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L'Unione informa |
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16 giugno 2010 - 3 Tamuz 5770 |
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alef/tav |
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Adolfo Locci, rabbino capo di Padova |
“...questo è uno statuto (Chok) della Torà” (Numeri 19:2). E’
noto il commento di Rash”y, all’inizio della parashà di questa
settimana, che spiega questa tipologia di mitzwoth. Il Chok, che
normalmente è tradotto col il termine “statuto”, è un precetto che,
anche se la Torà non ne espone esplicitamente il significato, abbiamo
il dovere di eseguirlo come il “decreto del Re”. Tuttavia alla fine del
brano della “vacca rossa”, Rash”y riporta a nome di Rabbì Moshè
haDarshan, una spiegazione dettagliata di tutti i particolari
significati del Chok. Ciò può apparire come una incongruenza ma, forse
proprio attraverso questa incongruenza esegetica, il grande
commentatore ci vuole lasciare un messaggio educativo molto importante.
Prima di tutto bisogna mettere in pratica le mitzwoth, anche senza
domandarne o ricercarne il significato però, dopo il loro adempimento,
l’approfondire il significato del nostro atto diventa un ulteriore
dovere da eseguire. La non comprensione del motivo di una norma non
deve ostacolarne il “rispetto”, anche se la “gioia completa”
dell’adempimento di un nostro dovere si raggiunge attraverso la
comprensione del suo significato più profondo. |
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Negli
spettacoli off-Broadway questa è la stagione di "Circumcise Me", lo
show in cui il comico Yisrael Campbell, nato con il nome di Chris in
una famiglia cattolica della Pennsylvania, racconta il suo accidentato
percorso attraverso tre successive conversioni: prima all'ebraismo
riformato poi all'ebraismo conservative e infine all'ebraismo
ortodosso. Ciò che ne esce è una descrizione autoironica dell'ebraismo
americano contemporaneo visto dal di dentro. Con il risultato di
liberare gli spettatori in sala da totem e tabù al punto da far
riflettere sul fatto che anche gli ebrei europei e italiani avrebbero
bisogno di qualcosa di simile, per riuscire a ridere di se stessi.
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Maurizio Molinari,
giornalista |
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davar |
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Il grande ritorno dei fratelli Coen: Il sindacato dei poliziotti Yiddish
I fratelli Coen puntano ancora una volta sugli ebrei d’America. Dopo l’uscita del loro film A Serious Man il duo di registi lavorerà a un adattamento per la Columbia Pictures del romanzo Il sindacato dei poliziotti Yiddish del premio Pulitzer Michael Chabon. Il produttore Scott Rudin, che ha collaborato con i due registi nella produzione del film Non è un paese per vecchi,
ha acquistato già da tempo i diritti di questo Hard-boiled in salsa
Yiddish con l’intenzione di affidare la direzione del progetto a Ethan
e Joel Coen. “Sono al settimo cielo - ha affermato lo scrittore
Chabon in una recente intervista - tra tutti i registi viventi i
fratelli Coen sono i miei preferiti e alcuni film da loro diretti
rientrano nella mia personale top list. Credo che siano geniali e che
siano perfettamente in sintonia con il genere, i contenuti e il tono
del mio romanzo”. Chabon ha ridisegnato la storia ebraica degli
ultimi 60 anni, creando un universo contemporaneo alternativo,
un’ucronìa complessa e articolata. Nell’agosto del 1948, dopo solo tre
mesi dalla nascita dello Stato d’Israele, la resistenza di Gerusalemme
cade sotto gli attacchi dei paesi arabi confinanti e gli ebrei della
neonata repubblica d’Israele, in netta minoranza numerica, vengono
sbaragliati e rigettati in mare. Gli Stati Uniti d’America si preparano
così a ospitare i rifugiati a Sitka, in Alaska, dove nel giro di pochi
anni si riversano circa due milioni di ebrei, un numero tale da
obbligare il congresso ad assegnare alla colonia lo status ad interim
di distretto federale. Dopo 60 anni, Sitka è ormai uno Stato
ebraico semi-indipendente, con un proprio governatore e un proprio
corpo di polizia. In città si parla indifferentemente inglese, russo,
tedesco e Yiddish, mentre rabbini ultraortodossi governano veri e
propri imperi criminali a colpi di Tohu va-Vohu, il caos primigenio. In
questa babele si snodano la vicende di Meyer Landsman, un detective
alcolizzato della squadra omicidi. Landsman è alla ricerca di risposte
sul caso di uno scacchista ebreo ritrovato morto in un sudicio albergo
di periferia. La vittima, Mendel Shpilman, un eroinomane che usa
bucarsi utilizzando i Tefillin come fossero lacci emostatici, si rivela
essere il figlio di uno dei più influenti boss della città e guida
spirituale della comunità, il Verbover Rebbe. Come se non bastasse,
Landsman scoprirà col proseguire delle indagini, che molti considerano
il figlio del rabbino, vittima innocente di un complotto per sovvertire
l’ordine nel distretto, lo Zaddik ha-dor, il giusto della generazione. Tra
gli ebrei credenti si ritiene infatti che in ogni generazione Dio mandi
sulla terra uno Zaddik, un giusto, che potenzialmente potrebbe
diventare, se le condizioni nel mondo fossero favorevoli, il messia
degli ebrei. Nessuno è ovviamente d’accordo che il proprio messia possa
essere proprio un eroinomane omosessuale, nonostante conosca a memoria
i testi sacri e guarisca con una semplice preghiera gli infermi e i
malati. Un film che non mancherà di suscitare polemiche,
caratterizzato da una trama audace e al contempo politicamente
scorretta. Un’occasione più unica che rara per ritrovare sugli schermi
la creatività e la pazzia costruttiva dei fratelli Coen. L’uscita della
pellicola è prevista per la fine del 2010.
Michael Calimani
Qui Roma - Rabbinato e crisi politica, vivace dibattito in Consulta
Non
sono mancati i toni vivaci nella riunione della Consulta che si è
svolta ieri sera al Palazzo della Cultura, nel cuore del quartiere
ebraico romano, per discutere la situazione in cui opera il Consiglio
della Comunità dopo un lungo periodo di confronti sfociato negli scorsi
mesi nelle dimissioni, poi rientrate, di consiglieri della lista di
opposizione “Per i giovani insieme”. Dopo il saluto della
presidentessa della Consulta, Elvira Di Cave, ha preso la parola il
Consigliere Ugo Di Nola, che ha voluto ripercorrere le varie fasi che
hanno condotto alle dimissioni, partendo da una lettera aperta critica
nei confronti dell'attuale maggioranza. Nella lettera i consiglieri
della lista “Per i giovani insieme” attaccavano “l'atteggiamento
verticistico” nella gestione della Comunità del Presidente Riccardo
Pacifici e dei sui Consiglieri appartenenti alla lista di maggioranza
“Per Israele” lamentando il fatto che le riunioni di giunta fossero
trasformate “in riunioni di lista affollate e poco produttive”, mentre
il Consiglio - così recitava il documento - “viene svuotato di
significato. Le vere decisioni le prende di fatto una sola persona”. Di
Nola è passato quindi ad elencare gli eventi che si sono susseguiti nel
corso dei mesi dal disaccordo sulla gestione della visita del papa da
cui sono derivate le dimissioni dei consiglieri Roberto Coen prima e
Claudia Fellus al disaccordo per la gestione dell'organizzazione della
serata con i sopravvissuti dei campi di concentramento al Tempio
maggiore. Immediata la replica del presidente della Comunità
Riccardo Pacifici, che ha ribattuto punto per punto a tali
argomentazioni, respingendo l'accusa di voler concentrare il potere
nelle mani di pochi elementi della propria lista. Quanto poi alla
serata con i deportati organizzata in occasione del Giorno della
Memoria Pacifici ne ha fatto rilevare il successo di pubblico (1800
persone quando ne erano state preventivate 200) e il fatto che le
uniche cariche istituzionali invitate fossero il sindaco Gianni
Alemanno e il Presidente della Provincia Nicola Zingaretti. La
serata è proseguita con toni vivaci e vari interventi di consultori
fino al momento in cui è stato evocato un altro argomento d'attualità:
la revoca dell'incarico di rabbino capo di Torino al rav Alberto Moshè
Somekh. Claudio Fano ha chiesto la parola per criticare l'offerta
avanzata al Rav di assumere un incarico nel quadro del rabbinato
romano. Secondo Fano questa scelta rischierebbe di dividere la Comunità
in modo simile a quanto avvenuto altrove. Il Presidente Pacifici è
tornato a prendere la parola per dimostrare quanto siano destituiti di
fondamento eventuali sospetti di voler creare difficoltà al rabbino
capo. “Il rabbinato romano - ha chiarito - vive un momento di
difficoltà numerica per il fatto che uno dei suoi componenti storici,
il rav Alberto Funaro direttore dell'ufficio rabbinico ha raggiunto
l'età della pensione recentemente, un altro dei rabbini, il rav Michael
Ascoli lascerà il suo mandato a fine luglio per fare l'alyà in Israele,
e il rav Ariel Di Porto ha ricevuto offerte per prendere servizio in
altre comunità italiane. L'ipotesi di offerta avanzata al rav Somekh,
ora non più attuale, era stata quindi elaborata in sintonia con
il capo rabbino Di Segni e con il rav Benedetto Carucci Viterbi,
direttore delle scuole ebraiche dove il rav Somekh avrebbe potuto
insegnare”. L'ipotesi ha aggiunto Pacifici, prevedeva anche una docenza
al Collegio Rabbinico in accordo con gli organi dirigenti dell'Unione. La
consigliera Ruth Dureghello, attuale assessore alle Scuole, nelle fila
della lista di maggioranza ha cercato di far rilevare i punti di
incontro ed i molti momenti in cui maggioranza ed opposizione hanno
lavorato produttivamente fianco a fianco. Il consigliere Tobia Zevi
dell'opposto schieramento ha evidenziato i punti di divergenza e ha
amaramente valutato la propria esperienza in seno al Consiglio della
Comunità Ebraica di Roma, come la più deludente fra tutte le sue
esperienze di attivismo in ambito ebraico. I toni polemici sono
proseguiti nell'intervento di Elvira Di Cave, che ha espresso a Ugo Di
Nola il proprio sconcerto per non aver compreso l'intento con cui la
serata al Tempio Maggiore è stata organizzata: essenzialmente quello di
dare voce ai deportati, sentirne le testimonianze e non certo quello di
farne un evento mondano. La presidentessa della Consulta ha fatto
sentire la sua voce anche in merito ad alcune assunzioni all'Ospedale
israelitico che erano state contestate nei loro criteri di trasparenza
in una seconda lettera inviata dagli appartenenti alla lista di
minoranza.
Lucilla Efrati
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Una provocazione stimolante, ma irrealizzabile e controproducente
La
provocatoria e stimolante proposta di Alain Elkann, di estendere la
cittadinanza israeliana a tutti gli ebrei del mondo, ha suscitato
molteplici reazioni, richiamando l’attenzione sul particolare,
complesso rapporto tra Israele e la diaspora, la cui interrelazione
anima e alimenta, in modo intenso e problematico, l’essere e il
divenire della moderna identità ebraica. La proposta risponde
evidentemente allo scopo di rinsaldare il legame tra l’ebraismo “di
dentro” e “di fuori”, superando ogni ambiguità ed esitazione riguardo
al senso di appartenenza e di solidarietà, da parte degli ebrei, nei
confronti della comune patria ebraica, e va senz’altro lodata per il
suo forte messaggio di sostegno nei confronti dello Stato di Israele,
tanto più da apprezzare in quanto formulato in un momento delicato e
difficile come quello attuale. Ciò detto, appare doveroso
ricordare per quali motivi tale proposta, oltre che giuridicamente
irrealizzabile, potrebbe anche rivelarsi controproducente ai fini della
stessa sicurezza di Israele, a cui essa vorrebbe invece contribuire. Com’è
noto, la Legge del Ritorno, approvata nel luglio 1950 dalla Knesset (e
poi completata dalle successive Leggi della Cittadinanza e
dell’Ingresso, del 1952), sancisce che ogni ebreo che lo desideri, al
momento del suo trasferimento, attraverso la ‘aliyà’, nella Terra
Promessa, acquisti immediatamente, in quanto ‘olè’, ‘salito’, la
cittadinanza israeliana. Tale legge - che deriva direttamente dalla
Dichiarazione di Indipendenza, che stabilisce che lo stato ebraico
“aprirà le porte della patria a ogni ebreo” che vi faccia ritorno (6°
c.), e “sarà aperto all’immigrazione ebraica e alla riunione degli
esiliati” (12° c.) -, con la sua incondizionata accoglienza verso tutti
gli ebrei, pone già le basi di una naturale estensione della
cittadinanza nei confronti dell’intero popolo mosaico, i cui componenti
sono tutti eletti a ‘potenziali’ cittadino dello stato. Ma la
cittadinanza israeliana, evidentemente, non viene estesa
automaticamente a tutti, ma solo a coloro che esercitino concretamente
tale facoltà, scegliendo di vivere in Israele. Trasformare tale
cittadinanza da potenziale a effettiva, con tutti i connessi diritti e
doveri (voto, tasse, servizio militare ecc.), indipendentemente dalla
aliyà, sarebbe evidentemente impossibile, e non solo perché la grande
maggioranza degli ebrei del mondo, verosimilmente, non vorrebbe farlo
(né sarebbe giusto che coloro che rifiutassero di ‘promuovere’
l’identità ebraica a cittadinanza israeliana si vedessero perciò
accusare di incoerenza, infedeltà o scarso patriottismo), o non
potrebbe (ci sono ebrei anche in Paesi, come l’Iran, che mai
permetterebbero una cosa simile), ma anche perché ciò sposterebbe
impropriamente, e forse pericolosamente, il baricentro della
responsabilità delle scelte da assumere per il destino dello stato
ebraico (scelte, non dimentichiamo, che assumono spesso un carattere di
assoluta urgenza e drammaticità). Chi mai potrebbe avere l’autorità e
il coraggio di dire “sì o no”, di fronte, per esempio, a una grave
opzione di pace o guerra, se non coloro che sono chiamati a sopportare
direttamente (anche con la propria vita o morte) le conseguenze della
stessa? Chi mai potrebbe dire “facciamo così o così”, comodamente
seduto in poltrona, al sicuro nella propria casa di New York o di Roma?
Sono problemi che sono già stati motivatamente sollevati in Israele, di
recente, riguardo alla proposta di estendere il diritto di voto ai
cittadini israeliani residenti soltanto all’estero (di numero,
ovviamente, molto inferiore a quello di tutti gli ebrei del mondo), e
la giusta richiesta di permettere a tutti i cittadini l’esercizio di un
fondamentale diritto di cittadinanza si è scontrata con la forte
obiezione che la responsabilità del voto non può essere disgiunta dalla
sopportazione delle ricadute pratiche dello stesso: un principio forse
non tanto avvertito da chi viva tranquillamente in pace, ma
fondamentale per un Pese in continuo, reale pericolo. Anche con
tutti gli ebrei del mondo come cittadini, d’altronde, Israele
resterebbe pur sempre un Paese molto piccolo, circondato da miliardi di
non ebrei. Il compito storico della golà,
al momento attuale, non è quello di ‘diventare’ Israele, ma di
difendere le ragioni di Israele nel modo dei gentili, facendo capire
quanto esse coincidano con le ragioni della civiltà, del diritto, della
pace, dell’uguaglianza nella diversità. Che è, poi, lo stesso compito
anche dei molti, tanti non ebrei che amano Israele. Al punto, a volte,
da considerarla propria “patria ideale”, senza con ciò desiderare di
diventare israeliani, né ebrei.
Francesco Lucrezi, storico
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Nei giorni nei quali si svolgono i mondiali di calcio in Sud Africa, Europa
approfitta per dare visibilità a tale Alex Hughes, tifoso ideologizzato
che porta il dramma del Medio Oriente negli stadi, ripetendo che i
territori palestinesi sono come il Sua Africa dell’apartheid;
bisognerebbe invitarlo in Israele per permettergli di vedere coi suoi
occhi quella che è la realtà oggettiva. In vista di un importante
dibattito che avverrà oggi a Roma a cura della fondazione Fanfani (tra
gli oratori Ettore Bernabei, al centro di polemiche pochi giorni or
sono), l’Avvenire,
in un articolo di Riccardi, fa un excursus sulla politica di colui che
fu a lungo ministro degli Esteri; peccato che, fin dall’inizio, cada in
errore quando cita la risoluzione 242 scrivendo “del ritiro Dai
territori occupati”, e dimenticando, di conseguenza, di parlare anche
delle necessarie modifiche dei confini previste dalla stessa 242. E’
comunque interessante il suo ritornare alle parole del ministro degli
Esteri Sforza che già nel 47 scriveva che Italia e mondo arabo
costituiscono uno degli elementi essenziali della nostra politica
estera (fu buon profeta). E fu lo stesso Fanfani, in visita nel 67 in
Siria, ad invitare invano gli arabi a dichiarare “pubblicamente” di non
volere il genocidio degli israeliani. Sul Corriere
troviamo due diversi articoli di Battistini; in quello di cronaca parla
delle nuove navi che nei prossimi giorni dovrebbero tentare di forzare
il blocco navale arrivando dal Libano e dall’Iran. Su quella libanese
sarà, con un gruppo di donne, la moglie di un generale filosiriano
arrestato per l’omicidio Hariri. Nel finale dell’articolo Battistini
entra nei giochi della politica interna israeliana, severo con la
scelta della commissione di inchiesta e con le “leggerezze” di
Netanyahu tra l’affare di Dubai e le violenze contro la Flotilla;
Battistini appare ora decisamente schierato in favore di un ritorno al
governo della Livni. Nel secondo articolo intervista uno dei fondatori
di Hamas, Al Zahar,
che subito, dalle prime parole, porta la discussione anche sul piano
religioso affermando che è un obbligo per ogni musulmano aiutare i
fratelli. L’intervista viene effettuata nel salone di casa Zahar, che,
pur se non descritta, potrebbe essere uno di quei meravigliosi palazzi
che tanto diversi sono dalle catapecchie delle quali sempre si parla;
apprendiamo solo che nel salone tirato a lucido sta anche una
gigantesca Land Cruiser ancora più lucida. Interessanti le parole di
Zahar quando ci dice che Erdogan è l’uomo nuovo che ritorna dopo mezzo
millennio di impero ottomano; la Turchia è il nuovo centro dell’Islam.
Purtroppo avremmo sperato di leggere delle domande più pungenti, come
si devono fare ai potenti, per non diventarne il megafono. Invece
leggiamo solo, tra le righe, che sì, anche Hamas avrebbe dovuto
proclamare le elezioni, essendo il suo diritto di governare scaduto da
3 mesi. Si può, infine, purtroppo concordare con Zahar quando afferma
che il processo di pace è fallito e che ora possiamo aspettarci di
tutto. Su La Voce Repubblicana
Italico Santoro fa un’accurata analisi del mondo musulmano dove nulla è
come appare, e dove la realtà è ben diversa da quanto viene dichiarato
ufficialmente, oggi come sempre nel passato. Su Libero
Socci parla dei funerali del vescovo dell’Anatolia Luigi Padovese:
severa è la critica che muove alla Chiesa di Roma i cui vescovi sono
come dei moderni don Abbondio. La Turchia, prima terra a diventare
cristiana, venne islamizzata con la forza (la presa di Bisanzio avvenne
con un bagno di sangue). I cristiani nel paese si riducono velocemente,
da due milioni a poco più di centomila, e nonostante il fatto che,
prima di Padovese, sia stato ucciso don Santoro, e che da quella terra
provenisse pure Ali Agca, oggi Tettamanzi esita ad usare il termine
martirio. Preferisce parlare di violenza insensata e tragica, ma
purtroppo non si può davvero considerarla senza senso. Il martirio, in
Turchia, va avanti da secoli, e monsignor Padovese lo aveva capito
benissimo se in un suo scritto premonitore leggiamo: nessun paese ha
avuto tanti martiri come la Turchia. Il papa lo ha capito bene, scrive
Socci, ma la Segreteria di Stato no; infatti ha preferito restare
assente dai funerali, così come è stata notata l’assenza del governo
italiano, pur di solito così presenzialista. Non lontano l’argomento
che troviamo sul Foglio
che, non a caso, si reca a Cordoba (questa città è stata scelta per
dare il nome alla enorme moschea che si vorrebbe costruire nei pressi
di Ground Zero). Il papa chiese ai suoi vescovi che cosa intendessero
fare coi musulmani, e questi risposero di non saperlo. Ma il nuovo
vescovo di Cordoba, d’accordo col cardinale di Madrid, ben deciso a non
concedere ai musulmani, per le loro preghiere, la cattedrale, si oppone
al piano di Zapatero che vuole fare della città il nuovo centro
dell’alleanza tra le civiltà; progetto che Zapatero porta avanti coi
turchi e coi musulmani senza comprendere il significato che riveste,
per loro, la città di Cordoba. Accogliere i musulmani, sì, ma nel modo
giusto. Attenta l’analisi da Mosca di Felix Stanevskiy:
la Russia, che fu definita da Khomeini il piccolo satana, teme che
prima o poi si stabilisca un legame tra l’Iran e l’occidente che vuole
controllarne le risorse energetiche; la Russia rischia di restare
tagliata fuori. Tra le tante voci raccolte vi è chi pensa che Mosca
abbia perso l’occasione unica di costituire un asse con Teheran ed
Ankara. Le sanzioni comunque, a detta di molti, non potranno
funzionare, e nessuno intuisce quali saranno le sorti dei sistemi
antimissile S300 promessi dalla Russia all’Iran; una fornitura questa
che rischia di avere pesanti ripercussioni sugli equilibri del MO. Su
il Riformista
trova spazio la polemica che dilania in questi giorni l’associazione
della stampa estera che, ben foraggiata da importanti finanziamenti
dello stato italiano, protegge l’attività di un giornalista iraniano
arrestato per traffico di armi e spionaggio, ma nel contempo ha espulso
prima l’israeliano Menachem Gantz, che non ha voluto lasciarsi
imbavagliare, e poi la francese Ariel Dumont che lo aveva difeso. La
polemica, già trattata da par suo da Meotti nei giorni scorsi, appare
come uno dei tanti giochi sporchi che avvengono nei nostri palazzi. Fa
piacere trovare sul Resto del Carlino
un articolo, a firma di Gatti, che per una volta non è
aprioristicamente schierato contro Israele come lo sono di solito gli
articoli di questa testata. Se sarà seguito da altri simili sarà una
piacevole sorpresa. Da leggere con attenzione, infine, su l’Avanti, dure parole contro l’editoriale pubblicato da La Stampa
a firma di Barbara Spinelli che, ancora domenica scorsa, non ha mancato
di scagliarsi contro Israele (e, naturalmente, solo contro questo
stato), in un editoriale da tanti severamente criticato.
Emanuel Segre Amar |
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notizieflash |
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"Impegno
delle Forze dell'ordine contro i razzismi"
"Accogliamo
con favore la notizia diffusa dal Capo della Polizia, Antonio
Manganelli, della costituzione di un Ufficio Centrale dedicato alle
minoranze coordinato dalla Criminalpol". Lo ha affermato il Presidente
dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna. "Si tratta
- ha proseguito il Presidente Ucei - di un organismo da noi auspicato,
utile a garantire il monitoraggio e la prevenzione delle diverse forme
di discriminazione, di pregiudizio, di razzismo e di antisemitismo. E’
la proficua conclusione di un iter di colloqui e di contatti che da
tempo intratteniamo con tutti gli organi responsabili della sicurezza
sul territorio, il cui lavoro, che ha prodotto apprezzabili risultati,
viene così ulteriormente rafforzato. Mi sembra inoltre utile
sottolineare, quale iniziativa di particolare interesse tra i compiti
del nuovo organismo, quella di essere presente anche nel mondo
virtuale, con un “commissariato online” composto da esperti, che
seguirà l’evoluzione del pregiudizio su questo nuovo media, usato in
particolar modo dalle giovani generazioni".
Blocco terrestre verso Gaza: il Governo israeliano esamina la proposta, invariato quello marino Gerusalemme, 16 giu - Israele
insiste nell'impedire l'ingresso a Gaza di armamenti ma non che vi
vengano inoltrate maggiori quantità di prodotti umanitari e
commerciali. Così nei giorni scorsi il premier israeliano Benjamin
Netanyahu aveva voluto chiarire la posizione del suo Governo. Di norma,
Israele autorizza l'ingresso a Gaza di circa 100 camion al giorno. I
ministri israeliani si riuniranno oggi per discutere un eventuale
allentamento del blocco terrestre di Gaza, fermo restando quello marino. |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
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