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L'Unione informa
 
    9 giugno 2010 - 27 Sivan 5770  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
alef/tav    
  locci Adolfo
Locci,

rabbino capo
di Padova
...siccome tutta la congregazione è di santi e in mezzo ai quali c’è l’Eterno, perché vi innalzate al di sopra della comunità di Hashem?” (Numeri 16:3). Rav Yehoshu‘a Weitzman, allievo di rav Shelomò Goren z.l e rav Shear Yashuv haKohen e attuale “Rosh” della Yeshivà Ma‘alot Ya‘akov, spiega che la rivendicazione di Korach contro Moshe e Aharon, si può riassumere in un solo concetto: uguaglianza. In effetti, dal suo punto di vista, Korach sostiene che tutti gli ebrei sono uguali “solo” perché fanno parte del “Popolo di Hashem”. Questa visione che è radicata non solo in ambito ebraico, di fatto, non condivide: 1) Il principio che afferma che ci siano livelli di Kedushà diversi ai quali l’individuo può accedere attraverso le sue azioni; 2) Che le azioni non indirizzano l’uomo in nessun luogo. La vicenda di Korach rivela, ante litteram, una questione che periodicamente si ripropone alla nostra attenzione, come un problema irrisolto che ogni tanto spunta fuori in forme sempre diverse. Oggi, come all’epoca dei fatti di Korach, si ritiene che una scala di valori non abbia alcun senso, che tutti siamo uguagliati grazie all’appartenenza, ma questo non è quello che la Torà, scritta e orale, esprime. La Torà ci dice ogni giorno chiaramente, come un’eco che si rifrange tra le rocce del monte Chorev, esiste una scala di valori che, se “praticati”, permettono di elevarci in Kedushà e solo allora saremo tutti “santi”. L’uguaglianza si raggiunge con l’osservanza dei doveri e non con l’accampare solamente dei diritti.
Desidero dedicare questo breve pensiero alla memoria di Rav Mordechay Elyhau z.l., rabbino capo sefardita di Eretz Israel dal 1983 al 1993, che il 25 di Siwan scorso è venuto a mancare dopo un lungo periodo di sofferenza. Rav Mordechay Elihau è stato un posek di grande importanza che ha saputo essere di riferimento per tutti. La testimonianza di persone che hanno avuto il merito di vivere quotidianamente i suoi insegnamenti, nonostante la sua autorevolezza, dimostra la sua costante disponibilità ad ascoltare qualsiasi istanza da qualsiasi persona. L’amore per il popolo e la terra d’Israele è stato il principio fondamentale che ha mosso la sua attività di Morè Horaà, mai interrotta anche nell’ultimo periodo della sua vita trascorso con gravi problemi di salute. “Sia la sua anima legata al gruppo della Vita, Amèn”. 
Helen Thomas è la decana dei giornalisti della Casa Bianca che, a 89 anni di età, ha detto per la prima volta ciò che pensava su Israele ovvero "gli ebrei che occupano la Palestina dovrebbero tornarsene in Germania e Polonia". L'episodio ha gettato luce in due direzioni: l'esistenza di un'America sommersa che non tollera Israele e vorrebbe rovesciare la scelta compiuta dal presidente Harry Truman nel 1948 di riconoscerne l'esistenza e l'abilità di Rabbi David Nesenoff, il rabbino-giornalista di Long Island laureato al Jewish Theological Seminar che con la sua flip-camera l'ha fatta parlare come non era mai riuscito a nessuno dai tempi di Eisenhower. Maurizio Molinari,
giornalista
maurizio molinari  
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  Il nodo di Gaza - Il Comites Israele risponde al senatore Randazzo

gaza “Le democrazie del mondo non possono restare indifferenti al micidiale colpo contemporaneamente inferto alle speranze di pace in Medio Oriente e all’onore dei governanti di Tel Aviv dalla barbarica aggressione israeliana alla flottiglia pacifista filo-palestinese con conseguente strage avvenuta in acque internazionali”. Nino Randazzo, navigato senatore del Partito Democratico e rappresentante della circoscrizione Asia-Africa-Oceania-Antartide a Palazzo Madama, aveva commentato a questo modo le drammatiche vicende riguardanti la nave di presunti pacifisti che una settimana fa ha provato ad attraccare a Gaza. Randazzo, che si era detto rammaricato per la presenza di sei cittadini italiani sulle navi "sotto attacco" e aveva sottolineato come l’Italia, per il suo posizionamento geopolitico, sia tra le nazioni più esposte in termini di sicurezza interna alle conseguenze del conflitto mediorientale, aveva rivolto un appello ai connazionali che vivono in suolo israeliano: “È impensabile che le componenti della numerosa presenza italiana in Israele, quella istituzionale e quella civile, diplomatici accreditati a Tel Aviv e a Gerusalemme, bene articolati gruppi di imprenditori e professionisti, promotori di attività culturali, Comites, Camera di Commercio, associazioni di svariato genere, non facciano pervenire all’opinione pubblica, al governo, al Parlamento, alle organizzazioni politiche d’Italia segnali d’allarme per i fatti sempre più destabilizzanti e devastanti nel conflitto israelo - palestinese e sollecitazioni per una più incisiva iniziativa di assistenza, intermediazione e pacificazione nella regione dove sono morte pietà e giustizia”. La risposta del Comites (Comitati degli italiani residenti all’estero) Israele non si è fatta attendere. Attraverso una nota in cui si evidenzia la preoccupazione “per le gravi carenze informative e interpretative” che emergono dalle opinioni espresse dal senatore, le affermazioni dell’onorevole vengono ribattute e analizzate punto per punto. Si legge nella nota: “Dal senatore Randazzo, in quanto unico rappresentante in Senato della circoscrizione Asia-Africa-Oceania-Antartide in Senato, ci attendiamo una posizione meno unilaterale, parziale e distorta dei fatti. Ci attendiamo invece una ricognizione in loco che gli permetta di verificare direttamente quali siano le condizioni dei cittadini italiani residenti in Israele, che egli rappresenta e che debbono costituire la sua massima preoccupazione”. Man mano che si procede con la lettura si constata un crescente sconcerto in chi scrive: “È ridicolo e populista il suo riferimento ai governanti di Tel Aviv, quando la sede fisica del governo e di tutte le maggiori istituzioni israeliane si trova, come è noto, a Gerusalemme”. Un passaggio assume particolare rilevanza: “Gli italiani in Israele sono una comunità di persone indipendenti, che ragionano e fanno parte di una società democratica, l'unica nel Medio Oriente, nella quale esistono diverse idee politiche. Tutti senza distinzione auspicano una pacifica, rapida e giusta soluzione al conflitto nel Medio Oriente, che tuteli l'esistenza di Israele come stato ebraico e democratico e assicuri a tutte le parti nel conflitto pieni diritti civili nei rispettivi paesi”. Viene puntualizzato che pur esistendo valutazioni differenti circa gli ultimi avvenimenti, i nostri connazionali residenti in Israele non hanno dubbi su alcune questioni. In primis che la flottiglia fosse composta da un gruppo che comprendeva non solo persone convinte in buona fede di compiere una opera umanitaria, ma anche “fiancheggiatori di organizzazioni filo-terroristiche e autori materiali di atti di terrorismo”. Il fatto che sulla nave Mavi Marmara ci fossero pugnali, spranghe di ferro, accette e armi da fuoco, è la prova che non sempre si trattava di pacifisti ma che mischiati tra loro si nascondevano anche “facinorosi mossi da motivazioni bellicose e coinvolti direttamente nella lotta del movimento Hamas contro Israele”. A cominciare da un passeggero ben noto alle forze di sicurezza israeliane: il vescovo Hilarion Capucci, incriminato nel 1974 per trasporto di esplosivi a favore dei terroristi palestinesi. Scarcerato tre anni dopo grazie ad un accordo col Vaticano che prevedeva la cessazione di qualsiasi sua attività pubblica, la presenza dell’88enne uomo di Chiesa a bordo della nave ha rappresentato, secondo gli autori del documento, “un atto di spregio agli accordi internazionali e un attentato alle intese Israele-Vaticano”. Il Comites Israele, pur deplorando qualsiasi spargimento di sangue avvenuto in seguito all'operazione, giudica il tentativo di forzare il blocco del porto di Gaza “un atto premeditato ed esplicito di guerra”. Gli abitanti di Israele, si legge al punto quattro, hanno il dovere di preoccuparsi per la propria incolumità. E questa viene assicurata “dalle azioni di contenimento e di contrattacco deliberate dal Governo di Israele”. Un messaggio viene inviato all’onorevole : “Il senatore Randazzo ha il dovere di chiedersi quale sia la sorte degli italiani in Israele sottoposti a incessanti atti di terrorismo”. C’è una cosa in particolare che non va giù al Comites: “Non abbiamo sentito con uguale insistenza la voce del senatore Randazzo in occasione dei molti atti di barbarie che si sono verificati in questi ultimi tempi nella sua circoscrizione elettorale”: Gli esempi citati sono numerosi: l'affondamento di una nave sud-coreana da parte della Corea del Nord, le centinaia di migliaia di morti in Iraq per mano di terroristi musulmani, i numerosi morti dell'OLP nel conflitto civile con Hamas, l'uccisione del vescovo di Anatolia da parte del suo autista musulmano e quella di decine di copti da parte di estremisti musulmani in Egitto, le centinaia di migliaia di morti in Algeria, la repressione dell'opposizione democratica in Iran. Al senatore viene chiesto di far sentire la sua voce anche sulla detenzione del caporale Gilad Shalit (da lungo tempo prigioniero di miliziani di Hamas e dal 2009 cittadino onorario di Roma), “a cui viene negata da ben quattro anni ogni visita da parte delle organizzazioni umanitarie internazionali”. La nota si conclude con un invito e un impegno da onorare in futuro: “Il senatore Randazzo è uomo politico di grande età ed esperienza, e sa bene che in fin dei conti sarà il responso delle urne a determinare l'opinione degli elettori italiani nei confronti della sua attività di parlamentare. Sarà onore e privilegio del Comites ospitarlo non appena vorrà compiere una necessaria e urgente visita di aggiornamento in Israele”.

Adam Smulevich




Un'immagine per il contributo ebraico alla vita del paese

davar 2Dopo il successo della prima edizione, la fondazione Centro di documentazione ebraica contemporanea ripropone quest’anno il concorso fotografico Obiettivo sul mondo ebraico. Tema scelto “Ebrei e creatività”, che rappresenta un ampliamento di quello dell’undicesima edizione della Giornata europea della cultura ebraica che avrà luogo nel settembre 2010, “Ebrei e arte”.  “Pensando a quello che la Giornata si propone di raccontare, abbiamo cercato di estendere il più possibile l’idea che vorremmo queste fotografie ritraessero – spiega Paola Mortara, organizzatrice del concorso – Non ci interessano tanto le immagini di opere d’arte di per sé, quanto la rappresentazione del momento creativo, che può essere in fondo anche quello culinario o tecnologico. Qualcosa che ci racconti chi è l’autore, che cosa c’è dietro quello che crea” (nell'immagine in alto la foto vincitrice del concorso dello scorso anno di Michele Levis e in basso la foto terza classificata del concorso dello scorso anno di Clio Zippel).
davar 2Le fotografie, che dovranno pervenire al Cdec entro il 30 giugno 2010, andranno ad arricchire un archivio di oltre 25 mila immagini, completamente digitalizzate. Una piccola parte di queste è stata resa disponibile online con la pubblicazione de “I volti della memoria”, una collezione di 364 immagini, pubblicata sul sito della fondazione il 27 gennaio 2010 in occasione del Giorno della Memoria. “Per il Cdec, il ricordo e lo studio della Shoah restano attività fondamentale, ma pensiamo sia importante andare oltre, e impegnarci per raccontare cos’è stata la cultura ebraica ieri e cos’è oggi – evidenzia ancora la responsabile dell’archivio fotografico – La nostra esperienza ci dice che le immagini sono una grandissima testimonianza di quello che sono state la compenetrazione e il contributo della comunità ebraica alla vita del nostro paese. Speriamo che questo concorso ci permetta di acquisire nuovo materiale e di allargare la conoscenza del nostro archivio, come è successo lo scorso anno”.

Rossella Tercatin
 
 
 
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  Il nodo di Gaza - La crisi e la chiesa

Francesco LucreziAncora alcune considerazioni sulla vicenda della Freedom Flottilla, e sull’atteggiamento assunto dalla Chiesa in questi giorni di tensione.
1) Se è legittimo dare valutazioni diverse sul cruento incidente e sul comportamento della marina israeliana, proporre una commissione di inchiesta internazionale sul caso, rifiutando l’idea che a svolgerla sia lo stesso Israele, significa, inequivocabilmente, negare la solidità e la credibilità delle istituzioni democratiche dello Stato ebraico. Un Paese, ricordiamo, nel quale un Premier (Rabin) si è subito dimesso per un deposito di poche centinaia di dollari, dimenticato dalla moglie su un conto corrente estero, contro le leggi valutarie vigenti, un Presidente dello Stato (Katzav) lo ha fatto per delle discutibili accuse di molestie sessuali, il figlio di un Premier (Sharon) è andato in prigione, senza battere ciglio, per una faccenda di finanziamenti non dichiarati, così come senza battere ciglio è andato sotto processo un altro Premier (Olmert), per fatti analoghi. Quale altro Paese al mondo può dire lo stesso? Onore al governo italiano, che, alle Nazioni Unite, ha votato contro la proposta della Commissione d’inchiesta internazionale. Quanto alla sinistra, che ha criticato tale scelta, prendiamo atto del riemergere degli antichi riflessi condizionati. Speriamo di non riassistere alle bare depositate davanti al Tempio di Roma (corteo dei sindacati confederali del 25 giugno 1982), o agli amorevoli appelli agli elettori israeliani (l’Unità del 16 gennaio 2003) affinché votino in un certo modo.
2) Non ci sembra essere stato sufficientemente commentato il fatto che tra i pacifisti della Marmara c’erano anche delle madri con bimbi, uno dei quali di un anno. Le madri normali guardano due volte a destra e due a sinistra prima di attraversare la strada col carrozzino, anche se sono sulle strisce pedonali e c’è il verde. Ma queste, si sa, sono paure piccolo-borghesi, una mamma guerrigliera ha ben altro coraggio, e non esita a portare il piccolo al fronte, con asce, molotov e biberon. Complimenti. Se il bimbo fosse stato colpito, poi, facile immaginare le reazioni del mondo.
3) La totale trasformazione semantica che il termine ‘pacifista’ sta subendo, già da molti anni, pare avere ormai raggiunto il punto di non ritorno. Dato che, tra coloro che si definiscono in tal modo, sono certamente ancora presenti molte persone sinceramente amanti della pace, suggeriamo loro di scegliersi una nuova denominazione, perché quella parola è oramai diventata sinonimo di teppista, o peggio.
4) Dopo l’omicidio di monsignor Padovese, vicario apostolico di Anatolia, la Santa Sede si è subito affrettata a escludere, “in modo assoluto”, che il movente del gesto potesse consistere nel fanatismo religioso (nonostante le stesse parole pronunciate dal responsabile - quantunque, forse, squilibrato – lasciassero, con tutta evidenza, pensare il contrario). Evidentemente, il desiderio di non turbare i rapporti con l’Islam e con la Turchia suggeriva di ridimensionare al massimo la portata dell’episodio. Peccato che, quando si tratta di Israele e di ebrei, il comportamento del Vaticano sembra essere sempre l’opposto: che sarebbe successo se un vescovo fosse stato assassinato in Israele, da un ebreo?
5) I duri giudizi pronunciati dal papa a Cipro, secondo i quali Israele emergerebbe, nel quadro del Medio Oriente, come il principale ostacolo sulla strada della pace, del dialogo e della stabilità regionale, possono preoccupare, addolorare, indignare. Non, però, sorprendere. Non si tratta di mere valutazioni politiche, c’è un filo preciso che lega tali parole al pesante, sistematico arretramento impresso dalla Santa Sede, negli ultimi anni, al dialogo ebraico-cristiano. È una realtà triste e inquietante, ma è una realtà.

Francesco Lucrezi, storico



Il nodo di Gaza - Fervore internazionale


Il nodo di Gaza - La Turchia alla deriva


 
 
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Mentre si stanno lentamente attenuando le polemiche che hanno accompagnato l’azione di Israele contro le navi “pacifiste”, nell’attesa che anche il mondo ebraico impari a dibattere al proprio interno le ragioni dei dissidi al solo scopo di non continuare a fornire ai suoi nemici le armi migliori per attaccarlo (nei giorni scorsi Omar Barghouti ha girato per l’Italia per propagandare il boicottaggio e non ha avuto difficoltà a parlare quasi unicamente con le citazioni di ebrei odiatori, in un modo o nell’altro, di Israele), è interessante registrare come anche le maggiori "fabbriche di notizie", come la Reuters, devono ora riconoscere le loro manipolazioni, pur tentando di giustificarle, in maniera peraltro assolutamente risibile. Sulla rassegna di ieri ne abbiamo avuto un esempio di grande interesse, che per questa ragione ripropongo ai lettori, perché emblematica di un certo modo di presentare le notizie. La Reuters ha dichiarato di aver “tagliato  inavvertitamente delle immagini”. Si potrebbe credere a questa falsa spiegazione se questa non fosse invece la norma, e chiunque si occupi di disinformazione conosce benissimo questa  abitudine di tagliare per costringere i fatti entro il letto di Procuste dell'ideologia. Quale strumento migliore, per fissare un'idea nella mente del lettore, di un titolo e un'immagine? Ed è per questo che proprio lì dentro si sceglie di occultare l'inganno. Diverso è poi il problema di nascondere i fatti, le notizie, ma su questo potremo dilungarci in altra occasione.
Iniziamo la rassegna odierna parlando di Sergio Romano che risponde a una domanda precisa e puntuale con i suoi soliti argomenti anti-Israele e non solo: oggi conferma la sua definizione di Israele come “corpo estraneo” in una terra che fu “provincia musulmana per più di mille anni”. Aggiunge, il nostro “storico”: “gli arabi non erano responsabili delle persecuzioni (quelle inflitte dal nazismo ndr)”. Basta dimenticare l’amicizia del Gran Muftì con Hitler, il suo sostegno militare, la sua vicinanza, anche fisica, per tutta la guerra, ed il nostro impareggiabile storico scrive un’altra invenzione delle sue. Dovrebbe avere l’onestà di ammettere, se vuol parlare di corpo estraneo, che questo è piuttosto quello costituito da tante nazioni islamiche, nate come imposizione su popoli abituati a conoscere solo la tribù e non un grande stato. Vien quasi da ridere leggendo parole del genere: “chi cerca di comprendere questi fenomeni (quelli religiosi ndr) con il distacco e la mentalità dello studioso”. Lascio al lettore la valutazione su queste parole! Su molti quotidiani viene ripreso l’episodio, riportato più sopra, che ha visto cadere la Reuters nella peggiore accusa per un’agenzia di stampa. Raccomando su questo argomento la lettura dell’articolo pubblicato sul Foglio che si dilunga sulle gravi abitudini delle agenzie di far politica di parte anziché giornalismo corretto. Nel giorno che dovrebbe vedere finalmente la proclamazione delle sanzioni contro l’Iran, abbiamo già la prova tangibile della scarsa effettività di queste. Sono state dimenticate le questioni energetiche, per non colpire i grandi interessi di chi le sanzioni le dovrà applicare; il Foglio ci ricorda che la Shell (ricordiamocene quando facciamo il pieno), dopo aver stracciato a marzo i precedenti accordi con l’Iran, si è premurato di firmare, la settimana scorsa, dei nuovi accordi che la metteranno al sicuro da impedimenti internazionali. E Liberal ci racconta anche di tante imprese italiane che aumentano a dismisura le proprie relazioni con il regime dittatoriale: dall’ENI a Finmeccanica, dalla Ansaldo alla Fata. Da parte sua Lorenzo Moore su Rinascita si scaglia invece contro le sanzioni contro l’Iran; le vorrebbe piuttosto contro Israele. Mentre Guido Olimpio sul Corriere, in un articolo corretto parla delle 123 navi iraniane che cambiano spesso bandiera per sfuggire ai controlli (e cambiano anche proprietà o gestore), aggiungendo che seguono complicate rotte, da Hong Kong alla Malesia, scelte accuratamente per far arrivare ovunque ogni tipo di merce proibita, in altro articolo scrive che “in MO non ci sono verità ma solo versioni”; non è così, signor Olimpio, ma il problema è che certe verità, scomode e politicamente scorrette, non arrivano ai lettori. Sempre sul Corriere Battistini intervista il generale Eilaud che risponde con precisione a domande sulla inchiesta che si apre in Israele sull’operazione Flotilla. Battistini dimostra, fin dalla prima domanda, di far sue tutte le accuse mosse ad Israele; già vorrebbe conoscere quale è stato il principale errore dei soldati, e non mette neppure in dubbio che magari i soldati non ne abbiano commessi. Ma quando i nostri giornalisti, quasi tutti, impareranno che le sentenze si emettono alla fine delle inchieste, e non a caldo subito dopo i fatti? Adriano Sofri su Repubblica “compatisce le innocenti vittime”; descrive i “pacifisti turchi come persone affezionate alla pace”; nel suo pezzo ha tuttavia l’onestà di comprendere che tanto si parla del conflitto medioorientale e poco dei conflitti, non minori, che si sono verificati vicino a casa nostra (Sarajevo, ad esempio). Peccato che poi torna sulle solite posizioni di Repubblica scrivendo di temere che la bomba nucleare israeliana (che quindi Sofri dà per certo che esista) finisca nelle mani di persone stupide. Credo che gli stupidi (e anche peggio che stupidi) abbondino piuttosto dall’altra parte dei confini di Israele, signor Sofri. Oggi, se guardiamo alla realtà che sta sotto gli occhi di tutti, sembra proprio di poter dire che Israele è nelle mani di qualcuno che stupido non è. Sul Messaggero si trova un’intervista al commissario della CRI Rocca; solite parole alle quali questa testata ci ha abituato: a Gaza condizioni umane terribili. Viene voglia di invitare il commissario Rocca ad andarsi a leggere gli articoli di coloro che a Gaza ci sono andati davvero, con occhi pronti a registrare quello che vi è, liberi da preconcetti. Gli suggerirei, per cominciare, Lorenzo Cremonesi, che certo grande amico di Israele non è. Eppure scrisse Cremonesi verità ben diverse da quelle di Rocca. E gli suggerirei anche di guardarsi la TV di Hamas; magari non comprenderà le parole, ma le immagini certo sì. Immagini che mostrano l’opposto di queste sue parole. Altra intervista troviamo su l’Unità di De Giovannangeli al premio Nobel Corrigan Maguire, reduce dal fallito, secondo sbarco a Gaza. Solite parole: come sempre tutto il male sta da una parte sola. E solito parlare di “genocidio”, anche se questa volta è “lento”; mi verrebbe voglia di chiedere se questo aggettivo sarebbe una aggravante o un’attenuante. Ancora su l’Unità Bertinetto esalta i piani ambiziosi di Erdogan, il nuovo califfo (parole del titolista); mi chiedo come faccia, oggi, Bertinetto a considerare Erdogan “un moderato”, quando poi lui stesso ricorda la potenza militare che ne sostanzia le ambizioni. E’ troppo chiedere un po’ di coerenza a chi scrive? Raccomando, dopo tanta disinformazione, la lettura del Foglio dove Umberto Silva fa il pelo ed il contropelo al presidente Obama: parole di assoluta chiarezza. Tra i tanti articoli della stampa estera oggi vale la pena ricordare Bret Stephens sul Wall Street Journal che parla di chi oggi sostiene e di chi invece contrasta Israele. Questo importante articolo si chiude con le parole di Eric Hoffer che già nel 68 diceva che se cade Israele l’Olocausto sarà su noi tutti: parole di grande attualità all’inizio del terzo millennio, sulle quali pochi sembrano riflettere. Su Le Monde Zecchini si dilunga sul blocco di Gaza, ma tra tante cifre manca ad esempio la spiegazione del perché oggi ci sia a Gaza tanta disoccupazione, e manca la domanda di dove finiscano i soldi che l’Occidente continua ad inviare (35000 dollari/anno per ogni singolo cittadino). Ancora su le Monde Barthe ci racconta del gioco a rincorrersi tra scavatori dei tunnel a Rafah ed egiziani (con gli americani): si inserisce nel terreno il muro? E loro lo perforano. Ma se poi lo inonderanno, ci si chiede? Vedremo, è la risposta. Così va il Medio Oriente. Da sempre.

Emanuel Segre Amar

 
 
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Studenti afghani in corteo gridano slogan contro l'America         e contro gli ebrei
Kabul, 8 giu -
Centinaia di studenti dell'università afghana di Mazar-i-Sharif (provincia settentrionale di Balkh, riproponendo una protesta già fatta la settimana scorsa a Kabul, hanno sfilato per le vie della città gridando slogan ostili al cristianesimo e all'ebraismo, e chiedendo anche l'allontanamento dalle aule universitarie dei professori stranieri. Pronunciando slogan del tipo "morte all'America!, morte agli ebrei!, morte ad Israele", scrive l'agenzia di stampa Pajhwok, i dimostranti hanno inveito contro due associazioni cristiane (World Church Services e Norwegian Church Aid) che sono state sospese dal governo perché sospettate di fare attività di proselitismo. Entrambe le ong hanno comunque respinto categoricamente, e pubblicamente, questi addebiti. Ghulam Nabbi, uno studente della facoltà di Economia, deplorando l'esistenza di proselitismo a favore del cristianesimo, ha detto a nome dei compagni che "essendo l'Afghanistan musulmano per più del 99%, il governo è obbligato a prevenire la diffusione di altre religioni". Manifestazioni e proteste continueranno, ha sostenuto con forza, fino a quando non saremo stati ascoltati, aggiungendo che tutti gli studenti condannano la propaganda del cristianesimo e dell'ebraismo in questo paese dell'Asia centrale e che la protesta pubblica è il solo modo per proteggere l'islam. Alla fine della manifestazione gli organizzatori hanno distribuito un comunicato in cinque punti in cui si sollecita una punizione esemplare sulla base della legge islamica (che prevede fino alla pena di morte) per i colpevoli di proselitismo e si propone la chiusura di tutti i centri in cui si cerca di convertire i musulmani al cristianesimo. "Azione in cui sono implicati - si dice infine - anche professori di varie università afghane".
 
 
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