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L'Unione informa |
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2 giugno 2010 - 20 Sivan 5770 |
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alef/tav |
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Adolfo Locci, rabbino capo di Padova |
“Lì vedemmo i Nefilim...ci pareva di essere locuste ai nostri occhi e tali dovevamo sembrare a loro”(Numeri
13:33).Per le nostre comunità, quelli che stiamo vivendo sono giorni
difficili, ma costituiscono anche un banco di prova simile a quello con
cui i nostri padri si dovettero misurare alle soglie di Erez Israel.
Gli esploratori hanno provocato nel popolo, con la loro relazione
negativa, il manifestarsi della sfiducia sia nel Signore sia verso se
stessi. Tutto ciò determinò il fatto che tutti conosciamo: quella
generazione non entrò in Erez Israel e morì durante i quarant’anni
di viaggio nel deserto. Cerchiamo di dimostrare oggi, soprattutto a noi
stessi, che quella lezione l’abbiamo saggiamente imparata, lo lefached klal. |
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Il
grave episodio della cattura, da parte di Israele in acque
internazionali, della flottiglia di navi dirette verso il porto di Gaza
va esaminato da tre punti di vista. 1) Esiste uno stato di guerra
fra il governo di Hamas a Gaza e lo stato d'Israele, che ha determinato
il blocco del porto di Gaza (con il pieno appoggio dell'Egitto). A Gaza
esistono seri problemi endemici di povertà ma non esiste una crisi
umanitaria, e per rendersene conto basta vedere le immagini televisive
delle belle case nella città ricostruita. L'approvvigionamento civile e
militare passa regolarmente attraverso i tunnel dall'Egitto e i posti
di confine con Israele. A bordo delle navi, con l'appoggio logistico e
politico della Turchia, non vi erano degli innocui "pacifisti" ma una
legione straniera di centinaia di attivisti coinvolti nel
fiancheggiamento al terrorismo e nella propaganda politica
anti-israeliana. Emblematica la figura del vescovo Hylarion Capucci, in
passato fermato per trasporto di materiali esplosivi. Non proprio
secondo le migliori tradizioni, i "pacifisti" hanno usato pugnali,
spranghe di ferro e armi da fuoco. Il tentativo della flottiglia di
rompere il blocco navale di Gaza era, puro e semplice, un atto di
appoggio alla guerra di Hamas contro Israele, e come tale è stato
trattato. 2) Da parte di Israele, se l'obiettivo militare di
impedire l'arrivo delle navi a Gaza è stato conseguito, l'operazione
dal punto di vista politico è un fiasco colossale. I danni di immagine
e anche i danni concreti sul piano delle relazioni internazionali sono
incalcolabili. Anche se il primo sangue versato è stato quello dei
soldati israeliani, l'uccisione di civili durante una dimostrazione,
anche violenta, è sempre un fatto intollerabile. Quando si fanno errori
di valutazione, di pianificazione e di esecuzione talmente clamorosi, i
responsabili devono pagare. Il comandante della marina militare Eliezer
Marom, il capo di stato maggiore Gabi Ashkenazi, il ministro della
difesa Ehud Barak, il ministro Moshe Ya'alon che per un giorno faceva le
veci del primo ministro, e il capo del governo Benyamin Netanyahu,
vanno tutti spediti a casa, e subito. 3) Il governo di Erdogan ha
scelto per la Turchia un corso di alto profilo islamista. Rifletteranno
gli Europei sulla natura del paese che chiede l'ammissione all'Unione
Europea. |
Sergio Della Pergola,
Università Ebraica di Gerusalemme |
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Il nodo di Gaza - Gattegna: "Fatti nuovi per spezzare la spirale di violenza"
Il Presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna ha dichiarato: In
questo momento prevale ancora un sentimento di sgomento e di dolore per
le vittime, per le quali vogliamo esprimere il nostro più sincero
rincrescimento. Si tratta di un incidente in parte annunciato,
poiché era noto che Israele avrebbe permesso l’arrivo a Gaza degli
aiuti umanitari solo dopo aver verificato il contenuto del carico delle
navi, come era noto che la flottiglia avrebbe portato fino in fondo la
propria sfida tentando di forzare il blocco: quindi una rotta di
collisione e foschi presagi che poi si sono avverati nel modo peggiore
e più dannoso per tutte le parti. Certamente sarebbe utile
un’inchiesta imparziale che faccia piena luce sull’accaduto e chiarisca
le responsabilità sull’uso delle armi. Sicuramente, alla luce di quanto
riferito da fonti giornalistiche e mostrato da numerosi filmati,
andrebbe chiarita e considerata la presenza, fra i pacifisti, di alcuni
ben noti attivisti che avrebbero congegnato un’aggressione contro i
militari israeliani. Rimane tutta l’amarezza e la preoccupazione
per la continua escalation di violenza e di incomprensione e dobbiamo
constatare e prendere atto, tra l’altro, del progressivo deterioramento
dei rapporti, un tempo amichevoli, tra Israele e la Turchia. Come
tanti altri riponevamo molte aspettative nella possibilità che il
governo di Ankara potesse svolgere un’utile mediazione; ora assistiamo
al tramonto di una delle poche realistiche speranze che solo pochi mesi
fa sembrava ancora concretamente realizzabile. Ci auguriamo che si
verifichino quanto prima nuovi fatti positivi che permettano
l’inversione di questa spirale di violenza, e che l’emotività del
momento non tocchi i già complessi e delicati equilibri nell’area
mediorientale, scatenando reazioni che farebbero solo il gioco dei nemici della pace.
Renzo Gattegna, Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
Il nodo di Gaza - Piperno (Ugei): "Dolore e vigilanza"
Esprimiamo
il nostro dolore per gli attivisti morti. Riteniamo però inaccettabile
che le manifestazioni di questi giorni diventino il pretesto per
esprimere il mai nascosto odio contro gli ebrei e Israele.” Lo ha
affermato il Presidente dell'Unione dei giovani ebrei d'Italia Giuseppe
Massimo Piperno riguardo ai tragici fatti di lunedì. “Ora - ha aggiunto
il Presidente dell'organizzazione giovanile - bisogna accertarsi di
come siano andate realmente le cose e non abbandonarsi a giudizi
affrettati, d’altronde le immagini diffuse successivamente mostrano
chiaramente l'attacco subito. Il nostro impegno è sul fronte di
un’informazione più chiara e imparziale, affinché la realtà non venga
distorta. Dispiace, però, che non faccia riflettere che dei “pacifisti”
usino asce e coltelli. Il timore più grande è che ristabilita la verità
a nessuno interesserà più della vicenda”.
Il nodo di Gaza - Pacifici: "Dare sicurezza a Israele"
"L'azione
di Israele nasce dalla paura. La paura di essere cancellato dalla
faccia delle terra". Così Riccardo Pacifici, presidente della Comunità
ebraica di Roma in un'intervista all'Ansa commenta la vicenda della
nave turca diretta a Gaza. "Credo che sia evidente all'opinione
pubblica - dice il giorno dopo - il dramma che sta vivendo un
piccolissimo stato con sette milioni di abitanti, arabi compresi,
circondato da un un miliardo di musulmani e non solo loro - basti
pensare a Chavez - che vogliono annientare il suo diritto ad esistere".
"Se Israele avesse dovuto applicare le regole della comunicazione, oggi
- aggiunge - il mondo sarebbe al suo fianco nell'esprimere il cordoglio
per la morte ingiustificata dei suoi soldati. Soldati, e questo deve
essere chiaro a tutti, non addestrati secondo i canoni delle tirannie
pronte a reprimere il dissenso con ogni mezzo. L'etica dell'esercito
israeliano antepone, a volte a rischio della vita dei suoi soldati,
l'esigenza di evitare vittime. Non sempre è possibile. Pacifici non ha
dubbi nel definire "errore e tragedia" gli avvenimenti di ieri, ma
rivolge un appello all'opinione pubblica: "trovi il coraggio di
dimostrare agli israeliani e ai loro governanti di non essere soli, che
non devono avere paura. Cancellare Israele significherebbe cancellare
un paese democratico". Al tempo stesso, però, ci tiene a ricordare che
"'Hamastan, la Striscia di Gaza governata da Hamas, non è un luogo
dove si muore di fame. Lo dimostrano i fiorenti mercati che nonostante
l'embargo israeliano continuano ad essere pieni di ogni cosa: dai beni
di prima necessità a quelli di lusso. Un territorio governato da una
tirannia dispotica e oscurantista che potrebbe destabilizzare il vicino
Egitto e la Giordania. Il diritto di Israele di controllare cosa entra
a Gaza è dimostrato dal lancio quotidiano di missili Kassam sulla
popolazione del sud di Israele. E va ricordato che l'embargo è anche da
parte dell'Egitto". "Se non ci fossero stati i morti di ieri, non avrei
esitato - spiega ancora - a continuare a definire gli pseudo
pacifisti,'pacifintì". A questo proposito cita Monsignor Capucci:
"'uomo di fede' arrestato nel 1979 al confine con il Libano con una
mercedes piena di armi ed esplosivi. Liberato con un atto di clemenza
da Israele con l'impegno di non occuparsi più di questioni
mediorientali: impegno chiaramente disatteso". Il Presidente delle
Comunità ebraica romana ricorda poi che alle navi turche intenzionate a
forzare il blocco "era stato chiesto dai genitori del soldato Gilad
Shalit (detenuto da 4 anni da Hamas) di portare una semplice lettera
per chiedere l'accesso della Croce Rossa internazionale al proprio
figlio. Richiesta respinta. Che dire poi della Ihh, organizzazione
turca promotrice del viaggio in nave, affiliata ad Hamas, già nel
mirino della Cia e responsabile di almeno tre attentati suicidi? Questi
sono i pacifisti che volevano e vogliono sfidare lo stato Israele!
Saranno in piazza il 12 giugno prossimo per ricordare un anno dalla
repressione in Iran del movimento democratico?". "E' giunto il momento
- rilancia Pacifici - che l'Italia e l'Europa dai tragici fatti di ieri
sappiano rilanciare il processo di pace che porti alla nascita di uno
stato palestinese democratico a fianco di Israele. L'Italia in questi
anni si è guadagnata un credito enorme con l'opinione pubblica
israeliana. Sono certo che attraverso le posizioni del governo e anche
di buona parte dell'opposizione parlamentare, possa avanzare una
proposta credibile per porre fine ad un assedio che nessun paese al
mondo sarebbe stato in grado di sostenere se non lo stato di Israele.
Uno stato che dal 1948 ad oggi non ha mai avuto un vero giorno di
pace". "Prima di demonizzare Israele - conclude Pacifici, riferendosi
anche alle manifestazioni pro Palestina di ieri in alcune città
italiane e a Roma dove hanno lambito il quartiere ebraico - si deve
tener conto di questa paura. Solo fermando la tirannia iraniana con il
suo riarmo nucleare e le alleanze costruite con Hamas e Hezbollah ai
confini di Israele, potremo portare avanti il processo di pace. Una
parola questa a cuore agli israeliani e al popolo ebraico in tutto il
mondo".
Il nodo di Gaza - Arbib e De Benedetti: "Pace senza pregiudizi"
Keren
Hayesod e Agenzia Ebraica, fondi internazionali che da oltre 90 anni
contribuiscono alla costruzione, allo sviluppo e alla crescita
economica e sociale dello stato d’Israele, all’indomani dei fatti della
Fottiglia, chiedono con forza una analisi approfondita e serena sul
significato profondo dell’esistenza dello Stato ebraico. Uno
Stato, per tutti gli ebrei che sono andati a vivere e per tutti quelli
che vivendo altrove lo portano nel cuore, sicuri della sua esistenza,
sicuri per la sua esistenza. Johanna Arbib presidente Mondiale del
Consiglio del Keren Hayesod e Claudia De Benedetti Presidente
dell’Agenzia Ebraica per Italia, sottolineano il grave pericolo
incombente di ingiuste condanne come in passato avvenne con la
cosi detta strage di Jenin o quando morì Mohammed Al Dura. Si chiedono
quale paese al mondo, malgrado sia oggetto da oltre 60 anni di un
terrorismo spietato che ha come principio e come fine un’unica
soluzione di “cancellare lo Stato d’Israele dalle Nazioni del Mondo”,
sia pronto a collaborare con autorità riconosciute a livello mondiale,
per una soluzione equa e duratura nel tempo e per il raggiungimento di
una giusta pace senza precondizioni ne pregiudizi. Una pace che
prevede dolorose concessioni al nemico. Keren Hayesod e
Agenzia Ebraica svolgono in queste ore un ruolo fondamentale per
trasmettere la loro solidarietà e vicinanza ad Israele perché il futuro
del popolo ebraico è strettamente connesso con il legame che ogni
ebreo, ovunque nel mondo, stabilisce con Israele.
Qui Milano - Roberto Jarach è il nuovo presidente
Roberto
Jarach è il nuovo presidente della Comunità Ebraica di Milano, con 14
voti a favore, 4 astenuti e una scheda nulla. Dopo la netta
affermazione della lista Ken, da lui guidata (10 consiglieri eletti su
un totale di 19), il primo Consiglio ha sancito quello che già
all’indomani delle elezioni del 16 maggio era nell’aria. Tanti gli
iscritti della Comunità milanese venuti ad assistere alla riunione, in
cui non sono mancate le polemiche, specie per la decisione della
maggioranza di dare vita a una giunta monocolore, scelta giudicata da
molti consiglieri di minoranza come un segnale di poca disponibilità
alla condivisione auspicata da più parti. Ad Alberto Foà,
economista di grande esperienza nel settore bancario e consulente
finanziario è andato l’assessorato alle finanze, mentre Paola Sereni,
già professoressa di lettere e preside del liceo della scuola ebraica
per più di trent’anni, sarà assessore alla scuola. Assessore alla
cultura è stato nominato Daniele Cohen, per quello ai servizi sociali e
alla Casa di riposo, è stato eletto Claudio Gabbai, mentre l’incarico
di assessore al culto sarà ricoperto da Milo Hasbani. Da segnalare
infine l’assessorato ai rapporti con la cittadinanza, per cui è stato
scelto il ventisettenne ed ex presidente dell’Unione giovani ebrei
d’Italia Daniele Nahum. Saranno proprio lui e Alberto Foà, a ricoprire
la carica di vicepresidente.
Rossella Tercatin
Qui Milano - "Risanamento e rilancio"
È
soddisfatto Roberto Jarach, dopo il consiglio, mentre aspetta che la
giunta sia pronta per la prima riunione. Soddisfatto per il successo
che ha ottenuto la sua lista, ma anche la sua personale candidatura,
che ha incassato l’appoggio di buona parte dei consiglieri di
minoranza, oltre che dei membri di Ken. Nato nel 1944, ingegnere, da
nove mandati membro del consiglio della Comunità Ebraica di Milano,
conosce bene le sue dinamiche ed è consapevole del fatto che c’è
tantissimo lavoro ad aspettare lui e la sua giunta, nonostante l’estate
imminente. Presidente, quali saranno le vostre prime mosse? Il
punto cui abbiamo dato priorità assoluta, sin dalla campagna
elettorale, è il risanamento dei conti. Secondo la nostra visione,
quando si tratta di gestire le finanze della Comunità, è necessario
agire in termini aziendalistici, con un budget e dei vincoli precisi.
Per questo, con l’assessore alle finanze Alberto Foà, ci occuperemo
immediatamente della revisione del bilancio preventivo del secondo
semestre 2010, con obiettivi chiari: riqualificare il debito, far
quadrare i conti. Qualcuno teme
che questa politica andrà a tagliare alcuni servizi essenziali, specie
per quanto riguarda la scuola della Comunità, anch’essa al centro del
dibattito in campagna elettorale. Per quanto riguarda la
scuola, andrà rivalutato il rapporto costi-benefici dei vari progetti.
Questo significa per esempio che non possiamo pensare di mettere in
campo proposte particolarmente costose che poi alla luce dei fatti
coinvolgono solo pochissimi bambini. Ma occorre precisare che questo
discorso non coinvolge i servizi essenziali. Non vogliamo ridurre né
qualità né attrattiva della scuola, anzi puntiamo a incrementarle, per
aumentare così il numero di studenti iscritti. E per quanto riguarda i rapporti con le altre due scuole ebraiche milanesi? Il
tema è molto dibattuto, e ce ne occuperemo senz’altro. La mia opinione
è che ci siano degli spazi di collaborazione. Forse non sono
amplissimi, ma esistono e vanno sfruttati. In
consiglio ha suscitato molte polemiche la scelta di nominare come
membri della giunta solo consiglieri eletti con la lista Ken. È
stata una decisione che abbiamo preso in modo ragionato esaminando le
varie opzioni. Prima di tutto dobbiamo considerare il risultato delle
elezioni, che ci hanno conferito la maggioranza assoluta, con un
mandato forte dunque, e le aspettative dei nostri elettori.
Secondariamente, se si fosse deciso di nominare uno o due assessori tra
gli esponenti della minoranza, si sarebbe posto il problema di quali
liste scegliere, considerando che, oltre a noi, in consiglio ce ne sono
cinque. Il rischio sarebbe stato quello di eccessive discussioni e poca
serenità di lavoro. Questo non significa che non ci sia da parte nostra
una volontà di collaborazione con tutti. La giunta rimane un organo
tecnico per prendere delle decisioni. Per quanto riguarda il lavoro
quotidiano abbiamo pensato di creare delle commissioni, guidate da
ciascun assessore, che possano raccogliere competenze ed esperienze nei
vari campi non solo degli altri consiglieri, ma anche di tutti gli
iscritti della Comunità desiderosi di dare un contributo. In
una parte della Comunità, quella più osservante, esiste il timore che
questa giunta non rivolgerà sufficiente attenzione alle sue esigenze,
timore che è stato espresso in consiglio da alcuni esponenti della
lista Per Israele. La nostra intenzione è quella di
rafforzare il rapporto con il rabbinato. Vogliamo lavorare insieme,
coinvolgerlo maggiormente nella formazione delle decisioni rispetto a
quanto accadeva in passato, e auspichiamo che questa confronto possa
essere reciproco.
r.t.
Il nodo di Gaza - Israele analizza la crisi
Israele
contro il mondo, il mondo contro Israele. Il caso Freedom Flottilla ha
reso più profonda la frattura tra lo stato ebraico e la comunità
internazionale; Unione Europea e Onu puntano il dito contro
l’operazione “venti del cielo” e chiedono a gran voce l’apertura di
un’inchiesta sul caso mentre le condanne all’azione militare dell’IDF
si susseguono. Intanto, in Israele, cresce la sensazione di isolamento
e i media si dividono: c’è chi parla di attacchi e delegittimazione
ingiustificata, di un mondo anti-israeliano che rimane sordo davanti
alle ragioni del governo di Gerusalemme; dall’altra parte, c’è chi
critica aspramente le scelte dell’esecutivo e degli altri gradi
dell’esercito, invocando dimissioni e punizioni esemplari. “E’
quasi un riflesso incondizionato: bisogna accusare Israele” ha
sostenuto il ministro Yossi Peled in un’intervista alla trasmissione
mattutina Boker Tov Israel della radio Galgalatz, l’emittente dell’IDF.
“E’ diventata una moda dover sempre mettere in discussione un evento in
realtà nato per autodifesa. C’era un ordine chiaro: le navi non
potevano raggiungere Gaza”. La critica di Peled non è solamente diretta
alle continue accuse internazionali ma si riferisce anche ad alcuni
media israeliani che, come ha fatto notare Micah Perdman di Boker Tov
Israel, si sono duramente scagliati contro le decisioni del governo. Di
rimando, Netanyahu, Barak e altri esponenti del Likud hanno attaccato
giornali, radio e televisioni, definendo le aspre critiche come cattiva
informazione. Schierato con l’esecutivo, Maariv, popolare quotidiano
israeliano, titolava l’editoriale in prima pagina “Silenzio e saluto
militare”, definendo un fallimento l’operazione ma riconoscendo come
eroi i soldati della marina “scampati al linciaggio”. “Israele è
impegnato in una guerra eroica come avamposto della democrazia” scrive
il giornalista Boaz Bismuth su Israel Hayom, giornale gratuito di larga
diffusione, e aggiunge “il mondo è tutto contro di noi”. Sulla stessa
linea l’editoriale del Jerusalem Post “ovviamente gran parte della
comunità internazionale si è precipitata a giudicare e a decidere sulla
colpevolezza di Israele. E’ come se un torrente represso e rabbioso di
odio anti-israeliano fosse riuscito finalmente ad emergere. E la
critica, ovviamente, sarà intesa come una legittimazione per la parte
più violenta degli attivisti, che penseranno di poter creare ulteriori
incidenti di questo tipo”. Di parere contrario Dan Kaspi, docente
all’Università di Beer Sheva, su Yediot Ahronot che anzi diffida dal
cercare all’esterno le colpe ma di guardare alle responsabilità
israeliane. “Politicamente” scrive Kaspi “assistiamo all’ennesimo
tentativo di distogliere l’attenzione. Il governo accusa alcuni
giornali israeliani di cattiva informazione (הסברע – Hasbarah, gioco di
parole in ebraico traducibile appunto con informazione cattiva), questo
attacco ha una sua specificità: ogni volta che c’è un problema nella
conduzione politica, primo ministro e soci accusano l’informazione;
sfogano le frustrazioni dell’opinione pubblica catalizzando
l’attenzione sull’Hasbarah-capro espiatorio”. Per tornare alla
diffusa sensazione di “Israele contro tutto e tutti”, il controverso
giornalista Gideon Levy scrive “Cosa abbiamo oggi? Un paese che si sta
rapidamente e completamente isolando. Ancora una volta lunedì sembrava,
e non per la prima volta, che Israele è sempre più in rottura con la
nave madre, sta perdendo il contatto con il mondo, che non accetta le
sue azioni e non capisce le sue motivazioni”. A prescindere
dall’orientamento politico, dunque, è necessario interrogarsi su
Israele e la direzione che dovrà prendere: combattere un mondo che
sembra non comprendere le sue ragioni o ammorbidire la linea,
scegliendo il compromesso.
Daniel Reichel
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Il nodo di Gaza - Gli aiuti umanitari sono altra cosa
Al
di là della controversa ricostruzione dei fatti, la drammatica vicenda
della Freedom Flotilla non può non suscitare il più profondo sgomento,
per quanto è accaduto, per quanto sta accadendo e per quanto potrà
ancora accadere. Il profondo cordoglio per le vittime, e il
legittimo desiderio di chiarimenti da parte delle autorità israeliane,
non può far passare sotto silenzio le gravi responsabilità degli
organizzatori della spedizione pacifista, le cui intenzioni dichiarate,
anziché quelle di portare concreto aiuto alla popolazione palestinese –
obiettivo che sarebbe stato tranquillamente e pacificamente raggiunto,
ove si fosse accettato l’invito a fare attraccare il convoglio nel
porto di Ashdod, per poi trasferire il carico a Gaza, dopo gli
opportuni controlli – erano quelle di rompere il blocco navale, posto
per motivi di sicurezza, sfidando l’autorità di Israele e negando il
suo diritto all’autodifesa. E’ del tutto evidente che, anche se le
tragiche conseguenze dell’azione non erano prevedibili, nelle loro
tragiche dimensioni, una deriva violenta dell’operazione era certo da
mettere in conto: non è facile impedire, con la forza, un’azione di
forza, evitando che da ciò derivi alcun danno alle persone. Una
riprovazione, anche severa, del comportamento della marina militare
israeliane, non dovrebbe disgiungersi da un tale giudizio critico
riguardo all’azione provocatoria dei pacifisti, e all’assoluta
irresponsabilità dimostrata dal governo turco (sempre più in sintonia
con le posizioni di Iran e Siria e, oggettivamente, anche di Hamas),
così come la comprensione per le ragioni del governo di Gerusalemme non
impedisce di esprimere solidarietà alle vittime e alle loro famiglie.
Ma di tali argomenti, nel coro mondiale di condanna, o
criminalizzazione, dello Stato ebraico, non c’è quasi traccia. E ciò,
purtroppo, non sorprende. Il vaso di Pandora dell’odio antiebraico,
com’è noto, non attende che di essere scoperchiato. Ma anche fra i
commenti degli “amici critici”, molti sembrano avere decisamente
superato il segno, come nel caso dell’accostamento fra la Flotilla ed
Exodus, azzardato ieri, sulle colonne di Repubblica, da Gad
Lerner. Non si può disconoscere che, se intenzione degli
organizzatori era, soprattutto, quella di nuocere all’immagine
internazionale di Israele (con la finta rappresentazione di un nobile
aiuto umanitario prestato a una popolazione soffocata da una protervo
assedio: in realtà, ogni giorno entrano a Gaza, dai valichi già
esistenti, numerosi camion di aiuti internazionali), essa sembra avere
raggiunto, molto al di là delle intenzioni, uno straordinario, sinistro
risultato. Con quanto beneficio per la popolazione civile di Gaza, o
per la più generale causa della pace, è facile immaginare.
Francesco Lucrezi, storico
Merci rare
In
queste ore drammatiche, si è dimesso Horst Koehler, presidente della
Repubblica federale tedesca. A causare il suo gesto una frase infelice
in un’intervista sull’Afghanistan: in sostanza, Koehler ha affermato
che la missione di pace serve anche a tutelare gli interessi economici
della nazione. Un concetto che non appare così terribile, ma che
l’opinione pubblica è letto come guerrafondaio, sufficiente a meritare
un atto di scuse eclatante e imprevisto. Irrevocabile. Alcune
giorni fa Barack Obama si è recato nuovamente sulle spiagge della
Louisiana, ormai coperte da una spessa coltre oleosa. Mentre i tecnici
della compagnia responsabile e gli scienziati di tutto il mondo si
affannano a cercare una soluzione che blocchi la fuoriuscita di greggio
nel mare, si fanno più chiare le responsabilità dell’accaduto: mancata
prevenzione ed errori di sottovalutazione. Ciò non impedisce al
presidente Obama di dichiarare immediatamente: «Io sono il presidente e
la responsabilità ultima di questa crisi è mia, non vi lasceremo soli».
Pur consapevole di non avere alcuna colpa specifica, gli sembra
naturale procedere con questa affermazione. Lo scorso agosto il
premier giapponese Taro Aso perse le elezioni. Un minuto dopo era
davanti ai microfoni: «Ho perso. Ho sbagliato. Chiedo scusa ai
giapponesi». Queste le sue, per noi incredibili, parole. Alcuni mesi
dopo il suo successore, ricevuto il diniego USA di spostare la base
militare dall’isola di Okinawa come promesso in campagna elettorale,
vola appositamente sul posto per chiedere scusa agli abitanti. Questi
tre esempi mostrano quali debbano essere le qualità di un leader,
elaborate nella tradizione rabbinica a proposito di Mosè (senza
risparmiare la “critiche”): assumersi le responsabilità, dire la
verità, saper chiedere scusa. Merci rare, purtroppo, di questi tempi.
Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas
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Così i pacifisti linciavano i soldati
Alle
tavole di Mosè è stato aggiunto l'undicesimo comandamento: guai a stare
con Israele. Chi sgarra paga un caro prezzo: insulti, disprezzo,
attacchi rabbiosi. Il nostro titolo di ieri ha scatenato un putiferio:
"Israele ha fatto bene a sparare". Il Giornale è stato bersagliato, ma
anche lodato. Ciò che sorprende è come tanta gente si sia scagliata
contro la Stella di David senza sapere cosa in realtà fosse successo in
mare. E dire che il Tg2 delle ore 13 ha mandato in onda un filmato che
dovrebbe chiudere ogni discussione, perché dimostra che i sedicenti
pacifisti erano guerriglieri attrezzati di tutto punto. E pestavano di
brutto. [...] Vittorio Feltri, Il Giornale, 2 giugno 2010
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notizieflash |
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Vittorio Pavoncello: “Il Maccabi Day un grande successo, grazie Roberto” Vittorio
Pavoncello, presidente della Federazione Italiana Maccabi, fa il
bilancio sul Maccabi Day, la giornata di giochi e gare che ha visto
oltre cento giovani ebrei italiani dagli 8 ai 14 anni affluire a
Firenze domenica scorsa: “È andato molto bene, la riuscita di eventi
come questi è uno stimolo ad andare avanti con la grande determinazione
di sempre per far crescere i nostri figli con solidi valori sia ebraici
che sportivi”. Pavoncello ha parole di stima e profonda gratitudine per
Roberto Di Porto, il principale organizzatore della giornata
fiorentina: “Roberto è il motore del Maccabi, senza di lui
sarebbe difficile fare qualsiasi cosa”. |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
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