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L'Unione informa
 
    20 giugno 2010 - 8 Tamuz 5770  

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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
alef/tav    
  benedetto carucci viterbi Benedetto Carucci Viterbi,
rabbino
Siamo effettivamente sotto controllo. Un occhio vigile e un orecchio attento ci seguono costantemente: questo è il senso di quella che la tradizione ebraica chiama 'provvidenza personale'. Se fossimo coscienti di questa attenzione continua, probabilmente ci comporteremmo eticamente. Senza il timore di vedere pubblicate le nostre private chiacchiere, metodo che il nostro Controllore non consente e men che meno utilizza.
Qualcuno ha detto che nella nostra epoca prevedere il futuro è impossibile, che sono gli eventi inattesi che determinano le situazioni, per cui l'unica cosa che si può fare è essere pronti a reagire alle situazioni in continuo cambiamento. Ne discende che del passato bisogna conservare i momenti di discontinuità. Continuare a essere ciò che si è stati finora, non è di per sé la garanzia per essere ancora qualcosa domani. Dovremmo pensarci. 
David
Bidussa,

storico sociale delle idee
david bidussa  
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  Progetto Mishnà - Pubblicato il sedicesimo trattato, Bavà Metzi‘à
 
MishnàUn nuovo trattato, il sedicesimo, è stato pubblicato nell’ambito della nuova edizione italiana della Mishnà curata dall’Assemblea Rabbinica Italiana con il contributo e il patrocinio dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. La Mishnà (o Torà Orale) consiste nella grande e sistematica raccolta di insegnamenti dei Maestri dell’ebraismo, tramandati dapprima oralmente e poi messi per iscritto da Rabbi Yehudà Ha-Nasì alla fine del Secondo secolo. Nel Progetto sono coinvolti numerosi rabbini e studiosi di lingua italiana che vivono sia in Italia che in Israele e negli Stati Uniti d’America. Il Progetto, nato nel 2000, ha registrato un notevole successo presso le famiglie e le scuole ebraiche. In particolare, la nuova edizione italiana riscuote molta popolarità fra i giovani, che apprezzano l’ottima grafica e l’allestimento tipografico opera degli editori David Piazza (Morashà) e Ghidon Fiano (Lamed).
Il trattato Bavà Metzi‘à, curato dal professore Alfredo Mordechai Rabello, ospite regolare di questa newsletter e di Pagine Ebraiche, fa parte del Seder Neziqìn, l’Ordine dei danni, e tratta del diritto civile ebraico: in particolare, sono qui affrontati i problemi concernenti vendite, depositi, affitti, ritrovamento di oggetti, lavori salariati e altre questioni pecuniarie. Per la Torà, non vi è differenza fra le regole che riguardano i rapporti dell’uomo con Dio e quelle che concernono i rapporti fra uomo e uomo: in entrambi i casi, la Torà viene a regolare e indirizzare la vita dell’ebreo, perché tutto fa parte del servizio divino. Rabello, professore emerito alla Facoltà di Legge dell’Università ebraica di Gerusalemme e professore a contratto presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Milano, ha curato con molta competenza e profondità la traduzione e il commento di questo trattato, e l’ha dedicato, oltre che ai suoi familiari, alla memoria del suo maestro rav Sergio Joseph Sierra z.l. (autore, fra le altre opere, del libro “Il valore etico delle mitzwoth”) e dell’avvocato Alfonso Jehuda Pacifici z.l. (il cui figlio, il rav Joseph Pacifici shalita, di Benè Beraq, Israele, ha eseguito un’attenta e scrupolosa revisione di questo trattato come di molti altri).
Bavà Metzi‘à è stato presentato a Roma dal rav Riccardo Di Segni, nella lezione conclusiva del suo corso settimanale di Talmud al Collegio rabbinico italiano, e all’Oratorio Di Castro di via Balbo, nell’ambito delle lezioni del Binian Shelomò, in collegamento con il rabbino capo d’Israele rav Shelomò Amar (approfittiamo per ringraziare Alessandro Venezia e sua moglie Miriam Sabbadini per la gentile sponsorizzazione). Il trattato è stato poi presentato a Firenze, durante il corso di studi talmudici del gruppo Lamed coordinato da Sandro Servi (uno dei revisori del Progetto Mishnà). Altre comunità che vogliano presentare questo trattato nell’ambito delle loro attività culturali prendano contatto con la redazione (redazione.mishna@libero.it), e così chi voglia ricevere informazioni per abbonarsi, acquistare o dedicare singoli trattati.

Gianfranco Di Segni, coordinatore del Progetto Mishnà


Qui Torino - Il rav Birnbaum visita la Comunità piemontese
“La realtà comunitaria è la chiave per rafforzare l’identità ebraica"


Birnbaum“Se una persona può cambiare il proprio destino anche un popolo può farlo” sostiene Rav Eliyahu Birnbaum, dayan al Tribunale per le conversioni del rabbinato israeliano e docente al Merkas Rapaport dell’università di Bar Ilan. In visita a Torino per “dare uno sguardo alla comunità”, con il rav, personaggio noto a livello internazionale, abbiamo parlato di identità ebraica fra presente e futuro.“In questo momento - spiega Birnbaum, uno dei pilastri di Shavei Israel, l’organizzazione no profit israeliana attiva nella ricerca degli ebrei perduti (Pagine Ebraiche di Giugno, “Viaggio sulle tracce dei discendenti di Israele” di Daniela Gross, nell'immagine tratta dallo stesso giornale, il rav Birnbaum con uno dei discendenti dalle famiglie marrane che oggi compongono la Comunità ebraica di Belmonte in Portogallo) - all’interno del mondo ebraico, in particolare fra le nuove generazioni, sono presenti due correnti molto forti e di segno opposto: da una parte coloro che tendono all’assimilazione, allontanandosi dalla tradizione ebraica, dall’altra coloro che cercano un riavvicinamento all’ebraismo. Questa contraddizione - continua rav Birnbaum - si può trovare all’interno della stessa famiglia, è qualcosa che esiste e di cui dobbiamo prendere atto”. Uno dei compiti di rabbini ed educatori, secondo il rav, è quello di attenuare questo contrasto,  bisogna agire in fretta per non rischiare di perdere definitivamente contatto da chi si avvia verso il distacco dall’ebraismo. “Shavei Israel”, Ritorna Israele, questo è il leitmotiv del lavoro di rav Birnbaum, recuperare, consolidare l’identità ebraica degli ebrei per rafforzare il popolo di Israele. E’ l’impegno di una vita che lo ha portato a girare il mondo per riscoprire comunità dimenticate dalla Cina all’Amazzonia, dall’India alla Siberia. “Sono fiducioso” dice “nulla è perduto definitivamente. Se una persona può cambiare il proprio destino anche un popolo può farlo. Ma per vincere questa partita dobbiamo avere una condivisa visione del futuro, dobbiamo sapere dove vogliamo arrivare”. Una tensione verso il futuro che Birnbaum, nonostante le note difficoltà, rivede nella Comunità torinese “ho la sensazione che qui si stia cercando di creare un futuro. Torino è una tipica Comunità italiana con una grande tradizione religiosa e culturale alle spalle, ma non per questo è al riparo dal pericolo di diventare un semplice museo dell’ebraismo. Non è solo un luogo di memoria, ma una Comunità viva e dinamica”.
“Oggi la realtà comunitaria è la chiave per rafforzare l’identità ebraica” spiega Birnbaum. Secondo il rav infatti, nella società postmoderna il singolo è influenzato da diversi fattori: internet, la televisione, la società stessa mentre la famiglia ha perso il suo ruolo centrale. La dimensione famigliare, in particolare nell’ebraismo, ha sempre avuto un’importanza fondamentale nella vita e nella formazione nell’individuo. Entrata in crisi o forse semplicemente cambiata questa realtà, si è creato un vuoto. Per Birnbaum questo vuoto può essere colmato dalla Comunità, “la nuova famiglia”. “Non parlo per ipotesi” sostiene il rav “ma di qualcosa che si sta già verificando nel mondo, con una costante crescita di gruppi di ebrei che si riuniscono per condividere e, sempre più spesso, riscoprire la tradizione ebraica”.
In un'agenda molto fitta di incontri, c’è anche uno spazio anche per una breve riflessione sulla provocazione di Alain Elkann (secondo cui tutti gli ebrei dovrebbero essere cittadini israeliani). “Cittadini di Israele o no, tutti gli ebrei del mondo condividono il legame, volenti o nolenti, con almeno tre cose: religione, nazione, Israele. Israele dunque, che tu sia un ebreo argentino o italiano, fa parte della tua identità”.

Daniel Reichel


Sorgente di Vita: opinioni a confronto sul Medioriente,
una giornata con Elia Richetti e il ricordo di Anna Frank


sorgente di vitaLo studio, l’insegnamento, il controllo delle cucine, le visite agli anziani, il lavoro d’ufficio, la preghiera della sera: il primo servizio della puntata di Sorgente di Vita di domenica 20 giugno è dedicato alla lunga giornata di un rabbino. Tra appuntamenti  previsti e incontri casuali abbiamo seguito Elia Richetti, rabbino capo della Comunità di Venezia e presidente dell’Assemblea dei Rabbini d’Italia, che racconta le ragioni della sua scelta, i suoi impegni, le responsabilità del suo delicato incarico. 
Segue un incontro con Hannah Goslar che  ricorda la sua amica Anna Frank, dall’infanzia ad Amsterdam al campo di  Bergen Belsen. Dalle memorie della Goslar un film e uno spettacolo realizzato da sei ragazze di una scuola romana sulla storia della ragazzina ebrea diventata simbolo della Shoà.
Infine un servizio sui nuovi scenari mediorientali dopo il blitz israeliano a bordo della nave turca Mavi Marmara: l’isolamento d’Israele, il deterioramento dei rapporti con la Turchia, le provocazioni dell’Iran e la  ricerca di nuovi equilibri tra Europa, Stati Uniti e paesi del Medioriente. Il commento di Stefano Silvestri presidente dell’Istituto Affari Internazionali e di Yasemin Taskin corrispondente del quotidiano turco “Sabah”.
Sorgente di vita va in onda domenica 20 giugno alle 1,20 circa su Raidue.
In replica lunedì 21 giugno alla stessa ora e lunedì 28 giugno alle ore 7 del mattino. 
I servizi di Sogente di vita sono anche
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  Davar Acher - Gilad. Tutti facciano qualcosa, ogni giorno

ugo volliGiovedì prossimo, il 24 giugno, saranno quattro anni da quando Gilad Shalit è stato rapito dai terroristi di Hamas. Una prigionia che può sembrare una piccola cosa, in mezzo ai grandi disastri della guerra, alle persone uccise dai terroristi, alle bombe dell'11 settembre o alle esplosioni suicide nei ristoranti e nei centri commerciali di qualche anno fa. Eppure non ci stanchiamo di protestare, continuiamo a indignarci, sappiamo che non dobbiamo stancarci di chiedere la liberazione di Shalit. Lo facciamo ogni volta che possiamo, lo faremo ancora la sera del 24 con la manifestazione convocata dal Bené Berit con la Comunità ebraica e il Comune di Roma per questo anniversario alle 21.30 di fronte al Colosseo. (Segnalo un'altra iniziativa a Torino alle 20.30 in Corso Cairoli, angolo via dei Mille.)
Non si tratta solo della palese violazione della legge internazionale che il rapimento costituisce e neanche della ferita profonda che possiamo immaginare in un giovanissimo che ormai ha passato un quinto della propria vita da solo, prigioniero di nemici feroci, senza una visita o un conforto. Chi ha figli sente cosa devono voler dire quattro anni di prigionia solitaria per un ventenne. La ragione per cui tutti gli ebrei, senza distinzione di parte politica o di identificazione religiosa sentono una solidarietà profonda per Shalit e la sua famiglia è profondamente iscritta nella nostra identità collettiva. Noi siamo un piccolo popolo e ciascuno è un po' parente di tutti gli altri, non solo astrattamente responsabile, ma concretamente vicino. La bellissima scoperta degli scienziati israeliani secondo cui vi è davvero un DNA comune al popolo ebraico mostra che dicendo di essere tutti fratelli, discendenti dai nostri patriarchi, non usiamo solo un simbolo, ma parliamo di qualcosa di molto concreto, una traccia materiale del nostro spirito, incisa nel nostro corpo come la milà. Quando qualcuno di noi muore, piangiamo tutti. Ma soprattutto quando qualcuno è tenuto prigioniero come Shalit, siamo tutti prigionieri. Giorno dopo giorno, una parte di noi, da qualche parte nel nostro inconscio o nelle nostre viscere, soffre in una cantina di Gaza, incatenata da carcerieri inumani. Non è un sentimento nuovo: lo studio delle carte della Genitzà del Cairo, per esempio, ha mostrato come si impegnasse quella comunità quando ottocento anni fa era diretta dal Rambam e dalla sua famiglia per liberare i prigionieri che anche allora erano rapiti da pirati islamici crudeli e avidi.
In mezzo alle immense difficoltà che vive in questo momento Israele e con esso tutto l'ebraismo, nonostante i tentativi di legittimare il regime sanguinario di Gaza, lottare perché Shalit sia sottratto al gruppo criminale che lo trattiene schiavo, che lo ha ridotto al ruolo di cosa da scambiare, di prezzo di un riscatto, è un impegno comune. Ognuno di noi faccia qualcosa ogni giorno per la liberazione di Gilad Shalit, parte di noi stessi che ci è stata rubata.

Ugo Volli
  
 
 
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I coniugi Staderini e i due bimbi ebrei salvati come figli
Tutto nacque da un sogno, come succede nelle favole o nella stessa Bibbia: invece c'è di mezzo l'Olocausto, la persecuzione degli ebrei romani, l'odio nazista. Settembre 1943. Bice Gilardoni Staderini, madre di 6 figli, tipica esponente dell'ottima borghesia romana (suo marito è Fausto Staderini, titolare della storica tipografia in via Baccina) ha un sogno. Le appare sua madre: «Salva i bambini di Elvira». Elvira è Elvira Perugia Campagnano, moglie di Cesare e madre di Marcello e Bianca Maria, ebrei. Le due famiglie si frequentano da anni, la loro è un'amicizia così profonda da generare quel sogno. Sono le ore dell'immondo ricatto dell'oro, la richiesta da parte del comando nazista di ottenerne 50 chili in cambio della salvezza degli ebrei. Bice Gilardoni Staderini si sveglia, racconta tutto a suo marito e va dall'amica Elvira. Lì compiono la scelta più semplice e umana: inserire Marcello e Bianca Maria Campagnano nello stuolo già nutrito dei loro sei figli. Domani, lunedì 21 giugno, quel gesto così naturale e insieme straordinario, strumento di salvezza per due bambini di sangue ebreo, avrà il suo premio. Alle 11, nella Casa della Memoria e della Storia in via San Francesco di Sales 5, Rami Hatan e Sara Ghilad dell'Ambasciata di Israele a Roma consegneranno l'onorificenza «Giusti tra le Nazioni» ai figli di Fausto e Bice Staderini. […]
Paolo Conti, il Corriere della Sera, 20 giugno 2010 

Al parco di Brooklyn la pace corre, sull'iPod
Sopravvissuti alle persecuzioni naziste, fuggiti ai pogrom zaristi e sovietici, con l'iPod in tasca, la borsa della spesa lungo la Tredicesima Avenue di Boro Park è la mente costantemente impegnata a riflettere sulla «Daf Yomi», la diversa pagina di Talmud che si studia ogni giorno dell'anno: sono i chassidim di New York, concentrati a Brooklyn ma presenti anche negli altri quattro «borough» della Grande Mela dando vita a una comunità composita e numerosa al punto da gareggiare con quella residente in Israele. […] Gli stessi contrasti che in Israele fanno scaturire interminabili liti politico-religiose su leggi e identità dello Stato ebraico si dissolvono sulla Tredicesima Avenue di Boro Park dove i chassidim convivono in negozi che vendono parrucche per donne osservanti, supermercati con cibi rigorosamente «glatt kosher» e librerie con i volumi firmati da saggi contemporanei come Moshe Feinstein e Adin Steinsaltz. Ciò che tiene assieme il mosaico ortodosso della Grande Mela è l'integrazione nella «Goldene Medine», la terra d'oro come alla fine dell'Ottocento gli askenaziti arrivati da Russia e Polonia definivano l'America. Un'integrazione descritta da una miriade di fatti quotidiani: dagli show de «Le Cirque du Soleil» organizzati apposta per la festa ebraica di Purim ai film come «Ushpizin» programmati nei cinema di Manhattan, dalle linee di autobus con gli orari immaginati per non sovrapporsi con quelli delle preghiere del mattino e della sera fino all'application «Siddur» creata da un'azienda chassid di Monsey e offerta dalla Apple per consentire a ogni osservante di poter pregare sull'iPod.
Maurizio Molinari, La Stampa, 20 giugno 2010 

L'yiddish al servizio di Sua Maestà
All'ingresso della Yesodey Hatorah Jewish School di Amhurst Park, periferia Est della City londinese, una foto autografata della Regina Elisabetta II accoglie ogni mattina i 500 figli con il boccoli detti «peot» e le 700 figlie in severo abito scuro d'uno degli ultimi «shtetl» d'Europa. Qui, a ridosso di quell'enclave anglo-musulmana punteggiata di minareti nota come Londonistan, vivono circa 20 mila ebrei ortodossi, un terzo della comunità haredi, disseminata tra Anversa e Parigi, che si veste, mangia, parla alla maniera degli antenati polacchi di tre secoli fa. «Il rapporto tra i gruppi chassidici europei e il paese in cui risiedono non ha nulla della conflittualità esplosa nei giorni scorsi a Gerusalemme» nota lo storico Ariel Toaff, professore emerito all'Università Bar Ilan di Tel Aviv e autore del saggio «Il prestigiatore di Dio». Vale a dire contraddizione zero tra lo studio dei precetti rabbinici e Sua Maestà britannica: «Tutti negano il primato dello Stato sulla religione e obbediscono esclusivamente alla Torah ma chi non abita in Israele si adegua alla legge del governo guidato da non ebrei accontentandosi di osservare usanze e riti nel quartiere». [...] «Il primo scontro tra gli ortodossi e il resto della comunità risale alla fine del 1600, quando nella Polonia meridionale un gruppo di oltranzisti contesta gli strumenti da macellazione», spiega lo studioso David Bidussa, che per la casa editrice La Giuntina ha curato il volume di Yosef Yerushalmi «Assimilazione e antisemitismo razziale». Il resto è un processo d'allontanamento che culmina nella frattura di duecento anni dopo: da un lato gli ebrei integrati al mondo post rivoluzione industriale, dall'altro gli ortodossi e gli ultra, custodi dell'immobilismo biblico. Le migrazioni di fine 800 verso le prosperose capitali europee e gli Stati Uniti li vedono già separati in casa, fratelli talvolta coltelli fino al battesimo dello Stato d'Israele, coronamento del sogno sionista per i primi e per i secondi colpevole anticipazione dell'ancora attesa venuta del Messia al punto che oggi le sinagoghe più oltranziste dello Yemen incoraggiano la fuga verso New York anziché verso Gerusalemme. «Gli haredim rifiutano comunque l'integrazione con la società in cui vivono, gentile o ebraica non ortodossa» nota Anna Foa, docente di Storia moderna e autrice del libro «Ebrei in Europa». Se in Israele la diatriba su chi abbia il diritto di governare e secondo quale principio investe la sfera politica, a Londra come a Parigi si compone nell'esibizione quasi folklorica di un'alterità: «Grazie alla totale assenza di conflittualità generazionale le comunità ortodosse europee tendono a chiudersi in autoghetti in cui, compatibilmente con le leggi nazionali, possano tutelare le proprie tradizioni, dalle scuole religiose private tipo yeshiva all'uso della lingua yiddish». […]
Francesca Paci, La Stampa, 20 giugno 2010

 
 
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notizieflash    
 
 
Peres: “Gaza scelga la pace e i blocchi saranno interrotti”
Gerusalemme, 20 giu -
“L'Europa con la sua saggezza dovrebbe rivolgersi ai palestinesi di Gaza e della Cisgiordania per convincerli a riprendere la strada dei negoziati di pace”, queste l'appello del presidente israeliano Shimon Peres ai dirigenti europei. Peres si è anche espresso sulle flottiglie umanitarie organizzate da gruppi filopalestinesi e  il blocco marittimo israeliano: "Noi abbiamo abbandonato la striscia di Gaza e nessun israeliano vi è rimasto. Non abbiamo capito allora - ha detto Peres - né comprendiamo adesso perché dopo che abbiamo lasciato la Striscia quelli che la governano abbiano sparato migliaia di razzi contro i nostri cittadini". "Quella domanda non trova risposta nemmeno oggi" ha proseguito. "Se i dirigenti di Gaza denunceranno il terrorismo, se cesseranno di scavare tunnel di contrabbando e di sparare razzi, se cesseranno di tentare di rapire cittadini israeliani e libereranno il caporale Ghilad Shalit, catturato in territorio israeliano, non ci sarà più alcun bisogno di alcun blocco, o di alcun assedio".

Governo Netanyahu in crisi, i laburisti minacciano la stabilità    
Tel Aviv, 19 giu -
I laburisti minacciano la stabilità del governo Netanyahu. O si registrano progressi nel processo di pace con i palestinesi oppure abbandoneranno la coalizione per passare all'opposizione. L'avvertimento è giunto oggi dal ministro Benyamin Ben Eliezer, durante una conferenza a Beer Sheba (Neghev). Non è la prima volta che il malumore di alcuni dirigenti laburisti, nei confronti della linea politica del Governo Netanyahu, si fa sentire. Ma le loro lamentele si sono sempre placate grazie alla negoziazione del leader del partito, Ehud Barak, ministro della difesa, secondo cui la stabilità politica è di importanza critica in Israele in un periodo di gravi incognite di sicurezza: prima fra tutte, la questione iraniana. Oggi Ben Eliezer ha comunque segnalato che anch'egli nutre una crescente impazienza. "Il popolo si sposta fortemente a destra" ha lamentato. "Oggi non c'é qua un leader di sinistra che possa sospingere il processo di pace". Ma Barak, che giovedì scorso ha incontrato  l'emissario statunitense George Mitchell - tornato nella Regione per proseguire i 'proximity talks' (negoziati indiretti) fra Israele e Anp – ha rassicurato ancora una volta tutti: “ Israele farà il possibile per garantire la riuscita dei negoziati”. Di fronte a tale promesse Eliezer si è detto fiducioso che "entro alcune settimane" il processo di pace con i palestinesi prenderà quota. Ma in caso contrario, a quanto pare, unirebbe la sua voce a quelle di quanti in casa laburista contestano Barak e insistono per uscire dal governo.
 
 
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