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L'Unione informa |
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14 giugno 2010 - 2 Tamuz 5770 |
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alef/tav |
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Riccardo
Di Segni, rabbino capo di Roma |
Migliaia
di persone hanno assistito commosse la scorsa settimana alle
rappresentazioni del Nabucco nella cornice suggestiva della montagna di
Masada, simbolo della antica resistenza ebraica. Per molti spettatori
il Va' pensiero non era solo bella musica, ma un inno ebraico. Un tempo
lo suonavano nelle sinagoghe e ancora oggi, con un pizzico di ironia,
la melodia accompagna in alcune case ebraiche italiane le parole del
Salmo del ritorno a Sion. E' una aggiunta di prospettiva da tenere in
conto nel momento in cui un ministro della repubblica ripropone
l'antica polemica sull'inno nazionale italiano. Il fatto è che le
identità sono complesse e sfumate e così i simboli che dovrebbero
rappresentarle. Per noi si tratta di una questione infinita che ogni
giorno rinasce con facce nuove. Come la proposta di un passaporto
israeliano a ogni ebreo. Come se la collezione di documenti bastasse a
esprimere l'ebraismo. Si pensi piuttosto alle priorità e lo facciano in
primo luogo coloro che sono chiamati a responsabilità di guida
comunitaria. Dobbiamo stabilire una priorità qui in Italia? La risposta
è semplice: costruzione di famiglie ebraiche.
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Che
l'inno di Mameli, l'inno ufficiale dell'Italia repubblicana, proprio
non piaccia ai leghisti, lo sappiamo. Quello che forse ci siamo
dimenticati, o non abbiamo forse mai saputo, è la storia di questo
inno, alle nostre orecchie di oggi fitto di parole complicate e dal
suono retorico. A me da giovane non piaceva proprio, ma se avessi
conosciuto meglio la storia romantica del suo autore, Goffredo Mameli,
credo proprio che mi sarebbe piaciuto anche il suo inno. Tipico figlio
del suo secolo, poeta, studente, lo sguardo intenso e la lunga barba,
Mameli compone l'inno nel 1847, a vent'anni. Mazziniano, partecipa
attivamente alla rivoluzione del 1848, combattendo a Milano, a Genova,
sua città natale, a Roma. Muore a ventidue anni per una ferita infetta
ricevuta durante la difesa del Gianicolo, nel 1849. E' sepolto a Roma,
al Gianicolo, dove si trova anche il suo busto in marmo. Musicato nello
stesso 1847 dal maestro Michele Novaro, l'inno è stato assai popolare
durante il Risorgimento italiano. Per il suo carattere mazziniano e
repubblicano, non era però amato dai Savoia. La retorica risorgimentale
propria del fascismo lo riportò in auge, non però come inno nazionale.
Lo divenne nel 1946, dopo la proclamazione della Repubblica.
Ricordiamolo almeno adesso, in occasione del centocinquantenario
dell'unità d'Italia. |
Anna Foa,
storica |
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“Cittadini d’Israele tutti gli ebrei? Utile provocazione” Pacifici: sì all’idea di Alain Elkann, ma non sarà facile
A
leggere oggi l’appello di Alain Elkann, il presidente della comunità
ebraica di Roma Riccardo Pacifici ha l’impressione che si compia un
ciclo. «Non solo sottoscrivo la proposta d’estendere la cittadinanza
israeliana a tutti gli ebrei al punto che ne parlerò al Congresso
nazionale il 5 dicembre, ma mi ricorda piacevolmente la strada percorsa
da quando nel ’93 fondai il gruppo “Per Israele” per emancipare la
vecchia leadership dalla paura di pronunciarsi su Israele », spiega.
Sebbene l’idea sia «di complicata fattibilità», lo convince per due
ragioni: «Da una parte scioglierebbe il nodo della doppia lealtà di noi
ebrei che potremmo così essere fedeli a Israele e all’Italia, di cui
siamo fieri. Dall’altra ci consentirebbe d’intervenire, con il diritto
di voto e il dovere di pagare le tasse, nella vita d’Israele, nelle cui
sorti la diaspora è quotidianamente coinvolta». La provocazione
intellettuale di Elkann accende il dibattito nel mondo ebraico,
italiano e non solo. Da Israele Aharon Appelfeld, memoria storica e
letteraria della Shoah, accoglie con favore la «bella intuizione
d’assimilare le identità ». A Parigi, il filosofo Bernard-Henri Lévy,
che ha rilanciato la proposta sulla rivista online «La règle du jeu»,
riconosce al suo autore «il merito d’aver messo a fuoco il problema».
Qualcuno deve pur gridare che l’imperatore è nudo: «Ho pubblicato
l’appello perché, sebbene controverso, è bello, coraggioso e
sintomatico dei tempi difficili che vivono gli ebrei d’Europa.
Personalmente non sono d’accordo, credo che ci siano altri mezzi per
esprimere i propri legami con Israele, ma rivela un malessere reale».
La comunità italiana annuisce: davanti all’abitudine diffusa di
criticare con Israele l’intero popolo ebraico, chissà che non valga
davvero la pena unificare le cose. Mentre però Pacifici ipotizza che
accanto ai deputati arabi «non proprio nazionalisti» della Knesset
sieda qualcuno della diaspora, altri si fermano un passo indietro.
«Premessa la sacrosanta difesa d’Israele, sono perplesso perché
diventare israeliani significherebbe interferire in questioni interne
sulle quali, da fuori, sono impreparato» ammette il presidente della
comunità di Milano Roberto Jarach. Un parere condiviso dal leader
dell’Unione Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna, che apprezza «il
pungolo» di Elkann ma ne obietta la realizzabilità «anche rispetto al
diritto degli israeliani d’essere artefici della realtà in cui sono
immersi». Molto meglio cominciare dall’abc, aggiunge il rabbino capo di
Roma Riccardo Di Segni: «Colgo nell’appello l’antica passione ebraica
di collezionare passaporti contro la paura genetica che qualche porta
si chiuda, ma suggerirei d’imparare prima la lingua ebraica». Le
provocazioni favoriscono il confronto, sostiene Tobia Zevi, fondatore
dell’associazione di cultura ebraica Hans Jonas: «La comunità ebraica
italiana ha una storia millenaria e una vicinanza sentimentale a
Israele, ma non bisogna mescolare i ruoli: la diaspora serve a Israele
in modo dialettico e l’esperienza degli ebrei italiani è tanto più
utile in una società che diventa multietnica ». Anche perché, nota lo
storico David Bidussa, «è riduttivo confondere la politica di un paese
con la cultura che produce per chi è dentro e per chi è fuori». Troppo
facile? «Nel caso d’Israele non si giudica mai la responsabilità di uno
stato sovrano ma gli ebrei» chiosa Sarah Kaminski, israeliana
trapiantata a Torino, dove insegna letteratura ebraica. Per questo,
«grazie Elkann».
Francesca Paci, La Stampa, 14 giugno 2010
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Il pavone e la necessità dell’interrogazione
Va
molto di moda un gergo militaresco che crea fronti, allineamenti,
appiattimenti. E contiene una subdola violenza che impedisce di porre
interrogativi, di sollevare domande. Lo spirito critico finisce per
essere sospetto, il disaccordo malvisto. Agli ultras che
assaporano il clima bellico, e non perdono occasione per ridurre il
grigio della riflessione al bianco o al nero, bisognerebbe ricordare
che “saggezza”, hokhmah, può essere interpretata come koah-mah, cioè la
forza del “che cosa”? Saggezza nell’ebraismo vuol dire capacità di
interrogare e interrogarsi. Il “perché” è il segnale stesso della
coscienza vigile che sa assumersi la responsabilità della storia e
trasformare il destino nella possibilità di un oltre. Non sarà
perciò sbagliato raccontare ai dogmatici della pretesa evidenza una
storiella che magari qualcuno conosce già. A una povera donna, cui deve
essere restituita una somma di denaro, il creditore non consegna che un
pavone. Non avendo mai visto quell’animale, va dal rabbino per sapere
se è kashèr. E il rabbino le risponde: “Mio padre, il grande Rabbi
Yankel, ha sempre detto che il pavone non è kashèr”. E la donna: “Che
devo fare allora del mio pavone?”. Il rabbino: “Lascialo pure nel mio
pollaio; ci penserò io e tu potrai venire a vederlo quando vorrai”. Il
pavone fa il suo ingresso nel pollaio del rabbino e la donna va a
trovarlo regolarmente. Passa un mese, ne passano due… Un mattino la
donna non trova più il pavone; si precipita dal rabbino e gli chiede:
“Rabbi! Rabbi! Dov’è finito il mio pavone?”. E lui risponde: “Il tuo
pavone? Il tuo pavone… Me lo sono mangiato!”. “Cosa?– esclama la donna
- Te lo sei mangiato? Ma non mi avevi detto che tuo padre, il grande
Rabbi Yankel, aveva sempre sostenuto che il pavone non è kashèr?!”.
“Verissimo - replica il rabbino - ma sulla questione del pavone mio
padre e io non siamo mai stati d’accordo…”.
Donatella Di Cesare, filosofa
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Che pena, la mia azione umanitaria usurpata adesso dai barbari Evidentemente
non ho cambiato posizione. Continuo a giudicare «stupido», come dissi
il giorno stesso a Tel Aviv in un acceso dibattito con un ministro di
Netanyahu il modo in cui è stato condotto l'assalto, al largo di Gaza,
contro la Mavi Marmara e la sua flottiglia. E se ancora avessi avuto un
minimo dubbio, l'abbordaggio della settima nave, quel sabato mattina,
senza alcuna violenza, avrebbe finito col convincermi che esistevano
altri modi di operare per evitare che la trappola tattica e mediatica
tesa a Israele dai provocatori di Free Gaza si richiudesse così, nel
sangue. Detto e ridetto questo, nemmeno si può accettare l'ondata di
ipocrisia; di malafede e, in ultimo, di disinformazione che sembrava
aspettare solo un pretesto per dilagare nei mass media del mondo
intero, come ogni volta, che lo Stato ebraico commette un errore.
Disinformazione. La formula, ripetuta fino alla nausea, del blocco di
Gaza imposto «da Israele», mentre la più elementare onestà vorrebbe già
che si precisasse: da Israele e dall'Egitto; congiuntamente, dai due
lati, dai due Paesi che distano in maniera identica dalle frontiere di
Gaza; e questo con la benedizione, appena velata, di tutti i regimi
arabi moderati, ben felici che altri arginino, per conto e con
soddisfazione di tutti, l'influenza nella regione di un braccio armato,
di una base avanzata, un giorno forse di una portaerei, dell'Iran.
Disinformazione. L'idea stessa di un blocco «totale e spietato»
(Laurent Joffrin, editoriale del quotidiano francese Libération del
giugno) che prende «in ostaggio» (espressione dell'ex Primo ministro
Dominique de Villepin, su Le Monde dello stesso giorno) «d'umanità in
pericolo» di Gaza: il blocco - non dobbiamo stancarci di ricordano -
riguarda soltanto armi e materiali per fabbricarne; non impedisce il
passaggio, tutti i giorni, in provenienza da Israele, di 100, 120
camion carichi di viveri, medicinali, materiale umanitario di ogni
genere; l'umanità non è «in pericolo» a Gaza; dire che «si muore di
fame» nelle strade di Gaza-City significa mentire. [...] Bernard-Henri Lévy, il Corriere della Sera, 14 maggio 2010
Israele dà il via all'inchiesta sul blitz Washington: Un passo importante Gerusalemme
- Il governo israeliano ha formalizzato l'istituzione di una
«commissione pubblica indipendente» d'inchiesta sul sanguinoso blitz
delle forze speciali contro la nave turca Mavi Marmara in navigazione
con un carico di aiuti verso la Striscia di Gara. L'assalto si concluse
con nove morti e decine di feriti. «Un importante passo avanti»,
commenta la Casa Bianca secondo cui Israele sarà in grado di condurre
un'inchiesta«imparziale e credibile». [...] La Repubblica, 14 maggio 2010
Spagna, pronta la legge sulla religione “Niente crocefissi e funerali di Stato cattolici” Via
il crocefisso dalle aule scolastiche, dagli ospedali pubblici, dalle
sedi amministrative, dai ministeri; e via il parroco dai funerali di
Stato che non potranno più essere di rito cattolico. La bozza della
nuova legge sulla libertà religiosa in Spagna - già annunciata dal
premier Zapatero due anni fa - è pronta e ieri è stata rivelata da El
Pais. Più che di laicità dello Stato, nella bozza, si esprime «la
neutralità dei pubblici poteri di fronte alla religione e a qualsiasi
altro credo, evitando qualsiasi confusione fra funzione pubblica e
attività religiosa». Riguardo ai funerali di Stato, El Pais propone
l'esempio di quelli che si svolsero nel 2004 per le vittime degli
attentati dell'11 marzo e ricorda che furono di rito cattolico
nonostante tra morti vi fossero numerosi musulmani. Con la nuova legge
lo Stato potrà organizzare solo funerali civili, senza simboli
religiosi. Mentre sul crocefisso la legge chiarisce che non potrà
essere esposto (come nessun altro simbolo religioso) nei locali
pubblici, esclusi quelli con un particolare valore storico, artistico o
culturale. Fanno eccezione però i centri privati, anche nel caso in cui
siano ampiamente finanziati con denaro pubblico, come le scuole o gli
ospedali. [...] Omero Ciai, La Repubblica, 14 giugno 2010
“Trofeo della memoria”: Futbolclub Vigor Cisterna, Fiumicino e Monterotondo in semifinale. Venerdì la finalissima a Roma E'
tutto pronto per le semifinali del “Trofeo della Memoria”,
manifestazione dedicata al ricordo dell'allenatore ebreo di origini
ungheresi Arpad Weisz che, dopo aver vinto tre scudetti in Italia con
Inter e Bologna, fu deportato e ucciso nel campo di concentramento di
Auschwitz. Il torneo, giunto alla quinta edizione, è nato nel gennaio
2006 a seguito di una giornata di campionato di serie A in cui vennero
esposti striscioni inneggianti ai forni dei lager nazisti. Adesso il
piccolo Mondiale, dedicato ai giovani calciatori delle cinque province
del Lazio e promosso dall'Assessorato allo Sport della Regione Lazio e
dalla Lega Nazionale Dilettanti in collaborazione con la Comunità
Ebraica di Roma e la Federazione Maccabi, è ufficialmente entrato nel
vivo. [...] Lorenzo Scalia, il Corriere dello Sport, 14 giugno 2010 |
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Inchiesta
sui fatti del 31 maggio, Benjamin Netanyahu:
“La commissione confermerà che abbiamo
agito per difesa” Gerusalemme, 14 giu - "La
decisione del governo di indire una Commissione chiarirà al mondo che
Israele agisce in conformità della legge, in maniera responsabile e in
piena trasparenza", lo ha affermato il premier Benjamin Netanyahu
illustrando ai suoi ministri le finalità della Commissione pubblica
indipendente da lui incaricata di verificare diversi aspetti del blitz
del 31 maggio. Inoltre il premier ha voluto precisare ai ministri di
aver comunque salvaguardato il principio relativo alla "libertà di
azione delle Forze armate israeliane e alla credibilità delle loro
inchieste interne". “Nessun militare - ha precisato - sarà chiamato a
deporre di fronte alla Commissione, fatta eccezione per il capo di
Stato Maggiore (generale Gaby Ashkenazi)”. In parallelo un generale
della riserva, Giora Eiland, verificherà il comportamento dei militari
nelle varie fasi del blitz. Netanyahu ha detto di aver illustrato la
scorsa notte le modalità e le finalità della Commissione di verifica a
diversi dirigenti stranieri fra cui Angela Merkel (Germania), David
Cameron (Gran Bretagna), Tony Blair (emissario del Quartetto) e José
Luis Zapatero, in quanto la Spagna ha la presidenza di turno
dell'Unione Europea. La direzione della Commissione è stata affidata ad
un ex giudice della Corte Suprema israeliana, Yaakov Tirkel, che sarà
affiancato da Amos Horev (ex presidente dell'Istituto Technion di
Haifa) e da Shabtay Rozen, un esperto di diritto internazionale. Per la
prima volta nella storia di Israele, alla Commissione sono stati
associati due osservatori stranieri: David Trimble, un esponente
politico nord-irlandese insignito del Premio Nobel per la pace e Ken
Watkin, un esperto canadese di diritto internazionale.
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
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