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    2 giugno 2010 - 20 Sivan 5770  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
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  Adolfo Locci Adolfo
Locci,

rabbino capo
di Padova
Lì vedemmo i Nefilim...ci pareva di essere locuste  ai nostri occhi e tali dovevamo sembrare a loro”(Numeri 13:33).Per le nostre comunità, quelli che stiamo vivendo sono giorni difficili, ma costituiscono anche un banco di prova simile a quello con cui i nostri padri si dovettero misurare alle soglie di Erez Israel. Gli esploratori hanno provocato nel popolo, con la loro relazione negativa, il manifestarsi della sfiducia sia nel Signore sia verso se stessi. Tutto ciò determinò il fatto che tutti conosciamo: quella generazione non entrò in Erez Israel e morì durante i quarant’anni di viaggio nel deserto. Cerchiamo di dimostrare oggi, soprattutto a noi stessi, che quella lezione l’abbiamo saggiamente imparata, lo lefached klal.
Il grave episodio della cattura, da parte di Israele in acque internazionali, della flottiglia di navi dirette verso il porto di Gaza va esaminato da tre punti di vista. 1) Esiste uno stato di guerra fra il governo di Hamas a Gaza e lo stato d'Israele, che ha determinato il blocco del porto di Gaza (con il pieno appoggio dell'Egitto). A Gaza esistono seri problemi endemici di povertà ma non esiste una crisi umanitaria, e per rendersene conto basta vedere le immagini televisive delle belle case nella città ricostruita. L'approvvigionamento civile e militare passa regolarmente attraverso i tunnel dall'Egitto e i posti di confine con Israele. A bordo delle navi, con l'appoggio logistico e politico della Turchia, non vi erano degli innocui "pacifisti" ma una legione straniera di centinaia di attivisti coinvolti nel fiancheggiamento al terrorismo e nella propaganda politica anti-israeliana. Emblematica la figura del vescovo Hylarion Capucci, in passato fermato per trasporto di materiali esplosivi. Non proprio secondo le migliori tradizioni, i "pacifisti" hanno usato pugnali, spranghe di ferro e armi da fuoco. Il tentativo della flottiglia di rompere il blocco navale di Gaza era, puro e semplice, un atto di appoggio alla guerra di Hamas contro Israele, e come tale è stato trattato. 2) Da parte di Israele, se l'obiettivo militare di impedire l'arrivo delle navi a Gaza è stato conseguito, l'operazione dal punto di vista politico è un fiasco colossale. I danni di immagine e anche i danni concreti sul piano delle relazioni internazionali sono incalcolabili. Anche se il primo sangue versato è stato quello dei soldati israeliani, l'uccisione di civili durante una dimostrazione, anche violenta, è sempre un fatto intollerabile. Quando si fanno errori di valutazione, di pianificazione e di esecuzione talmente clamorosi, i responsabili devono pagare. Il comandante della marina militare Eliezer Marom, il capo di stato maggiore Gabi Ashkenazi, il ministro della difesa Ehud Barak, il ministro Moshe Ya'alon che per un giorno faceva le veci del primo ministro, e il capo del governo Benyamin Netanyahu, vanno tutti spediti a casa, e subito. 3) Il governo di Erdogan ha scelto per la Turchia un corso di alto profilo islamista. Rifletteranno gli Europei sulla natura del paese che chiede l'ammissione all'Unione Europea. Sergio
Della Pergola,

Università Ebraica di Gerusalemme
sergio della pergola  
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  Il nodo di Gaza - Gattegna: "Fatti nuovi per spezzare la spirale
di violenza"


GattegnaIl Presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna ha dichiarato:
In questo momento prevale ancora un sentimento di sgomento e di dolore per le vittime, per le quali vogliamo esprimere il nostro più sincero rincrescimento.
Si tratta di un incidente in parte annunciato, poiché era noto che Israele avrebbe permesso l’arrivo a Gaza degli aiuti umanitari solo dopo aver verificato il contenuto del carico delle navi, come era noto che la flottiglia avrebbe portato fino in fondo la propria sfida tentando di forzare il blocco: quindi una rotta di collisione e foschi presagi che poi si sono avverati nel modo peggiore e più dannoso per tutte le parti.
Certamente sarebbe utile un’inchiesta imparziale che faccia piena luce sull’accaduto e chiarisca le responsabilità sull’uso delle armi. Sicuramente, alla luce di quanto riferito da fonti giornalistiche e mostrato da numerosi filmati, andrebbe chiarita e considerata la presenza, fra i pacifisti, di alcuni ben noti attivisti che avrebbero congegnato un’aggressione contro i militari israeliani.
Rimane tutta l’amarezza e la preoccupazione per la continua escalation di violenza e di incomprensione e dobbiamo constatare e prendere atto, tra l’altro, del progressivo deterioramento dei rapporti, un tempo amichevoli, tra Israele e la Turchia.
Come tanti altri riponevamo molte aspettative nella possibilità che il governo di Ankara potesse svolgere un’utile mediazione; ora assistiamo al tramonto di una delle poche realistiche speranze che solo pochi mesi fa sembrava ancora concretamente realizzabile.
Ci auguriamo che si verifichino quanto prima nuovi fatti positivi che permettano l’inversione di questa spirale di violenza, e che l’emotività del momento non tocchi i già complessi e delicati equilibri nell’area mediorientale, scatenando reazioni che farebbero solo il gioco dei nemici della pace.


Renzo Gattegna, Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane



Il nodo di Gaza - Piperno (Ugei): "Dolore e vigilanza"


piperno ugeiEsprimiamo il nostro dolore per gli attivisti morti. Riteniamo però inaccettabile che le manifestazioni di questi giorni diventino il pretesto per esprimere il mai nascosto odio contro gli ebrei e Israele.” Lo ha affermato il Presidente dell'Unione dei giovani ebrei d'Italia Giuseppe Massimo Piperno riguardo ai tragici fatti di lunedì. “Ora - ha aggiunto il Presidente dell'organizzazione giovanile - bisogna accertarsi di come siano andate realmente le cose e non abbandonarsi a giudizi affrettati, d’altronde le immagini diffuse successivamente mostrano chiaramente l'attacco subito. Il nostro impegno è sul fronte di un’informazione più chiara e imparziale, affinché la realtà non venga distorta. Dispiace, però, che non faccia riflettere che dei “pacifisti” usino asce e coltelli. Il timore più grande è che ristabilita la verità a nessuno interesserà più della
vicenda”.


Il nodo di Gaza - Pacifici: "Dare sicurezza a Israele"


Pacifici"L'azione di Israele nasce dalla paura. La paura di essere cancellato dalla faccia delle terra". Così Riccardo Pacifici, presidente della Comunità ebraica di Roma in un'intervista all'Ansa commenta la vicenda della nave turca diretta a Gaza. "Credo che sia evidente all'opinione pubblica - dice il giorno dopo - il dramma che sta vivendo un piccolissimo stato con sette milioni di abitanti, arabi compresi, circondato da un un miliardo di musulmani e non solo loro - basti pensare a Chavez - che vogliono annientare il suo diritto ad esistere". "Se Israele avesse dovuto applicare le regole della comunicazione, oggi - aggiunge - il mondo sarebbe al suo fianco nell'esprimere il cordoglio per la morte ingiustificata dei suoi soldati. Soldati, e questo deve essere chiaro a tutti, non addestrati secondo i canoni delle tirannie pronte a reprimere il dissenso con ogni mezzo. L'etica dell'esercito israeliano antepone, a volte a rischio della vita dei suoi soldati, l'esigenza di evitare vittime. Non sempre è possibile. Pacifici non ha dubbi nel definire "errore e tragedia" gli avvenimenti di ieri, ma rivolge un appello all'opinione pubblica: "trovi il coraggio di dimostrare agli israeliani e ai loro governanti di non essere soli, che non devono avere paura. Cancellare Israele significherebbe cancellare un paese democratico". Al tempo stesso, però, ci tiene a ricordare che "'Hamastan, la Striscia di Gaza governata da Hamas, non è un luogo dove si muore di fame. Lo dimostrano i fiorenti mercati che nonostante l'embargo israeliano continuano ad essere pieni di ogni cosa: dai beni di prima necessità a quelli di lusso. Un territorio governato da una tirannia dispotica e oscurantista che potrebbe destabilizzare il vicino Egitto e la Giordania. Il diritto di Israele di controllare cosa entra a Gaza è dimostrato dal lancio quotidiano di missili Kassam sulla popolazione del sud di Israele. E va ricordato che l'embargo è anche da parte dell'Egitto". "Se non ci fossero stati i morti di ieri, non avrei esitato - spiega ancora - a continuare a definire gli pseudo pacifisti,'pacifintì". A questo proposito cita Monsignor Capucci: "'uomo di fede' arrestato nel 1979 al confine con il Libano con una mercedes piena di armi ed esplosivi. Liberato con un atto di clemenza da Israele con l'impegno di non occuparsi più di questioni mediorientali: impegno chiaramente disatteso". Il Presidente delle Comunità ebraica romana ricorda poi che alle navi turche intenzionate a forzare il blocco "era stato chiesto dai genitori del soldato Gilad Shalit (detenuto da 4 anni da Hamas) di portare una semplice lettera per chiedere l'accesso della Croce Rossa internazionale al proprio figlio. Richiesta respinta. Che dire poi della Ihh, organizzazione turca promotrice del viaggio in nave, affiliata ad Hamas, già nel mirino della Cia e responsabile di almeno tre attentati suicidi? Questi sono i pacifisti che volevano e vogliono sfidare lo stato Israele! Saranno in piazza il 12 giugno prossimo per ricordare un anno dalla repressione in Iran del movimento democratico?". "E' giunto il momento - rilancia Pacifici - che l'Italia e l'Europa dai tragici fatti di ieri sappiano rilanciare il processo di pace che porti alla nascita di uno stato palestinese democratico a fianco di Israele. L'Italia in questi anni si è guadagnata un credito enorme con l'opinione pubblica israeliana. Sono certo che attraverso le posizioni del governo e anche di buona parte dell'opposizione parlamentare, possa avanzare una proposta credibile per porre fine ad un assedio che nessun paese al mondo sarebbe stato in grado di sostenere se non lo stato di Israele. Uno stato che dal 1948 ad oggi non ha mai avuto un vero giorno di pace". "Prima di demonizzare Israele - conclude Pacifici, riferendosi anche alle manifestazioni pro Palestina di ieri in alcune città italiane e a Roma dove hanno lambito il quartiere ebraico - si deve tener conto di questa paura. Solo fermando la tirannia iraniana con il suo riarmo nucleare e le alleanze costruite con Hamas e Hezbollah ai confini di Israele, potremo portare avanti il processo di pace. Una parola questa a cuore agli israeliani e al popolo ebraico in tutto il mondo".  


Il nodo di Gaza - Arbib  e De Benedetti: "Pace senza pregiudizi"


debenedettiKeren Hayesod e Agenzia Ebraica, fondi internazionali che da oltre 90 anni contribuiscono alla costruzione, allo sviluppo e alla crescita economica e sociale dello stato d’Israele, all’indomani dei fatti della Fottiglia, chiedono con forza una analisi approfondita e serena sul significato profondo dell’esistenza dello Stato ebraico.
Uno Stato, per tutti gli ebrei che sono andati a vivere e per tutti quelli che vivendo altrove lo portano nel cuore, sicuri della sua esistenza, sicuri per la sua esistenza.
Johanna Arbib presidente Mondiale del Consiglio del Keren Hayesod e Claudia De Benedetti Presidente dell’Agenzia Ebraica per Italia, sottolineano il grave pericolo incombente di ingiuste condanne come in passato  avvenne con la cosi detta strage di Jenin o quando morì Mohammed Al Dura. Si chiedono quale paese al mondo, malgrado sia oggetto da  oltre 60 anni di un terrorismo spietato che ha come principio e come fine un’unica soluzione di “cancellare lo Stato d’Israele dalle Nazioni del Mondo”, sia pronto a collaborare con autorità riconosciute a livello mondiale, per una soluzione equa e duratura nel tempo e per il raggiungimento di una giusta pace senza  precondizioni ne pregiudizi. Una pace che prevede dolorose concessioni al nemico.
Keren Hayesod  e Agenzia Ebraica  svolgono in queste ore un ruolo fondamentale per trasmettere la loro solidarietà e vicinanza ad Israele perché il futuro del popolo ebraico è strettamente connesso con il legame che ogni ebreo, ovunque nel mondo, stabilisce con Israele.



Qui Milano - Roberto Jarach è il nuovo presidente 

giunta comunitàRoberto Jarach è il nuovo presidente della Comunità Ebraica di Milano, con 14 voti a favore, 4 astenuti e una scheda nulla. Dopo la netta affermazione della lista Ken, da lui guidata (10 consiglieri eletti su un totale di 19), il primo Consiglio ha sancito quello che già all’indomani delle elezioni del 16 maggio era nell’aria. Tanti gli iscritti della Comunità milanese venuti ad assistere alla riunione, in cui non sono mancate le polemiche, specie per la decisione della maggioranza di dare vita a una giunta monocolore, scelta giudicata da molti consiglieri di minoranza come un segnale di poca disponibilità alla condivisione auspicata da più parti.
Ad Alberto Foà, economista di grande esperienza nel settore bancario e consulente finanziario è andato l’assessorato alle finanze, mentre Paola Sereni, già professoressa di lettere e preside del liceo della scuola ebraica per più di trent’anni, sarà assessore alla scuola.
Assessore alla cultura è stato nominato Daniele Cohen, per quello ai servizi sociali e alla Casa di riposo, è stato eletto Claudio Gabbai, mentre l’incarico di assessore al culto sarà ricoperto da Milo Hasbani. Da segnalare infine l’assessorato ai rapporti con la cittadinanza, per cui è stato scelto il ventisettenne ed ex presidente dell’Unione giovani ebrei d’Italia Daniele Nahum. Saranno proprio lui e Alberto Foà, a ricoprire la carica di vicepresidente.

Rossella Tercatin


Qui Milano - "Risanamento e rilancio"

JarachÈ soddisfatto Roberto Jarach, dopo il consiglio, mentre aspetta che la giunta sia pronta per la prima riunione. Soddisfatto per il successo che ha ottenuto la sua lista, ma anche la sua personale candidatura, che ha incassato l’appoggio di buona parte dei consiglieri di minoranza, oltre che dei membri di Ken. Nato nel 1944, ingegnere, da nove mandati membro del consiglio della Comunità Ebraica di Milano, conosce bene le sue dinamiche ed è consapevole del fatto che c’è tantissimo lavoro ad aspettare lui e la sua giunta, nonostante l’estate imminente.
Presidente, quali saranno le vostre prime mosse?
Il punto cui abbiamo dato priorità assoluta, sin dalla campagna elettorale, è il risanamento dei conti. Secondo la nostra visione, quando si tratta di gestire le finanze della Comunità, è necessario agire in termini aziendalistici, con un budget e dei vincoli precisi. Per questo, con l’assessore alle finanze Alberto Foà, ci occuperemo immediatamente della revisione del bilancio preventivo del secondo semestre 2010, con obiettivi chiari: riqualificare il debito, far quadrare i conti.
Qualcuno teme che questa politica andrà a tagliare alcuni servizi essenziali, specie per quanto riguarda la scuola della Comunità, anch’essa al centro del dibattito in campagna elettorale.
Per quanto riguarda la scuola, andrà rivalutato il rapporto costi-benefici dei vari progetti. Questo significa per esempio che non possiamo pensare di mettere in campo proposte particolarmente costose che poi alla luce dei fatti coinvolgono solo pochissimi bambini. Ma occorre precisare che questo discorso non coinvolge i servizi essenziali. Non vogliamo ridurre né qualità né attrattiva della scuola, anzi puntiamo a incrementarle, per aumentare così il numero di studenti iscritti.
E per quanto riguarda i rapporti con le altre due scuole ebraiche milanesi?
Il tema è molto dibattuto, e ce ne occuperemo senz’altro. La mia opinione è che ci siano degli spazi di collaborazione. Forse non sono amplissimi, ma esistono e vanno sfruttati.
In consiglio ha suscitato molte polemiche la scelta di nominare come membri della giunta solo consiglieri eletti con la lista Ken.
È stata una decisione che abbiamo preso in modo ragionato esaminando le varie opzioni. Prima di tutto dobbiamo considerare il risultato delle elezioni, che ci hanno conferito la maggioranza assoluta, con un mandato forte dunque, e le aspettative dei nostri elettori. Secondariamente, se si fosse deciso di nominare uno o due assessori tra gli esponenti della minoranza, si sarebbe posto il problema di quali liste scegliere, considerando che, oltre a noi, in consiglio ce ne sono cinque. Il rischio sarebbe stato quello di eccessive discussioni e poca serenità di lavoro. Questo non significa che non ci sia da parte nostra una volontà di collaborazione con tutti. La giunta rimane un organo tecnico per prendere delle decisioni. Per quanto riguarda il lavoro quotidiano abbiamo pensato di creare delle commissioni, guidate da ciascun assessore, che possano raccogliere competenze ed esperienze nei vari campi non solo degli altri consiglieri, ma anche di tutti gli iscritti della Comunità desiderosi di dare un contributo.
In una parte della Comunità, quella più osservante, esiste il timore che questa giunta non rivolgerà sufficiente attenzione alle sue esigenze, timore che è stato espresso in consiglio da alcuni esponenti della lista Per Israele.
La nostra intenzione è quella di rafforzare il rapporto con il rabbinato. Vogliamo lavorare insieme, coinvolgerlo maggiormente nella formazione delle decisioni rispetto a quanto accadeva in passato, e auspichiamo che questa confronto possa essere reciproco.

r.t.




Il nodo di Gaza - Israele analizza la crisi

Israele contro il mondo, il mondo contro Israele. Il caso Freedom Flottilla ha reso più profonda la frattura tra lo stato ebraico e la comunità internazionale; Unione Europea e Onu puntano il dito contro l’operazione “venti del cielo” e chiedono a gran voce l’apertura di un’inchiesta sul caso mentre le condanne all’azione militare dell’IDF si susseguono. Intanto, in Israele, cresce la sensazione di isolamento e i media si dividono: c’è chi parla di attacchi e delegittimazione ingiustificata, di un mondo anti-israeliano che rimane sordo davanti alle ragioni del governo di Gerusalemme; dall’altra parte, c’è chi critica aspramente le scelte dell’esecutivo e degli altri gradi dell’esercito, invocando dimissioni e punizioni esemplari.
“E’ quasi un riflesso incondizionato: bisogna accusare Israele” ha sostenuto il ministro Yossi Peled in un’intervista alla trasmissione mattutina Boker Tov Israel della radio Galgalatz, l’emittente dell’IDF. “E’ diventata una moda dover sempre mettere in discussione un evento in realtà nato per autodifesa. C’era un ordine chiaro: le navi non potevano raggiungere Gaza”. La critica di Peled non è solamente diretta alle continue accuse internazionali ma si riferisce anche ad alcuni media israeliani che, come ha fatto notare Micah Perdman di Boker Tov Israel, si sono duramente scagliati contro le decisioni del governo. Di rimando, Netanyahu, Barak e altri esponenti del Likud hanno attaccato giornali, radio e televisioni, definendo le aspre critiche come cattiva informazione. Schierato con l’esecutivo, Maariv, popolare quotidiano israeliano, titolava l’editoriale in prima pagina “Silenzio e saluto militare”, definendo un fallimento l’operazione ma riconoscendo come eroi i soldati della marina “scampati al linciaggio”. “Israele è impegnato in una guerra eroica come avamposto della democrazia” scrive il giornalista Boaz Bismuth su Israel Hayom, giornale gratuito di larga diffusione, e aggiunge “il mondo è tutto contro di noi”. Sulla stessa linea l’editoriale del Jerusalem Post “ovviamente gran parte della comunità internazionale si è precipitata a giudicare e a decidere sulla colpevolezza di Israele. E’ come se un torrente represso e rabbioso di odio anti-israeliano fosse riuscito finalmente ad emergere. E la critica, ovviamente, sarà intesa come una legittimazione per la parte più violenta degli attivisti, che penseranno di poter creare ulteriori incidenti di questo tipo”.
Di parere contrario Dan Kaspi, docente all’Università di Beer Sheva, su Yediot Ahronot che anzi diffida dal cercare all’esterno le colpe ma di guardare alle responsabilità israeliane. “Politicamente” scrive Kaspi “assistiamo all’ennesimo tentativo di distogliere l’attenzione. Il governo accusa alcuni giornali israeliani di cattiva informazione (הסברע – Hasbarah, gioco di parole in ebraico traducibile appunto con informazione cattiva), questo attacco ha una sua specificità: ogni volta che c’è un problema nella conduzione politica, primo ministro e soci accusano l’informazione; sfogano le frustrazioni dell’opinione pubblica catalizzando l’attenzione sull’Hasbarah-capro espiatorio”.
Per tornare alla diffusa sensazione di “Israele contro tutto e tutti”, il controverso giornalista Gideon Levy scrive “Cosa abbiamo oggi? Un paese che si sta rapidamente e completamente isolando. Ancora una volta lunedì sembrava, e non per la prima volta, che Israele è sempre più in rottura con la nave madre, sta perdendo il contatto con il mondo, che non accetta le sue azioni e non capisce le sue motivazioni”. A prescindere dall’orientamento politico, dunque, è necessario interrogarsi su Israele e la direzione che dovrà prendere: combattere un mondo che sembra non comprendere le sue ragioni o ammorbidire la linea, scegliendo il compromesso.

Daniel Reichel


 
 
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  Il nodo di Gaza - Gli aiuti umanitari sono altra cosa


Francesco LucreziAl di là della controversa ricostruzione dei fatti, la drammatica vicenda della Freedom Flotilla non può non suscitare il più profondo sgomento, per quanto è accaduto, per quanto sta accadendo e per quanto potrà ancora accadere.
Il profondo cordoglio per le vittime, e il legittimo desiderio di chiarimenti da parte delle autorità israeliane, non può far passare sotto silenzio le gravi responsabilità degli organizzatori della spedizione pacifista, le cui intenzioni dichiarate, anziché quelle di portare concreto aiuto alla popolazione palestinese – obiettivo che sarebbe stato tranquillamente e pacificamente raggiunto, ove si fosse accettato l’invito a fare attraccare il convoglio nel porto di Ashdod, per poi trasferire il carico a Gaza, dopo gli opportuni controlli – erano quelle di rompere il blocco navale, posto per motivi di sicurezza, sfidando l’autorità di Israele e negando il suo diritto all’autodifesa. E’ del tutto evidente che, anche se le tragiche conseguenze dell’azione non erano prevedibili, nelle loro tragiche dimensioni, una deriva violenta dell’operazione era certo da mettere in conto: non è facile impedire, con la forza, un’azione di forza, evitando che da ciò derivi alcun danno alle persone.
Una riprovazione, anche severa, del comportamento della marina militare israeliane, non dovrebbe disgiungersi da un tale giudizio critico riguardo all’azione provocatoria dei pacifisti, e all’assoluta irresponsabilità dimostrata dal governo turco (sempre più in sintonia con le posizioni di Iran e Siria e, oggettivamente, anche di Hamas), così come la comprensione per le ragioni del governo di Gerusalemme non impedisce di esprimere solidarietà alle vittime e alle loro famiglie. Ma di tali argomenti, nel coro mondiale di condanna, o criminalizzazione, dello Stato ebraico, non c’è quasi traccia. E ciò, purtroppo, non sorprende. Il vaso di Pandora dell’odio antiebraico, com’è noto, non attende che di essere scoperchiato. Ma anche fra i commenti degli “amici critici”, molti sembrano avere decisamente superato il segno, come nel caso dell’accostamento fra la Flotilla ed Exodus, azzardato ieri, sulle colonne di Repubblica, da Gad Lerner. 
Non si può disconoscere che, se intenzione degli organizzatori era, soprattutto, quella di nuocere all’immagine internazionale di Israele (con la finta rappresentazione di un nobile aiuto umanitario prestato a una popolazione soffocata da una protervo assedio: in realtà, ogni giorno entrano a Gaza, dai valichi già esistenti, numerosi camion di aiuti internazionali), essa sembra avere raggiunto, molto al di là delle intenzioni, uno straordinario, sinistro risultato. Con quanto beneficio per la popolazione civile di Gaza, o per la più generale causa della pace, è facile immaginare. 


Francesco Lucrezi, storico

 

Merci rare

tobia zeviIn queste ore drammatiche, si è dimesso Horst Koehler, presidente della Repubblica federale tedesca. A causare il suo gesto una frase infelice in un’intervista sull’Afghanistan: in sostanza, Koehler ha affermato che la missione di pace serve anche a tutelare gli interessi economici della nazione. Un concetto che non appare così terribile, ma che l’opinione pubblica è letto come guerrafondaio, sufficiente a meritare un atto di scuse eclatante e imprevisto. Irrevocabile.
Alcune giorni fa Barack Obama si è recato nuovamente sulle spiagge della Louisiana, ormai coperte da una spessa coltre oleosa. Mentre i tecnici della compagnia responsabile e gli scienziati di tutto il mondo si affannano a cercare una soluzione che blocchi la fuoriuscita di greggio nel mare, si fanno più chiare le responsabilità dell’accaduto: mancata prevenzione ed errori di sottovalutazione. Ciò non impedisce al presidente Obama di dichiarare immediatamente: «Io sono il presidente e la responsabilità ultima di questa crisi è mia, non vi lasceremo soli». Pur consapevole di non avere alcuna colpa specifica, gli sembra naturale procedere con questa affermazione.
Lo scorso agosto il premier giapponese Taro Aso perse le elezioni. Un minuto dopo era davanti ai microfoni: «Ho perso. Ho sbagliato. Chiedo scusa ai giapponesi». Queste le sue, per noi incredibili, parole. Alcuni mesi dopo il suo successore, ricevuto il diniego USA di spostare la base militare dall’isola di Okinawa come promesso in campagna elettorale, vola appositamente sul posto per chiedere scusa agli abitanti.
Questi tre esempi mostrano quali debbano essere le qualità di un leader, elaborate nella tradizione rabbinica a proposito di Mosè (senza risparmiare la “critiche”): assumersi le responsabilità, dire la verità, saper chiedere scusa. Merci rare, purtroppo, di questi tempi.


Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas 
 
 
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Così i pacifisti linciavano i soldati

Alle tavole di Mosè è stato aggiunto l'undicesimo comandamento: guai a stare con Israele. Chi sgarra paga un caro prezzo: insulti, disprezzo, attacchi rabbiosi. Il nostro titolo di ieri ha scatenato un putiferio: "Israele ha fatto bene a sparare". Il Giornale è stato bersagliato, ma anche lodato. Ciò che sorprende è come tanta gente si sia scagliata contro la Stella di David senza sapere cosa in realtà fosse successo in mare. E dire che il Tg2 delle ore 13 ha mandato in onda un filmato che dovrebbe chiudere ogni discussione, perché dimostra che i sedicenti pacifisti erano guerriglieri attrezzati di tutto punto. E pestavano di brutto. [...]

Vittorio Feltri, Il Giornale, 2 giugno 2010

 
 
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Vittorio Pavoncello: “Il Maccabi Day un grande successo, grazie Roberto”
Vittorio Pavoncello, presidente della Federazione Italiana Maccabi, fa il bilancio sul Maccabi Day, la giornata di giochi e gare che ha visto oltre cento giovani ebrei italiani dagli 8 ai 14 anni affluire a Firenze domenica scorsa: “È andato molto bene, la riuscita di eventi come questi è uno stimolo ad andare avanti con la grande determinazione di sempre per far crescere i nostri figli con solidi valori sia ebraici che sportivi”. Pavoncello ha parole di stima e profonda gratitudine per Roberto Di Porto, il principale organizzatore della giornata fiorentina: “Roberto è  il motore del Maccabi, senza di lui sarebbe difficile fare qualsiasi cosa”.
 
 
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