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L'Unione informa
 
    11 giugno 2010 - 29 Sivan 5770  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
alef/tav    
  roberto colombo Roberto Colombo,
rabbino 
Affittittopoli e appaltopoli. Oggi uno dei temi ricorrenti sui quotidiani e tg nazionali è l’acquisto o il pagamento di affitti di dubbia legalità da parte di
politici e uomini di potere. Rabbì Avraham Yeshaya Karelitz"(1878-1953), noto come Chazòn Ish, fu uno dei più grandi Maestri del XX secolo. Nel 1933 arrivò in Eretz Israel e prese una piccola casa in
affitto a Benè Beraq. Un ricco americano ritenuto poco decoroso che una persona di tale levatura vivesse in un’abitazione così povera, gli regalò un appartamento. Rabbì Avraham  - per non offendere il donatore - decise di trasferirsi nel nuovo alloggio. Da quel giorno fino alla sua morte si recò puntualmente ogni mese agli uffici del Comune e pagò allo Stato l’affitto della propria abitazione. Chazòn Ish non amava i regali e temeva la maldicenza. 
Una delle domande più frequenti dei nostri studenti, durante le lezioni di storia ebraica, è: ma perché ce l’hanno sempre con gli ebrei? Talvolta la stessa questione viene anche posta in termini affermativi 
- tanto ce l’hanno con noi da sempre! -  considerando l’odio verso gli ebrei un dato quasi connaturato o una verità lapalissiana che non merita quindi ulteriori approfondimenti. Circola in rete un documento che affronta il tema in termini molto pragmatici ed efficaci già a partire dal titolo: “The big six: causes or merely excuses?” In esso si ipotizza che esistano sei teorie definite dagli storici (economica, popolo eletto, capro espiatorio, deicidio, diversità/outsiders, teoria razziale) alla base di tanta avversione. Ma si tratta di cause o di scuse? Dall’analisi articolata e puntuale di ciascuna emerge che sono scuse ma l’obiettivo esplicito dell’attività educativa è un altro: più che domandarsi lacrimevolmente “perché a noi?” è necessario sapere scegliere perché continuare ad essere ebrei. Conoscere e saper rispondere agli altri  esprimendo però identità forti e non riflesse.   
Sonia
Brunetti Luzzati,

pedagogista
sonia brunetti  
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  Il ruolo degli ebrei 

moment Dopo la Shoah, in seguito al dibattito infinito prodotto dalla creazione dello Stato d’Israele nel 1948 e da tutto ciò che ne è conseguito, l’ebreo, soprattutto nella diaspora, ha trovato assai difficile definire il proprio ruolo nel mondo. Il suo ruolo è stato rimesso in discussione dalla società e dalla storia. Il suo spirito cosmopolita è stato contestato e l’ebreo si è spesso sentito tirare per la giacca da chi, diffidando della sua fedeltà di suddito di una sola nazione, gli chiedeva reiteratamente di prendere posizione, di giustificarsi.  Di giustificare la sua caparbia memoria antica, da un lato, e la divisione dei suoi affetti presenti, dall’altro. In questa crisi di identità, una parte non minore l’hanno sempre giocata i mille diversi modi in cui l’ebreo sceglie di vivere il suo ebraismo. Un popolo che appare all’esterno compatto e unito vive la propria identità nel più variegato e frammentato dei modi, religioso o laico, sionista o antisionista, religioso-sionista, religioso ma non sionista, sionista ma non religioso, e così di seguito, in una serie infinita di variabili.
A questo punto, sospettare che l’ebreo abbia tutto il diritto di chiedersi: chi sono e che cosa significa essere ebreo? non sembra uno scandalo, e non dovrebbe sorprendere nessuno. Ma l’ebreo è dotato di tanto spirito critico da ritrovarsi spesso in disaccordo anche con se stesso, soprattutto sulla definizione da dare al suo essere ebreo. Per sfuggire alla crisi, a cui peraltro dovrebbe essere da tempo abituato, non resta all’ebreo che porsi non tanto il problema dell’identità quanto quello del suo scopo nella vita e del suo ruolo nella società moderna.
La risposta alla domanda o, nella migliore tradizione ebraica, una vasta scelta di risposte, la possiamo trovare in un recente servizio della rivista americana Moment, che pone la domanda a 70 personaggi di spicco dell’ebraismo americano.
Come l’irriverente regista e attore Mel Brooks, all’anagrafe Melvin Kaminsky, che racconta di come dovette cambiare il suo nome per non essere discriminato dall’establishment culturale dell’epoca. Il mestiere del comico, secondo il regista, è connaturato al destino degli ebrei: “Forse perché gli ebrei - dice Brooks - hanno sofferto e pianto per così tanto tempo che è per loro giunto il tempo di ridere”. Detto questo, Brooks snocciola una delle sue prime battute, ideata quando ancora era un artista in erba, non proprio una delle migliori ammette: ”You can’t keep Jews in jail, they eat lox.” “Non puoi tenere gli ebrei in gabbia, perché mangiano salmone” (con un gioco di parole tra “lox”, filetto di salmone e “locks”, serrature).
Cosa possano offrire gli ebrei al mondo? A detta di Brooks, in primis ciò che è stato tramandato da Mosè e da Maimonide: “Possiamo offrire un vasta gamma di leggi che regolano il comportamento umano. Siamo stati il primo popolo a creare quella cosa definita legge, a distinguere tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato secondo i principi della Torah. Se poi volessero qualcosa di più gustoso, possiamo comunque offrire dell’ottima matzo brei (pane azzimo fritto insieme a uova)”.
L’ebraismo può avere inoltre un ruolo fondamentale nella promozione e nella difesa dei diritti umani, come spiega Elie Wiesel, scrittore, premio Nobel per la pace nel 1986 e cofondatore di Moment magazine.
Per Wiesel gli ebrei devono aiutare il mondo a comprendere che quando a una comunità di persone vengono negati i diritti, ne rimaniamo colpiti tutti: “Come ebrei dobbiamo prestare soccorso a coloro che ne hanno bisogno, ovunque essi siano. Dobbiamo comprendere le loro necessità, le loro paure, le loro gioie, e attraverso queste trovare noi stessi. Questa è una missione essenziale per noi ebrei, perché è quello che facciamo da quando siamo diventati un popolo. Sì, Dio ha donato la Torah agli ebrei, ma in un certo senso essa è un dono per tutti.”
Il Rabbino Shmuley Boteach, autore del libro di successo Kosher sex, è decisamente più pragmatico: “Il nostro errore più grande è credere che l’ebraismo sia solo per gli ebrei. Mentre il cristianesimo e l’Islam si concentrano sulle questioni macrocosmiche: dove andrò quando morirò? com’è il paradiso? come posso essere salvato?, l’ebraismo si concentra sulle questioni microcosmiche: come posso imparare a non fare maldicenza? come posso creare una famiglia stabile ed evitare il divorzio? Noi ebrei siamo riusciti a definire alcune problematiche con cui la società moderna non è ancora riuscita a confrontarsi. Come creare un matrimonio appassionato. Come crescere e ispirare i figli. Dovremmo condividere ciò che abbiamo imparato con il resto del mondo.”
Anche riguardo alle riflessioni etiche, Michael Broyde, rabbino e professore di legge alla Emory University, ritiene che gli ebrei possano fare molto: “Nella tradizione ebraica non si parla mai di bianco e nero, piuttosto di infinite sfumature di grigio, qualcosa può essere permesso, ma poco consigliato, disapprovato, ma non proibito”. Anche la bioetica è fatta di infinite sfumature e l’ebraismo negli Stati Uniti ha esercitato una forte influenza in questo ambito: “In contrasto con i paletti posti dalla chiesa cattolica - spiega Broyde - tutte le maggiori correnti dell’ebraismo si sono schierate a favore della ricerca sulle cellule staminali utilizzate in campo medico con scopi terapeutici. Come ebrei dobbiamo continuare a offrire al mondo, risposte ragionevoli a problemi, seppur complessi, che investono la sfera etica e che ci coinvolgono tutti”. 
Ma come discutere tali problematiche? Per Adam Berger, Amministratore delegato della Spark Networks, compagnia che possiede il celeberrimo sito di incontri Jdate, nel mondo ebraico le scelte vengono sempre fatte in seguito a un serrato confronto: “Le decisioni – afferma Berger –, che siano quelle della Knesset in Israele o di un’organizzazione caritatevole negli Stati Uniti, vengono prese solo dopo un’accesa discussione, ascoltando e valutando tutte i diversi pareri. Se ci fossero state più persone con il coraggio di mettere in discussione ciò che veniva prospettato dalla repubblica di Weimar in Germania, la storia sarebbe stata diversa. Noi offriamo al mondo il modello di una comunità in cui ogni membro ha la possibilità di intervenire in un dibattito e di fornire il proprio contributo alla discussione. Una vera e propria famiglia che non solo tollera le diverse opinioni, ma che ne apprezza le varie sfumature”.
E in definitiva gli ebrei sono questo. Come in una famiglia, si è spesso in disaccordo. Si discute di frequente e si tende a essere ipercritici gli uni verso gli altri. Ma state pur certi che, quando qualcuno al di fuori della famiglia critica ingiustamente un membro o l’intero nucleo familiare, si è sempre pronti a schierarsi in difesa di chi è stato colpito.

Michael Calimani



Mondiali di calcio 2010 – Israele scende in campo

masilelaBassa statura, fisico non particolarmente possente e tanti polmoni. Ecco in poche parole l’identikit di Tsepo Masilela, 25enne terzino sinistro del Maccabi Haifa e giocatore tra i più rappresentativi del Sud Africa che oggi affronta il Messico nella partita inaugurale del primo Mondiale di calcio organizzato nel continente nero. Star del campionato israeliano da tre anni, Masilela si è messo in mostra contro Bayern e Juventus nella pur disastrosa campagna europea della squadra di Haifa (zero punti e zero goal fatti nel girone eliminatorio della Champions League). Tsepo detiene un record: nel 2006 è diventato il primo calciatore sudafricano a disputare una partita con la nazionale prima ancora di aver firmato un contratto da professionista.

komakDopo un triennio in Israele, adesso è pronto per il salto di qualità: su di lui hanno preso informazioni club della Premier League e della Bundesliga. Per il probabile cambio di casacca si attende la fine del Mondiale.Masilela non è l’unico calciatore del campionato israeliano presente in Sud Africa. Gli fa compagnia lo sloveno Andrej Komac, centrocampista centrale che milita nel Maccabi Tel Aviv. Giocatore di grande classe anche se con scarso fiuto del goal, è uno degli uomini attorno a cui ruota la manovra della Slovenia. Superata la soglia dei 30 anni e delle 40 presenze con la nazionale, Andrej ha l’ultima chance della carriera per ottenere un minimo di visibilità internazionale. Nel caso gli andasse male, è facile immaginarlo ai blocchi di partenza della prossima Ligat Toto.

a.s.
 
 
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  Rigore e responsabilità

anna segreIn questi giorni per la prima volta gli insegnanti delle classi che si avviano all’esame di stato si trovano a dover applicare l’ordinanza ministeriale che prevede l’ammissione solo per chi ha conseguito la sufficienza in tutte le discipline. In apparenza la norma invoca un maggior rigore, ma è davvero così? In realtà, come ha dichiarato il Ministro stesso pochi giorni fa nella trasmissione Porta a porta, «è chiaro che l’applicazione delle nuove regole deve essere accompagnata dal buon senso e dunque con un cinque non si boccia nessuno». Dunque i cinque (o magari un quattro di una sola materia) potranno essere trasformati in sei per voto di consiglio. Allora non cambia nulla rispetto agli anni scorsi? Cambia, perché in precedenza i quattro e i cinque che rimanevano tali influivano sulla media dei voti, e quindi sul credito scolastico; da quest’anno chi viene ammesso all’esame con una o più insufficienze “sanate” avrà la stessa media dei suoi compagni che hanno raggiunto la sufficienza con le proprie forze; e per di più, trascurando una materia, avrà avuto più tempo a disposizione per le altre. Si fatica dunque a comprendere in cosa esattamente consista il “maggior rigore” e in quale senso, sempre secondo le parole del Ministro, queste norme vogliano evitare i “sei politici” (come si chiama allora un’insufficienza che diventa sei?). E’ giusto che la scuola educhi gli allievi ad assumersi le proprie responsabilità; un ministro che emana una norma rigida e poi invita pubblicamente a disattenderla quale messaggio vuole trasmettere?

Anna Segre, insegnante


Comix - 
Will Eisner sulla Dropsie Avenue

dropsie avenueSeconda puntata dedicata alla trilogia di New York di Will Eisner. Dropsie Avenue uscì nel 1995 pubblicato dalla Kitchen Sink, in Italia la sua prima edizione è del 1999 per i tipi della PuntoZero che per anni pubblicherà le sue opere. Oggi è riproposto dalla Fandango Libri.
Questo libro percorre un doppio binario: storico e autobiografico.
Storico perché ripercorre gli eventi di quasi 500 anni della storia del Bronx dai primi abitanti olandesi, quando non era un quartiere, ma una serie di case coloniche ben distanti l’una dall’altra fino al quartiere che oggi conosciamo. Italiani, ebrei, irlandesi e tutti i popoli che sono emigrati in questi decenni, hanno edificato una nazione partendo da quel quartiere e soprattutto da Dropsie Avenue, da quel numero 55, il building probabilmente di proprietà di Frimme Hersh.
Biografico perché Eisner, come tutti i grandi scrittori, quando crea ha il bagaglio della propria vita affianco da dove pesca ricordi, emozioni, fatti che si traducono in storie.
Dropsie Avenue un fumetto-crogiolo di uomini, alcune tavole rappresentano gruppi di persone con livelli diversi di prospettiva che si confrontano, parlano, dibattono. In altre piccole storie umane spesso hanno esiti tragici, ma quanto sono il riflesso della quotidianità di ogni uomo!
Così come gli eventi storici che sembrano distanti, ma che inevitabilmente coinvolgono la vita tutti, dal crack della Borsa alle guerre. I vari popoli che lo abitano si sovrappongono, incrociandosi, mescolandosi in alcuni casi, scontrandosi troppo spesso. Questo graphic novel è uno degli esempi più concreti della abilità di Will Eisner di combinare la ricerca storica con l’umanità, intesa come uomini e donne che vivono.
Se la storicità emerge sempre nella narrazione, nella sceneggiatura della storia, l’umanità appare nel disegno, nel modo con cui vengono disegnati i personaggi delle storie. Corpi tridimensionali, senza necessità di occhialini o tecnologie speciali, che conquistano lo spazio delle emozioni, abbracciano il lettore e lo conducono nei meandri magici della Vita.
Quel mistero incredibile che cerchiamo di tradurre in formule, troppo spesso senza viverlo pienamente.

Andrea Grilli
 
 
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Ebrei di tutto il mondo fatevi cittadini d'Israele
Appartenere a una stessa nazione, e avere lo stesso passaporto. Questo, per gli ebrei di tutto il mondo, è possibile; e proprio questa è la prospettiva che Alain Elkann indica come - ormai irrinunciabile in un lungo articolo pubblicato su La règle  du jeu, il sito on line dell'omonima rivista del filosofo francese Bernard Henri Lévy, che raccoglie nel suo comitato editoriale scrittori e intellettuali di tutto il mondo, da E. L. Doctorow a Jonathan Safran Foer, da Claudio Magris a Mario Vargas Llosa. Non è una provocazione, anche se è certo che si tratta di una presa di posizione destinata a far discutere, in un momento in cui il governo israeliano è oggetto di aspre critiche e di indignazoni anche strumentali, e lo spettro dell'antisemitismo torna come sempre a riaffacciarsi minaccioso. Quella di Elkann è una sollecitazione forte, che guarda all'orizzonte politico e culturale ma parte dall'esperienza personale, e dalle contraddizioni di cui è cosciente lo stesso autore. «Scrivo queste parole spiega - perché sono stanco di essere diverso». In che modo? «Io vivo tra Italia e Francia, trascorro molto tempo negli Usa e in altri Paesi, ho un passaporto italiano e uno francese, sono consigliere di importanti politici italiani»,- prosegue l'articolo. Inoltre, aggiunge Elkann, faccio il giornalista in Italia, e son uno scrittore italiano. Sembra una situazione in cui il problema della cittadinanza non avrebbe motivo di porsi. Eppure «un ebreo non può continuare a esistere senza sentire, pensare e sapere che Israele è di nuovo la patria degli ebrei». [...]

Mario Baudino, La Stampa 11 giugno 2010


Il genoma rivela: partirono dall'Italia le due anime
della diaspora ebraica

I due grandi tronconi della diaspora ebraica nel mondo hanno una radice sola: l'Italia dell'impero romano. La comune ascendenza nella penisola italica è un risultato clamoroso delle ricerche sulgenoma dituttele popolazioni di origini ebraica. Perla precisione è nel nono secolo dopo Cristo che appaiono nell'Europa settentrionale i primi nuclei di ebrei ashkenaziti. Ora la mappatura genetica stabilisce che sono i discendenti da un ceppo di ebrei deportato in precedenza in Italia, dopo l'invasione romana di Genisalemme sotto Tito Flavio Vespasiano (anno 70 dopo Cristo). E alla stessa comunità di ebrei residenti in Italia risale anche l'altra famiglia della diaspora, i sefarditi, insediati nell'Europa mediterranea. La storia successiva di questi due rami ha seguito percorsi molto diversi. Esiliati dalla Spagna nel 1492 e dal Portogallo nel 1497, i sefarditi tornarono in Medio Oriente sotto l'impero Ottomano, e anche in Nord Africa e in Olanda. Gliashkenaziti, culla della cultura yiddish, si stabilirono nell'Europa centro- orientale, Russia inclusa, fino a quando la persecuzione antisemita e l'Olocausto nazista spinse molti di loro alla fuga verso gli Stati Uniti, o al ritorno in Israele. La divaricazione delle diaspore ha consolidato fino a ieri l'idea che le comunità ashkenazita e sefardita abbiano ormai poco in comune, dopo secoli di mescolanza con le popolazioni dei paesi d'adozione. Una versione estrema di questa teoria appartiene allo storico Shlomo Sand, autore di «The Invention of the Jewish People»: secondo lui gli ebrei di oggi non hanno un'origine unica, bensì sono una sovrapposizione di popoli dell'Europa e dell'Asia centrale, convertiti alla religione ebraica in epoche diverse. Ma la ricerca genetica lo smentisce. [...] 

Federico Rampini, La Repubblica, 11 giugno 2010


Iran furioso con Pechino per il sì alle sanzioni Onu
È crisi fra Pechino e Teheran, dopo il voto favorevole della Cina al quarto pacchetto di sanzioni varato ieri dal Consiglio di sicurezza dell'Onu, in coincidenza con la visita del presidente Mahmoud Ahmadinejad a Shanghai, dove oggi celebrerà la Giornata dell'Iran all'Expo universale. Ahmadinejad furioso per lo smacco è arrivato a Shanghai nel tardo pomeriggio di ieri e il programma della visita non prevede un soggiorno a Pechino né incontri con esponenti cinesi. Lo stesso presidente iraniano ha definito la risoluzione che prevede le nuove sanzioni «roba da buttare nel cestino dei rifiuti» e ha minacciato di ridurre al cooperazione con gli ispettori dell'Aiea, l'agenzia atomica dell'Onu. Da Teheran, ha rincarato la dose il direttore dell'Organizzazione iraniana per l'energia atomica, Ali Akbar Salehi, che ha accusato la Cina di essere «dominata» dall'Occidente e di essere una «tigre di carta». «La Cina ha proseguito Salehi- sta perdendo il suo posto nel mondo musulmano». Parole dure, inusuali tra i due paesi visto che Pechino importa l'11% del fabbisogno energetico da Teheran.  [...]   

Vittorio Da Rold, Il Sole 24 Ore, 11 giugno 2010                   

 
 
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notizieflash    
 
 
Pacifici alle famiglie dei soldati israeliani: "Inoltreremo                
una protesta formale alla Reuters"
Roma 10 giu -
Il presidente della Comunità Ebraica di Roma, Riccardo Pacifici in visita in Israele negli scorsi giorni, ha visitato i militari nell'ospedale Tel Hashomer a Tel Aviv . "Sono increduli - ha detto Pacifici al suo rientro in Italia - della versione dell'operazione così come è stata raccontata dalla stampa internazionale". Pacifici a questo proposito ha annunciato che la Comunità ebraica romana intende inoltrare una protesta formale alla Reuters per aver manipolato alcune fotografie dalle quali sono scomparsi i coltelli con cui sono stati attaccati i soldati israeliani impegnati nel blocco della nave turca. "E' la seconda volta - ha spiegato Pacifici - che succede: é una recidiva che ci impone di intervenire a difesa di un'etica che non è stata rispettata". Pacifici ha poi raccontato le condizioni in cui versano attualmente due dei soldati: "Al primo, che è stato anche il primo a scendere sulla tolda della nave, hanno spezzato l'avambraccio destro e l'hanno colpito con una coltellata dietro l'orecchio. Ha raccontato di essere stati accolto da gente inferocita che li ha colpiti con bastoni di ferro e che li hanno disarmati dei fucili antisommossa che avevano". "Al secondo - ha continuato Pacifici - hanno invece sparato nell'addome, tanto che è ancora in condizioni precarie in ospedale". Il presidente della Comunità ebraica romana ha poi ribadito di aver invitato i soldati e le loro famiglie in Italia: "Sono ragazzi molto giovani e alla fine della convalescenza mi piacerebbe che venissero nel nostro Paese. Mi hanno detto che gli altri soldati del gruppo sono intervenuti in loro difesa altrimenti sarebbero stati linciati sulla nave". Pacifici ha quindi spiegato che fuori la stanza dell'ospedale dove sono ricoverati i soldati si danno il cambio i loro commilitoni per portare conforto e sostegno. "Siamo grati all'Italia e al ministro Frattini per la posizione assunta nel voto Onu contro la commissione di inchiesta internazionale". Hanno detto le famiglie dei soldati israeliani feriti nel corso dell'operazione sulla Mavi Marmara a Pacifici che ha aggiunto "Le famiglie dei soldati mi hanno chiesto se in Italia ci sono state manifestazioni su queste vicende e io ho raccontato quella pro-Palestina che ha lambito il ghetto di Roma. C'é stata molta rabbia ma non paura. Ora il 24 giugno - ha proseguito Pacifici - ci sarà quella per Gilad Shalit al Colosseo per sollecitare la liberazione del soldato in mano di Hamas da quattro anni".
 
 
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