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L'Unione informa
 
    10 agosto 2010 - 30 Av 5770  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
alef/tav    
  roberto della rocca Roberto
Della Rocca,

rabbino 
Questa mattina i 160 campeggisti del Dec hanno ascoltato tutti assieme il suono dello Shofar a Serrada di Folgaria in occasione del Rosh Chodesh Elul. E' suggestivo poter pensare che nelle stesse ore uno stesso suono antico ha risvegliato dal sonno (non solo fisiologico) persone distanti geograficamente, alcuni nei vari Batè Ha Keneset delle nostre Comunità, altri in villeggiatura  in localita di mare ispirati dalla grande distesa azzurra, altri ancora in attrezzatura da montagna in procinto di scalare  cime o passeggiare nei boschi. Tutti comunque idealmente uniti nel rilanciare la grande scommessa della solidarietà comunitaria propostaci proprio dal nome di questo ultimo  mese dell'anno ebraico. ELUL infatti non è che l'acronimo di un verso  del Cantico dei Cantici, 6; 3: " ani ledodi vedodi li ", "io sono per il mio amico e il mio amico è per me". 
Il pensiero dell'unità divina è l'essenza di ogni contemplazione.

Vittorio Dan Segre, pensionato vittorio dan segre  
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Qui Livorno - Quella sinagoga che faceva sognare

principi e sovrani

sinagoga livornoPiazza Benamozegh è una piazza particolare: una strana disposizione di parcheggi, incroci e aree pedonali la rende un puzzle complicato da decifrare. In un angolo, una costruzione in cemento armato dalla struttura insolita. È la sinagoga di Livorno, edificio che nella forma si ispira al Tabernacolo. (nell'immagine la sinagoga di Livorno in una riproduzione a colori realizzata al computer)
Sorge sulla stessa area del vecchio Tempio, antico gioiello degli ebrei livornesi distrutto dalla guerra, dai furti e dagli scempi che seguirono alla devastazione bellica. Per la comunità ebraica la scomparsa di quel punto di riferimento tanto amato e magnificato per il suo splendore in tutto il mondo, si rivela un trauma difficile da superare. Molto va perduto o in polvere, sono pochi gli arredi che vengono salvati dalla distruzione e trasportati nei locali della Yeshivah Marini, un tempo oratorio e adesso sede di un piccolo museo. È proprio la Yeshivah Marini a ospitare le funzioni religiose negli anni in cui la Comunità di Livorno rimane senza sinagoga. I lavori per il nuovo Tempio, ormai da tempo inagibile, vengono appaltati nel 1958 e conclusi quattro anni dopo: il 23 ottobre del 1962 una solenne cerimonia permette agli ebrei livornesi di riappropriarsi di un luogo di culto, edificato grazie anche a significative donazioni di privati e a un ingente intervento statale. Ad occuparsi del progetto di ricostruzione è l’architetto romano Angelo Di Castro, che si deve attenere a una disposizione del ministero dei Lavori pubblici che vieta la riproduzione dell’architettura del vecchio Tempio ebraico. Di Castro, tra i più valenti architetti italiani in circolazione (nel dopoguerra aveva partecipato al concorso per la stazione Termini di Roma), opta per una soluzione originale e ardita. All’interno della sinagoga oggi in uso, al centro della platea è posta la Tevah (il palco con leggio dove si officiano le funzioni), realizzata con i marmi recuperati tra le macerie del vecchio Tempio. Di fronte alla Tevah è collocato un Hekhal ligneo del Settecento, proveniente dalla sinagoga di Pesaro. Il matroneo si trova al primo piano e vi si accede da due scale laterali. Nella parte absidale alta, una vetrata di colore rosso ricorda il sangue dei sei milioni di ebrei che persero la vita con la Shoah. Scendendo invece nel sottosuolo, è possibile accedere a un piccolo oratorio, che nei mesi invernali viene utilizzato come spazio di preghiera al posto del Tempio Maggiore. La prima pietra della sinagoga di Livorno viene posata a metà Seicento. Col passare degli anni sono compiuti continui ampliamenti con la costruzione di arcate e altri ornamenti, spesso finanziati da generosi benefattori. Per la Tevah e l’Hekhal (sovrastato da una corona argentea con un topazio incastonato) è utilizzato il marmo, per le Tavole della Legge la madreperla. Nel 1742 Livorno viene sconvolta da un terremoto, che spinge i vertici della Comunità a rafforzare la struttura per evitare futuri cedimenti. Il momento più alto lo si raggiunge il 20 settembre 1789, vigilia di Rosh haShanah, il capodanno ebraico, quando ha luogo una cerimonia solenne per festeggiare la nuova inaugurazione del Tempio. Nei decenni successivi si assiste a qualche ulteriore accorgimento (ad esempio l’installazione di un organo) ma la struttura resta pressoché immutata. Finché il rabbino capo Alfredo Sabato Toaff, pochi anni prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, spinge per la creazione di un museo nei locali sottostanti alla sinagoga, una volta sede del Tribunale Rabbinico. Il museo viene realizzato, poi arrivano morte e distruzione. La vecchia sinagoga è ancora nella memoria di molti, ma oggi è non più un ricordo tramandato esclusivamente da racconti e fotografie in bianco e nero. Grazie a Mario Della Torre, ebreo livornese ultranovantenne residente in Israele, e ad altri concittadini che portano nel cuore quella magnifica struttura, alcune foto del Tempio monumentale sono state colorate riproducendo fedelmente i dettagli cromatici che per tre secoli avevano contribuito a renderlo fonte di straordinarie suggestioni. Esiste inoltre una riproduzione in gesso in scala uno a due del Tempio che fu, al momento conservata in un fondo comunale, che  verrà rimontata in occasione della prossima Giornata europea della cultura ebraica.

Adam Smulevich, Pagine Ebraiche, agosto 2010




Una dinastia di editori e librai. Conosciuti fino in Iraq


belforteTra le tante vetrine di via Grande, ce n’è una davvero speciale. Quella della libreria Belforte, monumento a una storia di passione e competenza: la storia della famiglia Belforte, autentica dinastia di editori e librai ebrei. Et voluisse saltent, anche l’averci provato è abbastanza, il loro motto. Gente tenace e concreta, che dal 1805 (anno in cui il capostipite Joseph Belforte pubblica a sue spese un libro di preghiere nella tipografia di Elieser Sadun) diffonde il bene della conoscenza. La libreria è aperta dal 1899, la casa editrice compie 176 anni d’attività. Guido Guastalla è da quasi nove anni ai vertici della ditta. La sua discesa in campo coincide con uno dei momenti più difficili per la Salomone Belforte & C., che nel 2001 rischia di chiudere per ingenti difficoltà economico finanziarie. “Mi piangeva il cuore - spiega - a pensare che una vicenda umana così significativa e duratura potesse di colpo sparire. Ho fatto un grande sacrificio per tenerla in vita, ma non potevo fare altrimenti. Per me è stata soprattutto una questione affettiva”. Guastalla subentra al cugino Paolo, che dal suo ingresso in azienda negli anni Cinquanta ha avuto un ruolo fondamentale nel consolidamento del marchio. Il nuovo presidente, che succede a un uomo capace di portare in libreria personaggi del calibro di Indro Montanelli e Piero Chiara, fissa due obiettivi: riassestamento economico della ditta e un rapporto più specifico con il mondo ebraico. Con Guastalla riparte l’attività editoriale, da tempo ferma. Vengono pubblicati libri che trattano di ebraismo a 360 gradi: testi sulla Shoah e su Israele, ma anche relazioni di convegni e poesie amorose. “Siamo sulla buona strada per diventare una casa editrice di nicchia, pur consapevoli della presenza sul mercato di rivali agguerriti e competenti. Penso ad esempio alla Giuntina della famiglia Vogelmann, a cui sono peraltro legato da un rapporto di sincera amicizia”. Guastalla mostra con fierezza l’albero genealogico della sua famiglia: nove generazioni di editori. Tra i suoi predecessori anche Guido Belforte, nominato commendatore nel 1938 su ordine del re e di Mussolini. Un titolo onorifico destinato quasi subito a divenire carta straccia con le leggi razziali. In quegli anni i Belforte devono lasciare la ditta, che fino al termine del conflitto è intestata ad amici cattolici e assume il nome di Stabilimento poligrafico toscano per la parte tipografica e di Società editrice tirrena per quella editoriale e di libreria. Oggi Guastalla si avvale della collaborazione dei figli Ettore e Silvia. Proprio quest’ultima, quattro anni fa, riceve una telefonata dagli Stati Uniti: il professor Artur Kiron della Penn State University, grande amico dei Guastalla, chiama per dirle che ha appena terminato una lunga conversazione sul mondo editoriale con lo studioso Shalom Zabar. Da quella conversazione emerge un fatto commovente: il giovane Zabar, che passava giornate intere nella biblioteca di Mosul in Iraq, prediligeva i libri di una casa editrice ebraico livornese che credeva ormai scomparsa da tempo: la Belforte. “I nostri volumi - dice Guastalla - sono sempre stati sinonimo di alto livello contenutistico e raffinatezza grafica. Copie venivano diffuse praticamente ovunque. Belforte era il maggior fornitore di libri di preghiera delle comunità nordafricane, levantine e orientali. Ogni versione era differente, rispettosa di ciascun minhag”. La tipografia sforna adesso libri di attualità. L’ultimo è il diario della madre di Ilan Halimi, il giovane ebreo parigino massacrato da una banda di integralisti nel 2006. “Un libro stupendo e straziante”, spiega Guastalla. Che introduce le prossime uscite: a breve in stampa i diari di rav Chidà (che rav Alberto Moshè Somekh sta traducendo in italiano), un volume dedicato ai grandi mercanti ebrei livornesi del Seicento e Settecento e un ricettario di cucina sefardita.

Pagine Ebraiche, agosto 2010


Qui Locarno – Eran Riklis in piazza Grande 

belfortefestival locarnoMedio Oriente protagonista al Festival del Cinema di Locarno che in questi giorni richiama nel ticinese migliaia di cinefili e appassionati. Israele è presente con cinque film: il cavallo di battaglia è The Human Resources Manager di Eran Riklis (2010), che questa sera, martedì 10 agosto, verrà proiettato in anteprima mondiale nel suggestivo scenario di piazza Grande. Riklis racconta la storia di un responsabile delle risorse umane frustrato, entrato in crisi dopo che la moglie lo ha abbandonato e i rapporti con la figlia si sono deteriorati. 

riklisUna delle sue dipendenti, una donna di origine straniera, muore vittima di un attentato suicida. Nessuno reclama la salma: l’azienda viene accusata di indifferenza. Per calmare le acque il nostro intraprende un viaggio che da Gerusalemme lo porta al villaggio del paese post-sovietico da cui proviene la donna. Podarok Stalinu di Rustem Abdrashev (2009) è ambientato nel 1949, in un Kazakistan scosso dalla repressione stalinista. Kasym scorge, tra i morti ammucchiati in una stazione ferroviaria della steppa, un ragazzino ancora vivo. Nel remoto villaggio kazako il giovane ebreo moscovita Sasha trova una nuova famiglia. 
Ma non dimentica i genitori naturali: insieme a Kasym decide di andare alla loro ricerca e di fare un regalo speciale a Stalin. Laharog dvora di Tal Granit e Sharon Maymon (2008) è una riflessione tragicomica su vita, amicizia e potere intimidatorio della paura. Cosa siete disposti a fare per difendere il mondo che vi siete costruiti? È questa la domanda di fondo attorno a cui ruota la pellicola. The Magician of Lublin di Menahem Golan (1979) è l’adattamento di un celebre scritto di Bashevis Singer: il mago Yasha, un uomo che dice di saper volare, rifiuta di esibirsi se non davanti al pubblico pagante del teatro più importante di Varsavia. Mentre il suo agente cerca di organizzare la serata lui amoreggia con un numero impressionante di donne, spesso non ebree, visto che al mago piace rinnegare le proprie origini. Ultimo film del quintetto israeliano è un classico, sempre di Menahem Golan (a cui va un premio speciale della giuria): Operation Thunderbolt (1977). Un gruppo di terroristi arabi e tedeschi dirotta un volo Air France partito da Atene con destinazione Tel Aviv. I prigionieri vengono portati prima in Libia e poi in Uganda con il beneplacito di Idi Amin, sanguinario dittatore che trasforma l’aeroporto nazionale in prigione. Il governo israeliano reagisce inviando un commando speciale: l’azione stupirà il mondo intero.


 
 
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  Quella sosta ad Auschwitz

tobia zeviPiù che un’opinione vorrei condividere un dubbio: è giusto far transitare ad Auschwitz i ciclisti in gara al Giro di Polonia? Finora mi pare che il consenso sia stato unanime tra commentatori e addetti ai lavori, e va dato atto a organizzatori e corridori di aver evitato sbavature o scivoloni.
L’intento era certamente positivo, così come è auspicabile che l’iniziativa possa favorire la consapevolezza della storia tra gli appassionati della corsa; tanto più in Polonia, un paese che ha ancora molte questioni aperte con il proprio passato, permeato di un feroce antisemitismo messo sbrigativamente in conto all’aggressore tedesco. D’altra parte le immagini erano un po’ impressionanti: la schizofrenia tra la tragedia immane di quei luoghi e il circo allegro del ciclismo (ammiraglie, fotografi, direttori sportivi, vallette, fidanzate, corridori, motociclisti al seguito) personalmente mi ha infastidito. Forse è un riflesso condizionato a cui non bisogna dare peso, anzi probabilmente occorre privilegiare il potenziale divulgativo.
 Ma rimane il dubbio. La memoria dei lager e della Shoah non va sacralizzata - alcuni anni fa un rabbino mi confidò di non voler, come si fa abitualmente, suonare lo shofar ad Auschwitz - né monumentalizzata: essa va resa attuale soprattutto a beneficio delle nuove generazioni che meno conoscono la storia; occorrerebbe anzi cercare di collegare la tragedia della Shoah ai massacri e ai genocidi di oggi, invitando i giovani a uno slancio di responsabilità. Ma rimane il dubbio che non sia una gara ciclistica il modo migliore per condurre questa operazione. E che alla fine, nella percezione degli spettatori, anche il lager possa trasformarsi in un traguardo di fine tappa, smontato dagli addetti prima ancora che gli ultimi del gruppo siano giunti all’arrivo.

Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas


Chi ha ucciso Hariri?

minerbiFedele alla tradizione araba delle “Mille e una notte”, Hassan Nasrallah, segretartio dell'Hizbollah, ha cucinato un polpettone nel quale ha immesso tutti gli ingredienti degli ultimi anni. Spie, incursioni marittime, aerei senza pilota senza nessuna relazione diretta a Rafiq Hariri, il Premier libanese ucciso in un attentato alla bomba a Beirut. Il Tribunale internazionale dell`Aja vuole incolpare l`Hizbollah che in seguito all`attentato è diventato parte integrale del Governo Libanese. Non c'è bisogno di copiare Sherlok Holmes per capire che al ragionamento dettagliato e complesso esposto ieri sera da Nasrallah, manca una pietruzza essenziale: il movente. Che interesse aveva Israele a trasformare un paese limitrofo diretto da un capace uomo d`affari laico , Sunnita e pro-Occidentale nel Libano attuale? E` diventato un paese sottoposto alla milizia sciita fondamentalista islamica dell`Hizbollah arrivata al potere con le armi, scontrandosi con l`esercito e ricevendo armi e munizioni dall`Iran in barba alla Risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza dell`Onu. Il movente e molti altri indizi indicano chiaramente il colpevole nell`Hizbollah anche se Nasrallah rigetta la colpa sul solito diavolo, Israele.


Sergio Minerbi
 
 
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Quando il conte difese i suoi collaboratori di fede ebraica
Centocinquant'anni fa, quando si era appena conclusa la Seconda guerra d'Indipendenza, per gli ebrei italiani ancora non spirava buona aria. Solo nel Regno di Sardegna i cittadini di religione israelita godevano di tutti i diritti civili, mentre altrove erano dovunque ghettizzati. Forse fu proprio per il timore che la legge liberale promulgata da re Carlo Alberto venisse applicata (come effettivamente lo sarà) anche nelle regioni che, in seguito a quella guerra, furono annesse al Regno sardo che la stampa cattolica sferrò un violento attacco contro il conte Camillo di Cavour accusato di condurre una «politica ecclesiastica persecutrice». Alfiere di questa campagna fu «L'Armonia», giornale cattolico di Torino, il quale con un articolo di fondo intitolato «Il Conte di Cavour e il suo Isacco», rivelò con toni scandalistici che il suo segretario particolare Isacco Artom era ebreo. «Che M. de Cavour, scriveva l'articolista, non sia ni un homme d'esprit ni un homme serieux basterebbe a provarlo la circostanza dell'onorare che esso fa di specialissima confidenza un ebreo, applicato al suo gabinetto particolare, al quale non si perita di commettere la sua fiducia e la redazione dei suoi scritti. Il fortunato segretario e confidente è certo avvocato Insacco A... appartenente non so a quale ghetto e certo degnissimo del favore di cui gode presso il Gran Rabbino di Leri...». 
Cavour rispose immediatamente con questa nobile lettera che fu pubblicata in prima pagina dal giornale liberale «L'Opinione» il 2 agosto del 1860. 
«Sig. Direttore. 
Che L'Armonia segua una scala crescente di contumelie e di ingiurie sta bene per un giornale che propugna opinioni estreme e blandisce le più ardenti passioni. Ma che per colpire me scagli basse insinuazioni contro un giovane e distinto impiegato, rimasto del tutto estraneo alle lotte politiche, è ciò che muoverà a sdegno, ne sono convinto, gli onesti di tutti i partiti.Ove poi l' Armonia avesse creduto di fare un gran colpo palesando un fatto da me voluto tener segreto, s'inganna a partito. Giacché non vi son fatti nella mia vita politica, di cui maggiormente mi compiaccio, che di avere potuto scegliere a collaboratori intimi ed efficaci nel disimpegno dei negozi più delicati e difficili, prima il signor Costantino Nigra, poscia il signor Isacco Artom, giovani di religione diversa, ma d'ingegno singolare e precoce, di zelo instancabile, di carattere aureo. (...) Questa pubblica testimonianza ch'io mi credo in debito di rendere al signor Artom, sarà ne sono certo, confermata da quanti lo conoscono ed in particolare modo dai suoi capi, di cui gode sempre l'intera fiducia e dei suoi colleghi che giustamente lo stimano e apprezzano. (...) La pubblica opinione farà giustizia di ignobili attacchi per parte di coloro che rimpiangono i tempi in cui la diversità di culto bastava per allontanare dai pubblici uffici i giovani i più istruiti e i più capaci».

Arrigo Petacco, Nazione Carlino Giorno, 10 agosto 2010

 
 
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notizieflash    
 
 
Nuova spedizione sfida il blocco di Gaza

Il quotidiano britannico 'The Guardian' riferisce che una nuova spedizione con l'obiettivo di rompere il blocco di Gaza dovrebbe partire da Tripoli, in Libano, nel fine settimana. La particolarità di questa missione è che a bordo ci sarebbero soltanto donne: decine di militanti, dottoresse, giornaliste e avvocatesse, oltre ad alcune suore americane e alla cantante libanese May Hariri. Le partecipanti alla missione, hanno affermato che la loro missione è "puramente umanitaria" e che non vogliono provocare Israele. "A bordo non abbiamo nemmeno dei coltelli da cucina" ha assicurato al 'Guardian' Samar al-Haj, coordinatrice della spedizione.


Un Haaron Hakodesh per il Bet Reuven di Sauze d'Oulx              

haaron ha kodeshE` ormai più di dieci anni che nel ridente paesino di Sauze d’Oulx (a 1509 metri d’altezza) Meyer Piha tiene il suo campeggio estivo in una atmosfera fresca ed ebraica al tempo stesso. L’anno scorso la signora Segre di Torino propose di preparare un Haaron Hakodesh per collocare più dignitosamente il Sefer Torà nel piccolo Beth Hakeneset di Sauze, chiamato Bet Reuven. Ed ecco che alcune famiglie (Disegni,Segre e Tedeschi di Torino con Piha di Milano) si sono unite per realizzare la cosa portata a termine con grande bravura da Luigi Borgogno e Riccardo Levi, che hanno offerto la loro mano d’opera, mentre le altre famiglie hanno offerto la Parochet, essendosi anche date da fare per la realizzazione dell’intero progetto. Il 28 di menachem av di fronte a numerosi torinesi e milanesi giunti appositamente, il Rav Alberto Somekh di Torino ha iniziato il suo limud sull’importanza del kapporet nel Mishkan; e ha approfittato dell’occasione e della vicinanza di Elul per presentare anche il nuovo libro di Elisheva Lizzi Labi Piha: Rosh Hashanà. Il Capodanno ebraico spiegato ai ragazzi. È seguito l’intervento del Rav Giuseppe Momigliano di Genova, che si è soffermato sull’importanza del zedek  tirdoff; infine il Rav Hillel Sermoneta  ci ha invitato a saper impiegare bene l’occasione di Teshuvà offertaci dal mese di Elul. La cerimonia si è conclusa con la consegna di un attestato del Tzad Kadima a Luigi Borgogno e con gli auguri più affettuosi a Rav Somekh per il matrimonio della figlia che si svolgerà tra poco in Erez Israel: mazal tov! A Meyer Piha l’augurio di poter proseguire, beezrat Hashem, in questa sua attività meritoria.

Alfredo Mordechai Rabello
 
 
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