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L'Unione informa
 
    15 giugno 2010 - 3 Tamuz 5770  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
alef/tav    
  roberto della rocca Roberto
Della Rocca,

rabbino
Nel Talmud è detto che il popolo ebraico ha ricevuto tre doni dal Signore: la Torah, Israele e il Mondo a venire, ma che tutti e tre si ottengono al prezzo di sofferenze. Tre cittadinanze che l'ebreo non trova a sua disposizione come valori di natura, bensì dimensioni che vanno conquistate e coltivate con costanza e con duri sacrifici. In un epoca di identificazioni un po' prét à porter condite spesso da slogan mediatici e sensazionalistici va ricordato che Israele è il nome che un padre ha acquistato al duro prezzo di un combattimento e che ha poi trasmesso alla sua discendenza. Se teniamo conto del famoso episodio biblico in cui assistiamo alla lotta di un uomo contro un angelo e che si conclude con l’acquisizione di un nuovo nome per Giacobbe, dobbiamo intendere la cittadinanza di Israele come un nome di lotta, portato da coloro che sono impegnati in un combattimento.
Il timor di D.o senza gioia non è timore, ma depressione. (Baal Shem Tov)  Alfredo Mordechai Rabello,
giurista
rabello  
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  Per Israele-Milano - “Parole molto gravi”

Nell’intervista senza veli a La Stampa, vengono attribuite a Roberto Jarach parole molto gravi, che molti hanno letto con raro sgomento e con la speranza di una rapida smentita da parte del presidente della Comunità ebraica milanese. Mai prima d’ora una così alta carica istituzionale aveva affermato che la pratica dei matrimoni misti fosse da ritenere "essenziale per la sopravvivenza delle Comunità ebraiche" oppure che "non siamo in grado di spiegare le ragioni d'Israele perché non ci viviamo" (La Stampa 12/6 - L’Unione informa del 13/6). Mai un presidente di una Comunità si era scagliato con tanta violenza contro altri presidenti (in questo caso Renzo Gattegna e Riccardo Pacifici). Se queste dichiarazioni dovessero essere confermate ci troveremmo di fronte a un atteggiamento di parte che non rappresenta certamente, al di là dei legittimi schieramenti, il sentire comune della maggioranza degli iscritti. Vediamo emergere molti “se”. Se cambiasse la linea di difesa del matrimonio ebraico e di accoglienza e riavvicinamento per chi fa scelte diverse, se le Comunità della Diaspora abdicassero al loro compito naturale di sostegno a Israele, se i rappresentanti delle diverse comunità continuassero ad attaccarsi sui giornali, ci ritroveremmo senza dubbio di fronte a spaccature dalle conseguenze imprevedibili. La speranza è che le dichiarazioni di ieri siano solo uno scivolone verbale e che si continui nella via italiana all’ebraismo, che ha fatto sì che nei secoli Comunità tanto piccole siano state in grado di dare così tanto, sia al mondo ebraico, sia alla società civile.

Sara Modena, Yasha Reibman, Michele Boccia, Rami Galante
Consiglieri della lista Per Israele Milano



Pavoncello (Maccabi): “C'è bisogno di unità”

L’ebraismo e Israele stanno vivendo un momento molto difficile. Lo testimoniano diversi fatti: tra questi - a livello internazionale - la campagna mediatica legata alla Freedom Flotilla e la prospettiva - sul piano interno - di un congresso dell’Unione delle comunità che non si annuncia tranquillo, visti i temi in discussione come quello della riforma dello statuto e delle modalità elettorali. Fatti che imporrebbero un’unita’ di intenti - pur tra le dovute differenze di vedute e impostazioni- a favore di un confronto costruttivo. Non contrapposizioni personali e polemiche fuori luogo. Nelle ultime settimane il dibattito mi e’ apparso invece foriero di ulteriori divisioni, come se il risultato elettorale di alcune realtà (mi riferisco in particolare a Milano e Venezia e anche alla vicenda delle dimissioni a Roma) fosse l’occasione per una resa dei conti o, di contro, di una rivalsa, che non può e non deve esserci nell’ebraismo italiano. Tutti noi – me compreso, nella sua modesta carica di presidente del Maccabi Italia - non siamo altro che mandatari del meglio per gli ebrei italiani. Questa la pratica, questo l’obiettivo, questo il risultato da conseguire. Eppure leggo sui giornali (tutti) interviste, dichiarazioni, interventi che mi lasciano stupefatto. E siccome non sono nuovo al panorama comunitario, intendo benissimo tra le righe quale invece siano la pratica, l’obiettivo e il risultato che si vuole raggiungere. E non va bene. Si discuta tutto, si rovesci l’organizzazione data, si crei una nuova casa comune, ma lo si faccia per il meglio e non per perseguire equilibri, organigramma, strutture tese ad escludere più che a includere. Ma soprattutto lo si faccia in Congresso, luogo d’elezione per il dibattito e il confronto. Per questo interviste come quella, recente, del neo presidente di Milano Roberto Jarach su ‘La Stampa’ a firma di Chiara Beria d’Argentine mi sono apparse già ‘segnate’ da un clima che non accetto. Mi riferisco ai suoi ‘distinguo’ nei confronti di Riccardo Pacifici, assolutamente fuori luogo, col chiaro intento si segnare un solco tra la Comunità di Milano e quella romana. A scanso di equivoci, avrei avanzato le medesime considerazioni se lo stesso avesse fatto Riccardo Pacifici. E sono pronto a riscrivere a la stessa lettera, se il presidente di Roma, dovesse replicare a Jarach con la stessa logica. Stiamo andando verso una stagione di confronto che richiede nervi saldi e mente fredda. Ciò che sarà deciso nel Congresso di dicembre rappresenterà la ‘casa’ dei prossimi anni degli ebrei italiani e la loro capacita’ di rapportarsi nel modo migliore con se stessi e il mondo esterno. Non solo ma si dovrà decidere come rappresentare al meglio, e in maniera più efficace, le molteplici realtà istituzionali, comunitarie, culturali, sportive, che animano l’ebraismo italiano. Ognuna di esse rappresenta una ricchezza da non mortificare ma da vivificare. E che soprattutto non ha bisogno di divisione, bensì unita’ per rimanere aggrappati alla nostra identità ebraica.

Vittorio Pavoncello Presidente Federazione Italiana Maccabi


Circolo 48: “Polemiche inconcludenti”

Caro Presidente Jarach, dopo aver letto la sua intervista su “La Stampa” di Torino, abbiamo trovato fuori luogo e pretestuoso l’attacco al Presidente della Comunità Ebraica di Roma, Riccardo Pacifici. Come se lei, Presidente Jarach, non aspettasse altro, ha cercato di utilizzare la prima occasione per dire ciò che pensa di Pacifici. Tutti noi conosciamo quali siano i compiti e le differenze tra Presidente UCEI e Presidente di Comunità. Ing. Jarach, un addetto ai lavori, un esperto e profondo conoscitore delle dinamiche comunitarie come lei, non può e non deve generare confusione. Nell’intervista lei dice, giustamente, che è l’Unione, con il suo presidente a rappresentarci su temi di politica internazionale, ma che c’entra il suo attacco a Pacifici? Lei nell’intervista dice di essere stato contattato da giornalisti per esprimere un suo parere sul caso della Freedom Flottilla, evidentemente, gli stessi giornalisti, hanno fatto identica cosa con Pacifici, che, avendo una testa diversa dalla sua, ha detto ciò che pensava senza remore. Non ci sembra che le dichiarazioni di Pacifici fossero vincolanti e che potessero compromettere gli equilibri nazionali, non ci sembra nemmeno che abbia svolto una funzione in contrasto con il proprio incarico. Lei, però, subito dopo rincara la dose e parla della recente visita del Pontefice in Sinagoga. Gridando allo scandalo. Lei sa benissimo, Presidente, che la visita del Papa è stata organizzata dalla Comunità Ebraica di Roma. Proprio in rispetto dei ruoli, come un qualsiasi protocollo Istituzionale impone,Pacifici, da padrone di casa, ha avuto maggiore vetrina rispetto al Presidente Gattegna. Gattegna, durante la sua Presidenza, ha dimostrato equilibrio e fermezza, non credo abbia bisogno di avvocati difensori, la sua boutade, Presidente Jarach, è mirata soltanto ad incrinare i rapporti, più che buoni, tra lui e Pacifici e a generare ripicche ed inconcludenti polemiche tra le due più grandi Comunità italiane.

Angelo Sermoneta per "Zi Raimondo" – Circolo I Ragazzi del 48


Qui Torino - Agenzia ebraica, un'Arevà da record

LichtTra centocinquanta shlichim (emissari) della sezione Europea dell'Agenzia ebraica, Alex Licht, destinata a Torino e ora alla fine del suo mandato, è risultata la migliore dell'anno. A festeggiarla, assieme al presidente della Comunità Tullio Levi, Arieh Abir, presidente della Sochnut Europa e la vicepresidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Claudia De Benedetti, presidente della Sochnut Italia, hanno conferito alla giovane il prestigioso riconoscimento.
Il presidente Levi, introducendo "l'illustre ospite Arieh Abir, giunto a Torino appositamente per premiare la nostra arevà”, ha voluto ribadire “a nome di tutta la Comunità l'apprezzamento sincero e meritato per due anni di intenso lavoro da parte di Alex, svolto sempre con il sorriso sulla faccia. L'attività di Alex - ha ricordato il presidente Levi - si è estrinsecata in una quantità enorme di iniziative che hanno coinvolto l'intera Comunità, dai bambini dell'asilo agli anziani della casa di riposo”.
Arieh Abir, direttore dell'agenzia ebraica in Europa, ha colto la festosa occasione per presentare il proprio lavoro alla Comunità di Torino: “Israele sta vivendo giorni difficili - ha esordito Abir - ha bisogno della vicinanza di tutti gli ebrei: lo Stato ebraico non appartiene solo a chi vi risiede, ma a tutti gli ebrei del mondo. L'obiettivo della nostra organizzazione - ha spiegato - è quello di consolidare l'identità ebraica e promuovere l'unità di tutte le Comunità della diaspora con lo Stato d'Israele: questo è il compito assegnato ai giovani come Alex che vengono inviati nelle Comunità di tutto il mondo”.
“La Comunità di Torino partecipa da dodici anni a questo progetto - ha ricordato Tullio Levi - le arevòt che si sono succedute hanno dato molto alla nostra Comunità, alcune hanno perfino deciso di fermarsi con noi e fare una famiglia a Torino”.
Da poco la Sochnut ha anche una sezione italiana: “Sono molto felice di questo risultato - ha dichiarato Arieh Abir - ringrazio l'amica Claudia De Benedetti (vicepresidente UCEI) che ha accettato di assumere la presidenza di Sochnut Italia, sono certo che lavoreremo molto bene insieme”.
“Alex, che oggi siamo qui per premiare, è l'esempio vivente dei grandi risultati che stiamo ottenendo - ha concluso il presidente della Sochnut Europa - la commissione di Gerusalemme incaricata di scegliere l'arevà dell'anno della sezione Europea ha fatto il nome di Alex all'unanimità”.
Il premio ricevuto da Alex, oltre alla targa di arevà dell'anno 2009, consiste in una lettera personale del direttore generale della Sochnut e in un buono di mille sheqalim da spendere in libri al suo ritorno in Israele”. L'arevà, visibilmente emozionata, ha voluto “ringraziare di cuore tutta la Comunità di Torino, di cui serberò il ricordo nel cuore. Se ho potuto lavorare bene - ha detto Alex peccando di modestia - è soprattutto grazie a un pubblico fantastico, curioso e partecipativo. Prima di venire mi avevano detto che i torinesi sono gente fredda, ma non è affatto vero”.

Manuel Disegni 


 
 
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  Noi e Israele

tobia zeviScrive a un certo punto Alain Elkann nel suo appello recente: «Noi ebrei dovremmo essere orgogliosi delle nostri tradizioni, della nostra storia e della nostra posizione nel mondo». Vorrei ben dire! Semmai si pone il tema di definire quali siano gli aspetti di cui andare fieri, dal momento che anche noi ebrei ci siamo evoluti e trasformati nel tempo e nello spazio. Poco prima lo stesso Elkann si chiede: «Ma adesso che abbiamo un territorio ebraico, perché non approfittare dei piaceri di un’identità ben definita?». Questo il ragionamento: se per secoli abbiamo dovuto rinunciare a una nostra statualità, perché non approfittare oggi dell’opportunità costituita dallo Stato d’Israele?
Essenzialmente per due ragioni. La prima: la nascita dello Stato d’Israele ha cambiato radicalmente la percezione che l’ebreo ha di sé e del mondo, proprio perché tutti ci sentiamo più sicuri e orgogliosi sapendo che Israele esiste, che ci può accogliere e che molte delle cose che fa - non tutte, purtroppo! - sono apprezzate nel mondo. Dunque Israele ha dato forza agli ebrei che venivano dalla tragedia immane della Shoah. Una forza che si è sostanziata nella facoltà di scegliere: Israele esiste anche se io non ci vivo, e io gli sono legato in modo indissolubile anche se non mi ci trasferisco. Una forza nell’autonomia. Cioè il contrario di ciò che emerge dall’appello: facciamoci israeliani perché Israele è in pericolo, perché siamo tutti in pericolo. Un’opzione di debolezza e, in effetti, non autonoma.
Seconda questione: come hanno giustamente rilevato alcuni osservatori, la proposta di Elkann contribuisce a sfatare il mito della doppia fedeltà dell’ebreo, che in questo caso si «smascherebbe» da solo. Ritengo che questo risvolto sia interessante, perché spiega una condizione essenziale della modernità: l’appartenenza multiforme e multi-strato a una serie di entità e istanze non necessariamente in contrasto tra loro. Sono le famose identità plurali. Benissimo. Noi ebrei, dunque, siamo orgogliosamente italiani, per esempio, di sinistra o di destra, religiosi o laici, belli o brutti, e ovviamente vicini allo Stato d’Israele. In alcuni casi proprio israeliani, senza che questo ci faccia sentire meno italiani. Un’idea bella, talvolta faticosa, ma anche assolutamente moderna. Ma se è così, allora, come si fa a parlare di «piacere di un’identità ben definita?».

Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas
 
 
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"Il blocco di Gaza sarà più leggero" 
Controlli internazionali sulle armi

Gerusalemme - Per l'Unione Europea il blocco di Gaza è «inaccettabile e controproducente», per Tony Blair, inviato-mediatore del Quartetto (Usa, Onu, Russia e Ue) in Medio Oriente, nei prossimi giorni il governo israeliano potrebbe alleggerire la stretta su Gaza con «cambi significativi». A due settimane dall'assalto alla nave turca la diplomazia sotterranea è al lavoro per trovare una soluzione che renda meno duro l'embargo. Israele è pronto ad aumentare il traffico di merci verso Gaza attraverso uno o due passaggi via terra ed è disposto a stilare una lista di prodotti di prima necessità per la popolazione e per lo sviluppo delle infrastrutture. Otterrebbe in cambio un maggior controllo internazionale per impedire che ad Hamas arrivino armi. La conferma è arrivata dal portavoce del governo israeliano, Avi Pazner: «Nei prossimi giorni ci sarà una dichiarazione pubblica su Gaza, noi non siamo interessati a una chiusura della Striscia, ci interessa solo che non entrino armi. Vogliamo fare tutto il possibile per rendere la situazione più facile e alleggerire il blocco. Stiamo discutendo i dettagli ma siamo d'accordo con i nostri amici europei che bisogna dare l'opportunità di poter vivere normalmente a coloro a chi non è terrorista». [...]
Alberto Flores D'Arcais, la Repubblica, 15 giugno 2010

Il riciclaggio dei docenti: da antisemiti a democratici
Nel 1998 Giorgio Israel e Pietro Nastasi scrissero un libro; Scienza e razza nell'Italia fascista (Il Mulino), nel quale puntavano l'indice contro la «clamorosa insufficienza della storiografia» nel campo degli studi sulle leggi razziali del 1938. Riconosciuto a Renzo De Felice il merito di aver intrapreso, già all'inizio degli anni Sessanta, lo scavo sull'argomento con la sua Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo (Enaudi), i due autori si applicavano a temi che erano stati successivamente solo sfiorati. Infatti fino agli anni Novanta la materia era stata a lungo disattesa - con qualche eccezione come i saggi di Roberto Finzi L'università italiana e le leggi antiebraiche (Editori Riuniti) e di Michele Sarfatti Gli ebrei negli anni del fascismo. Vicende, identità, persecuzione (Einaudi) - e meritava perciò molti approfondimenti. Poi, nel decennio successivo, nuovi libri (e nuovi documenti) hanno proiettato sul tema ulteriori fasci di luce. E' il caso - per citare solo alcuni - di L'espulsione degli ebrei dalle accademie italiane (Zamorani) di Annalisa Capristo; di Scienza e fascismo (Carocci) di Roberto Maiocchi de L'Italia fascista e la persecuzione degli ebrei (Il Mulino) di Marie-Anne Matard-Bonucci; dell'assai interessante Leggi del 1938 e cultura del razzismo a cura di Marina Beer, Anna Foa e Isabella lannuzzi, e di alcuni saggi pubblicati su «Nuova Storia Contemporanea» da Paolo Simoncelli (sul suicidio di Tullio Terni) e da Eugenio Di Rienzo; oltre a uno assai importante di Tommaso Dell'Era su «Qualestoria». C'era di che tornare sull'argomento ed è quel che ha fatto Israel (stavolta senza Nastasi) con Il fascismo e la razza. La scienza italiana e le politiche razziali del regime, edito anche questo dal Mulino. [...]
Paolo Mieli, il Corriere della Sera, 15 giugno 2010

 
 
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notizieflash    
 
 
“Inaspriremo la nostra protesta per la liberazione di Shalit”      
Gerusalemme, 14 giu -
“Abbiamo concesso troppa fiducia in chi deve prendere le decisioni. Ora capiamo che non c'è altra scelta: bisogna pagare il prezzo richiesto (da Hamas) e riportare a casa Gilad”, queste le parole di uno degli organizzatori della nuova manifestazione per la liberazione del soldato israeliano rapido nel giugno del 2006, e a tutt'oggi ancora nelle mani di Hamas. Dal canto suo Noam Shalit, padre del giovane israeliano ha affermato che in quattro anni “due primi ministri, due ministri  della difesa e due capi di stato maggiore non sono stati capaci di ottenere la liberazione di mio figlio" per questo inaspriranno la campagna per la sua liberazione. La famiglia di Shalit ha annunciato così la sua prossima protesta, che comincerà con una marcia dei genitori dalla loro abitazione nel nord di Israele fino a Gerusalemme davanti alla  residenza del premier. Noam Shalit, fra le altre cose, si è anche recato alla Knesset per cercare di convincere deputati e ministri a operare per un accordo con  Hamas, che chiede la liberazione di un migliaio di detenuti, tra  i quali diverse decine di persone responsabili di aver  organizzato e pianificato attentati costati la vita di centinaia  di civili israeliani.


Auschwitz, un treno ricorda il primo trasporto nel Campo
Varsavia, 14 giu -
In occasione del 70 esimo anniversario dell'apertura del campo di sterminio di  Auschwitz, in Polonia, un convoglio intitolato 'Treno della memoria' ha trasportato da Tarnow (sud) a Oswiecim, il nome polacco per Auschwitz, un gruppo di 500 studenti delle scuole e alcuni ex detenuti sopravvissuti del campo.  La commemorazione è stata organizzata per ricordare i 728 polacchi deportati esattamente 70 anni fa da Tarnow a Auschwitz: furono i primi prigionieri politici del Lager. Fino alla liberazione il 27 gennaio 1945 da parte dell'Armata rossa, furono sterminati ad Auschwitz circa 1,1 milioni di detenuti, in prevalenza ebrei deportati da tutta Europa.

 
 
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