se non visualizzi correttamente questo messaggio, fai  click qui  
 
  logo  
L'Unione informa
 
    6 giugno 2010 - 22 Sivan 5770  
alef/tav   davar   pilpul   rassegna stampa  
 
Moked - il portale dell´ebraismo italiano
alef/tav    
  roberto colombo Roberto Colombo,
rabbino 
Inizia il caldo. Avraham Bornsztain (1838 - 1910), Rebbe di Sochatchew, nel 1898 si trovava a Berlino in pieno Giugno per curarsi la gotta. Di Shabbàt girava vestito di tutto punto e con lo Shtreimel, il famoso cappello di pelliccia portato dai Chassidìm. Il Presidente della Comunità, colto ed emancipato, lo avvicinò e gli chiese se non avesse caldo con tutto quel vestiario. “No, oggi no - rispose Rabbì Avrahàm - Nella vostra Comunità lo Shabbàt è molto freddo anche se  siamo a Giugno”. Ho il dubbio che in qualche Comunità gli ebrei debbano attendere ancora un po’ prima di riporre i cappotti. 
Come riconosco un razzista? Dal suo argomentare, a esempio, della e sulla gerarchizzazione delle razze o dal suo implicito considerarsi  appartenente a quella superiore? Siamo di fronte allo stereotipo del razzista oppure alla proiezione di come noi vorremmo che fosse la nostra controparte su tali questioni? Il distinguo tra la realtà e  attribuzione è sottile, ma sicuramente sono presenti entrambi gli elementi. Raramente infatti ci capita di incontrare un personaggio che dichiari di essere un fedele sostenitore della dottrina razzista, eppure noi identifichiamo comunque il suo potenziale razzismo per l'uso di  parole, quali a esempio “negro” o “immigrato”, che egli connota con le caratteristiche del pregiudizio razziale. Esercizio quanto mai complesso a proposito di antisionismo/antisemitismo o di "ebreo/Israele" come testimoniano le parole di questi giorni. Sonia
Brunetti Luzzati,

pedagogista
sonia brunetti  
  torna su
davar    
 
  Qui Roma - Al Tempio la riconquista della libertà

ronchi“Il 66mo anniversario della Liberazione di Roma è una tappa di estrema importanza per la Roma moderna, è la riconquista della libertà, la fine di un'occupazione, il superamento del totalitarismo nazista e fascista. Nessuna delle tante immagini che ci possono riportare a quella data è altrettanto profonda e carica di significati come la riapertura del Tempio maggiore. In quel momento era chiaro che Roma era uscita dall'occupazione nazista e fascista". Così il Sindaco di Roma Gianni Alemanno, intervenendo alla cerimonia che si è svolta questa mattina nei giardini del Tempio Maggiore, ha voluto ricordare uno dei momenti più significativi della storia degli ebrei della Capitale.
Dopo l'alzabandiera dei granatieri di Sardegna sulle note dell'inno italiano, israeliano, inglese, americano e canadese suonati dalla banda dell'esercito, in un atmosfera di grande commozione si sono susseguiti i brevi interventi del Presidente della Comunità Ebraica di Roma, Riccardo Pacifici, del rabbino capo Riccardo Di Segni, di Alexander Wiesel combattente della Brigata Ebraica, di Daniele Caviglia, studente della V B del Liceo Renzo Levi e di Arianna Canu del Liceo Giorgio De Chirico, mentre nelle prime file erano seduti il ministro Andrea Ronchi il presidente della Provincia Nicola Zingaretti, il presidente della Regione Renata Polverini, molti esponenti dell'esercito fra cui il generale Domenico Rossi, Comandante della Regione Militare Centro.
"E' un momento in cui siamo sotto pressione e sotto attacco dei media.” Ha detto il Presidente Pacifici facendo riferimento all'attacco mediatico e ai momenti di tensione che si sono verificati negli scorsi giorni in Medio Oriente “Qualcuno pensa che questa situazione di assedio ci faccia paura ma noi non abbiamo paura e siamo tranquilli e sereni".

Lucilla Efrati


Qui Roma - La solidarietà del ministro Ronchi

ronchiPasseggiata al Portico d'Ottavia del ministro per le Politiche comunitarie, Andrea Ronchi, che accolto dal presidente della Comunità Ebraica di Roma, Riccardo Pacifici e dalla vicepresidente Ucei, Claudia De Benedetti, ha voluto portare il sostegno di tutto il governo italiano e testimoniare lo sdegno per la violenza morale degli slogan utilizzati lo scorso 31 maggio dai manifestanti nelle proteste organizzate nella capitale.


Evoluzione e teologia, un punto di vista ebraico

locandina eventoQuali problematiche ha posto la teoria dell’evoluzione così come elaborata da Darwin e successivamente sviluppata dalla biologia molecolare alle principali religione monoteiste? Quali sono le implicazioni del suo accoglimento? Come può esser il frutto della creazione divina un mondo fondato sulla necessità ma anche sul caso nella selezione delle specie?.
Questi sono i principali temi affrontati ieri nel convegno “Evoluzione e Religioni” che si è svolto nella biblioteca Casanatense, organizzato dall’Università di Roma Tor Vergata e l’Università di Cassino, che ha visto dibattere epistemologi ed esponenti delle diverse religione monoteiste.
La discussione è stata aperta dal professor Fulvio Ferrario della facoltà valdese di teologia, il quale introducendo le principali problematiche sollevate dalle teorie darwiniane e come queste inferiscono con l’ambito religioso ha indicato delle “piste di riflessione”. Cioè delle questioni irrisolte come quella della nozione di male e sofferenza alla luce della evoluzione. Dopo di lui il professor Carlo Molari della Pontificia Università Urbaniana ha sottolineato quelli che, secondo il suo punto di vista, rappresentano gli ostacoli principali alla recezione della teoria evoluzionista in ambito religioso, fra gli altri l’interpretazione scritturale della Bibbia e la visione del creato fondata sulla centralità dell’uomo.
A rappresentare un possibile punto di vista ebraico, che riesca a coordinare la teoria della evoluzione e le sue implicazioni con la tradizione ebraica così come sviluppata dalla esegesi rabbinica, c’era il rav Gianfranco di Segni, nella doppia veste di biologo molecolare presso il CNR e di rabbino.
Rav Di Segni, dal canto suo, ha ricordato nel suo intervento come una delle prime reazioni alla teoria darwiniana di parte ebraica fu quella del rav Benamozegh, il famoso rabbino e cabalista di Livorno, il quale nel suo commento alla Torah del 1862, appena qualche anno dopo la pubblicazione della “Origine della specie”, cita spesso Darwin, esprimendo stima per le sue teorie e pur non condividendole non vede una intrinseca contraddizione fra queste e la Torah.
Un altro dei contributi per un’analisi dell’evoluzione dal punto di vista ebraico provenne dal rabbino Vittorio Castiglioni, che fu rabbino capo di Roma all’inizio del ‘900, il quale scrisse “Pe’er Adam”. Il rav ha ricordato anche l’opinione di Rabbi Avraham Kook, primo rabbino capo di Israele, che riferendosi alle scoperte scientifiche che contrastano con il senso della Torah notava che “lo scopo della Torah non è di raccontare semplici fatti ma ciò che conta è il significato interiore”, e quindi anche i contrasti con il senso letterale delle frasi non hanno rilievo a fronte del senso nascosto, i cosiddetti “segreti della Torah”. Per quanto riguarda i punti di vista moderni, Rav Di Segni ha innanzi tutto evidenziato lo scetticismo con cui, non solo da parte degli scienziati ebrei credenti, è ancora guardata la teoria dell’evoluzione, perché non completamente rappresentabile con formule matematiche, mentre d’altro canto i biologi credenti sono più pronti a recepirla.
Secondo il rav Gianfranco Di Segni la resistenza ad accettare la teoria darwiniana in ambito ebraico non è così forte perché essa ci fornisce una spiegazione dell'evoluzione che contrasta con il dato letterale della Genesi (se il problema si riducesse a questo, la difficoltà sarebbe superabile con l’interpretazione midrashica o allegorica) bensì perché accettarla comporta introdurre nella vita umana (dal DNA al macrocosmo) le nozioni di caso e contingenza.
L’evoluzione infatti segue vie casuali e contingenti, e portando alle estreme conseguenze questa visione anche la vita umana nel suo sorgere è frutto del caso. E allora come coniugare l’idea di un mondo sorto per caso con una visione religiosa-ebraica?
Una soluzione, riportata dal rav ma non per lui preferita, è quella di pensare a un intervento occasionale di Dio, che rimane oscuro all’uomo, in modo che ciò che appare casuale all’uomo in realtà non lo sarebbe. Il difetto di questa visione è quello di considerare una parte della realtà non spiegabile razionalmente e di ridurre Dio a un ruolo suppletivo, di “tappa-buchi”, per così dire. Altra possibilità, quella scelta dal rav, si basa invece su un famoso midrash basato sul verso “E fu sera e fu mattina, il primo giorno”, che racconta che prima del nostro mondo Dio ne aveva creati altri e li aveva distrutti. Dio ha mantenuto il mondo a lui gradito come in un cosmico “Work in progress”, senza una creazione preordinata ab inizio. In questa visione, Dio sceglie il mondo in cui può manifestarsi all’uomo, un mondo quindi ontologicamente imperfetto e frutto del caso.
Ma come ammettere che Dio nella sua perfezione abbia creato un mondo perfettibile? Chi può porre la perfezione su un gradino di valore più alto dell’imperfezione? “Perché la ruota giri, perché la vita viva, ci vogliono le impurezze”, a parlare così era Primo Levi nel “Sistema Periodico”, che partendo dallo zinco affronta un problema di carattere più generale che riguarda la vita, il mondo e anche gli ebrei sotto il fascismo.

Daniele Ascarelli


Il nodo di Gaza - Per la Chiesa due pesi e due misure

MinerbiAnche l’Avvenire, il quotidiano della Conferenza episcopale italiana, di stamane riporta che “in un quieto giardino a Iskanderun, nel sud della Turchia, monsignor Luigi Padovese è morto, accoltellato da chi era considerato uno dei suoi collaboratori più fedeli”. A uccidere il vicario apostolico di Anatolia e presidente della Conferenza episcopale turca, è stato infatti il suo autista personale, Murat Altun.
Il Nunzio Apostolico, monsignor Antonio Lucibello, esclude “una relazione o analogia con l’assassinio di don Andrea Santoro avvenuto nel febbraio del 2006 a Trebisonda. Padre Santoro fu ucciso da un giovane per un atto di fanatismo politico-religioso, in questo caso mi sento di escludere un simile gesto di fanatismo.”
Ma l’Avvenire pubblica anche la reazione dell’arcivescovo di Smirne, monsignor Ruggero Franceschini che ha detto: ”La tesi del matto che uccide è un luogo comune che era già stato utilizzato per don Andrea Santoro. Anche la persona che ha gettato una bomba molotov sulla nostra cattedrale di San Policarpo, qui a Smirne, è stato definito ‘un malato mentale’”.
Propendiamo piuttosto per la tesi di monsignor Franceschini. E’ chiaro che nell’atmosfera arroventata di questi giorni, creata dalle dichiarazioni roboanti del premier Erdogan, sia facile ai fanatici fondamentalisti islamici che prevalgono oggi in Turchia, ispirare anche l’omicidio di un vescovo cattolico. E’ lo stesso odio cieco per tutto ciò che è diverso, non islamico e perciò nemico. E’ lo stesso odio islamico che portò all’uccisione di sette sacerdoti cattolici in Algeria. E’ un odio nutrito da secoli, che non ha bisogno di motivazioni concrete, razionali, ammesso che possano esistere, per uccidere.
E intanto il Vaticano continua a protestare, ma naturalmente contro Israele.
Il rappresentante vaticano alle Nazioni Unite di Ginevra, monsignor Silvano Tomasi, è intervenuto alla riunione urgente del Consiglio dei Diritti Umani, dicendo: “La politica adottata di questo isolamento della Striscia di Gaza non può funzionare, perché bisogna prima di tutto dare una risposta positiva ai diritti fondamentali di cibo, di acqua, di medicinali, di educazione per la popolazione di Gaza”. Sì e per questo Israele permette il passaggio giornaliero di circa 160 autotreni, al transito di Karni, carichi di generi alimentari. La maggior parte del carico della nave Marmara è già stato trasferito agli abitanti della striscia di Gaza. Ma Hamas lancia ogni tanto delle bombe di mortaio contro il posto di transito e interrompe il flusso dei veicoli. Così fece anche al posto di transito di Erez dove erano sorte industrie israeliane che davano lavoro a 4500 operai di Gaza. Una pioggia di bombe di mortaio convinse gli industriali israeliani ad andarsene, e gli operai palestinesi rimasero disoccupati. A questo proposito la Santa Sede non protestò, né allora né oggi. Le accuse sono rivolte solo contro Israele, rifiutando di capire che Israele è un pilastro di difesa per tutte le minoranze religiose nel Medio Oriente. Benedetto XVI ha detto il 2 Giugno: “Ancora una volta ripeto con animo accorato che la violenza non risolve le controversie, ma ne accresce le drammatiche conseguenze e genera altra violenza”. Nello stesso tempo chi uccide un Vescovo è classificato pazzo. Pazzo certamente, ma forse di islamismo.

Sergio Minerbi


Il nodo di Gaza - Turchia, un alleato ai ferri corti

Attivisti TurchiCinque anni fa il primo ministro turco Recep Tayyip Erdoğan visitava Israele e stringeva la mano all’allora capo di governo israeliano Ariel Sharon. Ieri lo stesso Erdoğan dichiarava “Israele, se non cambia mentalità, perderà il suo amico più importante nella regione”. In una decina d’anni Gerusalemme e Ankara sono passati da un’alleanza duratura e proficua a una ostilità aperta con sgarbi e accuse reciproche. Fino a lunedì. Quando le parole hanno lasciato il posto ai fatti: l’incidente della Freedom Flottilla ha segnato la rottura definitiva, o quasi, fra i due paesi. “La Turchia non potrà mai dimenticare un simile attacco alle sue navi e alla sua gente in acque internazionali. Il legame tra Turchia e Israele non sarà mai più lo stesso” sosteneva ieri il presidente turco Abdullah Gul mentre una folla di diecimila persone accompagnava le salme degli attivisti della nave Mavi Marmara. Molti dimostranti urlavano “Abbasso Israele”, “Israele assassina” o “siamo soldati di Hamas”. L’ultimo slogan è uno dei punti cruciali del nuovo scenario che si sta aprendo in Medio Oriente ovvero la sempre più stretta connessione tra governo e popolo turco e la causa palestinese. “La politica estera di questo paese (la Turchia) è stata ri-progettata solo per il gusto di mantenere i voti di un gruppo di persone che tengono in casa le bandiere palestinesi piuttosto che quelle turche” è la dura critica di Oray Egin, editorialista per il giornale turco Aksam. Sul The National di Abu Dhabi Emile Hokayem, redattore politico del quotidiano, scrive “lo scontro fatale di lunedì ha trasformato la Turchia nel primo campione della causa palestinese. I leader turchi hanno più credibilità, presso la piazza araba, degli stessi leader palestinesi, ritenuti deboli e fiacchi”. Hokayem si sofferma poi sulla nuova solidarietà che sarebbe nata tra il popolo turco e quello palestinese “i turchi sono ora impegnati a seppellire i loro morti, che si sono aggiunti, nella mente degli arabi e degli stessi turchi, alla lunga lista di martiri palestinesi. Questo vincolo simbolico con la Palestina non sarà infranto molto presto, e rappresenta un vantaggio politico considerevole per i politici che vogliono rompere le relazioni con Israele”.
Dello stesso parere Abdullah Iskandar, opinionista del giornale arabo Dar Al Hayat, che parla in termini più drammatici di “martirio di civili turchi in nome del dovere di solidarietà con il popolo palestinese” e poi aggiunge “la Turchia è entrata nel cuore del conflitto con Israele ed è diventata il nuovo partito nel confronto della sua politica”.
Mentre congela i rapporti commerciali con Israele, la Turchia si presenta dunque con un volto nuovo nella questione israelo-palestinese. Da tempo il governo turco si era proposto come mediatore fra le due parti ma ora i ruoli cambiano. La Turchia, secondo molti analisti dello stesso mondo arabo, diventerà la vera controparte di Israele. Ma c’è chi guarda con preoccupazione questa eventualità. Sul Turkey daily news il giornalista Hikmet Bila scrive “fatta eccezione per un paio di alti e bassi, la Turchia ha sempre seguito una politica di equilibrio, è rimasta un soggetto attivo e moderato in Medio Oriente e nella soluzione del conflitto israelo -palestinese. Ma se ora decidiamo di prendere posizione, dovremo fare bene i nostri calcoli. Dovremmo considerare il rischio – continua Bila - di essere etichettati come "pro-Hamas" dalla comunità internazionale. C’è inoltre il rischio di venire trattati come i paesi arabi, che parlano molto e non fanno niente ogni volta che Israele attacca”.
Per quanto riguarda il caso specifico della Flottilla Freedom, le opinioni dei giornali turchi e del mondo arabo sono violente, a volte più che eccessive. Si passa dalle considerazioni dure di Marwan Bishara, giornalista di Al Jazeera, che critica la presunta aggressività e sordità di Israele, sostenendo che “il motto dello stato ebraico è stato a lungo: 'Israele fa quello che deve, e il mondo o i goym possono dire tutto quello che vogliono” per poi leggere sul Turkish Weekly le affermazioni del giornalista Kourosh Ziabari secondo cui “un breve excursus sul conto del sanguinoso rapporto fra Israele e il popolo palestinese in questi anni ci dimostra che questo regime non merita il diritto di esistere, come i funzionari statunitensi ed europei sostengono periodicamente”.
Seppur la rabbia turca per quanto accaduto può essere comprensibile, la delegittimazione di Israele non è certo una via plausibile per il conseguimento di una pace duratura. Se la Turchia emergerà realmente come controparte di Israele sulla questione palestinese, i toni non potranno essere quelli di Hamas o Ahmadinejad.
“In questa regione, siamo destinati a vivere insieme in stretta vicinanza l'uno all'altro. Qui siamo tutti interdipendenti e connessi” sostiene sul Today’s Zaman la dottoressa Sylvia Tiryaki, vicedirettore del Global Political Trends Center della İstanbul Kultur University. Per questo motivo uno scontro su più fronti dei vecchi alleati, oramai nemici, Israele e Turchia non farebbe che indebolire entrambe le parti.

Daniel Reichel

 
 
  torna su
pilpul    
 
  Israele in programma

anna segreQualche giorno fa è arrivata una nuova stesura delle indicazioni nazionali per i licei. Tornando a dare un’occhiata ai programmi di storia, si nota che fortunatamente è ricomparsa la Resistenza (l’Italia dal Fascismo alla Resistenza e le tappe di costruzione della democrazia repubblicana), ma c’è un’altra novità tra gli eventi del secondo dopoguerra: la nascita dello Stato d’Israele e la questione palestinese. A parte l’India, Israele è l’unico tra gli Stati nati dopo la Seconda guerra mondiale a meritare una frase a sé, seppure unita alla “questione palestinese” (saranno poi contenti i palestinesi di essere ridotti a “questione”?). Si conferma anche in questo caso, come accade spesso, la tendenza a isolare la storia di Israele dal suo contesto, come se fosse possibile analizzarla senza tener conto di quello che succedeva intanto nel resto del mondo, o per lo meno negli altri Paesi mediorientali. D’altra parte non sarà un male se insegnanti e studenti saranno spinti a informarsi un po’ meglio sulle radici storiche di problemi su cui si tende troppo spesso a dissertare senza cognizione di causa. Se i nostri programmi scolastici riconoscono ufficialmente l’esistenza di Israele, forse nonostante tutto è un buon segno.

Anna Segre, insegnante


Comix - Eisner e il contratto

fumettoSono tornati in libreria tre opere di Will Eisner particolarmente significative per la storia del fumetto, per la carriera artistica dell’autore e per la cultura ebraica statunitense.
Stiamo parlando di “Contratto con D-o”, “Dropsie Avenue” e “La forza della vita”. Oggi parleremo del primo volume che ha tracciato un percorso tutto nuovo nel mondo del fumetto. L’origine del graphic novel è stato già trattato in altri articoli, per cui non è il caso di soffermarsi, vale la pena invece raccontare e confrontarsi con le storie raccontate nel “Contratto con D-o” (A Contract with God, and Other Tenement Stories, questo è il titolo originale).
“Le storie di Eisner sviscerano il senso profondo dell’esistenza, arrivando a toccare questioni che rimangono generalmente senza risposta…” (Los Angeles Time).
Il primo episodio è quello che fissa il tema e il titolo del volume. È la storia di un giovane ebreo askenazita, Frimme Hersh costretto a fuggire dai pogrom. Durante la fuga conclude un contratto con D-o, a fronte di suoi comportamenti rispettosi delle Leggi, il Santo Benedetto lo proteggerà. Niente di particolare se non appare evidente immediatamente che uno dei due contraenti non è informato e forse non ha espresso pienamente la sua adesione al patto strettamente privato tra Frimme e l’altro Contraente.
Il ragazzo comunque arriva negli USA dove vive da ottimo ebreo osservante finché un giorno muore una bambina che avevano abbandonato sul ciglio di casa sua e che amorevolmente aveva cresciuto per tanti anni.
Una delle pagine più drammatiche e commoventi disegnate da Eisner è propria quella in cui Hersh alza i pugni al cielo per maledire il mancato rispetto del patto. Da quel momento la sua vita sarà fuori dal sentiero delle Leggi, sarà fuori da quel lungo percorso segnato da Abramo e i suoi discendenti. Alla fine di male in peggio Frimme Hersh chiederà ai rabbini della comunità di scrivere un nuovo accordo tra lui e D-o.
Proprio quando alza il contratto al cielo per rivendicare un nuovo accordo ben scritto, un infarto al cuore gli toglie la vita… Questa storia ha una serie di temi anche spirituali che sono complessi perché toccano il significato della vita stessa. È possibile avere un dialogo così diretto, così personale da scrivere una addendum a quel Patto originario tra D-o e il popolo ebraico? Frimme Hersh non doveva rispettare già le Leggi senza ulteriori accordi?
In questi casi mi viene sempre in mente la storiella dei rabbini che in un lager si confrontarono sulla esistenza di D-o, e quando diedero risposta negativa, comunque pregarono.
Questa storia di Will Eisner si pone all’altezza dei grandi scrittori yiddish perché scuote la nostra mente e pone domande che offrono nuove domande percorrendo quel pensiero di antitesi costante di cui parla Joann Sfar.
E proprio il confronto con Sfar apre un secondo aspetto di questo libro e degli altri che affronteremo nelle prossime settimane. Il fumetto è diventato uno strumento di ripensamento e conoscenza della storia ebraica. Non più supereroi, ma uomini che ripercorrono la storia dalla Tunisia alla terra di ashkenatz fino a quella “America” di Mordecai Noah.
Le storie raccontate da Eisner sono quelle della Grande Mela, vissute direttamente quando da giovane lavorava in una tipografia per guadagnarsi due soldi e imparare il mestiere, quella New York che gli diede l’occasione di iniziare l’attività di fumettista.
 
Andrea Grilli
   
 
 
  torna su
rassegna stampa    
 
 
leggi la rassegna
 
 

«Pls stop comparing Israel's army to Somali pirates! This is insulting to the Somali pirates who didn't murder anyone» («Smettiamola di paragonare l'esercito di Israele ai pirati somali! Questo è un insulto ai danni dei pirati, che non hanno ucciso nessuno»). Così scrive tale Amira Howeidy su Twitter. Esordiamo con questa citazione, a mo’ di triste distico, che nulla ha a che fare con la rassegna della stampa cartacea ma molto con lo stato d’animo (armato) degli spiriti dei molti, plausibilmente di non pochi lettori esposti alla potenza delle immagini e dei racconti di quanto è successo. [...]
Clicca qui per leggere la versione integrale del commento alla rassegna stampa 


Italia e comunità ebraica, duemila anni di amore e pregiudizi
La svolta cruciale del 1967

Il nome Italia, per gli ebrei, è intriso di poesia e di dolcezza: I Tal yah significa, in ebraico, isola della Rugiada Divina. Non bisogna, tuttavia, farsi trarre in inganno dalle apparenze. Venti secoli fa, nel 70 d.C, gli ebrei, che vivevano a Trastevere già da molti decenni, assistettero alla caduta di Gerusalemme e alla scomparsa dello Stato ebraico. [...]
Riccardo Calimani, il Corriere della Sera, 3 giugno 2010

Quando non puoi sbagliare
A scolta Israele. Guarda la tua mano sinistra. E' diversa dalle mani sinistre degli altri. E' una mano abituata a fare. In modo anomalo, e che pochi notano, la tua mano sinistra è dovuta divenire quella del lavoro quotidiano, e quello che tutto il mondo fa da sempre con la destra, tu lo fai con la sinistra. Dalla tua fondazione usi la mano destra per la prerogativa di imbracciare un fucile e difenderti, e con la sinistra lavori. E lo fai a un ritmo meno incisivo di quello che potresti, se solo tu usassi abitualmente la destra come tutti, e potessi vivere in modo normale, lavorando. Con le idee che hai, con le tue capacità, cosa non faresti con una vita normale. [...]
Alessandro Schwed, Il Foglio, 4 giugno 2010

 
 
  torna su
L'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche.
Gli articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili.
Gli utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste, in redazione Daniela Gross.
Avete ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo e-mail, scrivete a: desk@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”.