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L'Unione informa |
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30 luglio 2010 - 19 Av 5770 |
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alef/tav |
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Roberto Colombo, rabbino |
Vehaià ‘eekev tishme’ùn - e sarà che quando ascolterete. Ogniqualvolta un verso inizia con la parola vehaià - e sarà,
è segno che si parlerà di una cosa gioiosa, (Midrash) Vehaià è un
termine formato dal verbo essere al passato: haià - fu, e dalla
lettera vav che cambia il passato in futuro. Quando il passato si
tramuta in futuro allora si deve gioire. Per coloro che pur avendo un
passato rischiano di non avere un futuro la gioia deve lasciare il
posto al dispiacere. |
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La
mia forma d’arte è il viaggio fatto a piedi nel paesaggio… La sola cosa
che dobbiamo prendere da un paesaggio sono delle fotografie. La sola
cosa che ci dobbiamo lasciare sono le tracce dei passi. (Hamish
Fulton) |
Sonia Brunetti Luzzati,
pedagogista |
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Redazione aperta - Rav Roberto Della Rocca chiude i lavori "La sfida dell'informazione ebraica"
Trieste
- Si chiude sotto una pioggia incessante l'iniziativa Redazione aperta
2010. Rav Roberto Della Rocca, direttore del Dipartimento Educazione e
Cultura dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, è stato l'ultimo
di una serie di incontri che hanno caratterizzato le due settimane di
lavoro per i praticanti giornalisti della redazione del Portale dell'ebraismo italiano. Il rav ha
proposto alcune riflessioni su temi di scottante attualità per
l’ebraismo italiano. Primo tra tutti il ruolo che ha assunto il
giornale Pagine Ebraiche e gli altri prodotti informativi dell’UCEI nel
dibattito interno al mondo ebraico nazionale. “Credo che quello
che sta facendo la redazione - ha affermato rav della Rocca -
sia uno degli elementi più innovativi del panorama ebraico italiano
degli ultimi anni. Un lavoro che sta producendo un impulso
culturale e sociale, che cerca di rompere ciò che era diventato un
esercizio del consenso. Di stimolare la dialettica in senso positivo.
Quando circolano poco le idee, le persone cominciano a omologarsi e a
cristallizzarsi su luoghi comuni e pregiudizi”. Della Rocca si è
poi concentrato sulla figura e sul mestiere del comunicatore a partire
dal passo della Mishnah dove si parla della struttura del tribunale
rabbinico. II sinedrio aveva la forma di un semicerchio, affinché tutti
i giudici avessero la possibilità di guardarsi negli occhi. Dietro
l'imputato erano presenti invece tre file di studenti. Se per
qualche motivo un giudice non poteva più far parte del sinedrio, veniva
sostituito per evitare che l'organo istituzionale smettesse di
funzionare. A colmare il vuoto interveniva il primo studente della
prima fila, facendo così avanzare tutti gli altri studenti di un posto:
il primo della seconda fila diventava necessariamente l'ultimo della
prima e così via. L’ultimo posto della terza fila veniva poi occupato
dalla persona tra il pubblico che da piu tempo aveva potuto osservare
le dinamiche processuali. Questo sistema metteva ogni membro del
sinedrio nelle condizioni di avere un’esperienza specifica e di
conoscere la materia del contendere. “Similmente nella realtà
ebraica italiana - spiega il rav Della Rocca - si sente molto
l’esigenza di un dibattito, da affrontare però con cognizione di causa
e consapevolezza”.
Oggi gli ebrei hanno l’obbligo morale di sapere
chi sono, di avere cognizione delle proprie radici, di approfondire la
loro cultura e di trasmetterla. L'ebraismo che ci è stato tramandato
risulta però non sufficiente di fronte a una cultura dominante che ha
bisogno di risposte più solide e razionali. Riguardo a questo punto
Della Rocca è molto chiaro: “Il problema principale dell’ebraismo
italiano di oggi è che non sente più la necessità di porsi delle
domande. Molto spesso quello che l'ebreo cerca in altri contenitori
esterni lo si ritrova nell'ebraismo a patto che si sappiano porre le
giuste domande. Spesso poi si rimane stupiti di come nelle fonti
ebraiche tradizionali si affrontino discorsi complessi e articolati su
temi di pregnante attualità come l’ecologia, la psicologia, la
bioetica”. Durante la discussione si trova spazio anche per
parlare del ruolo che dovrebbero assumere i rabbini, "che non sono
stati fino ad oggi degli efficaci comunicatori - continua Della Rocca -
perché troppo spesso si sono rinchiusi nei loro uffici invece di
spogliarsi dei loro abiti ufficiali e scendere tra la gente”. E’ però davanti agli occhi di tutti che il rabbinato italiando sta attraversando un momento d'empasse: “Oggi
i rabbini si trovano a dover fronteggiare una crisi sociale e
psicologica delle comunità. Si chiede al rabbino di essere
contemporaneamente psicologo, animatore, sociologo, assistente sociale,
grande diplomatico e politico, Il rischio è che il rabbino per
rispondere alle diverse esigenze della collettività perda di vista il
suo ruolo primario di maestro e di guida spirituale”. Riallacciandosi
poi al discorso iniziale rav Roberto Della Rocca spiega quale dovrà
essere secondo lui la grande sfida che dovrà affrontare la stampa
ebraica: “Uno degli obiettivi da raggiungere è il rilancio della
cultura ebraica, stimolando una domanda di cultura ebraica e
affrontando anche in modo dialettico i temi spinosi. Non bisogna averne
paura, perché come insegna la Mishnah, l’importante è affrontare
ogni problematica con cognizione di causa e guardandosi negli occhi,
con trasparenza e autenticità”. Una sfida che la redazione
accoglie con piacere promettendo per il futuro di non sottrarsi mai a
eventuali confronti seppur serrati. Atteggiamento in linea con la
tradizione ebraica dove ognuno ha la possibilità di intervenire in un
dibattito e di fornire il proprio contributo alla discussione, e dove
non solo vengono tollerate le opinioni discordanti, ma se ne apprezzano
peraltro le diverse sfumature.
Michael Calimani
Abu Mazen vuole tutto e subito
Avevo
appena finito di scrivere questo breve articolo quando Kol Israel, la
radio locale, ha annunciato che dalla Striscia di Gaza è stato lanciato
un razzo di tipo “Grad” contro un quartiere di abitazioni della città
di Ashkalon. Il sistema di allarme ha funzionato in tempo e non si
lamentano vittime. Questo è il linguaggio di Hamas. No al negoziato, ma
usa il terrorismo come al solito. Ieri, giovedì 29 luglio, la Lega
Asraba si e` riunita al Cairo e ha deciso di appoggiare il negoziato
diretto fra palestinesi e Israele. Ciò non significa però la ripresa
dei negoziati interrotti alla fine del 2008. Abu Mazen infatti mette
due condizioni: il blocco totale delle costruzioni negli insediamenti,
e l’accettazione da parte di Israele di uno Stato Palestinese nei
confini ante-1967. Hamas rifiuta ogni negoziato con Israele. La
strategia palestinese rimane un punto interrogativo. Da un lato il
premier Salam Fayad è riuscito a calmare la situazione: oggi si nota un
notevole miglioramento dell’economia palestinese in Cisgiordania,
nonché un progresso importante nella cooperazione con l’esercito
israeliano. Ma Fayad qualche mese fa ha anche avanzato l’idea di
proclamare lo Stato palestinese senza il beneplacito israeliano, nei
confini del 1967. Ossia invece di perdere tempo in lunghi e snervanti
negoziati con Israele, i palestinesi con l’appoggio della comunità
internazionale, proclamano uno Stato e ottengono dalle Nazioni Unite
ciò che Israele ha rifiutato. Abu Mazen dal canto suo si è
probabilmente convinto che ciò che può ottenere da Israele non è
sufficiente per rimanere in carica. E d’altra parte Benjamin Netanyahu
sa bene che prolungare il blocco delle costruzioni oltre ottobre,
rischierebbe di far crollare il suo Governo. Anzi uno degli scopi delle
nuove costruzioni era proprio quello di immettere nel negoziato coi
palestinesi un senso di urgenza per evitare che si prolunghi oltre
misura. Insomma ambo le parti sono prigioniere della propria
opinione pubblica. Ma la più lontana dalla realtà è quella palestinese
che per decenni si è abituata a ritenere possibile il ritorno dei
profughi palestinesi alle loro case, sogno impossibile. Nessun leader
palestinese ha avuto il coraggio di spiegare al suo popolo la verità,
né ha potuto sanare il dissidio con Hamas che governa la Striscia di
Gaza in barba all’Autorità Palestinese.
Sergio Minerbi
 
Poliziotti con la kippah contro l’antsemitismo
All’inizio
dell’estate, un video girato con telecamere nascoste dall’emittente
televisiva ebraica Joodse Omroep, ha scioccato Amsterdam. Protagonista,
un gruppo di giovani, per la maggior di origine mediorientale, che
insultava un anziano rabbino rivolgendogli il saluto nazista. Negli
ultimi anni in Olanda, paese che ha fatto dell’apertura e della
tolleranza la sua bandiera, si sono moltiplicati gli episodi di
antisemitismo. Nel 2007 il numero di attacchi ha registrato un
incremento del 64 per cento rispetto al 2005. Nel primo mese del 2009
se ne sono verificati tanti quanti durante l’intero anno 2008. E nel
2010 - denuncia Radio Netherlands Worldwide - gli uomini hanno ormai
paura ad andare in giro per strada con la kippah in vista. Nella
stragrande maggioranza, le manifestazioni di antisemitismo sono
riconducibili al fanatismo sempre più diffuso nelle comunità islamiche
delle città olandesi, dove vivono oltre un milione di musulmani. In
risposta agli attacchi di matrice antiebraica, è stata recentemente
avanzata un’idea alquanto particolare: far assumere ai poliziotti che
si muovono per le strade di Amsterdam le sembianza di ebrei
ultraortodossi, con barba, kippah e abiti scuri, in modo da cogliere
sul fatto i responsabili di gesti antisemiti. A portare sul tavolo
l’originale proposta è stato Ahmed Marcouch, politico laburista di
origine marocchina, musulmano egli stesso. L’idea per la verità non è
nuova. È stata introdotta da anni per combattere le aggressioni contro
gli omosessuali, con l’impiego di agenti che recitino la parte di
coppie gay, e ha dato buoni risultati. “Dobbiamo fare di tutto per
arginare questi episodi di antisemitismo – ha dichiarato Marcouch in
un’intervista radiofonica – Non possiamo considerarli piccoli
incidenti, è una cosa seria”. Una cosa seria lo è certamente. In Olanda
si contano circa 40 mila ebrei, di cui quasi la metà ad Amsterdam. Gli
attacchi negli ultimi tre anni sono diventati sempre più frequenti, sia
alle cose sia alle persone. Il sindaco di Amsterdam Lodewijk Asscher ha
subito recepito l’idea, dopo aver puntualizzato che è inaccettabile che
“siano almeno sei i quartieri di Amesterdam dove gli ebrei non possono
girare con la kippah senza essere oggetto di insulti, sputi o
violenze”. Nei Paesi Bassi vivono 16 milioni e mezzo di persone, e
circa l’11 per cento sono di origine non occidentale. Tra le comunità
di immigrati, sono particolarmente consistenti quella marocchina e
quella turca, presenti sin dagli anni Sessanta. Nel corso degli anni
Ottanta e Novanta sono arrivati anche numerosissimi rifugiati da Iraq,
Afghanistan, Iran e Somalia, grazie a norme particolarmente favorevoli
sia in tema di diritto d’asilo, che di ricongiungimento familiare,
almeno fino al giro di vite del 2000, con la promulgazione di una nuova
legge sull’immigrazione molto più restrittiva. L’integrazione però
resta un grave problema anche in un paese che ha sempre fatto
dell’apertura verso il diverso uno delle sue ragion d’essere. Durante
l’ultimo decennio, nelle comunità musulmane, hanno cominciato a
esplodere sacche di radicalizzazione: come dimenticare l’assassinio del
regista Theo Van Gogh da parte di un estremista islamico avvenuto nel
2004 ad Amsterdam? Contemporaneamente è sorta in parte della
popolazione olandese un sentimento di ostilità, cavalcata dai partiti
nazionalisti. E infatti il Partito per la libertà (Pvv), compagine di
estrema destra guidata dal deputato Geert Widers dopo aver ottenuto il
16 per cento alle elezioni europee nel 2009, ha riconfermato il
risultato alle politiche dello scorso giugno, ottenendo 24 seggi, solo
7 in meno del partito liberale, che ha vinto, almeno sulla carta, le
elezioni con 31 seggi su 150. Alcuni analisti sostengono che la
responsabilità vada attribuita a una politica fin troppo benpensante,
che ha incoraggiato le comunità di immigrati a rimanere tra loro, senza
favorire un vero inserimento nel tessuto sociale, nel mito di un futuro
ritorno alla propria terra d’origine. Il risultato sono seconde
generazion che si rifugiano nell’estremismo e che sfogano la propria
rabbia in maniera violenta. A fare le spese del clima di tensione sono
anche le comunità ebraiche. Qualcuno ritiene che far travestire i
poliziotti da ebrei ortodossi sia solo “una trovata per nascondere la
politica fallimentare delle istituzioni nella lotta contro la
radicalizzazione islamica,” come accusa Manfred Gerstenfeld,
ricercatore israelo-olandese, membro del Jerusalem Center for Public
Affairs. Una politica che ha avuto nel dialogo il suo punto di forza,
incarnata da Job Cohen, ebreo ex sindaco di Amsterdam e attuale capo
del partito laburista. La sua capacità di disinnescare il clima di
tensione instauratosi dopo l’assassinio di Theo Van Gogh, mettendo in
campo un approccio inclusivo al motto di “Keep things together”, gli ha
fatto guadagnare la definizione di eroe europeo da parte della rivista
Times. Ora nonostante la sua figura sia un po’ appannata, con la
sconfitta di misura del suo partito alle elezioni, i frutti di quanto
ha seminato rimangono. Marcouch, che è membro del Jewish-Moroccan
Network of Amsterdam, e che è entrato in Parlamento proprio in questa
tornata elettorale come quindicesimo candidato del Labour Party di
Cohen. La sua ricetta contro la violenza razziale? “Partire
dall’educazione. Insegnare ai bambini a non coltivare odio”.
Rossella Tercatin, Pagine Ebraiche, agosto 2010 |
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Veri o percepiti
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questi giorni d’estate capita che le previsioni del tempo ci
comunichino non solo le temperature effettive, ma anche quelle
percepite. Altre volte televisioni e giornali vanno in giro a
intervistare la gente che ha caldo, fornendoci così la percezione di
una percezione. Cosa succederebbe se, oltre alle temperature,
confrontassimo realtà e percezione anche in altri ambiti? Lo Stato di
Israele vero è senza dubbio molto più interessante di quello percepito:
non solo i suoi detrattori, ma anche i difensori si concentrano
essenzialmente sulla pace e la guerra, sulla politica estera e sulla
sicurezza, ma raramente raccontano la ricchezza culturale e la
complessità di un paese estremamente variegato da tutti i punti di
vista, dai paesaggi agli abitanti. Viceversa, gli ebrei percepiti
rischiano di essere più affascinanti di quelli veri, anche quelli
percepiti dagli antisemiti: hanno un grande potere, sono intelligenti,
sono uniti tra loro e controllano la politica mondiale; quelli veri
sono molto più litigiosi e persi nei loro piccoli problemi quotidiani. A
volte è anche interessante distinguere tra rabbini veri e rabbini
percepiti, Consigli delle comunità veri e Consigli percepiti. E poi ci
sono le percezioni di percezioni, cioè quello che i giornali locali
capiscono delle vicende comunitarie intervistando qualche ebreo qua e
là; curiosamente talvolta qualcuno giudica le decisioni dei Consigli
sulla base delle interpretazioni fornite dai giornali. Eppure, a chi
verrebbe in mente di aprire la pagina locale di un quotidiano per
decidere se ha caldo?
Anna Segre, insegnante |
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rassegna stampa |
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Se per smascherare gli antisemiti i poliziotti si «travestono» da ebrei Scioccata
dal video mandato in onda dall'emittente Joodse Omroep (si vede un
chassìd insultato e sbeffeggiato per la strada da gruppi di giovani che
si esibiscono nel saluto nazista), Amsterdam decide di «travestire» da
ebrei alcuni agenti in modo da monitorare l'antisemitismo. Lodevole
iniziativa, che tuttavia pone alcuni interrogativi inquietanti su un
mondo ormai schiavo dei simboli da un lato e sconfitto in termini di
pedagogia civica dall'altro. Che cosa vuoi dire «travestirsi» da ebrei?
Basta mettersi in testa una kippà (papalina o zuccotto che dir si
voglia)? Oppure, secondo gli stereotipi razzisti, si manderanno di
ronda agenti scuri di pelle, ricci di capelli e col naso un poco a
becco? In questo caso i medesimi agenti andrebbero bene un domani per
«travestirsi» da musulmani più o meno integralisti: via la kippà e
sulla zucca un bel copricapo bianco ricamato stile imam. Per tenere
d'occhio, invece, l'intolleranza verso i gay, sarà necessario che la
Polizia olandese insegni a qualche reparto l'arte dell'ancheggiare
camminando o dell'ossigenarsi le chiome. E la lista delle «maschere»
continua: prostitute, clochard, portatori di handicap, alti, bassi,
magri e grassi, neri e gialli... Se ne deduce che sappiamo ormai
semplicemente sorvegliare, monitorare, trovare i colpevoli di
comportamenti indecenti, inaccettabili e quindi punirli, sanzionarli.
Dopo perché hanno gridato «sporco negro» al poliziotto travestito da
nero, «sporco ebreo» all'agente mimetizzato da ortodosso, «sporco
frocio» all'ispettore che si finge omosessuale. Dimostrando così che lo
Stato e la collettività hanno, di fatto, rinunciato a educare i
giovani. Stefano Jesurum, il Corriere della Sera, 30 luglio 2010 |
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Europa
League - Una vittoria e un ko per Israele
Bicchiere
mezzo pieno per le squadre israeliane impegnate nel terzo turno
preliminare di Europa League. Davanti al pubblico amico il Maccabi
Haifa ha sconfitto per 1 a 0 i bielorussi della Dinamo Minsk con rete
del centravanti Dvalishvili. Mentre è una sconfitta che lascia i giochi
ancora aperti (2 a 1) quella che il Maccabi Tel Aviv subisce sul campo
dei greci dell’Olimpiacos. Passato in vantaggio grazie a un calcio di
rigore trasformato da Medunjanin, il Maccabi si è fatto superare dai
padroni di casa, che hanno ribaltato il punteggio con Ziari e
Rommedahl. Per il verdetto definitivo delle sfide appuntamento tra una
settimana: il prossimo giovedì sono in programma le gare di ritorno. |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei
l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere
ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo
e-mail, scrivete a: desk@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”. |
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