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L'Unione informa |
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11 luglio 2010 - 29 Tamuz 5770 |
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alef/tav |
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Benedetto Carucci Viterbi, rabbino |
Quando
ci si avvicina alla meta, è bene voltarsi indietro per ripercorrere
mentalmente le tappe percorse. Si acquisisce consapevolezza delle
difficoltà e degli errori. |
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Alcuni
mesi fa la copertina del settimanale "Time" presentava una mappa del
mondo senza l'Europa. L'immagine di una carta senza l'Europa
trasferisce sul piano della cartografia quello che potrebbe essere
l'esito della crisi attuale. Quando si continua a sostenere la
centralità dell'Europa non si riesce a capire se sia una petizione di
principio, un auspicio o uno scongiuro. Di certo non è un presagio.
Rispondervi significherebbe attrezzarsi per raccogliere le sfide del
presente. Ma è proprio questo che latita.
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David Bidussa, storico sociale delle idee |
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Rav Yehuda Amital (1924-2010)
È
mancato all'età di ottantacinque anni, nella sua casa di Gerusalemme,
rav Yehuda Amital. Lo piangono sua moglie, Miriam, i cinque figli e i
moltissimi nipoti e bisnipoti. Al loro fianco tutta la nazione. Leader
e ideologo della corrente di sinistra del sionismo religioso, era un
personaggio pubblico di primo piano in Israele, una voce autorevole in
questioni religiose e di politica nazionale. Rav Amital nacque in
Romania nel 1924. Appena ventenne fu mandato in un campo di lavoro dai
nazisti, mentre la sua famiglia veniva sterminata ad Auschwitz.
Liberato dall'Armata Rossa nel 1944, si trasferì in Palestina.
Conseguita la laurea rabbinica alla Hebron Yeshiva di Gerusalemme,
decise di arruolarsi nella Haganah. Dopo aver combattuto nella guerra
d'Indipendenza andò ad insegnare in una scuola rabbinica di Rehovot. I
suoi interessi principali sono sempre stati l'etica e la filosofia
della religione. Alla fine degli anni sessanta fondò la Har Etzion, una
yeshivah hesder dove, agli studi talmudici, è affiancata una
preparazione militare. Tale istituto, ogni anno, accoglie centinaia di
studenti da tutto il mondo. Yehuda Amital ha educato generazioni di
discepoli ai valori della fede e della tolleranza, della responsabilità
etica e sociale e dell'amore per Israele. Nel 1988 fondò il
movimento Meimad, acronimo di Medinah yehudit, medinah demokratit,
Stato ebraico, stato democratico. È la frazione più moderata del
sionismo religioso e ha stretto per molti anni alleanze politiche con
il partito laburista. Nel periodo – assai critico – che succedette
l'assassinio del primo ministro Yitzhak Rabin del 1995 fu ministro
senza portafoglio del governo Peres. Al funerale, nel cimitero Har
Hamenuchot di Gerusalemme, erano presenti migliaia di persone tra cui
diverse autorità e personalità del mondo politico. “Rabbi Amital
combatté durante la guerra d'indipendenza - ha ricordato il primo
ministro Bibi Netanyahu – il suo amore per Israele è d'esempio per
tutti noi. Perseguiva la pace – ha continuato il capo del governo –
amava tutta l'umanità e cercava di avvicinarla alla Torah. Sia il suo
ricordo in benedizione”. Il presidente dello Stato d'Israele
Shimon Peres ha espresso le sue condoglianze ai familiari del rabbino.
Nella sua dichiarazione Peres ha definito Amital “un amante
dell'umanità, un esempio per tutti nei panni del soldato, del rabbino e
dell'uomo politico”. È intervenuto anche il Ministro della Difesa
Ehud Barak: “Amital è stato un grande innovatore: ha saputo dare ai
suoi allievi un'educazione sionista e religiosa e instillare in loro
l'amore per Israele e per il servizio militare”. Barak ha aggiunto che
“tra i principali valori alla base della sua yeshiva hesder vi è quello
della tolleranza e del rispetto del prossimo e delle sue opinioni”.
Manuel Disegni
Rav Yehuda Amital - Ascoltare il pianto del bimbo
All'età
di 85 anni si è spento venerdì 27 tammuz a Jerushalaim il Rav Yehuda
Amital, uno dei leader del sionismo religioso. Nato in Transilvania
(Romania) nel 1924, iniziò lì gli studi nella Jeshivà di Rabbì Chaim
Jehudà Hallevi (da cui apprese il sistema di insegnamento delle
Jeshivot lituane); passata la Transilvania all'Ungheria (1940), si
trovò, dopo la conquista nazista, in un campo di lavoro, da cui fu
liberato nel 1944 dall'armata russa, riuscendo a raggiungere Erez
Israel alla fine dell'anno. Qui studiò alla Jeshivà Chevron, ricevette
il titolo di Rav dal Rav Melzer, studiò con il Rav Charlap, allievo del
Rav Kook, e fece parte dell'Haganà. Il giorno dopo la
proclamazione dello Stato si arruolò nell'esercito, combattendo la
guerra d'Indipendenza, a Latrun ed in Galilea: "La via del soldato datì
durante la guerra d'Indipendenza" sarà uno dei suoi articoli. L'esperienza
terribile della Shoah, l'insegnamento del Rav Kook e la nascita dello
Stato di Israele furono i pilastri dell'insegnamento di Torà, di
morale, di visione del Rav. Dopo la guerra dei Sei giorni fu chiamato
ad essere il capo della nuova Jeshivà nel Gush Ezion, sulla strada fra
Jerushalaim e Chevron. Una delle prime iniziative come Rosh Jeshivà fu
quella di chiamare accanto a sé, come altro Rosh Jeshivà, il Rav
Lichtenshtein, genero del Rav Soloweithchik. Le due personalità si
completarono reciprocamente, sempre in perfetta armonia, e fecero della
Jeshivà di Har Etzion un esempio di studio di Torà, di morale (ebraica
ed umana naturale) e di apertura intellettuale (chi scrive ha avuto la
ventura di avere suo figlio maggiore e suo genero fra gli allievi del
Rav, che ha anche celebrato le loro nozze). Il Rav Amital fu fra i
fondatori delle Jeshivot Esder, in cui lo studio di Torà è accompagnato
dal servizio militare, vedendo i suoi allievi sempre in prima fila a
difesa dello Stato. Dopo l'uccisione del capo del governo Yitzchak
Rabin, mentre per la strada vi era un clima infuocato, Shimon Peres
ebbe la saggezza di chiamare il Rav Amital a far parte del suo governo
come Ministro, come a sottolineare l'importanza che attribuiva agli
studiosi di Torà che sapevano tradurla in pratica con moderazione e
comprensione per le posizioni degli altri. Famose le sue
conversazioni, sempre a sfondo molto umano, come a sottolineare la sua
continua ricerca dell'uomo dopo la Shoah, costantemente nel suo
pensiero; fra queste ha un posto particolare quella sul pianto del
bimbo, famosa nell'ambiente chassidico: capitò al vecchio Admor,
l'autore del Tania, che mentre era seduto a studiare sentì
improvvisamente il pianto di un bimbo e, dato che non smetteva, chiuse
la ghemarà ed andò a vedere nel piano superiore, ove trovò il suo
nipotino in lacrime. Dopo averlo calmato si diresse nella stanza
accanto ove trovò suo figlio (il padre del bambino) tutto assorto nello
studio; dopo essersi avvicinato gli disse: se una persona studia e non
sente il pianto di un bambino, vi è qualcosa di molto problematico nel
suo studio… Il racconto ci vuole insegnare ad essere in ascolto per
accorgersi dei problemi e delle necessità del popolo ebraico: lo studio
deve essere diretto verso l'esterno e non chiuso in se stesso. Nella
cerimonia del ricevimento di un nuovo Sefer Torà nel Beth Hakeneset di
Ghiv'at Mordechai (il quartiere di Gerusalemme ove abitavamo il Rav e
io) il Rav si soffermò sulla richiesta che proveniva da più parti:
"vogliamo Mashiach subito" ed il Rav ad insegnarci: "non capisco; per
cosa volete il Mashiach? Il Rambam ha scritto nelle sue Hilchot
Melachim (12:4) che i chachamim ed i profeti hanno tanto desiderato i
giorni messianici soltanto "per essere liberi a studiare Torà e la sua
saggezza"; è questo che vi manca cari ebrei? Siate sinceri: un po' di
tempo per studiare Torà ogni giorno ognuno di noi potrebbe trovarlo, ed
allora fate questo sforzo e mettetevi a studiare Torà, mettevi a
studiare Ghemarà e Rambam, adempiendo quello che il Signore si attende
da noi": chiaro invito ad una responsabilità personale, a richiedere a
noi stessi quello che possiamo fare: "siamo riusciti a far comprendere
ai nostri allievi che è possibile pensare differentemente dal loro Rosh
Yeshivà, rispettando al tempo stesso chi ha una concezione differente
dalla nostra". Cervello e sentimento ("l'intelletto è la
principale dote degli uomini e così deve essere anche nel servizio
divino; non può essere che serviamo il Signore con tutte le membra e
non con l'intelletto") santificazione del Nome del Signore e silenzio;
la sua vita fu una continua ricerca di quello che è il dovere dell'uomo
nel suo mondo (Rav Moshé Chaim Luzzatto); ci fece capire di essere
stato pronto a morire per la Santificazione del nome (al kiddush
Hashem) ma di essere stato contento di aver avuto la possibilità di
vivere la sua vita al servizio divino e del popolo ebraico, divenendo
maestro di migliaia di allievi. Eccelse sia nel campo della Halachà,
che in quello del pensiero e della chassidut; fu conservatore ed aperto
al tempo stesso, portando nella sua Jeshivà la serietà delle Jeshivot
lituane. Non nascose i suoi problemi di uomo e di maestro di fronte
alla Shoah e ne fece partecipe i suoi allievi, con lezioni, per
esempio, sul compito della tefillà durante e dopo la Shoah, insegnando
come scopo della nostra vita sia l'attaccamento (devekut) al Santo e
Benedetto, cercando di tradurre in realtà la Torà; una delle strade per
ottenere questa devekut è quella dell'unione ai talmidé chachamim. E se
non ci sono talmidé chachamim che cosa dobbiamo fare? In mezzo al
silenzio sceso nella sala, il Rav Amital alzò la voce dicendo: "Ci
dobbiamo unire allora all'ebreo semplice, con un amore vero; questo è
quello che ci manca: amore sincero per il prossimo…".
Alfredo Mordechai Rabello, giurista, Università Ebraica di Gerusalemme
Natan
Sharansky: "Ecco i progetti di Israele"
Un
fuoco di fila di incontri con istituzioni, giornalisti, giovani e meno
giovani. Forse così si può descrivere la giornata romana di Natan
Sharansky, presidente dell'Agezia ebraica per Israele, invitato in
visita ufficiale a Roma dal presidente mondiale del Keren Hayesod,
Johanna Arbib, che ha espresso "grande soddisfazione per tutti gli
incontri istituzionali dai quali è emerso il grande legame esistente
tra Italia e Israele". "In particolare" ha proseguito Arbib "gli
interventi del Presidente della Camera Gianfranco Fini e quello del
Ministro degli Esteri Franco Frattini hanno evidenziato il valore
irrinunciabile della democrazia israeliana nello scacchiere
mediorientale" (nell'immagine Sharansky secondo a sinistra, insieme al
Presidente della Comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici, a
Johanna Arbib e alla vicepresidente Ucei e
presidente dell'Agenza ebraica per l'Italia Claudia De Benedetti).
Durante
l'incontro con i giornalisti Sharansky ha parlato senza mezzi termini
di "ottimi risultati" riferendosi all'ultimo incontro tra Barak Obama e
Benjamin Netanyahu lasciando intendere che il rapporto tra Stati Uniti
e Israele è profondo e stabile nonostante le difficoltà e le
incomprensioni generate dalla crisi mediorientale.
Un
altro momento stimolante è stato quello con i giovani. L'incontro dal
titolo "Il futuro è nelle
nostre mani" è stato un momento di confronto con i futuri leader
comunitari. Ampio sapzio alle proposte e le domande delle ragazzi, fra
cui i rappresentanti dell'UGEI, Unione Giovani Ebrei d'Italia,
che hanno rivolto all'ospite interventi creativi e
propositivi. Invitata d'eccezione Ghila Castelnuovo, giovane
ventiseienne laureata in informatica, che ha studiato all'Università di
Gerusalemme grazie ad una borsa di studio del Keren Hayesod e ora
lavora per Microsoft.
Il lungo itinerario si è concluso con
una serata con la quale si è aperta la campagna 2010 del
Keren Hayesod organizzatore del prestigioso evento.
Sharansky ha
raccontato alcuni progetti che esprimono la nuova strategia
dell'Agenzia Ebraica, uno dei più promettenti è il progetto Masà (in
ebraico percorso), che punta sull’approfondimento della conoscenza di
Israele ed è volto a costruire legami più forti con il popolo e lo
Stato ebraico.
"Dobbiamo creare un legame con ogni ebreo che
vive nella Diaspora" sembra essere questo il tema che caratterizza
questa nuova linea. "Solo così saremo in grado di rafforzare il
necessario legame tra identità ebraica e Israele".
A
raccogliere queste importanti sfide è stata Claudia De Benedetti
vicepresidente Ucei e ora alla testa della Agenzia Ebraica
in Italia, che ha accompagnato Sharansky durante una giornata impegnativa e densa di significato.
Alan Naccache |
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Davar Acher - La guerra senza eserciti
L'opinione
pubblica sul Medio Oriente, e in particolare il mondo ebraico, si
divide oggi fra quelli che capiscono che è in atto una guerra contro
Israele e quelli che non l'hanno compreso o preferiscono calare la
testa sotto la sabbia per non vederlo. Affermare che è in corso una
guerra e non una semplice serie di campagne di opinione e di azioni
dimostrative richiede di capire che guerra oggi non è semplicemente lo
scontro fra due eserciti ben definiti e inquadrati, ma un fenomeno
molto più complesso e frammentato che dissemina "l'uso della violenza
il cui obiettivo è costringere l'avversario a eseguire la nostra
volontà" (Carl Von Klausewitz) in una serie di episodi separati nello
spazio e nel tempo, in cui ha larga parte l'uso della simulazione e
della dissimulazione, la persuasione e la conquista di alleanze
nell'opinione pubblica. Per fortuna negli anni '80 non si è combattuta
una guerra frontale fra "campo socialista" e mondo occidentale (altri
scontri nella periferia dei rispettivi imperi, in Asia, Africa e
America Latina si sono svolti prima), ma si può ben dire che
quest'ultimo abbia vinto la "guerra fredda". Una guerra è in corso
in Medio Oriente da quasi un secolo, con forme e alleanze diverse, con
diversa intensità e diversi strumenti. Israele finora ha vinto tutte le
battaglie principali, come si vede dalla sua esistenza, dato che la
posta in gioco è proprio questa. Ma oggi la situazione è profondamente
cambiata: parte delle condizioni che hanno consentito a Israele una
superiorità tecnologica e politica negli ultimi cinquant'anni
(l'appoggio del mondo occidentale, il sottosviluppo tecnologico e
militare dei suoi avversari, la prevalenza tecnica dei mezzi offensivi
su quelli difensivi) si sono dissolti. E però Israele conserva un
vantaggio sul terreno che i suoi nemici hanno ancora paura a sfidare.
Lo scontro si è dunque spostato per il momento su un terreno più
politico e propagandistico si è sminuzzato in mille episodi di
logoramento e di delegittimazione e ha assunto le forme di una guerra
d'attrito spirituale, di un duello infinito. Ancora Clausewitz: "La
guerra non è che un duello su vasta scala. La moltitudine di duelli
particolari di cui si compone, considerata nel suo insieme, può
rappresentarsi con l'azione di due lottatori. Ciascuno di essi vuole, a
mezzo della propria forza fisica, costringere l'avversario a piegarsi
alla propria volontà; suo scopo immediato è di abbatterlo e, con ciò,
rendergli impossibile ogni ulteriore resistenza... [Le teorie
tradizionali della guerra] rivolgono l'attenzione solo alle grandezze
materiali, mentre tutta l'attività bellica è compenetrata di influenze
e forze spirituali." Per difendersi efficacemente bisogna saper
individuare queste influenze come parti della guerra, individuarne il
disegno generale. Nell'età di Internet gli effetti della
globalizzazione e dell'espolosione comunicativa rendono spesso più
importanti gli effetti propagandistici di quelli concreti – almeno
fuori dallo scontro diretto in cui alla fine la guerra ritrova le sue
forme tradizionali. E' importante che chi appoggia Israele cerchi di
pensare tutta la situazione mediorientale (la vicenda delle trattative,
l'azione delle organizzazioni internazionali e della Ong, la propaganda
della stampa, gli atteggiamenti degli stati terzi, le posizioni
"pacifiste") come una trama di azioni che si svolgono all'interno di
questo quadro di guerra non convenzionale e ridefinisca di conseguenza
le nozioni di tattica e strategia, di vittoria e sconfitta, di alleanza
e di tradimento, di resistenza e di resa. La difesa di Israele non può
non essere oggi un sofisticato esercizio di intelligenza, una lucida
capacità di entrare in questo gioco e di vincerlo, ben lontano dalle
giaculatorie delle "persone di buona volontà" che rifiutando il
discorso della guerra finiscono solo per subirlo.
Ugo Volli
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Ritorna il cibo della Bibbia Hot
dog «Hebrew National» nel Dolphin Stadium del Super Bowl, corsi sulla
macellazione rituale per i futuri agricoltori all'Università del
Mississippi, bevande Gatorade autorizzate dal rabbinato e un mercato di
prodotti da 200 miliardi di dollari: il cibo kosher dilaga nei
supermercati e nelle case degli americani grazie al fatto che a
consumarlo sono soprattutto i non-ebrei, ritenendolo ancora più
salutare di quello organico. A descrivere l'entità della nuova moda
alimentare sono i numeri. Se in America le vendite di cibo annuali
sommano a 500 miliardi di dollari la quota di prodotti confezionati
secondo le norme alimentari ebraiche (kosher significa «permesso»)
vanno da un terzo alla metà, con un considerevole balzo in avanti
rispetto a quanto avveniva nel 1992 quando le vendite si fermavano a 22
miliardi. Se a ciò si aggiunge che gli ebrei compongono meno del 2 per
cento dei 300 milioni di americani, e che in maggioranza non mangiano
kosher, si arriva al boom di acquisti da parte dei non ebrei che,
secondo Sue Fishkoff autrice del nuovo «Kosher Nation», scoprirono
questo tipo di cibo grazie a uno spot tv del 1972 nel quale si vedeva
lo Zio Sam divorare un «Hebrew National» hot dog - di manzo e non di
maiale - mentre una voce sullo sfondo diceva «Rispondiamo ad
un'Autorità superiore, fidatevi di noi, siamo kosher». Nell'America di
Nixon attraversata da proteste e sfiducia fu un messaggio che funziona
per sdoganare un tipo di prodotti fino ad allora con una clientela
soprattutto ebraica. [...]
Maurizio Molinari, La Stampa, 10 luglio 2010
La nave di Gheddafi proverà a forzare il blocco di Gaza? Adesso
ci si mette pure Gheddafi. Junior. Saif AlIslam Gheddafi, figlio del
leader libico Muammar, ha organizzato una nuova spedizione navale,
carica di aiuti umanitari ma anche di significato politico, diretta
verso la Striscia di Gaza. Obiettivo: forzare il blocco navale imposto
contro il governo di Hamas, che resta tuttora in vigore, anche se
Israele ha cancellato il blocco via terra lo scorso mese. La spedizione
libica non è che l'ultima di una serie di iniziative di questo genere.
Si aggiunge alla spedizione della Freedom Flottiglia, conclusasi in
tragedia lo scorso 31 maggio con la morte di nove attivisti turchi
durante uno scontro con la marina militare israeliana, e a quella
successiva della nave Rachel Corrie, che invece aveva accettato la
richiesta israeliana di attraccare al porto di Ashqelon in modo che gli
aiuti fossero consegnati via terra. Poche settimane fa si era parlato
anche di una spedizione navale libanese, ma poi il progetto è stato
annullato. La spedizione libica, organizzata dalla Gaddafi
International Charity and Development Foundation di cui Saif è il
presidente, consta di una sola nave, battezzata Hope - speranza. Che,
secondo i promotori «porterà duemila tonnellate di aiuto umanitario
nella forma di alimenti e medicinali». oltre ad «alcuni sostenitori che
sono disposti a esprimere la loro solidarietà al popolo palestinese
nelle difficoltà dovute all'assedio imoosto contro Gaza». La formula,
insomma, sembra la stessa della Freedom Flottiglia: missione umanitaria
(la consegna di cibo e medicinali), unita alla missione politica, visto
che l'obiettivo è anche, se non soprattutto, rompere il blocco navale,
tanto che gli attivisti della Freedom Flottiglia rifiutarono di
consegnare gli aiuti umanitari via terra, come aveva proposto Israele.
[...]
Anna Momigliano, Il Riformista, 10 luglio 2010 |
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Lieberman a Radio Gerusalemme, nuova fomula per negoziati di pace con Anp Tel Aviv, 11 lug - In
un'intervista a Radio Gerusalemme il ministro israeliano degli esteri
Avigdor Lieberman ha dichiarato di essere alla ricerca di una
nuova formula con cui impostare i negoziati di pace con i palestinesi.
Lieberman ha sostenuto che la formula della 'Pace in cambio dei
Territori' è obsoleta e che occorre puntare invece ad un accordo che
preveda "scambi di territori e di popolazione" fra Israele e la nuova
entità palestinese. In particolare Lieberman ritiene opportuno che
passino allo stato palestinese alcune zone israeliane vicine alla
Cisgiordania, fittamente popolate da arabi. "Si tratta di una
popolazione colta, economicamente sviluppata e impregnata di una forte
coscienza nazionale palestinese" ha detto ancora Lieberman, secondo cui
è possibile indire un referendum in Israele su questi progetti. "Il 70
per cento degli israeliani la pensano allo stesso modo" ha sostenuto.
Lieberman ha quindi lamentato che nell'attuale governo israeliano ci
sono persone "che ancora hanno paura di prendere decisioni vere e
coraggiose". Ma le loro resistenze si stanno gradualmente indebolendo,
ha concluso. |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
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offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
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