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L'Unione informa |
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9 giugno 2010 - 27 Sivan 5770 |
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alef/tav |
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Adolfo Locci, rabbino capo di Padova |
“...siccome
tutta la congregazione è di santi e in mezzo ai quali c’è l’Eterno,
perché vi innalzate al di sopra della comunità di Hashem?”
(Numeri 16:3). Rav Yehoshu‘a Weitzman, allievo di rav Shelomò Goren z.l
e rav Shear Yashuv haKohen e attuale “Rosh” della Yeshivà Ma‘alot
Ya‘akov, spiega che la rivendicazione di Korach contro Moshe e Aharon,
si può riassumere in un solo concetto: uguaglianza. In effetti, dal suo
punto di vista, Korach sostiene che tutti gli ebrei sono uguali “solo”
perché fanno parte del “Popolo di Hashem”. Questa visione che è
radicata non solo in ambito ebraico, di fatto, non condivide: 1) Il
principio che afferma che ci siano livelli di Kedushà diversi ai quali
l’individuo può accedere attraverso le sue azioni; 2) Che le
azioni non indirizzano l’uomo in nessun luogo. La vicenda di Korach
rivela, ante litteram, una questione che periodicamente si ripropone
alla nostra attenzione, come un problema irrisolto che ogni tanto
spunta fuori in forme sempre diverse. Oggi, come all’epoca dei fatti di
Korach, si ritiene che una scala di valori non abbia alcun senso, che
tutti siamo uguagliati grazie all’appartenenza, ma questo non è quello
che la Torà, scritta e orale, esprime. La Torà ci dice ogni giorno
chiaramente, come un’eco che si rifrange tra le rocce del monte Chorev,
esiste una scala di valori che, se “praticati”, permettono di elevarci
in Kedushà e solo allora saremo tutti “santi”. L’uguaglianza si
raggiunge con l’osservanza dei doveri e non con l’accampare solamente
dei diritti. Desidero dedicare questo breve pensiero alla memoria
di Rav Mordechay Elyhau z.l., rabbino capo sefardita di Eretz Israel
dal 1983 al 1993, che il 25 di Siwan scorso è venuto a mancare dopo un
lungo periodo di sofferenza. Rav Mordechay Elihau è stato un posek di
grande importanza che ha saputo essere di riferimento per tutti. La
testimonianza di persone che hanno avuto il merito di vivere
quotidianamente i suoi insegnamenti, nonostante la sua autorevolezza,
dimostra la sua costante disponibilità ad ascoltare qualsiasi istanza
da qualsiasi persona. L’amore per il popolo e la terra d’Israele è
stato il principio fondamentale che ha mosso la sua attività di Morè
Horaà, mai interrotta anche nell’ultimo periodo della sua vita
trascorso con gravi problemi di salute. “Sia la sua anima legata al gruppo della Vita, Amèn”. |
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Helen
Thomas è la decana dei giornalisti della Casa Bianca che, a 89 anni di
età, ha detto per la prima volta ciò che pensava su Israele ovvero "gli
ebrei che occupano la Palestina dovrebbero tornarsene in Germania e
Polonia". L'episodio ha gettato luce in due direzioni: l'esistenza di
un'America sommersa che non tollera Israele e vorrebbe rovesciare la
scelta compiuta dal presidente Harry Truman nel 1948 di riconoscerne
l'esistenza e l'abilità di Rabbi David Nesenoff, il rabbino-giornalista
di Long Island laureato al Jewish Theological Seminar che con la sua
flip-camera l'ha fatta parlare come non era mai riuscito a nessuno dai
tempi di Eisenhower. |
Maurizio Molinari,
giornalista |
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davar |
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Il nodo di Gaza - Il Comites Israele risponde al senatore Randazzo
“Le
democrazie del mondo non possono restare indifferenti al micidiale
colpo contemporaneamente inferto alle speranze di pace in Medio Oriente
e all’onore dei governanti di Tel Aviv dalla barbarica aggressione
israeliana alla flottiglia pacifista filo-palestinese con conseguente
strage avvenuta in acque internazionali”. Nino Randazzo, navigato
senatore del Partito Democratico e rappresentante della circoscrizione
Asia-Africa-Oceania-Antartide a Palazzo Madama, aveva commentato a
questo modo le drammatiche vicende riguardanti la nave di presunti
pacifisti che una settimana fa ha provato ad attraccare a Gaza.
Randazzo, che si era detto rammaricato per la presenza di sei cittadini
italiani sulle navi "sotto attacco" e aveva sottolineato come l’Italia,
per il suo posizionamento geopolitico, sia tra le nazioni più esposte
in termini di sicurezza interna alle conseguenze del conflitto
mediorientale, aveva rivolto un appello ai connazionali che vivono in
suolo israeliano: “È impensabile che le componenti della numerosa
presenza italiana in Israele, quella istituzionale e quella civile,
diplomatici accreditati a Tel Aviv e a Gerusalemme, bene articolati
gruppi di imprenditori e professionisti, promotori di attività
culturali, Comites, Camera di Commercio, associazioni di svariato
genere, non facciano pervenire all’opinione pubblica, al governo, al
Parlamento, alle organizzazioni politiche d’Italia segnali d’allarme
per i fatti sempre più destabilizzanti e devastanti nel conflitto
israelo - palestinese e sollecitazioni per una più incisiva iniziativa
di assistenza, intermediazione e pacificazione nella regione dove sono
morte pietà e giustizia”. La risposta del Comites (Comitati degli
italiani residenti all’estero) Israele non si è fatta attendere.
Attraverso una nota in cui si evidenzia la preoccupazione “per le gravi
carenze informative e interpretative” che emergono dalle opinioni
espresse dal senatore, le affermazioni dell’onorevole vengono ribattute
e analizzate punto per punto. Si legge nella nota: “Dal senatore
Randazzo, in quanto unico rappresentante in Senato della circoscrizione
Asia-Africa-Oceania-Antartide in Senato, ci attendiamo una posizione
meno unilaterale, parziale e distorta dei fatti. Ci attendiamo invece
una ricognizione in loco che gli permetta di verificare direttamente
quali siano le condizioni dei cittadini italiani residenti in Israele,
che egli rappresenta e che debbono costituire la sua massima
preoccupazione”. Man mano che si procede con la lettura si constata un
crescente sconcerto in chi scrive: “È ridicolo e populista il suo
riferimento ai governanti di Tel Aviv, quando la sede fisica del
governo e di tutte le maggiori istituzioni israeliane si trova, come è
noto, a Gerusalemme”. Un passaggio assume particolare rilevanza: “Gli
italiani in Israele sono una comunità di persone indipendenti, che
ragionano e fanno parte di una società democratica, l'unica nel Medio
Oriente, nella quale esistono diverse idee politiche. Tutti senza
distinzione auspicano una pacifica, rapida e giusta soluzione al
conflitto nel Medio Oriente, che tuteli l'esistenza di Israele come
stato ebraico e democratico e assicuri a tutte le parti nel conflitto
pieni diritti civili nei rispettivi paesi”. Viene puntualizzato che pur
esistendo valutazioni differenti circa gli ultimi avvenimenti, i nostri
connazionali residenti in Israele non hanno dubbi su alcune questioni.
In primis che la flottiglia fosse composta da un gruppo che comprendeva
non solo persone convinte in buona fede di compiere una opera
umanitaria, ma anche “fiancheggiatori di organizzazioni
filo-terroristiche e autori materiali di atti di terrorismo”. Il fatto
che sulla nave Mavi Marmara ci fossero pugnali, spranghe di ferro,
accette e armi da fuoco, è la prova che non sempre si trattava di
pacifisti ma che mischiati tra loro si nascondevano anche “facinorosi
mossi da motivazioni bellicose e coinvolti direttamente nella lotta del
movimento Hamas contro Israele”. A cominciare da un passeggero ben noto
alle forze di sicurezza israeliane: il vescovo Hilarion Capucci,
incriminato nel 1974 per trasporto di esplosivi a favore dei terroristi
palestinesi. Scarcerato tre anni dopo grazie ad un accordo col Vaticano
che prevedeva la cessazione di qualsiasi sua attività pubblica, la
presenza dell’88enne uomo di Chiesa a bordo della nave ha
rappresentato, secondo gli autori del documento, “un atto di spregio
agli accordi internazionali e un attentato alle intese
Israele-Vaticano”. Il Comites Israele, pur deplorando qualsiasi
spargimento di sangue avvenuto in seguito all'operazione, giudica il
tentativo di forzare il blocco del porto di Gaza “un atto premeditato
ed esplicito di guerra”. Gli abitanti di Israele, si legge al punto
quattro, hanno il dovere di preoccuparsi per la propria incolumità. E
questa viene assicurata “dalle azioni di contenimento e di contrattacco
deliberate dal Governo di Israele”. Un messaggio viene inviato
all’onorevole : “Il senatore Randazzo ha il dovere di chiedersi quale
sia la sorte degli italiani in Israele sottoposti a incessanti atti di
terrorismo”. C’è una cosa in particolare che non va giù al Comites:
“Non abbiamo sentito con uguale insistenza la voce del senatore
Randazzo in occasione dei molti atti di barbarie che si sono verificati
in questi ultimi tempi nella sua circoscrizione elettorale”: Gli esempi
citati sono numerosi: l'affondamento di una nave sud-coreana da parte
della Corea del Nord, le centinaia di migliaia di morti in Iraq per
mano di terroristi musulmani, i numerosi morti dell'OLP nel conflitto
civile con Hamas, l'uccisione del vescovo di Anatolia da parte del suo
autista musulmano e quella di decine di copti da parte di estremisti
musulmani in Egitto, le centinaia di migliaia di morti in Algeria, la
repressione dell'opposizione democratica in Iran. Al senatore viene
chiesto di far sentire la sua voce anche sulla detenzione del caporale
Gilad Shalit (da lungo tempo prigioniero di miliziani di Hamas e dal
2009 cittadino onorario di Roma), “a cui viene negata da ben quattro
anni ogni visita da parte delle organizzazioni umanitarie
internazionali”. La nota si conclude con un invito e un impegno da
onorare in futuro: “Il senatore Randazzo è uomo politico di grande età
ed esperienza, e sa bene che in fin dei conti sarà il responso delle
urne a determinare l'opinione degli elettori italiani nei confronti
della sua attività di parlamentare. Sarà onore e privilegio del Comites
ospitarlo non appena vorrà compiere una necessaria e urgente visita di
aggiornamento in Israele”.
Adam Smulevich
Un'immagine per il contributo ebraico alla
vita del paese
Dopo
il successo della prima edizione, la fondazione Centro di
documentazione ebraica contemporanea ripropone quest’anno il concorso
fotografico Obiettivo sul mondo ebraico. Tema scelto “Ebrei e
creatività”, che rappresenta un ampliamento di quello dell’undicesima
edizione della Giornata europea della cultura ebraica che avrà luogo
nel settembre 2010, “Ebrei e arte”. “Pensando a quello che la
Giornata si propone di raccontare, abbiamo cercato di estendere il più
possibile l’idea che vorremmo queste fotografie ritraessero – spiega
Paola Mortara, organizzatrice del concorso – Non ci interessano tanto
le immagini di opere d’arte di per sé, quanto la rappresentazione del
momento creativo, che può essere in fondo anche quello culinario o
tecnologico. Qualcosa che ci racconti chi è l’autore, che cosa c’è
dietro quello che crea” (nell'immagine
in alto la foto vincitrice del concorso dello scorso anno di Michele
Levis e in basso la foto terza classificata del concorso dello scorso
anno di Clio Zippel). Le fotografie, che dovranno pervenire al Cdec
entro il 30 giugno 2010, andranno ad arricchire un archivio di oltre 25
mila immagini, completamente digitalizzate. Una piccola parte di queste
è stata resa disponibile online con la pubblicazione de “I volti della
memoria”, una collezione di 364 immagini, pubblicata sul sito della
fondazione il 27 gennaio 2010 in occasione del Giorno della Memoria.
“Per il Cdec, il ricordo e lo studio della Shoah restano attività
fondamentale, ma pensiamo sia importante andare oltre, e impegnarci per
raccontare cos’è stata la cultura ebraica ieri e cos’è oggi – evidenzia
ancora la responsabile dell’archivio fotografico – La nostra esperienza
ci dice che le immagini sono una grandissima testimonianza di quello
che sono state la compenetrazione e il contributo della comunità
ebraica alla vita del nostro paese. Speriamo che questo concorso ci
permetta di acquisire nuovo materiale e di allargare la conoscenza del
nostro archivio, come è successo lo scorso anno”.
Rossella Tercatin
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Il nodo di Gaza - La crisi e la chiesa
Ancora
alcune considerazioni sulla vicenda della Freedom Flottilla, e
sull’atteggiamento assunto dalla Chiesa in questi giorni di tensione. 1)
Se è legittimo dare valutazioni diverse sul cruento incidente e sul
comportamento della marina israeliana, proporre una commissione di
inchiesta internazionale sul caso, rifiutando l’idea che a svolgerla
sia lo stesso Israele, significa, inequivocabilmente, negare la
solidità e la credibilità delle istituzioni democratiche dello Stato
ebraico. Un Paese, ricordiamo, nel quale un Premier (Rabin) si è subito
dimesso per un deposito di poche centinaia di dollari, dimenticato
dalla moglie su un conto corrente estero, contro le leggi valutarie
vigenti, un Presidente dello Stato (Katzav) lo ha fatto per delle
discutibili accuse di molestie sessuali, il figlio di un Premier
(Sharon) è andato in prigione, senza battere ciglio, per una faccenda
di finanziamenti non dichiarati, così come senza battere ciglio è
andato sotto processo un altro Premier (Olmert), per fatti analoghi.
Quale altro Paese al mondo può dire lo stesso? Onore al governo
italiano, che, alle Nazioni Unite, ha votato contro la proposta della
Commissione d’inchiesta internazionale. Quanto alla sinistra, che ha
criticato tale scelta, prendiamo atto del riemergere degli antichi
riflessi condizionati. Speriamo di non riassistere alle bare depositate
davanti al Tempio di Roma (corteo dei sindacati confederali del 25
giugno 1982), o agli amorevoli appelli agli elettori israeliani
(l’Unità del 16 gennaio 2003) affinché votino in un certo modo. 2)
Non ci sembra essere stato sufficientemente commentato il fatto che tra
i pacifisti della Marmara c’erano anche delle madri con bimbi, uno dei
quali di un anno. Le madri normali guardano due volte a destra e due a
sinistra prima di attraversare la strada col carrozzino, anche se sono
sulle strisce pedonali e c’è il verde. Ma queste, si sa, sono paure
piccolo-borghesi, una mamma guerrigliera ha ben altro coraggio, e non
esita a portare il piccolo al fronte, con asce, molotov e biberon.
Complimenti. Se il bimbo fosse stato colpito, poi, facile immaginare le
reazioni del mondo. 3) La totale trasformazione semantica che
il termine ‘pacifista’ sta subendo, già da molti anni, pare avere ormai
raggiunto il punto di non ritorno. Dato che, tra coloro che si
definiscono in tal modo, sono certamente ancora presenti molte persone
sinceramente amanti della pace, suggeriamo loro di scegliersi una nuova
denominazione, perché quella parola è oramai diventata sinonimo di
teppista, o peggio. 4) Dopo l’omicidio di monsignor Padovese,
vicario apostolico di Anatolia, la Santa Sede si è subito affrettata a
escludere, “in modo assoluto”, che il movente del gesto potesse
consistere nel fanatismo religioso (nonostante le stesse parole
pronunciate dal responsabile - quantunque, forse, squilibrato –
lasciassero, con tutta evidenza, pensare il contrario). Evidentemente,
il desiderio di non turbare i rapporti con l’Islam e con la Turchia
suggeriva di ridimensionare al massimo la portata dell’episodio.
Peccato che, quando si tratta di Israele e di ebrei, il comportamento
del Vaticano sembra essere sempre l’opposto: che sarebbe successo se un
vescovo fosse stato assassinato in Israele, da un ebreo? 5) I
duri giudizi pronunciati dal papa a Cipro, secondo i quali Israele
emergerebbe, nel quadro del Medio Oriente, come il principale ostacolo
sulla strada della pace, del dialogo e della stabilità regionale,
possono preoccupare, addolorare, indignare. Non, però, sorprendere. Non
si tratta di mere valutazioni politiche, c’è un filo preciso che lega
tali parole al pesante, sistematico arretramento impresso dalla Santa
Sede, negli ultimi anni, al dialogo ebraico-cristiano. È una realtà
triste e inquietante, ma è una realtà.
Francesco Lucrezi, storico
Il nodo di Gaza - Fervore internazionale
Il nodo di Gaza - La Turchia alla deriva
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Mentre
si stanno lentamente attenuando le polemiche che hanno accompagnato
l’azione di Israele contro le navi “pacifiste”, nell’attesa che anche
il mondo ebraico impari a dibattere al proprio interno le ragioni dei
dissidi al solo scopo di non continuare a fornire ai suoi nemici le
armi migliori per attaccarlo (nei giorni scorsi Omar Barghouti ha
girato per l’Italia per propagandare il boicottaggio e non ha avuto
difficoltà a parlare quasi unicamente con le citazioni di ebrei
odiatori, in un modo o nell’altro, di Israele), è interessante
registrare come anche le maggiori "fabbriche di notizie", come la
Reuters, devono ora riconoscere le loro manipolazioni, pur tentando di
giustificarle, in maniera peraltro assolutamente risibile. Sulla
rassegna di ieri ne abbiamo avuto un esempio di grande interesse, che
per questa ragione ripropongo ai lettori, perché emblematica di un
certo modo di presentare le notizie. La Reuters ha dichiarato di aver
“tagliato inavvertitamente delle immagini”. Si potrebbe credere a
questa falsa spiegazione se questa non fosse invece la norma, e
chiunque si occupi di disinformazione conosce benissimo questa
abitudine di tagliare per costringere i fatti entro il letto di
Procuste dell'ideologia. Quale strumento migliore, per fissare un'idea
nella mente del lettore, di un titolo e un'immagine? Ed è per questo
che proprio lì dentro si sceglie di occultare l'inganno. Diverso è poi
il problema di nascondere i fatti, le notizie, ma su questo potremo
dilungarci in altra occasione. Iniziamo la rassegna odierna parlando di Sergio Romano
che risponde a una domanda precisa e puntuale con i suoi soliti
argomenti anti-Israele e non solo: oggi conferma la sua definizione di
Israele come “corpo estraneo” in una terra che fu “provincia musulmana
per più di mille anni”. Aggiunge, il nostro “storico”: “gli arabi non
erano responsabili delle persecuzioni (quelle inflitte dal nazismo
ndr)”. Basta dimenticare l’amicizia del Gran Muftì con Hitler, il suo
sostegno militare, la sua vicinanza, anche fisica, per tutta la guerra,
ed il nostro impareggiabile storico scrive un’altra invenzione delle
sue. Dovrebbe avere l’onestà di ammettere, se vuol parlare di corpo
estraneo, che questo è piuttosto quello costituito da tante nazioni
islamiche, nate come imposizione su popoli abituati a conoscere solo la
tribù e non un grande stato. Vien quasi da ridere leggendo parole del
genere: “chi cerca di comprendere questi fenomeni (quelli religiosi
ndr) con il distacco e la mentalità dello studioso”. Lascio al lettore
la valutazione su queste parole! Su molti quotidiani viene ripreso
l’episodio, riportato più sopra, che ha visto cadere la Reuters nella
peggiore accusa per un’agenzia di stampa. Raccomando su questo
argomento la lettura dell’articolo pubblicato sul Foglio
che si dilunga sulle gravi abitudini delle agenzie di far politica di
parte anziché giornalismo corretto. Nel giorno che dovrebbe vedere
finalmente la proclamazione delle sanzioni contro l’Iran, abbiamo già
la prova tangibile della scarsa effettività di queste. Sono state
dimenticate le questioni energetiche, per non colpire i grandi
interessi di chi le sanzioni le dovrà applicare; il Foglio ci
ricorda che la Shell (ricordiamocene quando facciamo il pieno), dopo
aver stracciato a marzo i precedenti accordi con l’Iran, si è premurato
di firmare, la settimana scorsa, dei nuovi accordi che la metteranno al
sicuro da impedimenti internazionali. E Liberal
ci racconta anche di tante imprese italiane che aumentano a dismisura
le proprie relazioni con il regime dittatoriale: dall’ENI a
Finmeccanica, dalla Ansaldo alla Fata. Da parte sua Lorenzo Moore su
Rinascita si scaglia invece contro le sanzioni contro l’Iran; le
vorrebbe piuttosto contro Israele. Mentre Guido Olimpio sul Corriere,
in un articolo corretto parla delle 123 navi iraniane che cambiano
spesso bandiera per sfuggire ai controlli (e cambiano anche proprietà o
gestore), aggiungendo che seguono complicate rotte, da Hong Kong alla
Malesia, scelte accuratamente per far arrivare ovunque ogni tipo di
merce proibita, in altro articolo scrive che “in MO non ci sono verità
ma solo versioni”; non è così, signor Olimpio, ma il problema è che
certe verità, scomode e politicamente scorrette, non arrivano ai
lettori. Sempre sul Corriere
Battistini intervista il generale Eilaud che risponde con precisione a
domande sulla inchiesta che si apre in Israele sull’operazione
Flotilla. Battistini dimostra, fin dalla prima domanda, di far sue
tutte le accuse mosse ad Israele; già vorrebbe conoscere quale è stato
il principale errore dei soldati, e non mette neppure in dubbio che
magari i soldati non ne abbiano commessi. Ma quando i nostri
giornalisti, quasi tutti, impareranno che le sentenze si emettono alla
fine delle inchieste, e non a caldo subito dopo i fatti? Adriano Sofri
su Repubblica
“compatisce le innocenti vittime”; descrive i “pacifisti turchi come
persone affezionate alla pace”; nel suo pezzo ha tuttavia l’onestà di
comprendere che tanto si parla del conflitto medioorientale e poco dei
conflitti, non minori, che si sono verificati vicino a casa nostra
(Sarajevo, ad esempio). Peccato che poi torna sulle solite posizioni di
Repubblica scrivendo di temere che la bomba nucleare israeliana (che
quindi Sofri dà per certo che esista) finisca nelle mani di persone
stupide. Credo che gli stupidi (e anche peggio che stupidi) abbondino
piuttosto dall’altra parte dei confini di Israele, signor Sofri. Oggi,
se guardiamo alla realtà che sta sotto gli occhi di tutti, sembra
proprio di poter dire che Israele è nelle mani di qualcuno che stupido
non è. Sul Messaggero
si trova un’intervista al commissario della CRI Rocca; solite parole
alle quali questa testata ci ha abituato: a Gaza condizioni umane
terribili. Viene voglia di invitare il commissario Rocca ad andarsi a
leggere gli articoli di coloro che a Gaza ci sono andati davvero, con
occhi pronti a registrare quello che vi è, liberi da preconcetti. Gli
suggerirei, per cominciare, Lorenzo Cremonesi, che certo grande amico
di Israele non è. Eppure scrisse Cremonesi verità ben diverse da quelle
di Rocca. E gli suggerirei anche di guardarsi la TV di Hamas; magari
non comprenderà le parole, ma le immagini certo sì. Immagini che
mostrano l’opposto di queste sue parole. Altra intervista troviamo su
l’Unità di De Giovannangeli al premio Nobel Corrigan Maguire, reduce
dal fallito, secondo sbarco a Gaza. Solite parole: come sempre tutto il
male sta da una parte sola. E solito parlare di “genocidio”, anche se
questa volta è “lento”; mi verrebbe voglia di chiedere se questo
aggettivo sarebbe una aggravante o un’attenuante. Ancora su l’Unità Bertinetto
esalta i piani ambiziosi di Erdogan, il nuovo califfo (parole del
titolista); mi chiedo come faccia, oggi, Bertinetto a considerare
Erdogan “un moderato”, quando poi lui stesso ricorda la potenza
militare che ne sostanzia le ambizioni. E’ troppo chiedere un po’ di
coerenza a chi scrive? Raccomando, dopo tanta disinformazione, la
lettura del Foglio
dove Umberto Silva fa il pelo ed il contropelo al presidente Obama:
parole di assoluta chiarezza. Tra i tanti articoli della stampa estera
oggi vale la pena ricordare Bret Stephens sul Wall Street Journal
che parla di chi oggi sostiene e di chi invece contrasta Israele.
Questo importante articolo si chiude con le parole di Eric Hoffer che
già nel 68 diceva che se cade Israele l’Olocausto sarà su noi tutti:
parole di grande attualità all’inizio del terzo millennio, sulle quali
pochi sembrano riflettere. Su Le Monde
Zecchini si dilunga sul blocco di Gaza, ma tra tante cifre manca ad
esempio la spiegazione del perché oggi ci sia a Gaza tanta
disoccupazione, e manca la domanda di dove finiscano i soldi che
l’Occidente continua ad inviare (35000 dollari/anno per ogni singolo
cittadino). Ancora su le Monde
Barthe ci racconta del gioco a rincorrersi tra scavatori dei tunnel a
Rafah ed egiziani (con gli americani): si inserisce nel terreno il
muro? E loro lo perforano. Ma se poi lo inonderanno, ci si chiede?
Vedremo, è la risposta. Così va il Medio Oriente. Da sempre. Emanuel Segre Amar
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Studenti afghani in corteo gridano slogan contro l'America e contro gli ebrei Kabul, 8 giu - Centinaia
di studenti dell'università afghana di Mazar-i-Sharif (provincia
settentrionale di Balkh, riproponendo una protesta già fatta la
settimana scorsa a Kabul, hanno sfilato per le vie della città gridando
slogan ostili al cristianesimo e all'ebraismo, e chiedendo anche
l'allontanamento dalle aule universitarie dei professori stranieri.
Pronunciando slogan del tipo "morte all'America!, morte agli ebrei!,
morte ad Israele", scrive l'agenzia di stampa Pajhwok, i dimostranti
hanno inveito contro due associazioni cristiane (World Church Services
e Norwegian Church Aid) che sono state sospese dal governo perché
sospettate di fare attività di proselitismo. Entrambe le ong hanno
comunque respinto categoricamente, e pubblicamente, questi addebiti.
Ghulam Nabbi, uno studente della facoltà di Economia, deplorando
l'esistenza di proselitismo a favore del cristianesimo, ha detto a nome
dei compagni che "essendo l'Afghanistan musulmano per più del 99%, il
governo è obbligato a prevenire la diffusione di altre religioni".
Manifestazioni e proteste continueranno, ha sostenuto con forza, fino a
quando non saremo stati ascoltati, aggiungendo che tutti gli studenti
condannano la propaganda del cristianesimo e dell'ebraismo in questo
paese dell'Asia centrale e che la protesta pubblica è il solo modo per
proteggere l'islam. Alla fine della manifestazione gli organizzatori
hanno distribuito un comunicato in cinque punti in cui si sollecita una
punizione esemplare sulla base della legge islamica (che prevede fino
alla pena di morte) per i colpevoli di proselitismo e si propone la
chiusura di tutti i centri in cui si cerca di convertire i musulmani al
cristianesimo. "Azione in cui sono implicati - si dice infine - anche
professori di varie università afghane". |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
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