllata. E invece la guerra Coop (e Nordiconad) contro i prodotti israeliani dell'Agrexco si è rivelata nel giro di poche ore per quello che era: un caso politico, una disputa che al boicottaggio ha sommato un'immediata minaccia di contro-boicottaggio. Altro che «tracciabilità». Ora, stipulato l'accordo (o la tregua), i prodotti ortofrutticoli tornano sui banconi della Coop. La quale Coop ha trovato stavolta in Internet, nei blog, nei social network, un ostacolo insormontabile per la sua strategia di minimizzazione. Dicevano che non era «boicottaggio», che era solo una questione di precisione e di lealtà di mercato, che i clienti dovevano sapere che dietro il «made in Israel» c'erano anche i prodotti raccolti e lavorati dal gigante agro-alimentare Agrexco nei Territori occupati che, come è noto, non sono ancora uno Stato palestinese, ma sicuramente non sono Stato di Israele. Però l'Agrexco ha ribattuto che quei prodotti coprivano solo lo 0,4 per cento del totale e che se c'era da adeguare l'etichetta ai canoni fissati dalle norme Ue, allora non avrebbero opposto alcun impedimento. E allora, c'era bisogno che la Coop stilasse un annuncio tanto impegnativo, nientemeno che la liberazione dei propri scaffali dai prodotti israeliani, alcuni di incerta origine? Non potevano rivolgersi direttamente all'Agrexco, come poi è stato fatto, ma solo dopo l'improvvido, e catastrofico, annuncio del boicottaggio? E poi, sicuri che non era proprio, esattamente «boicottaggio»? I responsabili della Coop dicono di no, che non è mai stato boicottaggio. Ma poi si scopre che sul sito dell'ong «Stop Agrexco» ci si compiaceva nei giorni scorsi per «l'importante risultato della campagna di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni» (tutto con le maiuscole) «contro l'apartheid israeliano». [...]

Pierluigi Battista, Corriere della Sera, 29 maggio 2010


La Coop si spezza ma non si spiega
Questa trovata politically correct di ritirare dai banconi le merci agricole provenienti da Giudea e Samaria, principalmente datteri ed erbe aromatiche, sta costando cara a quei cervelloni della Coop. A cominciare dal fatto che visto che il loro... . "ufficio qualità prodotto" è quello che è (cioè quello che si descrive da solo nella fantozziana lettera firmata da Maurizio Zucchi ed inviata ai boicottatori di Israele della Stop Agrexco e di Forum Palestina, trattati alla stregua di mega direttori galattici) anche ieri l'azienda è stata costretta a comprarsi diverse pagine di grossi quotidiani in edicola per riproporre lo stesso comunicato del giorno prima, stavolta limato del paragrafo con cui si dava atto che il boicottaggio dei datteri e delle erbe aromatiche provenienti da Giudea e Samaria era ancora in atto. Se calcoliamo in 56 mila euro ogni pagina a pagamento del Corriere, e non molto di meno quelle sul Giornale o su Repubblica , e se si pensa che il giro di affari di merci proveniinti da quei due posti off limits (solo perché osano fare lavorare i campi ai coloni ) non supera i 5 mila euro annui, ce ne è abbastanza per licenziare il responsabile qualità della stessa Coop. Il comunicato di ieri della Coop era un capolavoro di ipocrisia. [...]

Dimitri Buffa, L'opinione, 29 maggio 2010

 
 
  torna su
notizieflash    
 
 
Suonano le sirene in Israele per due razzi lanciati da Gaza        Tel Aviv, 29 mag -
Nuovo lancio di razzi dalla Striscia di Gaza sulla città israeliana di Ashqelon. Fonti locali aggiungono che un razzo è esploso (senza provocare vittime) in un campo alla periferia di Ashqelon, mentre il secondo - forse difettoso - è caduto all'interno della striscia di Gaza. Anche se i lanci non sono stati finora rivendicati, Israele ne attribuisce la responsabilità all'esecutivo di Hamas le cui forze di sicurezza hanno un controllo totale sulla Striscia.
 
 
    torna su
 
L'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche.
Gli articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili.
Gli utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste, in redazione Daniela Gross.
Avete ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo e-mail, scrivete a: desk@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”.