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L'Unione informa
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3 giugno 2010 - 21 Sivan 5770 |
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alef/tav |
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Alfonso
Arbib,
rabbino capo
di Milano |
La parashà di Beha'alotekhà
segna un momento di crisi profonda del popolo ebraico, una crisi che
sfocerà poi nel peccato degli esploratori nella condanna a 40 anni nel
deserto. Secondo il midràsh il primo momento di crisi si può
individuare nel versetto apparentemente banale: "partirono dal monte di
Dio". Il versetto indica il momento in cui il popolo ebraico, dopo vari
mesi, si allontana dal Monte Sinai per dirigersi verso la Terra
d'Israele. Secondo il midràsh però gli ebrei non si limitarono a
partire ma fuggirono dal monte come un bambino che fugge da scuola.
Secondo un grande Maestro dell'inizio '900 questo midràsh non indica
ciò che realmente fecero o pensarono ma i loro pensieri reconditi. Il
midràsh indicherebbe la tendenza umana a liberarsi dalla spiritualità
dopo una lunga immersione in essa. E' assolutamente umano e
comprensibile ma il midràsh considera tutto ciò pericoloso e vi vede il
germe della crisi successiva. Il problema è che la sfida fondamentale
della tradizione ebraica è quella di trasportare l'esperienza del Sinai
nella vita quotidiana. Si può e si deve partire dal monte di Dio a
patto però di portarselo dietro. Solo in questo modo è possibile
garantire la continuità del popolo ebraico. |
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La
crisi di Gaza ha fatto venire alla luce una combattiva pattuglia di
giovani congressisti democratici che hanno convinto Barack Obama a
sfruttare la situazione venutasi a creare per rafforzare, e non
indebolire, i rapporti con Israele, al fine di impedire ad Hamas di
rafforzarsi ai danni del negoziato israelo-palestinese. Si tratta dei
deputati Anthony Weiner, Jerrold Nader e Gary Ackerman eletti a New
York, del deputato della Florida Ron Klein e della senatrice di New
York Kristen Gillibrand. A Capitol Hill non si parla di altro che della
determinazione di Weiner, pupillo di Hillary Clinton che per compagna
ha una musulmana.
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Maurizio Molinari,
giornalista |
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Il nodo di Gaza - Fatti chiari, commenti distorti
Filmati,
comunicati, precisazioni. Siamo inondati da tutto ciò, quando in realtà
non ce ne dovrebbe essere bisogno, se solo i leader politici e militari
d’Israele avessero anche, oltre alle capacità che il loro ruolo
richiede, il senso dell’opportunità e la capacità di prevedere e
prevenire l’ostilità spesso preconcetta che troppi media nutrono nei
confronti di Israele. Gli avvenimenti sono semplici e chiari: 1)
una flottiglia enuncia di voler rompere il blocco navale di Gaza; 2)
questo blocco navale è perfettamente in linea con il diritto
internazionale ed è sostenuto anche dall’Egitto; 3) le intenzioni della
flottiglia di pacifisti non sono umanitarie ma politiche, per loro
stessa ammissione; 4) Israele si dichiara disposto a far pervenire a
Gaza gli aiuti umanitari trasportati sulle navi via terra, ma i
pacifisti rifiutano; 5) le forze israeliane tentano di fermare il
convoglio di navi con mezzi di dissuasione, senza usare le armi; 6) i
militari israeliani sono aggrediti da alcune decine di passeggeri (sul
totale di 5/600) legati ad organizzazioni estremiste, devono difendersi
e usano le armi. Purtroppo, alcuni passeggeri vengono uccisi, altri -
insieme a diversi soldati israeliani - feriti. La conseguenza di
tutto ciò è l’indignazione unanime che scuote i media ed i governi,
malgrado vi siano filmati che confermano in pieno la versione
israeliana, e malgrado si sappia che a Gaza non esiste una crisi
umanitaria ma solo politica, dato che quella regione della Palestina è
governata da una organizzazione terroristica che non esita a massacrare
barbaramente gli stessi palestinesi che non ne condividono la linea
politica. Eppure, contro ogni evidenza, le organizzazioni ed
istituzioni ebraiche, gli ebrei stessi come individui, sono costretti a
mettersi sulla difensiva a causa delle aggressioni verbali che
potrebbero facilmente trasformarsi in fisiche, come la triste
esperienza insegna. Guai difendere il diritto di Israele a esistere e
ad agire come “qualsiasi” altro stato fa e farebbe senza suscitare una
indignazione comparabile. Il comunicato del Congresso Mondiale
Ebraico che viene riportato qui di seguito è, fra tanti, uno dei pochi
che si esprima a chiare lettere e che con coraggio (ci vuole coraggio a
dire quel che si pensa, purtroppo) prenda le difese di Israele,
indipendentemente dalla fondate accuse di stupidità e incapacità che
piovono addosso al governo e ai comandi militari da tutti i
commentatori israeliani.
Federico Steinhaus, Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
Il nodo di Gaza - La nota del Congresso Mondiale Ebraico
Il
Congresso Mondiale Ebraico esprime sincero rammarico per la violenza e
la perdita di vite umane durante il tentativo delle forse israeliane,
il 31 maggio 2010, di assumere il controllo di una nave che aveva
violato il blocco navale giuridicamente legittimo dirigendosi verso la
Striscia di Gaza controllata da Hamas. Israele aveva più volte inviato
avvertimenti nel tentativo di prevenire un conflitto. Non ha voluto né
provocato un tale esito. Il Congresso Mondiale Ebraico simultaneamente
deplora la corsa alla condanna di Israele nei media ed in larga parte
della comunità internazionale prima ancora che tutti i fatti siano
noti. E’ noto, comunque, che gli organizzatori della cosiddetta
“Freedom Flotilla” hanno deliberatamente cercato lo scontro con
Israele. “Attivisti della pace” hanno attaccato soldati israeliani con
sbarre di ferro ed altri strumenti potenzialmente letali incluse asce,
coltelli e pistole, dando in tal modo avvio alla violenza. E’
anche deplorevole, pertanto, che molti media internazionali continuino
a dipingere attivisti violenti come portatori di messaggi umanitari.
Questa è stata una squadraccia di linciaggio ed è compito degli
osservatori responsabili di dirlo con chiarezza. Uno dei principali
gruppi sponsorizzanti che erano a bordo della nave era l’IHH (Fondo
Internazionale di Aiuto) turco - un gruppo estremista i cui legami col
terrorismo internazionale dell’islamismo radicale sono noti a molte
agenzie di intelligence occidentali inclusa la CIA. Il CME
deplora anche che il più vasto contesto nel quale questa operazione è
avvenuta è stato ampiamente ignorato da molti dei media che se ne
occupano. Gaza è governata da Hamas - una organizzazione terroristica
armata, finanziata e diretta dall’Iran, che ha per scopo la distruzione
di Israele. La flottiglia aveva lo scopo di rafforzare il controllo di
Hamas su Gaza con il pretesto di portare aiuti umanitari alla
popolazione. Lo stato d’Israele ha agito entro i limiti del suo diritto
internazionalmente sancito e della sua responsabilità morale mantenendo
un blocco navale il cui scopo è di impedire che armi ed altri materiali
illeciti arrivino a Hamas. Malgrado i 12 mila razzi e colpi di
mortaio che sono stati sparati su Israele dopo il ritiro unilaterale da
Gaza nel 2005, Israele ha fatto arrivare a Gaza migliaia di tonnellate
di aiuti umanitari. Fra i beni consegnati alla popolazione di Gaza solo
nella settimana del 23 maggio erano inclusi 810.209 litri di gasolio
per autotrasporti; 21 autocarri di latte in polvere ed alimenti per
bambini; 897 tonnellate di gas per cucinare; 66 autocarri di frutta e
verdura; 51 autocarri di frumento; 27 autocarri di carne, polli e
prodotti ittici; 40 autocarri di latticini; 117 autocarri di cibo per
animali; 36 autocarri di prodotti per l’igiene; 38 autocarri di
vestiario; 22 autocarri di zucchero e 4 autocarri di medicinali. E
questa è stata una settimana standard. In aggiunta a ciò 781
pazienti e persone di accompagnamento della Striscia di Gaza sono
entrati in Israele per ricevere cure adeguate in vari ospedali. Il CME
deplora l’uso opportunistico di questa situazione da parte
dell’Autorità Palestinese e dai suoi sostenitori per mettere in piedi
un rinnovato attacco alla legittimità di Israele. Israele sta
attualmente indagando su quanto è avvenuto. Osservatori responsabili
dovrebbero evitare di fare dichiarazioni aggressive ed attendere fino a
quando queste indagini saranno completate.
Il nodo di Gaza - Sinistra per Israele: "Risposta inaccettabile"
"Anche
chi come noi non transige sulla sicurezza di Israele, non può esimersi
dal considerare la risposta del governo israeliano, al di là
dell'eventuale legittimità o meno, come inaccettabile dal punto di
vista del costo in vite umane". Lo sottolineano in una nota Furio
Colombo ed Emanuele Fiano, presidente e segretario nazionale di
Sinistra per Israele insieme ai coordinatori dell'organizzazione di
Roma e Milano Fabio Nicolucci e Giorgio Albertini. "La Marina
israeliana, che prima dell'azione ha esplicitamente invitato le navi
della flottiglia umanitaria a dirottare su un altro porto, ha infatti
messo in atto un attacco - spiegano dopo aver espresso cordoglio per le
vittime - che appare da diversi punti di vista sproporzionato rispetto
alla manovra di rottura dell'embargo; questo anche laddove si accertino
le volontà offensive di singoli esponenti del gruppo di pacifisti.
Parte dei quali non hanno certo le carte in regola per definirsi
'operatori di pace'. "Anche se chi forza un blocco militare sa che non
può non esserci una reazione, sicuramente il previsto arrivo delle navi
con gli aiuti poteva essere gestito dalla leadership israeliana in
carica con un approccio diverso che impedisse, o per lo meno limitasse
al minimo, un eventuale conflitto. L'attuale governo israeliano mostra
in questa azione il deficit di politica che lo sta accompagnando fin
dalla sua nascita". Per l'organizzazione "è necessario che al più
presto riprendano i colloqui di pace fra Israele e l'unica legittima
Autorità Nazionale Palestinese, emarginando Hamas e altre frange
terroristiche, che in questo frangente stanno tentando di riprendere
peso nella scena internazionale. Dobbiamo infatti ricordare che causa
del duro embargo contro Gaza è anche la scelta terroristica di chi
governa quel territorio, scelta che non è mai stata rinnegata". "Ci
auguriamo - dicono ancora - che venga al più presto stabilita la
corretta dinamica dei fatti, e si accertino le responsabilità: Israele
si apra alla collaborazione delle autorità internazionali e dell'Unione
Europea e avvii una propria inchiesta indipendente. In questo senso è
bene anche che venga rapidamente chiarito lo status di tutti gli
attivisti fermati". "In ultimo - concludono - auspichiamo che
altrettanta responsabilità venga da ogni parte coinvolta nella vicenda:
è infatti inquietante che le manifestazioni di ieri siano state guidate
verso i quartieri a forte presenza ebraica e le sinagoghe di alcune
città ; la critica, legittima, contro la politica del governo di
Israele non deve mai rischiare di confondersi con forme di
antisemitismo; manifestare di fronte ad una sinagoga per i morti a
bordo della nave turca significa scegliere come obbiettivo della
propria protesta gli ebrei e non il governo d'Israele, il che è
pericoloso e inaccettabile".
Il nodo di Gaza - Si fa strada un poco di chiarezza
Ora
gli Stati Uniti prendono posizione in favore di Israele. Il
vicepresidente Joe Biden ha detto: “Israele ha il diritto assoluto di
curare i propri interessi di sicurezza.. E’ legittimo per Israele di
dire: non so cosa ci sia a bordo di quella nave. Se andate un po' più a
nord potrete scaricare e noi trasporteremo il carico a Gaza. Perché
insistere di andare direttamente a Gaza?”. Parole chiare in un mare di
accuse contro Israele. Quando soldati israeliani uccidono nove
civili turchi l’opinione pubblica occidentale insorge e non vuole
ascoltare spiegazioni. E’ stato certamente un incidente grave, ma non
più di quelli che quasi ogni giorno mettono a confronto forze
dell’ordine e dimostranti, come per esempio a Bangkok. Invece per la
Commissione per i diritti dell’uomo a Ginevra c’è un solo problema
serio al mondo ed è quello creato da Israele. Un giudizio ridicolo. Se
si sceglie questo triste episodio per farne un’arma contro Israele, è
perché alla base c’è la propaganda islamica che è riuscita dopo anni di
lavoro a minare la legittimità israeliana. C’è la compassione per i
poveri palestinesi le cui azioni terroristiche sono giustificate dal
Patriarca Latino di Gerusalemme, Fouad Twal, quando dice : “Chi non
mangia, non si può curare e diventa per necessità terrorista”. Ciò è
falso poiché il terrorismo è organizzato come metodo di governo dal
Hamas che negli ultimi anni ha lanciato 12 mila razzi contro la
popolazione civile israeliana. Inoltre la maggior parte dei terroristi
viene assoldata non fra i poveri che non mangiano e non possono
curarsi, ma bensì fra intellettuali spesso laureati in ingegneria o
chimica Il patriarca latino e la Santa Sede non protestano mai
contro gli atti terroristici palestinesi, e la Santa Sede sostiene che
l’occupazione israeliana è “un’ingiustizia politica imposta ai
palestinesi”. Essa dà così il beneplacito agli atti terroristici dei
palestinesi che diventano legittimi agli occhi di chi stima la Chiesa
cattolica come il depositario della morale universale. Insomma si
invertono le parti e chi si difende è condannato. Hamas ha assunto
il potere nella striscia di Gaza uccidendo centinaia di altri
palestinesi appartenenti ad al Fatah, dopo l’evacuazione degli
israeliani dalla striscia di Gaza.. Esso rifiuta di riconoscere lo
Stato d’Israele, cerca di ricevere armi dall’Iran, mantiene in
cattività un soldato israeliano al quale non concede nemmeno la visita
di un rappresentante della Croce Rossa Internazionale. A questa entità
Israele ha imposto il blocco navale simile a quanto fa l’Egitto che
tenta di vanificare le gallerie sotterranee verso Gaza che servono al
contrabbando. E’ del tutto legittimo impedire ad Hamas di ricevere
altre armi. Sui risvolti interni israeliani del “fattaccio” non
sembra questo il momento di richiedere le dimissioni di Netanyahu o di
Barak. Se l’opinione pubblica li riterrà colpevoli, li punirà col voto
alle urne.
Sergio Minerbi |
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Leadership incapace e speranza di ravvedimento
La
storia degli esploratori che leggeremo questo Shabbat è sempre attuale
per i problemi che solleva. Uno di questi è la crisi di direzione
politica. Gli esploratori non erano gente qualsiasi, erano i migliori
rappresentanti delle tribù, eppure dieci contro due fallirono la
missione. Il popolo non fu da meno; davanti alle brutte notizie pensò
di cercarsi un'altra leadership, con un programma che all'inizio
sembrava di autocritica: "Mettiamoci un capo, wenashuva, e torniamo..."
(Numeri 14:4), come se volessero dire: facciamo una bella
tesciuvà; invece no, la frase finì male, volevano dire: "torniamocene
in Egitto". Leadership incapace e progetti regressivi, miscela
micidiale di autodistruzione. Con qualche speranza, almeno nei tempi
medi, di ravvedimento.
Riccardo
Di Segni, rabbino capo di Roma
La ricerca e le minoranze
La
stesura definitiva della manovra economica promette di tagliare al Cdec
(www.cdec.it), già da quest’anno, 172.500 euro, corrispondenti a metà
della “legge Ruben” approvata dal Parlamento l’autunno scorso (300
mila) più metà del finanziamento annuo del Ministero per i Beni e le
attività culturali (45 mila). Al riguardo desidero proporre tre
considerazioni. La prima è che viene improvvisamente a crollare un
bilancio preventivo messo in atto ormai da cinque mesi; progetti già
avviati, impegni di spesa già assunti … tutto è da ricalibrare e
tagliare, per di più con urgenza. La seconda considerazione concerne
una questione a pochi nota: il meccanismo di finanziamento delle
attività degli istituti culturali. Nessun ente sponsorizzatore finanzia
il cento per cento dei costi di un progetto. Così essi vengono coperti
o intrecciando più contributi “finalizzati” (evento molto raro) o
sommando un contributo “finalizzato” e parte di un contributo destinato
all’insieme delle attività (come appunto quello statale). Questo
secondo è il caso, ad esempio, della nostra ricerca sulla condizione
degli ebrei in Albania durante l’occupazione italiana 1939-1943, della
nuova rivista digitale Quest (www.quest-cdecjournal.it), del
portale sull’antisemitismo (www.osservatorioantisemitismo.it). I
contributi “non finalizzati” sono quindi una risorsa feconda ed
essenziale. La terza considerazione è di carattere più generale. E’
vero che il dimezzamento del sostegno statale a tutti gli istituti
umanistici danneggerà e atrofizzerà l’intera vita culturale del paese.
Ma il taglio finirà per incidere ancor più, come è d’uso, sulle
minoranze, siano esse religiose, identitarie, etniche, sociali ecc. Ne
risulterà un paese più monotono, più monocorde, più monocromatico.
Michele Sarfatti, direttore Fondazione Cdec
La pasticceria del mondo
La
morte è uno scandalo, la morte violenta uno scandalo anche peggiore, la
morte dei giovani un'ingiustizia atroce che nessuno può sopportare - la
morte procurata da un esercito di ebrei, ghiottoneria generale.
Il Tizio della Sera
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Lo scandalo sono le bugie contro Israele Davvero
è uno choc, come ha detto Ban Ki Moon, come hanno detto i governi che
scandalizzati hanno richiamato gli ambasciatori, la Turchia, la Svezia,
la Grecia, la Giordania, è uno choc, oh sì, come ha detto Hillary
Clinton e come anche Tony Blair ha dichiarato. E' un orrore come ha
detto la ministro degli Esteri dell'unione Europea la signora Ashton...
è un grande scandalo: ma non stiamo parlando della battaglia
compiutasi, purtroppo con (...) nove morti, fra gli attivisti armati
della nave Marmara e le forze israeliane che cercavano di condurre il
convoglio carico di beni e di personaggi non identificati a Ashdod per
evitare che fossero consegnati a Hamas doni esplosivi adatti a
continuare, fino a Tel Aviv, il lancio di seimila missili in territorio
israeliano. No, il maggiore scandalo, il vero orrore è legato alla foga
con la quale, da muro a muro, tutto il salotto internazionale si è
affrettato a brandire lo stendardo antisraeliano senza nessuna cura
perla verità, fregandosene dei video in cui si vede come i soldati che
volevano ispezionare il contenuto del convoglio sono stati accolti a
mazzate, coltellate, bombe a mano, spari; non importa alla Clinton o
alla Ashton la verificata origine aggressiva e la dichiarata intenzione
terrorista suicida delle organizzazioni filo-Hamas imbarcate sulla
Marmara. […] Fiamma Nirenstein, il Giornale, 3 giugno 2010 Inchiesta su Israele, no dell'Italia Tel
Aviv - È finita come il voto sul rapporto Goldstone, quello sui
crimini di guerra a Gaza. E come decine d'altre volte a Ginevra: il
mondo contro Israele, gli Usa, l'Italia e pochi amici a difenderlo. La
richiesta turca di un'inchiesta internazionale sulla strage della nave
Marmara, presentata ieri al Consiglio dei diritti dell'uomo dell'Onu,
ha ricevuto 32 sì su 47 votanti. Londra e Parigi si sono astenute. E
solo l'amministrazione Obama, il governo Berlusconi e l'Olanda tanno
detto no, motivandolo col fatto che «Israele è uno Stato democratico e
perfettamente in grado di condurre un'inchiesta credibile e
indipendente» (Maurizio Massari, portavoce della Farnesina). La mossa
italiana, legata anche al fatto che l'Ue fosse divisa, è criticata
dall'opposizione (Pd: «Miopia politica»; Italia dei valori: «Scelta
ingiusta e vigliacca ») e non piace ai palestinesi: «E' stato
terrorismo di Stato», ha tuonato Abu Mazen a Betlemme, in una standing
ovation dedicata «al coraggio degli amici turchi». […] Dietro molti
toni duri, qualche spiraglio. E mentre il premier turco Erdogan avverte
Obama che «Israele sta perdendo il suo unico amico in Medio Oriente»,
annunciando vie legali per l'affronto armato, mentre Netanyahu richiama
i familiari dei suoi diplomatici in Turchia, ricordando che quella «non
era una Love Boat» e che «l'Iran continua a rifornire Hamas di missili
destinati a colpire le periferie di Tel Aviv e Gerusalemme», ecco il
ministro degli Esteri di Ankara, Davutoglu, riaprire pure lui: «E'
tempo che la rabbia faccia posto alla calma». Il nodo Gaza resta
centrale: l'Egitto spalanca per qualche giorno il valico di Rafah, come
fa quando la temperatura è troppo alta, ma Netanyahu chiude a ogni
ipotesi di togliere il blocco navale, «è come lasciare che nel
Mediterraneo ci sia un porto iraniano» [...] Francesco Battistini, il Corriere della Sera, 3 giugno 2010
«Un'azione andata storta ma quelli sulla nave non sono veri pacifisti» La
conversazione con l'Ambasciatore israeliano in Italia, Gideon Meir,
inizia al giardini del Quirinale durante il ricevimento per il 2
giugno. L'ambasciatore è seduto con Joshua Kalman e Cesara Buonamici.
Accetta di rispondere alle nostre domande sul blitz israeliano,
responsabilità e possibili conseguenze. A far da interprete nei
passaggi più delicati, a cui Meir risponde nella sua lingua, è lo
stesso Kalman. «Il ritiro degli ambasciatori e le proteste di alcune
nazioni? C'è una parte di ipocrisia in questi gesti, azioni
dimostrative per farsi belli, mosse antiamericane», dice Meir. «C'è una
domanda che dovete farvi: se ci sia un movimento mondiale contro i
valori rappresentati dal mondo occidentale». [...] Susanna Turco, l'Unità, 3 giugno 2010
La sorpresa degli incursori: «Hanno armi vere e ci sparano» Gerusalemme.
Fonti israeliane hanno ripetutamente sostenuto che gli incursori della
marina militare calatisi con le corde sulla nave turca «Mavi Marmara»
non si aspettavano di incontrare una resistenza violenta da parte dei
pacifisti che erano a bordo. Il livello di violenza nei confronti dei
militari sarebbe la giustificazione della loro sanguinosa reazione, che
ha portato all'uccisione di una decina di attivisti. Ieri il quotidiano
Jerusalem Post ha pubblicato un filmato con relativo audio che
documenta ciò che si dicevano via radio i soldati israeliani appena
scesi sul ponte della nave turca e i loro commilitoni rimasti a bordo
degli elicotteri. [...] Il Giornale, 3 giugno 2010
Paura al Ghetto, tra cortei ostili e minacce E'
un tranquillo pomeriggio di festa e di paura nel Ghetto di Roma. Di
festa, perché il 2 giugno ha fatto abbassare le serrande di molti
negozi, perché crocchi di anziane signore del quartiere affollano
paciose le panchine, perché i turisti sciamano sorridenti e ordinati
attorno alle rovine romane e fanno la coda, per un dolcetto tipico. Un
pomeriggio di paura, perché le autoblindo sono sempre li, tra la
Sinagoga e il Portico d'Ottavia perché dopo quello che è successo al
largo di Gaza e soprattutto dopo l'indegna gazzarra dell'altra notte -
un corteo si è avvicinato al ghetto gridando «fascisti» e «assassini»,
proprio qui, proprio in questo luogo sacro per la storia dell'umanità -
un movimento sospetto è poco e due sono troppi. […] «La situazione è
notevolmente peggiorata - confessa preoccupato al telefono Marcello
Pezzetti, il direttore del Museo della Shoah che sta per aprire a Villa
Torlonia - almeno da un paio d'anni, da quando abbiamo cominciato a
fare il punto e a denunciare gli episodi di antisemitismo in Italia.
Quello che è avvenuto al largo di Gara è suonato a questi gruppi di
fanatici come una conferma delle loro tesi, la conferma della
relazione, ai loro occhi diabolica, fra ebrei e Israele. Come su tutti
gli ebrei fossero cittadini israeliani...». […] Nino Cirillo, il Messaggero, 3 giugno 2010
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notizieflash
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La
paura e il conflitto
“La reazione d’Israele nasce dalla
paura, la paura di essere annientato, di scomparire dalla faccia della
Terra”. Parole del tutto condivisibili quelle del presidente Riccardo
Pacifici, che però non devono farci dimenticare che la paura del
nemico, impastata a odio e pulsioni di morte, è probabilmente
all’origine del consenso di cui gode Hamas presso la popolazione
palestinese. Il problema che si pone è dunque questo: cosa fare per
abbassare il livello di paura, d’ignoranza e di odio che sembra si
stiano propagando come un contagio nel Vicino Oriente e nel mondo?
Forse, visto lo stallo delle trattative di pace, varrebbe la pena di
prendere in seria considerazione la proposta del 2008 di Daniel
Barenboim, che in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera,
suggeriva di “avviare un processo di depoliticizzazione del conflitto”
per dare spazio ai veri interessi dei cittadini dei due popoli
coinvolgendoli in progetti comuni, artistici, culturali, scientifici.
La West-Eastern Divan orchestra è un esempio straordinario nel campo
della musica. Perchè non provare in altri campi? E le scuole delle
varie Comunità non potrebbero avere un ruolo in tutto questo? Mi rendo
conto di volare un po’ con la fantasia, ma credo che cedere al cinismo
e al fatalismo sia la cosa peggiore che ci possa capitare. Historia
docet. Maria Fausta Adriani
“No alla missione di inchiesta dell'Onu su Israele” Andrea Ronchi spiega le ragioni del voto italiano Roma, 3 giu - Fra
gli altri a motivare il no dell'Italia alla 'missione d'inchiesta
internazionale dell'Onu è stato il ministro per le Politiche
Comunitarie, Andrea Ronchi: “Il nostro Governo e l'America di Obama -
ha affermato in un intervista rilasciata al Messaggero - hanno voluto
tutelare uno stato democratico come quello israeliano. Sarebbe stato un
precedente pericoloso per la comunità internazionale, un conto è
accertare la verità su quel che è accaduto, individuare tutte le
responsabilità, e invece un altro conto è appoggiare iniziative che
alla fine tendono solo a gonfiare questa tremenda ondata di
antisemitismo nel mondo". Il ministro ha poi auspicato una "voce sola
dell'Ue": "Lady Ashton (il ministro degli Esteri della Comunità) deve
capire che l'Europa ha bisogno di parlare con una voce unica. E questa
voce unica dovrà portare alla pace, ai due stati e due popoli che tutti
sembrano volere". Tornando al blitz israeliano contro la flottiglia
diretta a Gaza, Ronchi ha sottolineato che si tratta di una vicenda che
presenta "molti lati oscuri": è certamente "deprecabile l'azione
militare di Israele ma io desidero che venga fatta piena luce sulla
natura di tutte le Ong che hanno ideato questa azione 'umanitaria'".
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L'Unione
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che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili.
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utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per
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Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross.
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