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L'Unione informa |
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26 luglio 2010 - 15 Av 5770 |
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alef/tav |
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Riccardo
Di Segni, rabbino capo di Roma |
Tu
beAv, il 15 di Av, la festa di oggi, rischia di diventare, nella
cultura popolar-commerciale israeliana una festa dell'amore, una specie
di S. Valentino; mancano i Baci Perugina, che al caldo si
squaglierebbero. Strano modo per riprendere una tradizione remota in
cui l'amore c'entra, ma fino a un certo punto. I Maestri, tra i motivi
per festeggiare, ricordano questo come il giorno in cui fu permesso
alle tribù d'Israele di sposarsi tra di loro; forse fu l'addolcimento
della regola che impediva alle ereditiere di sposarsi fuori tribù per
impedire il trasferimento delle proprietà terriere (Bemdibar 36:6). La
società ebraica ha oscillato in questo campo da un eccesso all'altro.
Nell'Ottocento gli ebrei italiani (livornesi), grandi commercianti e
imprenditori a Tunisi, avrebbero considerato con orrore le loro nozze
con gli ebrei locali; l'unione in matrimonio era anche in patrimonio.
Oggi, da queste parti, è già tanto se ci si sposa e la caduta delle
barriere van ben oltre i limiti tribali del 15 di Av. |
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Non
ho visto il film televisivo tedesco di Bettina Stangneth
sulla storia d'amore fra una giovane ebrea tedesca rifugiata in
Argentina e il figlio di Eichmann che avrebbe
portato all'individuazione del criminale nazista, e mi baso
solo su quanto riferito dalla stampa italiana. Non sono sicura che
davvero, come alcuni giornali sostengono, il filmato
susciti nuovi interrogativi sul comportamento del Vaticano e
fin su quello di Israele. Su questi temi molto è stato detto, per
Israele basti anche solo la lettura del libro di Tom Segev,
Il settimo milione, dove si analizza proprio il passaggio da
un disinteresse sostanziale verso la Shoah da parte del nuovo
Stato all'esplosione di memoria suscitata dal processo Eichmann. E
anche per l'aiuto dato nel dopoguerra dal Vaticano a molti
nazisti, nulla di nuovo mi sembra possa ancora emergere, e tanto
meno a partire dal caso Eichmann. No, a parte questi
sensazionalismi, mi sembra che l'interesse della storia sia un
altro: il fatto che, a proposito di un criminale di guerra
che ha diretto lo sterminio di milioni di ebrei e del suo processo
che ha avuto un effetto dirompente sulla costruzione della
memoria in tutto il mondo, l'attenzione dei media
si concentri su una love story. Giulietta e Romeo, come già
sapeva Shakespeare, tirano sempre. Ma in questo caso, ce ne era
davvero bisogno? e se è così, se dobbiamo ricostruire un flirt
tra sedicenni per interessarci al processo Eichmann, allora
forse è davvero segno che qualcosa non funziona, che almeno in
qualcosa, se non in tutto, abbiamo sbagliato. |
Anna Foa,
storica |
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Qui Roma - Una serata per ricordare Daniela Di Castro
Si
svolgerà questa sera al Museo ebraico di Roma alle 19, una serata di
studio in ricordo di Daniela Di Castro, insigne studiosa di storia e di
arte e direttrice del Museo ebraico di Roma, scomparsa prematuramente
un mese fa. Dopo il saluto dell'assessore Roberto Steindler, del
marito professor Giacomo Moscati e del fratello Alberto Di Castro, sono
previsti gli interventi del rav Riccardo Di Segni, rabbino capo della
Comunità Ebraica di Roma, del Rav Benedetto Carucci Viterbi, del Rav
Vittorio Chaim Della Rocca e del Rav Amedeo Spagnoletto.
Cara compagna di banco
Cara
compagna di banco, l’altro giorno avevo voglia di piangere, e tu sai
perché. Ho cercato di distrarmi con il lavoro, ma non sempre funziona.
E in ogni caso volevo parlare di te per come ti ho conosciuta,
lasciando ad altri, più competenti e titolati, il compito di rendere
omaggio alla tua figura straordinaria di professionista, di studiosa,
di ambasciatrice nel mondo della cultura e della storia degli ebrei
italiani. Parlare per quella quotidianità di ragazzini che siamo stati,
vicende eguali a tante altre che a noi sono parse e a me continuano a
sembrare tanto speciali. Così ho finito per aprire quel cassetto. Sul
fondo ci sono vecchie carte e vecchie foto e fra queste le foto della
nostra classe. Quarta ginnasio, liceo Visconti. Eccoci nel cortile cui
allora non si badava, mentre ora capisco quanto sia uno dei tesori
della nostra città. L’inverno di 38 anni fa non fu mite, ma per noi
cambiava poco, dato che anche nelle aule mancava un vero e proprio
riscaldamento. Nell’immagine ci siamo tutti, tu da un capo e io
dall’altro, la prof Moretti in mezzo. Che ci incantava tutti, quando
fra una declinazione e l’altra ci raccontava che quello screanzato di
suo figlio, neanche tanto più grande di noi, sognando di fare il
regista, aveva buttato la casa all’aria per realizzare un filmino in
superotto e le epigrafi greche collezionate dal suo autorevole papà
erano finite per sbaglio in un cestino. Non era il freddo, era la vita
a darci la pena e lo slancio che sembra difficile trovare nelle nuove
generazioni. Dietro quei volti così infantili c’erano le prime
settimane di un percorso che ci avrebbe fatto diventare grandi in anni
difficili. Il Sessantotto era ieri e la prima carica della polizia, che
inspiegabilmente entrava a scuola con i manganelli per motivi che non
riuscivamo a capire (chissà che diavolo avevano combinato i più
grandi), giornate tese, minacciose e divise fra il dovere di sentirsi
impegnati e il diritto di perdersi in scemenze, le assemblee non
autorizzate e le passeggiate a Villa Borghese. Ogni mattina, sulla
piazza del Collegio romano, che era il nostro salotto, volantini,
slogan, striscioni, giornaletti ciclostilati nati come funghi.
Sembravamo in fondo pesci fuor d’acqua in un tempo in cui tutte le idee
dovevano dimostrarsi altisonanti per reggere il confronto. Troppo
sensibili, troppo ben educati, troppo fragili. Al nostro primo
volantinaggio eravamo soli tu e io, a pochi passi da piazza di Spagna,
di fronte alle vetrine della pellicceria Fendi. Il messaggio era un
grido di guerra contro le signore impellicciate. Una commessa venne
fuori con aria burbera, eravamo impauriti. Fu la prima, innocente
contestazione. Altre ne seguirono, sempre cercando, ognuno a modo
proprio, di tenersi allo scarto dai compagni più bellicosi. Ne abbiamo
viste di tutti i colori. I 32 morti che i terroristi di Settembre nero
lasciarono sulla pista dell’aeroporto di Fiumicino (quando sei uscita
dall’assemblea degli studenti trattenendo le lacrime, non voglio mai
dimenticarlo, mentre qualcuno fra gli applausi cercava di giustificare
l’orrore con le ragioni del popolo palestinese senza nemmeno sapere
dove fosse il Medio Oriente). La morte di Giorgiana Masi sul ponte
Garibaldi, le battaglie per il divorzio, l’obiezione di coscienza e gli
altri diritti civili, gli sforzi spesso inutili di un paese straziato e
arretrato di essere un paese civile. La nostra prima gioventù,
cominciata nell’irrisolto contrasto fra paura, violenze e
rivendicazione di diritti e di identità, si sarebbe conclusa pochi anni
dopo, nel 1982, con negli occhi le immagini di quella manifestazione
sindacale che sperando di intimidire gli ebrei di Roma buttò una bara
di fronte alla sinagoga e l’attentato che dopo poche settimane che
costò la vita a un bambino di due anni. In mezzo siamo riusciti a
infilarci tante speranze. E qualche sorriso. Siamo riusciti a farci
portare in gruppo sui giornali e in tribunale (1974) per aver
organizzato fra gli studenti uno scandaloso, per il metro di giudizio
di allora, questionario sulla vita sessuale degli studenti. Ci siamo
procurati il primo ciclostile a manovella per stampare l’ennesimo
giornalino scolastico. E siamo andati in gita a Venezia (che allora
sembrava ancora un grande viaggio, una grande avventura). Ma
soprattutto, non si sa come, in mezzo a tanta confusione, siamo
riusciti a studiare (per te non era un problema, eri sempre comunque la
prima della classe). Poi la vita ha preso il suo corso: lo studio, i
viaggi, i matrimoni, i figli. Perdersi di vista e ritrovarsi. In un
modo o nell’altro, con i nostri passi o con i ricordi, siamo tornati
mille volte sulla piazza del Collegio romano, abbiamo guardato i tre
scalini consumati dove i ragazzi continuano a darsi appuntamento fuori
da scuola e abbiamo sorriso ripensando alla goliardia e alla fierezza
di alcuni nostri compagni di scuola, destinati a divenire illustri
rabbini italiani, che scherzando mi dicevano: “Mettiti a studiare, così
facciamo un Beth Din, un tribunale rabbinico composto di tre giudici,
di soli viscontini”. Abbiamo finto di essere al riparo dalla nostalgia.
Siamo tornati a scuola per la serata dell’Associazione ex alunni e
avevi appena ricevuto il prestigioso premio Mattonella, quando si
consegna una piastrella dell’antichissima pavimentazione dell’Aula
magna a un ex alunno di successo. Ho ascoltato la tua appassionata
rievocazione di quegli anni di scuola. Tuo figlio grande, che mi stava
a fianco, mi ha chiesto sottovoce se nel raccontare quei cinque anni e
quelle mille storie tu non esagerassi. E per tranquillizzarlo gli ho
detto che forse un pochino sì, ma sapevo benissimo che era tutto vero.
E che le storie apparentemente incoerenti e buffe di quegli anni in
realtà sono state più dritte e importanti di quanto non sembrasse.
Volevamo fare qualcosa di significativo in campo ebraico. Tu
sicuramente ci sei riuscita, con la professionalità e la serietà che ti
hanno resa ambasciatrice di Roma nel mondo. Hai aiutato schiere di
italiani a comprendere le cose belle, innumerevoli ebrei a essere fieri
delle proprie radici e della propria cultura. E hai aiutato me a capire
che dietro i grandi capolavori, dietro gli elementi preziosi, c’è la
nostra capacità di impegnarci, di lavorare con umiltà e devozione e di
apprezzare anche le piccole soddisfazioni della vita quotidiana. E fra
tante parole che ci siamo detti, c’è una cosa che non ti ho mai
confessato. Quando una volta stavamo seduti fianco a fianco in quel
banco senza voglia alcuna di ascoltare la professoressa, hai avuto un
momento di fastidio per qualche dieta che ti costringevi a seguire. Ti
avevo chiesto quale privazione fosse per te la più insopportabile. E
tu, sgranando gli occhi, mi avevi risposto sicura: “Anche semplicemente
pane e burro”. Sono passati tanti anni, ma da allora immancabilmente
tutte le volte che spalmo una fetta di pane ripenso con affetto a quel
momento di sincerità e di amore per la vita. E alla tua capacità di
capire le grandi opere cogliendo intensamente e con gratitudine ogni
frammento delle piccole cose chi ci vengono incontro.
Guido Vitale, Pagine Ebraiche, agosto 2010
L’ultima festa, tra amore e perdono
Tu
beAv, vale a dire il 15 del mese di Av (nel 2010 cade il 26 di luglio),
è l’ultima ricorrenza dell’anno ebraico e anche la meno nota.
Considerata festa dell’amore e della gioventù, fu istituita
presumibilmente nel periodo del Secondo Tempio, ma, secondo alcuni,
trae le sue origini da un’antica festa legata all’agricoltura e alla
fine dell’estate. Attenuatasi la calura dell’estate, si finiva di
tagliare il legname da usarsi nel Santuario per i sacrifici dell’anno
successivo. Dal punto di vista liturgico la data si segnala per
l’omissione nella preghiera quotidiana di alcune parti penitenziali
(Techinnà). Inoltre chi si sposa in questa giornata è esentato dal
digiuno istituito in occasione del giorno delle nozze. Se poi nel
giorno di Tu beav ha avuto luogo l’inumazione di un defunto si limitano
le manifestazioni pubbliche di lutto. Ma, quali sono le origini della
festa e a quali eventi è legata? Una fonte midrashica ricorda che, a
detta di «certi sapienti il 15 Av sono stati creati gli astri» (Otzar
Hamid 1, 282 ). Nel libro dei Giudici si fa cenno a una festa popolare
celebrata «da molti anni» nelle vigne con canti e danze e, secondo una
tradizione, questa che potrebbe esser definita una festa della
vendemmia cadeva proprio il 15 Av. Altri sostengono che la festività
risalga al periodo di polemico confronto fra Farisei e Sadducei e che
sarebbe stata istituita dai primi per celebrare un loro successo nei
confronti dei Sadducei. Nelle nostre fonti il riferimento più evidente
è dato da quanto riportato nella Mishnà: Raban Shimon ben Gamliel
diceva: «Per Israele non esistevano giorni più lieti del 15 di Av e del
giorno di Kippur, in cui le fanciulle di Gerusalemme uscivano con abiti
bianchi presi in prestito per non far arrossire le più povere. Tutti i
vestiti andavano sottoposti al bagno di purificazione. Le fanciulle di
Gerusalemme uscivano a danzare nelle vigne. E che cosa dicevano ?
“Giovane, alza i tuoi occhi e guarda bene quello che scegli. Non posare
gli occhi sulla bellezza, ma bada alla famiglia. Cosa falsa è la
grazia; vanità è la bellezza. Solo la donna temente di Dio è degna di
lode” (Prov. 31,20 - Ta’anit IV, 7)». Questo testo presenta alcune
difficoltà di interpretazione. Ci si domanda quale tipo di rapporto
leghi Tu beav e il giorno di Kippur. Qualcuno sostiene che entrambe le
date sono collegate al perdono concesso da D. in diverse occasioni. Nel
giorno di Kippur l’Eterno perdonò di fatto il popolo ebraico che si era
macchiato del peccato del vitello d’oro, ma, secondo la tradizione, era
il 15 di Av allorchè fu accolta la richiesta di perdono formulata da
Mosè il giorno stesso della sua discesa dal Sinai. Sempre nel giorno
del 15 di Av ebbe termine la pestilenza inviata come punizione per la
vicenda degli esploratori incaricati da Mosè di compiere un sopralluogo
in Terra di Israele. Inoltre il 15 di Av cessarono i decessi di quanti,
usciti dall’Egitto, furono condannati a morire nel deserto. E anche
questa circostanza è legata al perdono di D. perché si sostiene che
quanti non morirono entro quella data sopravvissero miracolosamente. Le
fonti midrashiche riferiscono che nel quarantesimo anno del soggiorno
nel deserto, gli ultimi quindicimila di quanti, ultraventenni, erano
usciti dall’Egitto attendevano la morte per il 9 Av, tradizionale
anniversario del peccato degli “esploratori”. Infatti, secondo la
tradizione, furono condannati a morire nel deserto e pertanto a non
entrare nella Terra Promessa, solo coloro che avevano superato i
vent’anni. Ma, l’Eterno ebbe pietà e li lasciò in vita. Dapprima
costoro ritenevano di aver conteggiato male il tempo e che il 9 di Av
non fosse ancora sopraggiunto, ma quando videro in cielo splendere la
luna piena (segno che era il 15 del mese) si resero conto di esser
stati perdonati e istituirono il 15 di Av come giorno di festa. (Talmud
Jerushalmi-Ta’anit 4). Dunque esiste un rapporto fra Kippur e 15 di Av.
Perché non c’è gioia maggiore di quella provata da colui al quale sono
stati perdonati gli errori commessi. Secondo la Meghillat Ta’anit, il
15 di Av non si fanno manifestazioni di lutto in quanto la giornata è
legata alla raccolta del legname per il Santuario (Nehemia 10, 35). Le
fonti talmudiche affermano che in questo giorno sono state abrogate
alcune limitazioni nel campo matrimoniale. Si ricorderà che nel libro
dei Numeri, a proposito delle “figlie di Tselofchad” (cap. 36), per
evitare che vi fossero trasferimenti di proprietà terriera fra una
tribù e l’altra, fu stabilito che una donna erede di una famiglia priva
di figli maschi non potesse sposare un membro di altra tribù. Si
racconta anche che, in relazione al triste episodio della “concubina”
(Giud. 19-20,21) i rappresentanti delle varie tribù si impegnarono a
non consentire le nozze con una donna appartenente alla tribù di
Beniamino. Il 15 di Av fu stabilito che le suddette deliberazioni
riguardavano solo la generazione nella quale furono prese. Secondo il
Talmud, il 15 di Av, Hoshèa’, figlio di Elà, ultimo re di Israele,
abolì i posti di blocco istituiti da Geroboamo ai confini col
territorio di Giuda. Veniva in tal modo sollecitata la riunificazione
tra il territorio del Regno di Giuda e quello del Regno d’Israele
(Ta’anit 30). Il 15 di Av ricorda anche la revoca del provvedimento
delle autorità romane di dare sepolture ai caduti della fortezza di
Betar (135) strenuamente difesa dai combattenti di Bar Kokhbà.
Nonostante i cadaveri fossero stati abbandonati all’aperto per lungo
tempo, furono miracolsamente trovati integri. Per celebrare l’evento fu
istituita una benedizione supplementare (Hatov Vehametiv) nel Birkat
Hamazon, la formula da recitarsi dopo il pasto (Bava Batrà, 121). Il 15
di Av viene altresì ricordato come giorno dello «spezzamento delle
scuri». Infatti da questo giorno tali strumenti venivano pubblicamente
spezzati in quanto non servivano più, essendo terminata la raccolta del
legname per il Santuario. In quell’occasione si faceva una grande
festa. (B. Batrà, 121) Si osserva altresì che il progressivo
accorciarsi della luce del giorno che ha inizio nel periodo del 15 di
Av predispone l’animo all’atmosfera del succesivo mese di Elul
particolarmente adatto alla riflessione e alla introspezione in
preparazione delle imminenti ricorrenze autunnali (Yamin Noraim). il
testo fondamentale della Kabalà, la mistica ebraica, raccomanda di
celebrare il 15 di Av con manifestazioni di allegria perché in questo
giorno la Provvidenza è particolarmente disposta alla benevolenza nei
confronti dell’uomo. Viene anche suggerito di dedicare la notte allo
studio di Torà. Sono dunque tante le motivazioni proposte sui
significati della ricorrenza. In relazione al passo della Mishnà
riportato all’inizio c’è chi ha formulato due curiose affermazioni. Si
è visto che il 15 di Av le fanciulle uscivano a ballare,
presumibilmente in cerchio, vestite di bianco. Il termine “Av” designa
un mese dell’anno ebraico, ma è composto dalle prime due lettere
dell’alfabeto: Alef Bet. Da notare che nell’alfabeto ebraico la
quindicesima lettera è la Samekh, che ha la forma di un cerchio ed
evoca pertanto la danza in circolo, nella quale tutti i danzatori si
possono guardare l’un l’altro e si trovano tutti in situazione di
uguaglianza. Inoltre si afferma che nei tempi messianici, il Santo
Benedetto parteciperà alla danza festosa dei giusti ponendosi in mezzo
a loro. Qualcuno sostiene che la danza organizzata per i giusti avrà
luogo nel Gan Eden. In quell’occasione l’Eterno sarà al centro del
cerchio e ognuno dei partecipanti Lo additerà agli altri esclamando:
«Ecco questo è il nostro Dio nel quale abbiamo confidato…. Gioiamo e
rallegriamoci nella Sua salvezza». (Isaia 25, 9) E quanto al colore
bianco richiesto per le vesti delle fanciulle, questo, secondo alcuni,
è composto da vari colori che rappresentano la varietà del nostro mondo
materiale. Ma, il mondo futuro non avrà alcunchè di materiale e
pertanto non vi sarà più bisogno di indossare abiti bianchi. Oggi, nel
risorto Stato di Israele è ripreso l’uso di dar vita, in occasione di
Tu Beav ad allegri incontri campestri fra giovani, a feste di
fidanzamento e riunioni di riconciliazione.
Rav Luciano Meir Caro, rabbino capo della Comunità Ebraica di Ferrara e membro della Consulta Rabbinica, Pagine Ebraiche, agosto 2010
Redazione aperta - Tu beAv sul Carso
La
Comunità Ebraica di Trieste ha festeggiato Tu beAv, festa agricola e
dell'amore dalle radici antichissime (è così antica che rimane aperta
una discussione fra i Maestri per stabilirne le motivazioni), con
una cena aperta a tutta la cittadinanza e
un concerto cui hanno partecipato formazioni musicali da Israele e
dall'Europa. Diverse centinaia di cittadini hanno raggiunto la Colonia
di Opicina, sul Carso triestino, dove in questi giorni fra l'altro
si svolgono i lavori di Redazione aperta, per un evento a base di
musica, poesia e cucina creativa e omaggio al dono dei frutti
della terra.
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Benamozegh, il cristianesimo e il «disprezzo del corpo»
Nel
suo libro Morale ebraica e morale cristiana del 1867 Elia Benamozegh
(1823-1900), il grande rabbino di Livorno, pur gettando ponti, critica
a più riprese il cristianesimo. Fra l’altro tocca un punto di grande
attualità. Sostiene che l’equilibro dell’ebraismo viene
sbilanciato dal cristianesimo verso la spiritualità. Le conseguenze
sono gravi. Perché la proclamazione avventata del regno dello spirito
porta ad un «disprezzo del corpo». E da questo disprezzo non risultano
solo «prodigi di virtù». Al contrario, come la storia prova, possono
derivare paradossalmente anche «il più vile materialismo, la licenza
più sfrenata, l’immoralità più mostruosa». Abbandonato a se
stesso, il corpo reagisce e si ribella con intemperanza e sregolatezza.
A differenza della morale ebraica, quella cristiana va così incontro ad
una inevitabile «degenerazione». E non si tratta solo di un incidente.
A provocarla sono gli stessi fondamenti teorici del cristianesimo. Ecco
perché al suo interno si ripetono – scrive Benamozegh – fenomeni di
«immoralità istituzionale».
Donatella Di Cesare, filosofa |
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È reato dichiarare falso il Diario di Anna Frank Sentenza
esemplare per l'ex presidente della sezione renana del Partito dei
nazionalisti svizzeri (Pnos). Il tribunale penale di Basilea, in
Svizzera, ha condannato l'uomo (di appena 22 anni di età) a una pena
pecuniaria di 90 aliquote giornaliere di 120 franchi per un totale di
10.800 franchi (al posto delle 60 proposte inizialmente). Il tutto, per
aver definito un falso il diario di Anna Frank. Il giovane è stato
riconosciuto colpevole dai togati svizzeri di discriminazione razziale
a causa di un contributo da lui pubblicato sul sito Internet del Pnos
dal titolo «Die Lugen um Anne Frank», ovvero «Le bugie attorno ad Anna
Frank». L'articolo metteva in dubbio l'autenticità del racconto della
ragazza ebrea che visse in clandestinità ad Amsterdam per cercare di
sfuggire all'Olocausto. La teoria esposta dal giovane svizzero si rifà
a quella apparsa sul settimanale tedesco Der Spiegel che nel 1980
esprimeva già alcuni dubbi sulla questione Anna Frank citando una
perizia del ministero di giustizia tedesco. Quattro anni fa, tuttavia,
le autorità investigative tedesche avevano chiuso definitivamente il
caso affermando l'autenticità del diario e sostenendo che l'inchiesta
non aveva fatto trapelare alcun sospetto sulle verità riportate nel
diario di Anna Frank. «Chi definisce bugiardo chi è stato vittima
dell'Olocausto compie una mostruosità», ha tagliato corto il
procuratore di Berna nel corso dell'arringa. «E'come se le vittime,
attraverso queste affermazioni, venissero uccise una volta ancora».
Tesi accolta dal giudici che hanno deciso di procedere. Italia Oggi Sette, 26 luglio 2010 |
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Visita di Shimon Peres al campo di concentramento di Jasenovac, "l'Auschwitz croato" Jasenovac (Croazia), 25 lug - Il
presidente israeliano Shimon Peres ha visitato il sito del campo
di concentramento croato a Jasenovac (un centinaio di chilometri sud
est di Zagabria) ove perirono durante la Seconda Guerra Mondiale
migliaia di serbi e di ebrei vittime del regine filo nazista
croato. Accompagnato dal suo omologo croato Ivo Josipovic, Peres
ha visitato anche il museo del campo, definito l' 'Auschwitz croato' e
ha deposto una corona al monumento alla memoria delle vittime. Peres è
il secondo capo di stato israeliano a visitare Jasenovac dopo Moshe
Katsav che vi si recò nel 2003. Il numero delle vittime del campo sotto
il regime filo nazista, che ha sempre suscitato polemiche, varia da
molte decine di migliaia a 700 mila. Nel lager morirono serbi, ebrei,
rom e antifascisti croati. |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei
l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere
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e-mail, scrivete a: desk@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”. |
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