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L'Unione informa
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15 luglio 2010 - 4 Av 5770 |
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alef/tav |
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Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma |
In
preparazione al 9 di Av si parla di lutto antico e lutto nuovo, lutto
pubblico e lutto privato. Quello "antico" e pubblico è in ricordo
di eventi remoti, come le distruzioni del Santuario di Gerusalemme, che
malgrado la distanza temporale, vengono ricordati come se fossero
avvenuti l'altro giorno, tanto forte ne è l'impatto sull'attualità.
Lutto privato è quello dei singoli. E' caratteristica della tradizione
unire le due cose insieme, prescrivendo analoghe norme, ma anche
prevedendo forme di consolazione comuni; a chi è in lutto privato si
legge la frase di Isaia (66:13): "come una persona viene consolata
dalla madre, così vi consolerò, e sarete consolati in Gerusalemme". In
questi giorni di qinòt, di elegie, la cui memoria conserviamo con
attenzione (shamor), la sintesi tra pubblico e privato è brillantemente
espressa in un raffinato gioco di parole di Leon da Modena. Componendo
una poesia in morte del suo maestro, le cui parole hanno senso sia in
ebraico che in italiano (Moshè morì in ebraico significa Moshè mio maestro, e in italiano Moshè morì), iniziò con le parole Quinà shemor, "custodisci un'elegia", ma anche "chi nasce mor". |
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Questa
settimana a Gotheborg al Congresso mondiale dell'associazione
internazionale di Sociologia sono stati presentati 3.032 lavori. Un
gigantesco supermarket delle scienze sociali. Di questi studi, 21
riguardano Israele (in confronto, 31 sono sull'Iran, 51 sull'Italia,
109 sul Giappone, uno solo sulla Giordania, 12 su Palestina e
Palestinesi). Altri dieci lavori si occupano di sociologia degli ebrei
e dell'ebraismo. Si tratta di aliquote abbastanza modeste, ma tutto
sommato normali, che non lasciano trapelare un atteggiamento
eccessivamente attento o indifferente circa i temi che interessano i
lettori di questa pagina quotidiana. Interessante, semmai, la
composizione della rappresentanza israeliana che include una gran
varietà di tipi accademici - dal sionista normativo all'anti-israeliano
militante. Vi sono infatti dei professori che da Israele non esitano a
reclamare a gran voce il boicottaggio accademico... di Israele. Ma,
contrariamente alle loro richieste, nessuno qui si è sognato di
boicottare né loro - i fautori del boicottaggio - né coloro che la
pensano diversamente e al boicottaggio si oppongono. Gli stolti
autolesionisti forse non si rendono conto del buon segnale che inviano
sulla libera circolazione delle idee. Essi sono la prova vivente di
quanto diversa sia l'opinione pubblica in Israele rispetto a molti
altri paesi: qui si possono ancora dire cose (anche se incongrue o
spiacevoli) che altrove sarebbero censurate.
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Sergio
Della Pergola,
Università Ebraica di Gerusalemme
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Responsabilità
"Ha
detto Rabbì Jochanan: 'La pazienza (letteralmente l'umiltà) di Zecharià
ben Avkulas ha fatto distruggere la nostra casa (il Santuario di
Jerushalaim) e bruciare l'hechal e ci ha fatto andare in esilio dalla
nostra terra". Espressioni molto dure della Ghemarà (Ghittin 56a). Il
sottofondo del brano ci è dato dal famoso episodio di Kamza e Bar
Kamza: un padre benestante aveva voluto invitare a un banchetto nuziale
un certo Kamza, ma il messo invitò invece un certo Bar Kamza, acerrimo
nemico del padre; una volta accortosi dell'errore quest'ultimo intimò a
Bar Kamza di lasciare immediatamente il banchetto e a nulla valsero le
sue preghiere e la sua disposizione a cercare di riparare la situazione
di comune accordo. Fra il silenzio dei saggi presenti (vi è chi
sostiene che fra loro vi era lo stesso Zecharià ben Avkulas, che
avrebbe potuto dire una parola buona… - Echà rabbà) Bar Kamza fu
cacciato in malo modo; furente egli si rivolge all'imperatore romano
facendogli presente che gli ebrei gli si erano ribellati. Per provare
la cosa l'imperatore decise di inviare al Santuario un bell'animale
come sacrificio, si sarebbe potuto così rendere conto se gli ebrei lo
avessero accettato o meno; strada facendo Bar Kamza decise di fare un
taglietto sopra l'occhio dell'animale, rendendolo inadatto per il
sacrificio, così secondo le regole ebraiche, ma non secondo i Romani,
per i quali quel difetto era di poco conto; ciò significava che era da
escludere la possibilità di spiegare all'imperatore il motivo del
rifiuto di accettare l'animale. I saggi si trovarono così di fronte a
due possibilità: o accettare il sacrificio nonostante il difetto, per
riguardo all'imperatore, oppure fare uccidere Bar Kamza per impedirgli
di tornare dall'imperatore a denunciare gli ebrei. Rabbì Zecharià ben
Avkulas non volle però prendere una decisione, per far evitare che si
potesse pensare che si può offrire un sacrificio nonostante il difetto,
oppure che si potesse pensare che la punizione per aver reso difettoso
un animale per il sacrificio fosse la pena capitale. In tal modo Rabbì
Zecharià non aveva agito secondo l'insegnamento dei Proverbi (28:14):
"Beato l'uomo che teme sempre" e Rashì spiega il verbo teme: "Si
preoccupa di vedere qual'è la situazione, che non venga un inciampo se
ci si comporta in un determinato modo". Osserva il Chatam Sofer:
“Quello che è richiesto a un saggio è di vedere, di comprendere la
situazione attuale (hanolad) e non il futuro, di ragionare con la
propria intelligenza e Rabbì Moshé Chaim Luzzatto ci invita a guardare
molto bene la situazione e a non fermarci su quello che ci potrebbe
apparire a prima vista un atteggiamento di chassidut ( Mesillat
Jesharim, cap. 20). Non credere, o uomo, non credere, o saggio, di
poterti liberare dalla tua responsabilità astenendoti dall'agire;
talvolta il non voler agire, l'essere troppo paziente verso persone
tipo Bar Kamza, comporta una responsabilità enorme, ben più grande di
quella che avrebbe comportato la decisione, per esempio, di far
sacrificare l'animale dell'imperatore, nonostante il difetto. "Sion
sarà redenta con il diritto e i suoi abitanti con la zedakà" (Isaia
1:27).
Alfredo Mordechai Rabello, giurista, Università ebraica di Gerusalemme
Guida Rolex - Il green di Cesarea tra i migliori al mondo
A
poca distanza dalle rovine romane che affascinano centinaia di migliaia
di turisti ogni anno, la città di Cesarea propone al viaggiatore
danaroso e di classe una meta meno culturale ma di grande suggestione:
il Ceasarea Golf Club Israel. Parte di un comprensorio che include una
vasta scelta di ristoranti, caffè e negozi di qualità, il club è
immerso nel verde e a due passi dal mare. Un gioiello di efficienza e
bellezza paesaggistica che vede crescere ogni anno il suo prestigio: se
ne sono accorti anche alla Rolex, che ha appena pubblicato una guida ai
migliori campi da gioco al mondo. 362 si trovano negli Stati Uniti, 282
in Europa, 237 in Asia e Australia, 118 tra Africa e Sudamerica. Uno
solo in Israele: quello del Ceasarea Golf Club. “Non siamo sorpresi di
essere nella guida Rolex perché il nostro è un club di livello
assoluto”, hanno fatto sapere dalla direzione. Progettato da alcuni
nomi di spicco del panorama golfistico internazionale tra cui il grande
Peter Dye, il campo di Cesarea è teatro di vari eventi e rassegne. Nel
2009 ha ospitato alcune gare delle Maccabiadi, i Giochi Olimpici per
atleti ebrei.
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The Fool on the Hill
Paul
McCartney ha pubblicamente detto che chi non crede agli allarmi
climatici è come chi non crede all'Olocausto. Adesso che lui ha parlato
invece di cantare bisognerà che qualche volontario con moltissimo tempo
a disposizione si presenti a bordo del suo yacht e gli spieghi che la
Shoah è un evento della Storia, mentre, per fare un esempio, noi non
sappiamo se ci sarà mai lo scioglimento dei ghiacci. Certo, è chiaro
che stiamo parlando di una mente non comune. Fa ad esempio impressione
la particolare abilità con cui Paul riesce contemporaneamente a parlare
senza pensare un solo istante. D'altra parte, quando i Beatles
composero The Fool on the Hill (in italiano Lo scemo sulla collina), a
qualcuno si saranno ispirati.
Il
Tizio della Sera
Un calcio allo sport
Leggo
della seconda edizione di un torneo di calcio a 5
pacifintamente denominato "Un calcio a Israele" presso gli
impianti del Parco Lambro di Milano.. Se non erro il parco è
comunale e gli impianti dovrebbero essere in gestione, immagino con
classica convenzione, a un'associazione sportiva. Non c'è male per un
evento che è antisportivo sin dal titolo anche se usa la maschera dello
sport: ci manca solo che arbitrino gli incontri dei direttori di gara
affiliati ad un ente sportivo ufficiale e la frittata è fatta.
Spiegatelo poi voi ai teppisti vari che popolano spesso gli stadi che
il calcio unisce, rende tutti uguali, favorisce la fratellanza e così
via blaterando...
Gadi Polacco, Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
Che film vogliamo vedere?
Da
qualche tempo ho l'impressione che su molte vicende ci si ostini a
voler scegliere di vedere il proprio film, come se fossimo in una
multisala dove ciascuno vede il suo, rifiutandosi di vedere quello
dell'altro e magari senza conoscerne la trama. Così su molte questioni
denoto talvolta posizioni o posizioni riportate che prefigurano
contrapposizioni ideologiche che magari non ci sono o sono di misura
diversa. Denoto anche che la stampa spesso le enfatizza in una sorta di
drammatizzazione. Così per la vicenda di Torino, di fatto una questione
locale, quella passata e quella presente, ma perché dovrebbe esserci il
partito a favore ed il partito contro?, Perché non si può apprezzare la
figura e il lavoro degli uni e degli altri, pur nelle differenti
opinioni? Così, sulla questione della riforma dello statuto sul
rabbinato, si è giustamente aperto un dibattito di grande spessore, che
ho seguito e che mi ha fatto ragionare su molte cose e che dovrebbe
portare in futuro a una sintesi, perché è ovvio che deve essere
condivisa, qualunque essa sia. Da qualche settimana e precisamente
dall'insediamento del nuovo Consiglio di Milano, denoto un notevole
interessamento per il dibattito sulle questioni interne della Comunità
milanese, probabilmente in alcuni casi può avere fondamento, però forse
sarebbe stato utile approfondire o interessarsi anche prima, durante i
mesi della campagna, per comprendere e far comprendere la complessità
di quella realtà e il rinnovato interesse della gente, di tutti gli
orientamenti, per il futuro della seconda Comunità d'Italia, o no?
Invece sembra che talvolta debba risultare una "polemica", nazionale,
locale o personale che secondo me non chiarisce ne contribuisce a far
capire, la complessità delle questioni. La mia non è una critica
rivolta a chicchessia, ma l'invito a una riflessione e un invito a
tutti, me compreso, a provare a vedere sempre anche il film dell'altro
e a considerare i fatti innanzitutto e non solo come sono eventualmente
riportati da altri. Non mi sembra una posizione "buonista", ma semplice
buon senso, poi ciascuno ha le sue opinioni ed è giusto che le porti
avanti, me compreso.
Riccardo Hofmann, Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
Shabbat a Ostia
Non
avremmo mai immaginato un'accoglienza così calorosa. In qualità di
Ufficio Giovani Nazionale avevamo deciso di organizzare uno dei nostri
seminari presso il centro Shirat Ha-Yam di Ostia. Una scelta,
inizialmente, presa senza troppe aspettative: un posto di mare, vicino
Roma, con un tempio per fare le teffillot e una cucina kasher dove
passare un weekend con dieci leader comunitari in erba. E invece
proprio quella piccola Comunità in riva al mare è divenuta un elemento
importante, fino a essere parte integrante del nostro percorso di
formazione. Sono arrivato venerdì. Era ora di pranzo. Le ore in
cui è in piena attività il centro estivo. I bambini correvano,
giocavano e imparavano, seguiti dagli educatori. Ho capito subito che
c'era qualcosa di speciale. A gestire questo posto c’era una
kevutzà (un giovane staff ndr) formata da una decina di ragazzi.
Indossavano una maglietta blu con il logo Shirat Ha-Ayam. Alcuni erano
gli educatori del centro estivo. Poi c’era chi stava lavando i piatti
del pranzo. Altri, invece, mi sono venuti incontro per accogliermi a
braccia aperte. Ci siamo seduti sotto un gazebo e mi hanno servito da
mangiare. Anche per chi arriva tardi è sempre pronto uno Schnitzel. Ho
pensato: una kevutzà così affiatata non la vedevo dai tempi del Benè
Akiva. E voi, che ora leggete, al contrario penserete: che c’è di
strano? Non si è mai visto un gruppo di diciottenni gestire un centro
estivo? Bene, i ragazzi con la maglietta blu non sono proprio dei
ragazzini. Sono tutti adulti, professionisti, padri di famiglia, madri,
nonni pronti a dare tutto in nome di un progetto. Poi, alle 16,
sono arrivati i partecipanti al nostro seminario di formazione di
Community Management. È bastato poco, a me e agli altri formatori,
Daniel Segre e Alex Licht, per capire che i contenuti del corso
dovevano tenere in considerazione la splendida cornice che ci ospitava.
Così, mezzora dopo, eravamo tutti seduti in cerchio con la kevutzà
dalla maglietta blu per un’intervista conoscitiva. Come è nata questa
folle idea? Come vi finanziate? Che attività avete già fatto? Quali
sono le prospettive per il futuro? Dalle risposte abbiamo capito che
avevamo davanti un gruppo di signori pieni di grinta ed entusiasmo,
innamorati di un’idea e pronti a superare ogni difficoltà. Eccolo, il
primo grande insegnamento di questa giornata. "Preferiamo lamentarci
dopo aver fatto le cose e non il contrario", è il loro motto. Con
questo entusiasmo siamo arrivati alla vigilia di shabbat senza che ce
ne accorgessimo. E dopo una tappa in albergo per cambiarci, alle 19.30,
siamo tornati in Comunità trovando già la tavola di shabbat
apparecchiata, il tempio pronto e un buffet con le plate da far invidia
ai migliori banchetti dell'Hilton di Tel Aviv. Le plate forse sì, ma lo
stracotto e le mafrume tripoline erano decisamente migliori! A tavola
ci hanno spiegato cosa si sono dovuti inventare per cucinare per
shabbat, pur avendo il pranzo dei bambini del venerdì, in una cucina di
8 mq. Mentre ce lo raccontavano si leggeva nei loro sguardi
adolescenziali solo gioia e soddisfazione che nascondevano la fatica
del lavoro. Finita la cena la squadra di peter-pan si è rimessa a
lavoro. Dal presidente al cuoco, dal contabile al direttore. Ed
è arrivato subito sabato. Di mattina presto sono arrivate molte persone
che abitano ad Ostia, Acilia, ma anche da Roma. Tutti preoccupati che
si arrivasse ad avere minian (i dieci uomini adulti necessari per
officiare la preghiera, ndr). Naturalmente, siamo andati ben oltre il
numero “legale”. E mentre la giornata è passata tra racconti,
lezioni e scherzi da campeggio, è già domenica. In poco tempo siamo
diventati un gruppo di amici che lavora sodo. È stato un colpo di
fulmine tra i ragazzi e tutto lo staff dello Shirat Ha-Yam. Un paio di
giorni sono bastati per capire quale futuro potrà avere quella
palazzina con giardino a Ostia. Il progetto è chiaro. La gente
si sta spostando da Roma perché gli affitti hanno raggiunto livelli
spropositati e la crisi si fa sentire. Ma quando una famiglia si
allontana da un centro comunitario, fare una vita ebraica diventa più
difficile. Non c'è un tempio dove andare lo shabbat, non c'è il talmud
torà per i ragazzi che non vanno a scuola ebraica, non c'è un centro
sportivo né un rav che possa preparare i nostri figli per il
bar-mitzvà. È vero, ci sono gli «eroi» che si svegliano alle 5 per
portare i ragazzi a scuola ebraica: ma sono sempre meno. Shirat
Ha-Yam è invece la soluzione. Un polo multifunzionale a Ostia dove c'è
un tempio, campi sportivi, un grande giardino con una cucina kasher per
organizzare feste, eventi e banchetti e un rav sempre a disposizione.
Con questi presupposti, chi si allontana da Roma ha una buona
alternativa anche dal punto di vista ebraico. Mi viene in mente la
storia della Comunità milanese, quando negli anni ’60 decise di
costruire una scuola più grande in aperta campagna. All’epoca ci si
domandava: chi avrebbe portato i propri figli a studiare in quella
campagna che oggi rappresenta la zona a più alta popolazione ebraica?
“Im tirzù ein lo agadà”. Se lo vorrete non sarà un sogno. Parola di
Theodor Herzl.
Alan Naccache
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rassegna stampa |
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Si
è conclusa pacificamente la vicenda della nave noleggiata dai libici
per portare soccorsi alimentari, peraltro del tutto inutili, come ha
detto lo stesso ministro della salute di Hamas qualche giorno
fa (www.informazionecorretta.it). L'equipaggio della nave ha nave
ha accettato di scaricare il suo carico nel porto egiziano di El Arish
nel Sinai, da dove sarà portato a Gaza per via di terra (redazione del Corriere e di Avvenire), nonostante la "delusione di Hamas" che evidentemente voleva un altro sanguinoso show propagandistico (Ana Carbajosa sul Pais).
Nel frattempo in Italia e in Svizzera si prepara una nuova flottiglia,
beninteso per ragioni politiche e non alimentari, per delegittimare
Israele con una "intifada del mare" (Micalessin sul Giornale).
Lo scenario più probabile di guerra prossima ventura in Medio Oriente
riguarda però non Hamas ma Hezbollah e il nord, come mostra un
allarmante articolo di Fiamma Nirenstein sul Giornale. Nella
rassegna stampa emerge un tema importante, che potrà essere decisivo a
medio termine, quello del Curdistan: una nuova Palestina (ma in
territorio turco iraniano siriano e iracheno secondo Guillaume Perrier
su Le Monde) cosa che Sergio Romano nega sul Corriere
con l'argomentazione abbastanza tautologica che il problema non è
importante perché la comunità internazionale non l'ha preso a cuore. Altri
due temi controversi appaiono sulla rassegna di oggi, ma di contesto
europeo. Una è la questione della proibizione del burka, contro cui lo Herald Tribune
pubblica delle sofistiche argomentazioni di Roland Sakol, uno degli
avvocati dell'islamismo francese, e per cui invece la commissione
italiana per l'islamismo ha raccomandato provvedimenti di proibizione
analoghi a quelli già presi in Belgio e in Francia (D'Agostino su Avvenire).
Il secondo è la moda "artistica" (si fa per dire) di usare simboli
nazisti "pour épater le bourgois": l'ha fatto in Poloniaun "artista"
italiano, Max Papeschi, accostando Topolino con la svastica (Libero),
e un tal Giuseppe Veneziano mettendo in braccio a una Madonna un Hitler
al posto del bambin Gesù in una mostra a Pietrasanta (Lucca) (Il Riformista).
I responsabili si difendono con un affermazione veramente stupida "se
l'arte non provoca, che deve fare?" (così la direttrice della galleria
polacca). Mah, per esempio fare delle pitture belle e esteticamente
interessanti, come capitò a Raffaello, Rubens, ma anche a Picasso e a
Jackson Pollock, giusto per fare due nomi. Quella di questi "pittori" e
delle loro galleria non è arte, ma pura e schifosa pubblicità. Da leggere ancora l'articolo di Laura Badaracchi su Avvenire
in cui si racconta di nuovi episodi della caccia ai cristiani scatenata
dagli islamisti in Irak (come dicono loro, "dopo il sabato viene la
domenica"). Da non perdere anche il commento di Ruggero Guarini sul Foglio
alla causa che gli avvocati islamisti hanno scatenato in Egitto per
ottenere la proibizione delle "Mille e una notte" per antislamismo e
immoralità. Ugo Volli
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notizieflash
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Amiri, scienziato iraniano, nega attività nei programmi iraniani e accusa gli americani di averlo rapito e torturato Therean, 15 lug - “I
servizi segreti americani e sauditi mi hanno rapito e ho nulla a che
fare con il programma nucleare della Repubblica islamica” sono queste
le prime dichiarazioni di Shahram Amiri, lo scienziato iraniano
rientrato oggi a Teheran dopo essere scomparso 13 mesi fa. è ricomparso
misteriosamente martedì nella sezione d'interessi iraniana a Washington
(l'ufficio che fa le veci di una ambasciata). Le autorità americane si
sono affrettate ad affermare che lo scienziato era arrivato negli
Stati Uniti di sua iniziativa e che liberamente ha deciso di fare
rientro in Iran. Amiri, che era partito ieri da Washington, è giunto
all'alba di oggi a Teheran dopo uno scalo in Qatar. Ad accoglierlo
all'aeroporto vi erano la moglie, diversi parenti e il vice ministro
degli Esteri per gli affari legali e consolari, Hassan Qashqavi.
Sorridente, con in braccio il figlio e con una corona di fiori al
collo, Amiri ha fatto il segno della vittoria verso i fotografi.
Successivamente ha rilasciato una breve dichiarazione ai giornalisti in
cui ha ribadito le sue accuse agli Usa. "Nei primi due mesi dopo il
sequestro sono stato sottoposto a torture", ha affermato lo scienziato,
aggiungendo di essere stato minacciato di essere consegnato a Israele
se non avesse cooperato e affermando che agenti dell'Intelligence
israeliani erano presenti ad alcuni degli interrogatori. Amiri ha
aggiunto che la Cia gli ha offerto anche una somma di denaro ingente
per cercare di indurlo a rimanere negli Usa e dichiarare che aveva
fatto defezione. Amiri ha concluso ringraziando le autorità iraniane
per quella che ha definito la sua "liberazione".
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche.
Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili.
Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per
concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross.
Avete
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