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L'Unione informa
 
    11 agosto 2010 - 1 Elul 5770  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
alef/tav    
  locci Adolfo Locci,
rabbino capo
di Padova
L'ordine di nominare un re, annoverato nel computo delle mitzwoth affermative della parashà di Shofetim, presenta alcune perplessità. Quella più eclatante è sottolineata dal Nachmanide (Ramba"n 1194 -1270) il quale si chiede per quale ragione la Torà ordini questa mitzwà come risposta ad una richiesta del popolo motivata dalla grave espressione "per essere come i goym intorno a me". Ciò sarebbe in forte contrasto col principio fondamentale di non emulare ne di assimilare gli usi e i costumi degli altri popoli. Tuttavia, una possibile soluzione a questa incongruenza viene da Don Itzchak Abravanel (1437-1508). Il commentatore portoghese spiega  che questa mitzwà non è obbligatoria a priori bensì rappresenta la fissazione di criteri e comportamenti atti a salvaguardare il popolo ebraico quando si verrà a trovare in questa pericolosa situazione. Per evitare che una collettività segua un pericoloso "fai da te", una buona guida, a volte, deve saper prevedere possibili problematiche future e preparare, preventivamente, le giuste soluzioni. Chodesh Tov. 
Non cercate la verità, semplicemente smettete di nutrire opinioni. (Charlotte Joko Beck) Matilde
Passa,

giornalista
matilde passa  
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  Carote e acqua di rubinetto: in Israele i ministri cambiano stile

ministri israeliani Quella dell’acqua, in Israele, è una questione sempre scottante. In un paese nato nel deserto dal sogno di far fiorire il deserto, non potrebbe essere altrimenti. Sfruttamento del fiume Giordano, impianti di desalinizzazione, riciclo delle acque reflue. Problemi che sono costantemente sull’agenda del Governo. Che però, dovrà smettere di discuterne dissetandosi con costosa acqua minerale. È infatti di questi giorni l’annuncio che alle riunioni del Consiglio dei ministri smetteranno di essere servite le classiche bottigliette da mezzo litro. E come si difenderanno i membri del gabinetto Netanyahu dal torrido clima israeliano? Semplice: bevendo la più economica, ma altrettanto sicura, acqua del rubinetto. “Oltre a essere uno spreco di denaro pubblico, l’abitudine di servire acqua minerale dimostra mancanza di fiducia nell’acqua di rubinetto del nostro paese, di cui, per inciso, a essere responsabile è il Governo stesso – ha sottolineato David Kochmeister, presidente del Forum of Water Corporations, in un messaggio inviato al segretario di gabinetto Zvi Hauser – L’acqua del rubinetto in Israele è pulita e salutare, pertanto non c’è nessuna controindicazione a berla. È il momento che il Governo cominci a dare il buon esempio”. La proposta del Forum è stata ritenuta ragionevole e prontamente accolta da Hauser, già famoso per aver deciso di servire alle riunioni di Governo yoghurt e verdura cruda al posto di brioche e snack al formaggio, nel tentativo di far perdere ai pingui ministri israeliani qualche chilo. E se qualcuno risulterà un po’ schizzinoso, potrà sempre consolarsi aggiungendo all’acqua del rubinetto menta o limone che – ha promesso il segretario – non mancheranno mai di essere a disposizione. Ma qual è l’atteggiamento dei cittadini israeliani di fronte alla scelta tra acqua minerale e del rubinetto? Secondo un recente sondaggio pubblicato dal Jerusalem Post, soltanto un terzo della popolazione israeliana beve regolarmente acqua del rubinetto. La percentuale risulta più alta tra gli ultraortodossi (64 per cento) e tra gli arabi israeliani (il 53 per cento). I più affezionati alle bottigliette sono gli immigrati dall’ex Unione Sovietica e i giovani under 30, con una percentuale di fan dell’acqua minerale che si aggira intorno al 90 per cento. Eppure l’acqua israeliana è particolarmente buona. Nel rapporto del Ministero della Salute del 2007 figura che su 86 mila campioni esaminati, sono state rilevate irregolarità solo nello 0.4 per cento dei casi, per la maggior parte dovuti a difetti nelle tubature. La gente tuttavia resta diffidente, con oltre il 50 per cento degli intervistati convinto che l’acqua del rubinetto sia in qualche modo nociva per la salute.
Oggi il governo cerca di cambiare le cose, cominciando dalle proprie abitudini. Come per gli spuntini dietetici, resta da vedere se gli israeliani saranno disposti a seguirlo.


Rossella Tercatin



Israele e il Libano, un dialogo online

claudio vercelliCapita, navigando abitualmente sul web e interloquendo con molte persone, di essere sollecitati alla riflessione da domande stimolanti, fatte da chi chiede di capire, anche avendo opinioni diverse e non necessariamente coincidenti con le proprie. Ibrahim Osmani, libanese di nascita ma italiano di adozione, sulla scorta di una conversazione fatta su Facebook, riguardo a due film israeliani che parlano in qualche modo della sua terra natale, Valzer con Bashir, di Ari Folman (2008), e Lebanon di Samuel Maoz (2009), mi ha chiesto se «è una pura coincidenza che due film, usciti a poca distanza l'uno dall'altro, parlino tutti e due dello stesso tema?», domandandomi poi se «il Libano è molto presente nella cultura "popolare" israeliana oppure è un tema da pacifisti intellettuali? Sono molto incuriosito da questo fatto». Non sono israeliano e non voglio arrogarmi il diritto ad una risposta definitiva ma ho provato a sintetizzare un piccolo decalogo di idee al riguardo che ho raccolto, per comodità, in questo modo:
1. per Israele la campagna militare del 1982 è stata, in termini geostrategici, la prima guerra non strettamente difensiva bensì offensiva, ovvero intrapresa non per una minaccia militare diretta e immediata, costituita da un esercito straniero, bensì in ragione del ripetuto stillicidio di tensioni e provocazioni, ovvero per a causa del perdurare di una forte pressione ai confini settentrionali, esercitata perlopiù dai gruppi di miliziani allora legati all’Olp di Yasser Arafat;
2. da ciò è derivato il carattere non convenzionale di tale impresa bellica, ponendo l'esercito nella difficile posizione di dovere contrastare una guerriglia tanto diffusa quanto mobile e flessibile. Si è trattata di una operazione ai limiti dell’azzardo: Israele, di prassi, vince al primo strike, ma rischia di perdere nei conflitti di logoramento;
3. infatti, quella che nelle intenzioni doveva essere una Blitzkrieg, un «conflitto lampo», che avrebbe mutato gli equilibri politici libanesi a favore dei cristiano maroniti, rappresentati dal partito falangista della famiglia Gemayel, e spinto l'Olp a nord di Beirut, si tramutò ben presto in una guerra di lunga durata, basata sull'occupazione militare dei territori sotto sovranità libanese;
4 .la scelta di privilegiare i falangisti come interlocutori si rivelò politicamente non premiante, trascinando esercito e politici israeliani nel ginepraio delle alleanze e delle conflittualità locali;
5. la presenza militare israeliana, nel sud del paese, dovette confrontarsi sempre di più con la crescita della rappresentanza politica degli sciiti, la parte più svantaggiata del paese, ossia con la saldatura che andò determinandosi tra una parte di essi - rappresentanti dall'Hezbollah nascente e lievitante - e i palestinesi dei campi profughi;
6. le stragi falangiste di Sabra e Chatila, nel settembre del 1982, polarizzarono la coscienza nazionale israeliana, creando le condizioni per il manifestarsi di un movimento pacifista, Peace Now, nato in ambito non solo civile ma anche militare (alla fine degli anni Settanta, tra i riservisti), con un programma preciso: il ritiro dai territori occupati militarmente, al nord, in Libano, nonché da quelli amministrati dopo le conquiste conseguite con la guerra del 1967, ad est, ovvero in Cisgiordania. A ciò avrebbe dovuto accompagnarsi la negoziazione definitiva del rapporto con i palestinesi;
7. di fatto Peace Now diede nuova linfa ad una sinistra laburista, ancora in grave crisi per la clamorosa sconfitta elettorale subita nel 1977, quando aveva vinto il Likud di Begin, e da allora passata ad una opposizione incapace di esercitare politicamente (avendo perso per sempre quell'egemonia di cui aveva goduto nei decenni precedenti, soprattutto nella società civile);
8. la guerra del 1982 (che si concluse solo con il 1985, con il definitivo ritiro avvenuto nella cosiddetta «fascia di sicurezza», a sud del fiume Litani) fu la prima integralmente combattuta dai figli degli anni Sessanta, nati in un'epoca per molti aspetti "post-sionista", quando cioè Israele si era emancipata dalle originarie condizioni di pauperismo materiale e “ascetismo politico”, che l'aveva obbligatoriamente caratterizzata nei primi dieci anni di vita, accedendo ad una maggiore tranquillità economica (l'espansione del Pil, con indici che variavano dal 4 all'8% in più per anno, durò fino al 1973) e ad uno sviluppo sociodemografico autoctono, sempre più indipendente dai robusti flussi immigratori che l'avevano caratterizzata precedentemente;
9. il turning point generazionale registrato nella campagna del 1982 segnò il passaggio dall'età dei padri (i "pionieri") a quella dei figli (i "guerrieri" loro malgrado) che si ponevano domande sulle ragioni di ciò che facevano e di come lo andavano facendo. Le motivazioni di questi ultimi perdevano quella dimensione strettamente emergenziale ed esistenziale che aveva caratterizzato i genitori, per assumere una valenza più problematizzante. Nella condotta della campagna libanese emersero, per una parte della popolazione israeliana, i limiti di una azione militare senza un preciso obiettivo politico. Quest’ultimo non era mancato (lo aveva espresso Ariel Sharon, confidando nel mutamento di equilibri politici a Beirut e nella scelta che un nuovo governo libanese, più favorevole ad Israele, avrebbe fatto a favore di un trattato di pace) ma non si era avvalso di interlocutori credibili né di una strategia militare e politica sufficientemente realista;
10.il Libano diventò quindi, nella narrazione fattane da una parte della società israeliana, quella che si riconosce a tutt’oggi nel cosiddetto «campo della pace», perlopiù la sinistra, il potenziale "Vietnam di casa nostra", intendendo con ciò un conflitto a media intensità, di lunga durata, senza una plausibile conclusione, basato su una lunga e logorante esposizione delle truppe (soprattutto di leva, ventenni) e sul confronto con le popolazioni civili locali. In questo senso il Libano entrò nella coscienza collettiva come il simbolo di una nuova epoca per Israele. Per i sostenitori dell’opzione militare indicava i rischi di una pratica bellica priva di razionalità; per chi riteneva discutibile un approccio affidato unicamente alle armi demandava alla inaffidabilità politica e morale di tale condotta. Gli uni e gli altri non mettevano in discussione il paradigma della sicurezza ma lo declinavano in modi, tra di loro, molto differenti. Le stagioni sono trascorse ma l’«enigma Libano» (paese angosciante e, nel medesimo tempo, per certi aspetti quasi seducente), agli occhi degli israeliani, rimane irrisolto. Si tratta di un nazione che è oggi raccontata in molti modi ma soprattutto con gli occhi di chi partecipò, giovanissimo, alle operazioni militari che ne segnarono, come sempre capita in questi casi, il proprio vissuto e la sua successiva identità. I film raccontano l’irrisolto rapporto con quella storia, individuale e collettiva.

Claudio Vercelli


 
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Qui Livorno - Rabbini e studiosi con il sorriso dell'ironia

toaffNarra il Vessillo Israelitico che rav Elia Benamozegh, grande rabbino e filosofo, entrando in una yeshivah livornese venisse attorniato dai rabbini che gli chiesero con devozione se esistesse veramente il malocchio. “Certamente”, rispose il Maestro aggiungendo che “un rabbino lo mette, l’altro lo leva e poi fanno a mezzo dei soldi...”. Certo si può essere scettici circa questo aneddoto in cui a mio parere è comunque presente la chiave per aprire la porta della comprensione di questa città e della sua Comunità ebraica. L’ironia, infatti, è componente essenziale del livornese e lede il mito, guardando ad esempio ai sonetti di Cesarino Rossi o Guido Bedarida tanto per citare alcuni noti esempi, che l’umorismo ebraico sia solo di derivazione askenazita. Non a caso di recente, parlando a Livorno dei diari del grande Chidà (rav Haim Iosef David Azulay z.l.), il rabbino Alberto M. Somekh osservava: “L’ironia, si sa, è un classico della letteratura ebraica di ogni tempo, in quanto risponde a un’esigenza etica ben precisa. E’ lo strumento in mano all’oratore o allo scrittore per denigrare un personaggio che se lo merita senza scadere nel dileggio, nell’insulto e nella maldicenza, tutte espressioni proibite dalla Torah. Lo stesso Chidà, presentando molti suoi colleghi incontrati qua e là in termini talvolta magniloquenti, ci lascia un legittimo dubbio sulla reale statura di questi personaggi”. L’importanza di questo elemento ben si coniugò a quel clima propedeutico all’evolversi di profondi studi ebraici alimentati da eccelsi Maestri che, come lo stesso Chidà, da questa città rimasero affascinati sino al punto di soggiornarvi a lungo, talvolta sino al termine della loro esistenza terrena, interagendo con la già solida tradizione rabbinica locale. Con l’ironia labronica, anche ebraica, senza la quale si potrebbe talvolta pensare a un carattere altrimenti spispigoloso, per alcuni magari anche ignorantello, fecero i conti anche i rabbini che si avvicendarono alla guida spirituale della Comunità in tempi più recenti: penso a mio padre rav Bruno G. Polacco e a rav Isidoro Kahn (z.l.), trovando dei paralleli caratteriali naturali e legati ai luoghi di origine. In altri casi, come rav Laras potrebbe ben testimoniare, adattandocisi cogliendone l’originalità. Se rav Alfredo Sabato Toaff (z.l.) invece giocava in casa ben conoscendo la sua città e la sua Comunità lasciandoci scritti e studi preziosi, l’esperienza acquisita a Roma deve aver reso più facili le cose a rav Jehudah Kalon (z.l.), prematuramente scomparso, nella sua purtroppo breve esperienza labronica. Tocca oggi a rav Yair Didi, partendo dalla sua matrice israeliana, amalgamarsi con quello spirito ebraico livornese che ha, quale eccezionale testimonial nonostante decenni di lontananza, rav Elio Toaff (nell'immagine in un disegno di Giorgio Albertini), di cui è nota la fine e intelligente ironia. Livolno, secondo un’inflessione dialettale che pone la elle al posto della erre, città in Toscana ma non proprio del tutto toscana in virtù della particolare e unica storia, unisce nell’ironia lo studioso quanto il popolano, creando un panorama di personaggi spesso appellati con azzeccati soprannomi: un completo e veritiero quadro storico non potrebbe essere composto escludendo gli uni o gli altri. Non mancano ovviamente i problemi, in città come nella Comunità, ma certamente una salda radice ironica aiuta ad affrontare anche le avversità. Anche per gli ebrei livornesi, come per gli altri concittadini, il legame con la città e la Comunità rimane forte nel tempo. Città dalla storica vocazione sionista (anche il fascismo tragicomicamente, come testimoniato da alcune carte pervenute, temette i sionisti locali), è struggente l’addio alla città di un livornese, immaginato in un sonetto di Guido Bedarida, che parte per Israele dove molti sono ormai i livornesi o i loro discendenti. Non è quindi un caso che sia questa città a vantare in Italia il primo gemellaggio con una città israeliana, ovvero Bat Yam. Benvenuti allora a Livorno, per la Giornata della cultura ebraica 2010 che ci vede città capofila per l’Italia, con sana e sincera ironia.

Gadi Polacco, Pagine Ebraiche agosto 2010


 
Qui Locarno - Un bagaglio di umorismo ebraico in salsa berlinese

festival locarnoErnst Lubitsch (il grande regista cui il Festival del film di Locarno rende omaggio quest'anno), nato a Berlino nel 1892 da una famiglia di ebrei russi, decide da giovanissimo di non seguire la tradizione di famiglia e lavorare nella sartoria del padre, ma la sua grande passione per il teatro. Dopo aver lavorato nella compagnia di Max Reihnardt, nel 1913 debutta nel cinema come attore diventando, nel giro di pochi anni, uno dei protagonisti del cinema tedesco del periodo Weimar. Pinkus l’emporio della scarpa del 1916 è uno dei primi film che interpreta e dirige. Il Pinkus del titolo si riferisce a Solomon ‘Sally’ Pinkus, interpretato dallo stesso Lubitsch, un giovane scapestrato espulso da scuola a causa della sua cattiva condotta. Sally inizia quindi a lavorare come apprendista commesso in un negozio di scarpe, dove passa la maggior parte delle giornate a flirtare con la giovane figlia del proprietario e le belle clienti. Dopo una serie di comiche imprese, Sally riesce ad ottenere un prestito da una ricca signorina. Così finisce per aprire il suo negozio, l’emporio Pinkus, e in più a sposare la sua benefattrice. Nel 1919 Lubitsch scrive, dirige ed interpreta Meyer il berlinese. Meyer, grazie ad un falso certificato medico, si fa spedire in Tirolo per curarsi e sfuggire così alla moglie Paula rimasta a Berlino. Vestito con i lederhosen, Meyer s’introduce alla bella Kitty in vacanza insieme al marito Harry. Subito cerca di sedurla usando ogni possibile stratagemma. Il film finisce con i due che trascorrono insieme la notte in una baita senza sapere che anche Harry e Paula, che ha seguito di nascosto il marito da Berlino, sono lì. Se nei film del periodo americano la matrice ebraica del suo cinema è espressa in maniera molto discreta, nei primi film berlinesi come Pinkus o Meyer aus Berlin, Lubitsch mette in scena storie che hanno come protagonisti personaggi inequivocabilmente ebrei.

davar locarnoNon solo per i loro nomi o per il fatto che i titoli dei dialoghi sono infarciti di espressioni in Yiddish. Ispirati dal suo milieu fatto di artigiani e commercianti e dalla tradizione del Purim Spiel (le rappresentazioni teatrali messe in scena durante la festa di Purim), questi personaggi sono fortemente stereotipati, la caricatura degli Ostjuden, gli ebrei dell’Est Europa immigrati in Germania: arrivisti, disonesti, opportunisti. Pinkus, infatti, diventa il proprietario di un negozio di scarpe grazie all’imbroglio, prendendosi gioco di tutti. In una scena di Meyer aus Berlin vediamo il protagonista a letto, la notte prima della scalata di una montagna di 2800 metri a cui ha deciso di partecipare per impressionare la giovane Kitty; grazie ad un montaggio fotografico la montagna, come in un sogno, si materializza nella sua stanza con un numero ad indicarne l’altezza. Meyer si alza dal letto e cancella i due zeri facendo diventare la montagna alta 28 metri. Poi, rivolgendosi alla macchina da presa e allo spettatore dice “Sapevo che potevo contrattare con quella montagna”, in altre parole gli ebrei cercano sempre di abbassare il prezzo. Se Lubitsch non fosse ebreo i suoi primi film verrebbero considerati antisemiti. Queste commedie di grandissimo successo meritano, tuttavia, una lettura più attenta: l’uso di stereotipi antisemiti sullo schermo permette a Lubitsch di criticarli, smontarli e, paradossalmente, riderne insieme ad un pubblico composto per la maggior parte di non ebrei. Pensiamo soltanto all’idea di mettere sullo schermo un ebreo che va a spasso per le Alpi, vestito da Tirolese con corde e bastoni, cercando di sedurre una giovane tedesca. Lubitsch mischia le carte e fa suo l’immaginario antisemita rivelando così il fallimento del processo d’integrazione della minoranza ebraica in Germania. Ma se i non ebrei ritrovano il loro antisemitismo comicamente trattato in una complessa operazione intellettuale che ne rivela l’assurdità, gli ebrei, purtroppo, sullo schermo, vedono allontanare sempre di più il loro sogno d’integrazione nella società tedesca del primo dopoguerra.

Rocco Giansante - Pagine Ebraiche agosto 2010

 
 
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  Gli antisemiti di Sua Maestà

francesco lucreziNotevole impatto, sull’opinione pubblica mondiale, ha avuto la recente intervista rilasciata allo storico Benny Morris dal Presidente israeliano Shimon Peres, il quale, a proposito dei reiterati gesti di ostilità, di vario tipo, verso lo Stato di Israele provenienti da diversi ambenti - politici, civili, intellettuali – del Regno Unito, ha dichiarato di non potersene stupire, in ragione dell’antico, radicato antisemitismo d’Oltremanica. Forte della sua indiscussa autorità morale, il Presidente ha avuto il coraggio di dire la verità, quantunque scomoda e “politically uncorrect”? O è caduto in una pericolosa generalizzazione, sfiorando un increscioso incidente diplomatico?
Consigliamo, prima di dare una riposta, la lettura di due libri, in grado di dare luce sul controverso rapporto verso il mondo ebraico da parte dei sudditi di Sua Maestà. Il primo, Autodafé, di Emanuele Ottolenghi (Lindau, 2007) dà un quadro preciso e sconfortante – ricostruito per esperienza diretta - dell’estensione del pregiudizio anti-israeliano negli ambienti culturali e accademici del Regno, che vede moltissimi docenti e intellettuali, di diversa formazione e collocazione politica, farsi promotori di massicce iniziative di denuncia, boicottaggio, discriminazione ecc. che, quasi sempre, coinvolgono l’intera società israeliana, nel suo insieme, la quale appare integralmente criminalizzata, nella sua interezza, senza alcun distinguo e alcuna eccezione.
L’altro libro, uscito in Italia col titolo Il muro invisibile (Piemme, 2007), è un testo di memorie, scritto, tra il 2003 e il 2006, come opera prima, da Harry Bernstein (all’inizio della scrittura, novantatreenne), la cui famiglia, di ebrei originari della Polonia, visse nel Lancashire nei primi decenni del secolo, per poi emigrare negli Stati Uniti alla vigilia della grande depressione. In pagine piene di poesia, nostalgia e dolore, l’autore rievoca – senza nulla aggiungere o inventare - i lontani anni della sua infanzia, nei quali la lotta contro fame e miseria doveva sommarsi alla quotidiana autodifesa contro le innumerevoli angherie e vessazioni da parte della popolazione cristiana. Tra i vari episodi narrati, c’è quello del fratello maggiore, Joe, che, bravo nello scrivere, mandava continue richieste di collaborazione a giornali vari, senza mai ricevere risposta. Un giorno, una lettera arrivò, con l’offerta di un colloquio nella lontana città di Manchester. Pieno di speranza, il ragazzo partì, col suo abito buono, accompagnato dagli auguri festosi di tutta la famiglia. Giunto all’appuntamento, dopo un lungo viaggio e un’attesa di molte ore, fu finalmente ricevuto, per sentirsi dire dal Direttore che era assurdo e offensivo che un ebreo pretendesse di fare il giornalista, e che era ora che la smettesse di inviare quelle lettere ridicole. Uscito dal giornale, Joe fu aggredito e pestato a sangue da alcuni teppisti, per vendicare la morte di Gesù. E, una volta tornato a casa, il suo racconto fece finalmente maturare nella madre la determinazione di lasciare il Paese, per non tornarci mai più.
Ai tempi dell’infanzia di Bernstein, naturalmente, lo Stato di Israele non esisteva, e l’accusa del deicidio rappresentava il principale pretesto per i gesti antisemiti. Un’accusa, ovviamente, che gli intellettuali britannici del giorno d’oggi, interessati esclusivamente a sionismo e Palestina, non si sognerebbe mai di sollevare. Eppure, ciascuno dei due libri aiuta a comprendere l’altro, nella misura in cui entrambi parlano, in pratica, della stessa cosa.
Continueremo sempre, nonostante tutto, ad amare l’Inghilterra, culla della democrazia e del diritto. Ma, proprio in ragione di tale amore, non assistiamo con indifferenza alla recrudescenza di una sua antica malattia, dalla quale dovrà guarire.

Francesco Lucrezi, storico

 
 
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L'Iran lancia il negazionismo via Web per irridere l'Olocausto
Roma. Mentre l'Unesco si appresta a portare a Teheran la Giornata mondiale della filosofia, dal regime degli hayatollah arriva un mega portale internet di vignette per irridere l'Olocausto (holocartoons.com). L'iniziativa giunge a due giorni dal discorso in cui il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad è tornato a mettere in dubbio l'Olocausto e l'11 settembre. Parlano dell'oppressione di un gruppo - ha detto il presidente iraniano fanno film e reportage e instillano questa idea nelle menti della gente al punto che anche in Iran alcuni non possono credere che si tratti di un falso . Perché ha aggiunto Ahmadinejad non consentono alcuna ricerca se non si tratta di un falso? E se noi invitiamo gente a venire e a fare delle ricerche, reagiscono facendo un baccano . Nel dicembre del 2006 il governo iraniano organizzò a Teheran una conferenza internazionale sull'Olocausto con la presenza di alcuni dei più noti negazionisti europei e americani. L'idea ora è quella di spiegare le tesi negazioniste dell'Olocausto attraverso vignette satiriche. Il sito internet, in farsi arabo e inglese è prodotto da Khakriz, un istituto di Teheran legato al ministero della Cultura. Il fulcro di tutta la piattaforma negazionista si basa sull'idea di un complotto ebraico per scacciare i palestinesi dalla propria terra. 

Il Foglio 11 agosto 2010

 
 
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Israele - In caso di guerra i missili potrebbero colpire                     il centro del paese
Gerusalemme, 10 ago. -
Il viceministro degli Esteri israeliano Matan Vilnai 
in una visita a Herzliya, a nord di Tel Aviv, organizzata proprio per discutere con le autorità locali di come affrontare un nuovo possibile conflitto ha dichiarato che "In un prossimo conflitto (che coinvolga Israele, ndr) i missili (dei nemici, ndr) arriveranno fino al centro del paese". Secondo Vilnai  "bisogna prepararsi a qualsiasi scenario". "La cosa migliore da fare è far partecipare la gente delle città ai preparativi per un'emergenza".
 
 
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