se non visualizzi correttamente questo messaggio, fai  click qui  
 
  logo  
L'Unione informa
 
    31 maggio 2010 - 18 Sivan 5770  
alef/tav   davar   pilpul   rassegna stampa   notizieflash  
 
Moked - il portale dell´ebraismo italiano
alef/tav    
  Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma Riccardo
Di Segni,

rabbino capo
di Roma
L'hanno chiamato "grasshopper complex", il complesso della cavalletta. E' quello che manifestano gli esploratori mandati a vedere la Terra Promessa, nella parashà che leggeremo questo Sabato. In Num.13:33 gli esploratori raccontano che a confronto con gli abitanti "ci sentivamo come cavallette, e così loro ci consideravano"; frase che pone la domanda: passi per la loro autovalutazione, ma che ne sapevano di quello che gli altri pensavano di loro? Se ne può dedurre la facile conclusione che quando una persona ha bassa stima di sé, inevitabilmente anche gli altri lo disistimeranno. E' un processo frequente che avviene dappertutto e che colpisce anche l'ebraismo italiano che ondeggia, nelle sue rivendicazioni identitarie, tra un narcisismo autoreferenziale e un terribile complesso della cavalletta. Difficile trovare un giusto equilibrio.
La teoria del complotto demo-pluto-giudaico è tornata di attualità. Ammesso, e non concesso, che sia mai passata di moda. Dopo essere stata riproposta da due anziani vescovi  umbri in pensione, ora viene ribadita, tra lo stupore e le proteste generali, nientedimeno che da Ettore Bernabei, che parla di attacco alla Chiesa condotto dalla lobby della finanza globalizzata e di "finanza protestante ed ebraica". Per fortuna, ci sono di consolazione le parole pronunciate nei giorni scorsi a Liverpool dal cardinal Kasper, che ha ribadito con grande chiarezza quanto già detto autorevolmente nel 1998 dal documento della Commissione per i rapporti religiosi con l'Ebraismo Noi ricordiamo. "Secoli di teologia cristiana anti-giudaica hanno contribuito alla Shoah, ha detto, favorendo lo sviluppo di un'avversione generalizzata agli ebrei che ha impedito alla resistenza dei cristiani verso l'antisemitismo razziale e ideologico del nazismo di raggiungere la dimensione e la chiarezza che ci si sarebbe potuti attendere". Una presa di coscienza chiarissima sugli errori del passato, simmetricamente opposta alla funzione di ogni richiamo al complotto: gettare la colpa di quanto accade sul nemico, vero o immaginario che sia.    
Anna Foa,
storica
Anna Foa, storica  
  torna su
davar    
 
  Il nodo di Gaza - Minerbi: "Facile parlare con il senno del poi"

DavarLe notizie su quello che è accaduto nella notte tra la Marina dell’esercito israeliano e le navi della Freedom Flotilla rimbalzano ancora confuse, e centinaia di voci si alzano in tutto il mondo per condannare Israele, senza conoscere con precisione i fatti, come ha dichiarato alla Bbc un portavoce del Ministero degli Esteri israeliano.
Sergio Minerbi, diplomatico israeliano di origine italiana, già ambasciatore d’Israele presso la Comunità europea a Bruxelles, oggi professore universitario e commentatore di diverse testate giornalistiche, tra cui il giornale dell'ebraismo italiano "Pagine Ebraiche", da Gerusalemme esprime le prime valutazioni su uno degli episodi più drammatici e destinati a far discutere degli ultimi anni.
Ambasciatore, come spiegare quello che è successo?
In realtà la situazione non è ancora chiara. Quello che è certo è che i soldati israeliani che dovevano ispezionare le navi della Freedom Flotilla si sono trovati davanti persone tutt’altro che pacifiche. Gli attivisti a bordo hanno tentato di linciarli, con coltelli, bastoni e armi da fuoco. Sono state rinvenute pistole e molte munizioni. I soldati hanno reagito. Ci sono stati feriti, si parla di una ventina di morti. Ma è troppo presto per dire di più.
Intanto sui giornali di tutto il mondo si parla di ‘assalto’ dell’esercito israeliano alle navi pacifiste, e Hamas esorta all’Intifada davanti a tutte le ambasciate israeliane. Secondo il suo parere, si rischia un’escalation?
Hamas è consapevole che una nuova Intifada o guerra non convenga a nessuno. Non credo quindi ci saranno particolari conseguenze. Certo è che da Gaza, Hamas continua a lanciare razzi, gli ultimi due giorni fa. Quello che sarebbe importante che i leader e l’opinione pubblica mondiale comprendessero, è che non c’è crisi umanitaria a Gaza. Tutti i giorni, compreso stamattina, 160 autocarri portano nella Striscia cibo e medicine. Anche nel caso della Flotilla, Israele ha offerto più volte di far sbarcare il carico ad Ashdod, e poi trasferirlo a Gaza. Ma questa proposta non è stata accettata. Perché? Come ha spiegato la portavoce dell’organizzazione, che guarda caso è rimasta a Cipro, questo non sarebbe stato possibile perché le navi non trasportano semplicemente generi alimentari e medicinali, ma materiale che compare sulla lista nera israeliana. Come il cemento, che serve per costruire i bunker. Altro che intenzioni pacifiche.
Dal punto di vista mediatico però questa operazione sta già avendo grosse conseguenze. Non si sarebbe potuto gestire meglio la situazione sin dall’inizio?
È facile parlare con il senno del poi, ma in questo caso non credo ci fossero molte alternative. La Freedom Flotilla aveva due obiettivi, è chiaro, da un lato danneggiare Israele dal punto di vista mediatico e dall’altro introdurre a Gaza materiale proibito. Questo andava impedito. Difficile immaginare qualcosa di diverso.
Questo episodio di inserisce nel quadro delle relazioni sempre più delicate tra Israele e Turchia.
La verità è che da due anni a questa parte il primo ministro Erdogan ha deciso di trasformare il suo paese in uno stato islamico e si è mosso di conseguenza. Sono le sue intenzioni a contare davvero. Dopo questa svolta, la Turchia si è avvicinata a Iran e Siria e la tensione con Israele ha iniziato a crescere. I fatti di questi giorni non sono che una manifestazione della nuova rotta, non rappresentano una novità nei rapporti tra Israele e Turchia di per sé.
Quali conseguenze dovrà aspettarsi Israele dal punto di vista dei leader politici e dell’opinione pubblica mondiale?
Io direi semplicemente ‘more of the same’. Chi è disposto ad ascoltare le nostre ragioni, continuerà a farlo, chi è contro di noi avrà una scusa in più per rimanere tale. Dal mio punto di vista il problema vero è un altro. Il mondo non vuole rendersi conto che Gaza oggi è governata da un regime terroristico. Hamas non vuole la pace, né accetterà mai il riconoscimento di Israele. La comunità internazionale, Unione europea in primis, continua ad aiutarli attraverso le organizzazione non governative. E questo non aiuta la pace.

Rossella Tercatin


Appelli e controappelli - Quel che si vede da qui non si vede da lì

DavarSeguo in questi giorni da Israele la polemica che si va sviluppando negli ambienti ebraici della Diaspora attorno agli appelli e ai controappelli (Jcall e seguenti), e i relativi inviti al supporto o all'astensione.
Premesso che si possono vedere validi elementi e intenzioni in ogni posizione e assumo ovviamente la buona fede di ogni schieramento, nonostante ciò nella polemica scaturita c'è qualcosa che non convince. Non sono le tesi delle parti né le argomentazioni, ma è il metodo quello che non si capisce. Un metodo che risulta ancor più incomprensibile se visto da quaggiù, da Israele. Quale possa mai essere il motivo per cui i miei parenti e i miei amici e gli altri ebrei che non conosco, ma che il legame con lo Stato ebraico è intrinseco in loro, sentano il bisogno di spiegarci in questo modo - cioè con un appello rivolto a tutto il mondo - come dobbiamo fare per non mandare più i nostri figli a combattere, per non saltare in aria quando andiamo al mercato o peggio per non ricevere qualche missile sulla testa quando dormiamo: insomma cosa dovremmo fare per fare la pace con i nostri vicini.
Certamente è giusto che ognuno esprima le proprie opinioni, e la dialettica è sempre stato il mezzo migliore per il progresso delle idee. Ma cercare di forzare le posizioni politiche di un paese con un appello pubblico, che è poi in fin dei conti una sorta di intimazione in nome della "democrazia" ad abbandonare (con riferimento a Jcall e simili ovviamente) la politica del governo eletto dal popolo in un paese - si spera - democratico, è altra cosa.
Ciò è in qualche modo assimilabile a un conflitto condominiale (ben altra cosa rispetto alla sanguinosa diatriba mediorientale) in cui i parenti e gli amici di una delle parti formulino un comunicato mandato in copia al giudice (l'opinione pubblica mondiale e la stampa in questo caso) e all'altra controparte invitando il povero malcapitato a seguire una strada diversa da quella da lui scelta con il proprio avvocato, una strada più condiscendente e ragionevole "nel suo stesso interesse". Questo beninteso quando questi parenti e amici non solo non hanno in essere alcun dissapore con l'altro condomino e non sono costretti a sopportarlo giornalmente, ma non abitano neanche nel comprensorio, non pagano le spese dell'avvocato e non si faranno poi carico degli oneri processuali che deriveranno dal processo (salvo poi che il loro parente dovesse malauguratamente perdere la causa e la proprietà: non potrebbe più ospitarli nelle loro vacanze, o includerli come comproprietari, loro o i loro figli, in un futuro più o meno remoto e magari si ritroverebbe a battere alla loro porta come 'senza tetto' - ma è storia troppo poco immanente e poco può crucciarli).
Nella vita di tutti i giorni i parenti e gli amici non si intromettono direttamente, prendono sì qualsivoglia posizione, spesso astenendosi ma anche discutendo animatamente con il congiunto, ma è difficile riscontrare casi come quello descritto sopra.
E allora perché è così diverso l'intervento dei nostri parenti ed amici nel caso di Jcall da quanto si verifica normalmente? Perché uscirsene con un richiamo ufficiale alla politica israeliana, quando non esiste affatto un contrappeso che faccia pressioni simili sulla parte avversa, invitando anch'essa a una maggior condiscendenza? E allora perché richiamare, soprattutto, la parte amica?
Errori ci sono stati, ci sono e sempre ci saranno nelle posizioni e nella politica di entrambe le parti. La soluzione auspicabile e definitiva, se pur si arriverà mai a essa, non potrà che essere una soluzione di compromesso che non soddisferà in toto nessuna delle due parti. Molte sono le strade percorribili per raggiungere una determinata meta, non sempre possono essere escluse a priori e spesso sono giudicabili solo a posteriori viste in prospettiva storica. Sarà veramente quella caldeggiata dai nostri parenti e amici la strada giusta?
Prima di concludere vorrei far presente una situazione simile con i dovuti distinguo. Accadeva solo poco tempo fa, ma la direzione era opposta e gli echi sono ancora vivi. Il problema era relativamente più semplice: una discussione in famiglia, fra ebrei; eppure nella diaspora molti protestavano: "Cosa ne sanno loro in Israele del nostro ebraismo?", "come possono intervenire senza conoscere la situazione locale?". Così si lamentava la piazza romana a seguito di discussioni sulla kasherut per Pesach fra il rabbinato italiano e quello israeliano e le intromissioni di quest'ultimo. Invece non credo che Israele abbia mai redarguito pubblicamente, magari con una bella pubblicità sui giornali nazionali, le istituzioni ebraiche della Diaspora per le posizioni politiche o per il modo di gestire le loro diatribe con le istituzioni nazionali.
In sostanza c'è una tendenza umana a intervenire, a prendere posizione e a spiegare agli altri cosa è bene che facciano, ma non bisogna dimenticare come si dice da queste parti che "quel che si vede da qui non si vede da lì".

Alberto Lattes


Qui Firenze - Maccabi Day: un successo e una premessa

MaccabiPartire da una festa di sport pienamente riuscita, sia nei numeri che nelle dinamiche, per guardare in modo costruttivo alle prossime iniziative in cantiere. Vittorio “Botticella” Pavoncello, romano doc e presidente della Federazione Italiana Maccabi, fa sapere di essere “molto contento” per l’andamento più che positivo del Maccabi Day svoltosi nella giornata di ieri a Firenze e rilancia la grande sfida per il futuro: coinvolgere un numero sempre maggiore di giovani ebrei e di Comunità nelle attività organizzate dal più importante ente ebraico italiano per ciò che concerne sport giovanile e annessi. “Il grande successo della giornata, con la partecipazione di ragazzi che sono arrivati a Firenze un po’ da ovunque, deve costituire una solida premessa su cui lavorare nei mesi a venire”. Una sfida da vincere a tutti i costi, quella del coinvolgimento dei giovani delle realtà minori: “Dobbiamo far crescere i nostri figli con sani ideali, sia ebraici che sportivi. Giornate come quella odierna sono occasioni e possibilità di incontro dal valore immenso”. Oltre 100 ragazzi dagli 8 ai 14 anni provenienti da una decina di Comunità, un nutrito staff di madrichim al loro seguito, attività sportive che spaziavano dal calcio al volley e alla corsa, e come sfondo alla ricca giornata di giochi e gare organizzata dalla Federazione Italiana Maccabi in collaborazione con Ufficio Giovani Nazionale UCEI, Dipartimento Educativo dell’Assessorato ai Giovani della Comunità ebraica di Roma e Comunità ebraica di Firenze, il verde e funzionale centro sportivo Virgin Active, una delle location cittadine più suggestive per tirare due calci a un pallone o correre all’aria aperta. Il mix è stato vincente, la festa di tutti. “Ci sono ragazzi di Roma, Milano, Livorno, Bologna, Firenze. Non mancano anche rappresentanze di padovani, napoletani e di altre piccole Comunità”, commenta Stefano di Porto, uno degli organizzatori di questo evento che nelle dinamiche si ispirava al popolare programma televisivo Giochi Senza Frontiere. Sei squadre (rigorosamente miste) in lizza, tipologia di gare che esaltavano le differenti capacità agonistiche di ciascuno, un jolly da utilizzare per raddoppiare il punteggio nel gioco in cui la squadra si sentiva più sicura e forte, premi e medaglie per tutti perché la vera vittoria stava nella partecipazione e non tanto in un goal o in una schiacciata sotto rete: ecco la formula vincente dei GSF ebraici. Lidia Calò, animatrice dal sorriso contagioso, non stava ferma un attimo: “Vedere che i nostri giovani sono entusiasti è splendido”. Claudia De Benedetti, vicepresidente UCEI, annuiva e indossava la maglietta del Maccabi. Joseph Levi, rabbino capo di Firenze, citava perle di saggezza antiche: “Mens sana in corpore sano”. E il clima si dimostrava clemente: la temuta pioggia prevista da alcuni meteorologi non c’è stata. Anche se era rav Locci, in qualche modo, ad evocarla: “Vedere tutti questi colori (ogni squadra aveva una maglietta di un colore diverso ndr) mi fa venire in mente l’arcobaleno, il segno del patto di Dio con l’uomo dopo il Diluvio. Voi ragazzi siete il futuro dell’ebraismo italiano”. Poi era il momento delle medaglie e delle targhe ricordo: un riconoscimento speciale per la riuscita del Maccabi Day andava a Mauro Di Castro, assessore alle attività socio-culturali della Comunità ebraica di Firenze, e all’architetto Renzo Funaro, il tramite tra Comunità ebraica e Virgin Active che ha fatto sì che le gare si potessero svolgere in un contesto splendido come quello del fitness center di Rovezzano.
 
Adam Smulevich

 
 
  torna su
pilpul    
 
  La grammatica di Spinoza

donatella di cesareAnche per un filosofo razionalista come Baruch Spinoza la lingua ebraica fu importantissima. Nella Amsterdam dei suoi tempi si parlava in genere il portoghese e, accanto a questo, il giudeo-spagnolo; lingua ufficiale era invece considerato lo spagnolo. Spinoza aveva imparato l’ebraico già da bambino e mantenne con il lashon haqodesh un legame peculiare in cui si riflettono le tensioni del suo pensiero: quelle fra tradizione e secolarizzazione, fra regola e uso, fra linguaggio e ragione.
Nel suo Trattato teologico-politico, in cui compaiono numerose citazioni in ebraico, Spinoza indicò nella Torà - per lui il più grande prodotto dell’immaginazione umana - il fondamento intorno a cui si era formato l’ethos del suo popolo. Critico verso ogni tradizione, anche dopo il bando di cherem restò legato all’unica tradizione che accettava: la lingua ebraica.
E scrisse in latino un Compendio di grammatica della lingua ebraica (finalmente tradotto nel volume: Baruch Spinoza, Tutte le opere, Bompiani, Milano 2010) che doveva essere non una grammatica della Scrittura, ma la “prima grammatica della lingua ebraica”. Rimasta incompiuta, forse per la morte intempestiva dell’autore nel 1677, questa grammatica ebraica valse a Spinoza un riconoscimento da parte di ShaDal, Shemuel David Luzzatto, insigne rabbino, linguista e filologo, che insegnò al Collegio Rabbinico di Padova fino al 1865. Quell’ateo virtuoso, quel razionalista unilaterale, si era però rimesso alle leggi della lingua ebraica. “Se Spinoza si è sempre comportato correttamente, perseguendo la giustizia, mentre i suoi pensieri possono talvolta allontanare dalla retta via […] - scrive ShaDal - ciò deriva dalla lingua santa che amava tanto”.

Donatella Di Cesare, filosofa
 
 
  torna su
rassegna stampa    
 
 
leggi la rassegna
 
 

Gattegna: certe parole ricordano le tesi del secolo scorso
Milano - «Bernabei rispolvera, senza portare alcun elemento di novità, né alcuna notizia specifica, stereotipi che hanno caratterizzato un davvero triste passato... ». L'avvocato Renzo Gattegna è amareggiato. Ma da presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane non ha alcuna intenzione di tacere: «Anche perché queste esternazioni non sono casuali e non rappresentano un singolo episodio, ma fanno parte di un quadro ben preciso e ben noto».
Quello del «complotto ebraico»?
«Sono le posizioni di un cattolicesimo preconciliare ormai superato dagli eventi. E voglio qui ricordare le visite degli ultimi due Papi in sinagoga. Ma ovviamente non possiamo non essere preoccupati».
Non sono posizioni personali?
«A me sembra comunque assai grave la tesi di Bernabei per cui la crisi della società italiana sia stata determinata dall'attacco della finanza ebraica. Ancora più grave e preoccupante è la riproposizione del mito dell'esistenza di una finanza ebraica , tesi già diffusa lo scorso secolo con infauste conseguenze».
E come mai certe proposizioni vengono riproposte?
«Sostenere la tesi dell'esistenza di una organizzazione finanziaria ebraica ha il sapore del diversivo politico e mediatico: serve a spostare l'attenzione dai problemi veri verso soggetti esterni, riversando su questi ogni responsabilità. E questo che fa Bernabei. Purtroppo, sappiamo per esperienza che già in passato, in tempi di crisi economica, tanto in Italia quanto in Europa, si è cercato di trovare dei capri espiatori e di individuare dei diversivi».
Ma lei pensa che sia una posizione diffusa?
«In questa visione apodittica, si può facilmente arrivare a sostenere di tutto. E infatti c'è chi ha affermato addirittura la tesi per cui dalla finanza protestante ed ebraica sarebbero partiti anche il 68, la mafia e il passato, in tempi di terrorismo. È un atteggiamento in cui si può riconoscere l'incapacità di affrontare le questioni del nostro tempo con la dovuta serietà ed onestà intellettuali».
Eppure, sembravano posizioni superate.
«Lei dice? Io temo che ci sia ancora molto da lavorare. Se è vero che la posizione della Chiesa è andata molto avanti, è altrettanto vero che queste conquiste devono essere diffuse tra la popolazione, in tutti i livelli culturali. In caso contrario, alcuni strati della popolazione meno avvertiti potrebbero prenderlo per un ritorno di attualità di vecchi schemi».
Dunque, occorre vigilare?
«Antisemitismo e razzismo sono tendenze che nella storia dell'umanità sono ricorrenti. Non possiamo mai darle per sconfitte. Se vediamo che si riaffacciano, non possiamo che preoccuparci. La crisi italiana ha radici antiche, ma resta senza risposta il fatto che un uomo colto e di dialogo come Bernabei voglia rilanciare concetti così anacronistici e pericolosi proprio in questo momento».
Marco Cremonesi, Il Corriere della Sera, 31 maggio 2010

Accuse alle lobby anti- Chiesa. Protestano le comunità ebraiche
Milano - Il più lapidario è Ettore Goffi Tedeschi: «Pur riconoscendo che Bernabei è un uomo di grandissimo prestigio, non sono per niente d'accordo con le sue affermazioni». La sintetica dichiarazione del presidente dello Ior, la banca vaticana, restituisce bene l'opinione diffusa nel mondo cattolico riguardo alle parole di Ettore Bernabei: grande rispetto per il presidente per antonomasia della Rai, che guidò dal 1958 al 1974, ma ferma presa di distanza da quelle opinioni. Intervistato da Aldo Cazzullo, Bemabei parla infatti di «attacchi alla Chiesa» da parte della «lobby della finanza globalizzata» e poi accenna alla «finanza protestante ed ebraica» che prese di mira l'Italia negli anni 6o. Affermazioni che ieri hanno spinto l'Ucei, l'Unione delle comunità ebraiche, a riunirsi per mettere a punto una risposta. Per il direttore dell'Osservatore Romano, Gian Maria Vian, si può parlare di stupore. «Io – spiega - non sono per nulla d'accordo con queste considerazioni, che peraltro lui riferisce ai primi anni Sessanta. Per quanto conosco Bernabei, di cui io ho stima, ciò mi sembra in contraddizione con quello che lui pensa e ha fatto negli ultimi anni». Il direttore del quotidiano vaticano si riferisce alla Lux Vide, la società di produzione fondata dallo stesso Bemabei: «Da quando ha lasciato la dirigenza pubblica, con Lux ha realizzato una quantità enorme di film di argomento religioso e quindi anche ebraico. Fin all'ultimo caso, Sotto il cielo di Roma su Pio XII, che è in sostanza la storia di una famiglia ebrea. E lui ha sempre tenuto ad avere dei consulenti anche di parte ebraica». Detto questo, Vian non vuole lasciare dubbi: «Ma io certo con quelle dichiarazioni non posso essere d'accordo. Sono stereotipi che non aiutano a comprendere la realtà e anzi potrebbero risultare pericolosi». [...]
M. Cre, il Corriere della Sera, 31 maggio 2010

 
 
  torna su
notizieflash    
 
 
Obama rassicura Netanyahu: “Il trattato sul nucleare                  
non comprometterà la sicurezza dello Stato ebraico”
Toronto, 31 mag -
Un accordo su un Medio Oriente denuclearizzato è stato raggiunto venerdì alla Conferenza di revisione del Trattato di non proliferazione nucleare. “La sicurezza dello Stato israeliano non ne sarà compromessa”, con queste parole il presidente americano Barack Obama ha voluto rassicurare il premier Benjamin Netanyahu prima di firmare il trattato. L'accordo di revisione del Tnp, approvato all'unanimità dai 189 paesi partecipanti, prevede una serie di passi per una riduzione degli arsenali nucleari nel mondo, tra cui la convocazione di una conferenza entro il 2012 per discutere di una completa denuclearizzazione del Medio Oriente. Nonostante le assicurazioni americane, Israele ha fatto sapere che non prenderà parte alla conferenza e ha criticato l'accordo raggiunto a New York affermando che il documento finale non tiene conto del fatto che la vera minaccia in Medio Oriente è costituita dall'Iran e non dallo Stato ebraico.

 
 
    torna su
 
L'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche.
Gli articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili.
Gli utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste, in redazione Daniela Gross.
Avete ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo e-mail, scrivete a: desk@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”.